Elogio del recupero

Recuperare la lentezza

(“…pedalo, quindi sono!”)*

Crisi energetiche, fonti alternative ignorate dalle lobby dell’oro nero, pozzi petroliferi in avaria nell’oceano e tonnellate di petrolio greggio riversate in mare, aumenti (e mai ribassi) del prezzo della benzina, mito futurista della velocità e fascino moderno, disoccupazione e mancanza di idee, pubblicità ingannevole e nevrosi da mobilità efficiente, vacanze sempre meno intelligenti, donne e motori… Ci consigliano di combattere la crisi con un ottimismo spendaccione e praticando la cancellazione dei fatti e delle notizie; la realtà deve essere allontanata; l’esperienza preconfezionata, pronta per l’uso, diminuisce il rischio di fatica e di fallimenti.

Sotto uno strato di polvere alto alcuni millimetri ho scoperto nel garage una vecchia bicicletta acquistata circa vent’anni fa (o forse più) da una mia parente e in seguito abbandonata a causa di quelle vicissitudini della vita che a un certo punto, purtroppo, ci fanno prediligere alcuni mezzi rispetto ad altri. Ruggine, polvere, vernice staccata, il filo della dinamo tagliato, copertoni marci, una camera d’aria ormai irrecuperabile e i parafanghi un po’ sgangherati… Un caso difficile, quasi disperato! La voce consumistica che è in ognuno di noi mi dice: “comprati una bicicletta nuova!”

La sfida in pieno stile cubano comincia. Ho bisogno di dare a me stesso e “al mondo” una lezione di lentezza: non tanto un esempio ecologista quanto piuttosto un segnale culturale, la riproposta di uno stile di vita reale e sano sempre più sopraffatto da un efficientismo snob che rasenta (e a volte realizza) un’ostentazione volgare e paradossalmente tipica di quest’epoca disoccupata, povera ma falsamente sgargiante e berlusconizzata. La filosofia del recupero da contrapporre alla veloce morale consumistica: vernice nigricante, copertoni nuovi, olio per ingranaggi, qualche attrezzo precedentemente recuperato da un mio personale “museo dell’artigianato”, un po’ di musica per accompagnare “l’operazione chirurgica” e tanta pazienza… Smonto, allento, stringo, gratto, bestemmio, sferraglio, sudo. Svito, allargo, sbullono, vernicio, rido e poi fieramente rimonto il tutto come se fossi un demiurgo del metallo. La nuova sfida m’intriga; mi sento capace, audace, mordace: un uomo che domina la materia (non il contrario) e che conosce l’obiettivo del suo operare. Divento oggetto, mi calo nelle esigenze inorganiche della silenziosa materia rimasta ferma per anni: io sono la bicicletta. Mi assicuro che le ruote rimontate girino come si deve, evitando attriti con i parafanghi o con i tacchetti dei freni. Olio, olio e ancora olio, per allontanare dagli ingranaggi la “pigrizia” accumulata in tutti questi anni sprecati, trascorsi nel garage a non far niente. Rivernicio tutto accuratamente senza lasciare angoli da cui possa trapelare il vecchio colore della precedente esistenza e dono una nuova vita lucente a quel metallo fino a poco tempo prima arrugginito e polveroso. Anche le luci anteriore e posteriore nutrite dalla dinamo tornano miracolosamente a funzionare in vista di estive pedalate notturne. Sono orgoglioso di me. Il risultato mi soddisfa (vedi foto sopra). Ci vuole una pedalata inaugurale. La faccio. Pedalo lievemente e senza fretta tra le stradine deserte e le arterie trafficate della mia città di provincia e l’oggetto rinato sembra ringraziarmi per questa seconda possibilità. Tutti abbiamo bisogno di una seconda possibilità. Anche gli oggetti. Io lo so, ma il mondo non più: lo ha dimenticato durante questi anni di crisi annunciata e combattuta a suon di ricette in tivù, falsa opulenza per sentirsi meno soli e populismo pre-elettorale.

Restaurare le cose ci rende migliori. Riacquistiamo il ritmo giusto ed educhiamo il nostro corpo all’attesa riflessiva. Siamo liberi di decidere come utilizzare il nostro tempo e la materia inerte che incontriamo lungo il cammino. Il recupero possiede in sé anche un significato politico: la “semplice” scelta culturale diventa scelta politica controcorrente. La fregola consumistica consigliata e incoraggiata dai nuovi dittatori viene sconfitta dalla chiave inglese e dal cacciavite. Ridiventare padroni di sé, del proprio tempo e degli oggetti dimenticati in attesa di resurrezione. Riscrivere l’elenco dell’utile e dell’inutile seguendo i rispolverati canoni qualitativi della vita reale. La poetica degli oggetti in disuso contro la stupidità dell’Occidente, contro l’arroganza dei velinismi tecnici ed estetici, contro il grasso che cola sullo scheletro di una filosofia perdente ma imperante.

Contrapporre alle lunghe file in autostrada, per raggiungere i luoghi isterici del divertimentificio, la micro-felicità di uno spazio locale riconquistato e poco noto. I non-luoghi di Marc Augé vengono sostituiti dai luoghi del senso e dell’individualità irripetibile. “Psicogeografia pedalante!” – penserebbe Debord.

La bicicletta che ho “riesumato” non si trova su nessun catalogo!

E’ unica… E’ mia.

(foto tratta dal film “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica)

* il sottotitolo di quest post “…pedalo, quindi sono!” – è preso in prestito dal saggio “Il bello della bicicletta” (Eloge de la bicyclette) di Marc Augé – pag.63

11 Risposte to “Elogio del recupero”

  1. L’ha ripubblicato su Pomeriggi perdutie ha commentato:

    Scrivere è ridare vita a “Materiale di recupero”.
    Grazie Jonathan Franzen!

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  2. […] fa scrissi in “Elogio del recupero”: <<Restaurare le cose ci rende migliori. Riacquistiamo il ritmo giusto ed educhiamo il nostro […]

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  3. Sai che hai una bici simile alla mia:)..manca solo il cestino a me..e anche io da più di una settimana mi muovo con la bici…telepatia paranoica:)..ti segnalo il gruppo su fb critical mass che credo però già conoscerai..

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  4. bene. Infatti, comunque, concordo in pieno con te. Questo messaggio può essere utile a molti distratti.

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  5. rileggendo il commento, ho notato che l’ultima frase, non è così chiara, per mancanza mia di rilettura prima di pubblicare. Comunque spero tu abbia capito ciò che intendo, la mia non è una critica, anzi trovo in questa riflessione molti spunti sui quali riflettere. Ciao.

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  6. Complimenti per il lavoro, anche io, ormai trasportato da una vita cittadina sempre più frenetica, ho perso l’occasione di pedalare. Per fortuna ho sempre le mie gambe, fino a quando reggeranno saranno il mio movimento. Ma una bici, farebbe comodo, onde evitare bus. Hanno rovinato anche i treni, imponendoti tratte veloci e semplici, con prezzi esorbitanti. E se vuoi pagare poco, devi fare mille cambi, e tre semplici ore, si trasformano con l’alta velocità in una, con i cambi in venti.
    L’unico punto sul quale non concordo, ovviamente capisco il chiaro riferimento con quello che è il cogito, e ho comunque la mente aperta verso quell’astrattezza che intendi con la frase “io sono la bicicletta”, contrapposta magari ad “io ho la bicicletta”, o in chiave ancora più consumistica, “io voglio la bicicletta”, su questo niente da dire. Trovo però che il concetto “io sono la bicicletta” sia troppo volgarizzato, quando potrebbe risultare più puro dire ad esempio, “io sono libero, io pedalo”. E’ una delle prime definizioni che fiorisce alla mente, ma anche se ripeto, capisco la tua, e l’accetto sotto quel punto di vista ironico con cui la espliciti, che credo come più corretta, ma non solo, più chiara e definita, insomma giusta per il tuo concetto.

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    • Grazie per il tuo commento interessante!
      Come tu stesso hai già compreso l’affermazione “io sono la bicicletta”, forse non la migliore da usare, ha il solo obiettivo di proiettare il lettore in un lavoro manuale che appassiona e avvicina colui che è intento a recuperare l’oggetto nella materia… Insomma un modo per dire che l’automatismo (quello positivo) derivante dal lavoro manuale ha la funzione di svuotare la mente dai falsi pensieri al punto tale da far perdere all’ “artigiano” la coscienza di sé…

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  7. Grazie cara Rosa,
    i tuoi commenti sono vere e proprie poesie!
    Non mi abbandonare… Seguimi!
    BUENOS DIAS! 🙂

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  8. rosa velarde Says:

    Bellissimo!!!!!!!!!!!!!
    Una saggezza fantastica.
    La lentezza. La semplicita’.
    Il lavoro sui dettagli.
    La finezza della rifflesione.
    L’indipendenza dal medio impazzito.
    L’autonomia ironica e catartica.
    Il RITORNO a se’ stessi. Liberati finalmente
    dalle bugie della finta felicita isterica
    bulimica di nulla ed anoressica del TUTTO
    Abbandonare il mondo di plastica
    per andare nel veritiero
    Lasciare in dietro le allucinazioni
    delle velocita’ ingannose
    per scoprire la “velocita” inmobbile
    giusto nel nucleo di gravita’ permanente
    inalterabile anzi in mezzo al turbinio

    Un inizio splendido.
    I grandi cambiamenti dell’essenza
    cominciano spesso nel mistero assurdo
    di una bicicletta abbandonata alla sorte
    dell’intemporalita’ ch eil tempo nasconde

    Auguri, Michele!

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