Archivio per natura umana
Teomondo Scrofalo
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Posted in nigrologia with tags amore, anatomia, cervello, corpo, donna, eros, erotico, immaginazione, istinto, materialismo, mente, natura, natura umana, neurologia, poesia, poeta, poetica, poetry, porno, psicologia, segreto, sensualità, sesso, sessuale, sessualità, spiritualità, tantra, web poet, web poetry on 12 ottobre 2018 by Michele NigroQuel vostro club privè
dopolavoro per manovali
vogliosi, poco spirituali
tantra occidentale,
con l’ingresso, lembi di un’inguaribile
ferita
a volte nascosto
da fitta vegetazione capigliata
altre ancora glabro come un glande
che accoglie tra
pioggia calma che bagna
senza giungere da nubi
il sentiero reso facile
al viandante eretto
ma non eretico.
Un ariete di carne e sangue
per sfondare porte
aperte, umide di
desiderio lasciato libero,
ed entrare nella
calda stanza
di una finta immortalità.
Al termine
di movenze mai spiegate
bianchi muezzin
dall’alto di minareti a tempo
annunceranno il segreto
della vita umana in questo mondo.
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Acqua di ritorno
Posted in nigrologia with tags autunno, cambiamento, ciclo, esistenza, estate, evoluzione, futuro, mare, meme, morte, natura, natura umana, passaggio, poesia, psicologia, ripetitività, ritorno, speranza, spiritualità, storia, tempo, viaggio, vita, web poetry on 17 giugno 2018 by Michele NigroAdorava i temporali
estivi, tra sprazzi e lazzi
erano meme bagnati
su gambe scoperte
alla sua natura autunnale
dimenticata tra eccessi di
sole e promesse di viaggi.
Ora le campane chiamano
all’ordine di civiltà domenicali
e tuoni ribelli e grondaie
impreparate ad acque inattese
alla vita ormai persa
che scorre nel mare calmo
della morte che accoglie,
sperando di ritornare
giovane umidità
e nuvole
e di nuovo pioggia
tra i vivi di domani.
♦
Il momento perfetto
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anche per noi
un tempo e uno spazio
(non più tempo, non più spazio)
in cui diluire la vita incompresa, la non riuscita
e quella non digerita, in cui disperdere
le questioni di principio e gli affanni
i quotidiani attriti dell’inutile fare
gli orgogli della carne e le posizioni in classifica.
Dove tutto sarà quasi pace, ingiudicato e incolore
o colorato a piacere, con le mani e i piedi della notte camminata
di stelle e vino, sospesi
solo una musica lieve e ricordi blandi di
una certa vita lasciata indietro, laggiù o lassù
da qualche parte, insomma… Senza nomi di città,
o di strade, o cognomi strani, o numeri civici e di telefono.
Ignoti, ignoranti e ignorati
in eterno.
Non c’importerà più di niente
perché niente saremo.
Forse vivi, forse no
in ogni caso non lo scopriremo.
Finalmente
sorridendo, senza sapere come
ci dimenticheremo
sui marciapiedi dell’universo.
♦
Sul non dormire soli
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Il felino di casa
abbandona notturno
le vecchie ossa
di madre adottiva,
forse già avverte
il freddo dell’aldilà
la malattia e la morte
accampate sull’uscio
dell’umano declino.
La porta socchiusa sul mondo
per andare e venire
a caccia di cibi sicuri,
dormire tra le gambe
di futuri padroni
eredi della solitudine,
il calore di un incerto domani
da preservare.
E sul petto insonne
quel ronfante non lasciarmi solo
nella notte senza lei,
per credere ancora
in scomodi amori a seguire.
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Esortazione autoptica
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e non avranno capito nulla
del vostro passaggio su questa terra.
Così come loro stessi del proprio:
l’ignoranza esistenziale è democratica.
Quelli che oggi presumono
senza comprendere
forse moriranno dopo di voi
o insieme a voi. O prima, peccato:
non assisteranno alla fine
dello spettacolo allestito
dall’infinito per divertire il divino
che tutto sa.
Restate in vita, dunque
abbiate fede pur nella finitezza che v’opprime
stringete i denti e la carne alle ossa
tenete duro nonostante il buio,
sopravvivete a voi stessi
e alla stupidità, per i restanti anni.
Partecipate all’equivoco, giocateci
non disperate come piace al nemico
rendete difficile il cammino
alle voci di un corridoio post mortem,
smentitele dal vivo con l’esempio
e non solo a parole
lasciatele morire sotto i colpi del tempo
che tutto guarisce e risolve,
seppellite i detrattori ma senza gioire
perché tutti siamo detrattori di qualcun’altro,
siate l’autopsia di voi stessi
non affidatela ad altri, a frettolosi
anatomopatologi dell’anima
e preparate una fossa profonda
in cui far riposare le persone superficiali
che oggi decantano, non autorizzate
le gesta sminuite o esaltate
di esistenze che non gli appartengono.
Dopo gli errori insiti nell’essere umani
c’è bisogno di fatti salvifici, cercati o fortuiti
prima dei puntuali conti presentati lì
dove l’imbuto di Kronos si restringe intorno al collo.
Sarà meglio morire vecchi e nella verità
che giovani e tumulati dalla menzogna.
Quando il vento dell’anima
abbandonerà i vostri corpi, che non saranno più vostri
ma della terra,
nulla potrà essere aggiustato.
♦
(immagine:
“¡Y tenía corazón! / Anatomía del corazón / La autopsia”
quadro di Enrique Simonet – 1890)
Archivio
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scatole di dolci vuote e biglietti
perché anche il dolore
esige una documentata
precisione, resistente al tempo
e all’umana distrazione.
Affinché ogni data diventi spina
per pungerci quando sembreremo
felici,
ogni pezzo di spago
un nodo che ci tenga
legati al passato,
una scatola
vuota della dolcezza che fu
per quando saremo pieni
di false gioie,
e biglietti di sola andata
per l’aldilà.
♦
(immagine: FONTE)
Je voudrais pas crever
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E che l’intelletto, più di ogni altro dio assetato di prole, vi aiuti in quest’opera di indipendenza dalla paura di crepare senza aver generato.
♦
* Je voudrais pas crever, titolo originale della poesia Io non vorrei crepare di Boris Vian
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Poesia triviale di amore e morte
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Mi condusse nel bosco della fiducia
e abusò della mia benevolenza,
per ore
senza dire una parola
raccontò tutto del suo ego
e me lo mostrò,
con colpi ritmati di piacere
strofinando la mia schiena nuda
sulla corteccia del nostro
talamo fogliato.
A mò di anello
con la fascetta rossa
dell’ultimo Partagás
intorno al dito raggrinzito
da umidi connubi solitari
le chiesi di unirsi a me
sul baratro di un bucolico caos.
Bifolco vuol dire
due volte folk
ed eravate coppia impopolare
di verderame e stanchezza.
C’è gente che
è vestita bene
solo da morta,
e allora lei morì
per vedersi bella
dal cielo.
L’eleganza nella bara
di castagno voyeur
testimone legnoso del loro
giovanile amplesso
fece dimenticare
l’indegno barcollio da birra
tornando di sera, ormai vecchi
da terre lavorate bestemmiando
irrigate con lacrime di pelle
e le risate in vita
dell’intero paese.
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(immagine: Vincent van Gogh –
Contadino e contadina che seminano patate, 1885)
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Illuminismo
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Oggi, invece, è tutto così terribilmente illuminato, ordinatamente illogico, uniforme come una piazza assolata in estate. Siamo circondati da un luminoso chiasso che tutto sembra chiarire. Ecco perché odio l’estate, non la stagione ma l’approccio estivo all’esistente.
Lo vedi, all’imbrunire, quel vecchio cancello arrugginito, invaso dalle erbacce e dimenticato dall’uomo?”
“Sì, lo vedo…! Nessuno più lo attraversa ormai. Da decenni. Tra poco lo tramortirà per tutta la notte, fino all’alba, il cono di luce elettrica proveniente da quell’angolo di casa.”
“Lo so, l’osservo tutte le notti. Per te… cosa rappresenta?”
“Per me… è solo… un vecchio cancello arrugginito, invaso dalle erbacce e dimenticato dall’uomo.”
“Osservalo bene con gli occhi dell’ozio. È un cigolante passaggio a nord-ovest, verso terre insensate e vere. È poesia embrionale, che nasce da processi sconosciuti e oscuri, abbandonata tra il chiaroscuro di un lampione di provincia e senza titolo, che attende di essere scritta durante l’eclissi della ragione…”
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(foto M. Nigro, “Me by night” – giugno 2017)
“Amore e Morte” di Calcedonio Reina
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versione pdf: “Amore e Morte” di Calcedonio Reina
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Non ho ancora avuto l’opportunità di vedere dal vivo questo dipinto straordinario del pittore catanese Calcedonio Reina intitolato “Amore e morte” (1881) custodito presso il museo civico di Catania, e che ho conosciuto casualmente tempo fa, tramite il web, mentre cercavo un’immagine adatta alla mia poesia “Segnalibri”. Ad influenzare positivamente il mio giudizio nei confronti di questa opera non è solo il fatto di essere stato realmente nel luogo in cui è ambientata la scena di “Amore e morte”, ovvero le suggestive Catacombe del Convento dei Cappuccini a Palermo, ma è soprattutto l’originalità del suo realismo e il forte potere simbolico nascosto dietro l’apparente normalità della scena: un uomo e una donna si baciano tra le bare e le mummie esposte nelle catacombe. Sembrerebbe che l’artista abbia voluto semplicemente immortalare la breve storia di un bacio rubato, di un atto goliardico tipicamente giovanile consumato in maniera “eversiva” in un luogo sacro, lì dove sarebbe vietato occuparsi di gioie terrene, carnali e sarebbe, invece, più opportuno riflettere sull’insegnamento escatologico offerto dall’ambiente. Ma c’è di più, molto di più…
Al centro dell’opera ci sono loro, un uomo e una donna che mentre si abbracciano dolcemente, si scambiano un bacio appassionato: lei, con molta probabilità di famiglia benestante come denunciano i suoi merletti, bionda, giovane e bella, vestita di bianco (bianco crema) – la luce che emana dal suo abito è un inno alla vita! – a contrastare il grigiore della morte (anche se non vi è traccia di monotonia cromatica nella descrizione pittorica del sepolcro da parte di Reina; al contrario, le bare, le nicchie e i corpi mummificati sono caratterizzati da una sobria “vitalità” dei particolari, pur trattandosi di un dipinto in cui la tonalità non esaltata di colori non contrastanti tra di loro, tende a uniformare il tutto accogliendo la luminosità dei soli esseri viventi); quel corpo lucente – l’unico del dipinto – è il simbolo della gioia di vivere, dell’amore di donna, della passione devota della moglie che sarà, promessa splendente della vita che custodirà.
Lui, elegante gentiluomo, capigliatura nera, dall’aspetto promettente, sembrerebbe provvisto di baffi nonostante l’area della bocca sia occupata dal bacio, amante premuroso, le sue braccia ricoperte dal tessuto scuro della giacca cingono, una la vita di lei come se fosse una cintura che spicca sul bianco del vestito della donna (a voler dire: “tu sei mia, appartieni alla mia vita e non alla morte che ci circonda!”), la mano dell’altro braccio, invece, accompagna la nuca della fanciulla verso il “dolce pasto”.
O, forse, l’uomo e la donna sono i protagonisti di un amore clandestino, di un amore impossibile, senza futuro: quel bacio rubato è un’occasione irripetibile, unica, da non perdere. Confidando nella “forzata discrezione” dei presenti, i due amanti si abbandonano a un gesto apparentemente irriverente, vista la sacralità del luogo, e con la tragedia nel cuore sanno che quello potrebbe essere il loro ultimo bacio se non addirittura il primo e già ultimo: fuori dalle catacombe torneranno a essere due estranei; forse entrambi sono sposati con altre persone e la loro conoscenza furtiva nel mondo dei vivi non aveva avuto lo sviluppo desiderato. Solo in un luogo di morte e di silenzio il loro amore “di superficie”, fatto di sguardi e di fantasie, ha trovato la forza per realizzare il contatto adulterino. Il tutto vissuto sotto gli occhi ormai spenti delle mummie esposte in fila, vestite come lo erano in vita ed etichettate, che sembrano “discutere” tra di loro dell’insolito accadimento amoroso.
Eppure, al di là della storia dei due amanti creati dal pennello e dall’immaginazione di Reina, non si comprende definitivamente se siano i due giovani a lanciare un segnale indiretto ai muti testimoni del loro bacio o se siano, al contrario, i corpi mummificati dei morti a insegnare qualcosa di inesorabile e drammaticamente reale all’uomo e alla donna. È l’amore che vince su tutto (l’omnia vincit amor di virgiliana memoria), persino sulla morte in quel luogo presente in maniera inequivocabile, o è la Morte che ricorda ai due amanti, attraverso i suoi “associati” messi in bella mostra nelle catacombe a sfidare l’eternità, senza proferire parola alcuna, che qualunque sarà la natura del loro amore e la forza della loro passione per la vita, alla fine diverranno comunque materia per imbalsamatori o cibo per vermi? Infatti dalla luce del lato del dipinto che sta alla nostra sinistra (e del vestito della donna) si passa gradualmente, in prospettiva, verso la lontana oscurità a destra in fondo alla catacomba: vivete, credete nell’esistenza, baciatevi appassionatamente, illudetevi per un attimo di essere immortali, ma – memento mori! – non dimenticate di appartenere alla morte, al destino oscuro che vi attende in fondo alla galleria della vita.
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