Errori cognitivi e sospensione del giudizio

“La Reproduction interdite” – René Magritte (1937)

La filosofia può essere d’aiuto alla psicologia?

Uno dei settori più affascinanti della moderna psicologia è quello riguardante i cosiddetti “errori del pensiero”: una definizione poetica per descrivere dei veri e propri ‘corto circuiti’ tra immagine interiore (mentale) e realtà oggettiva, che possono causare nei casi più estremi una sorta di ‘desertificazione relazionale’ nella vita sociale di un individuo. Si è rivelata particolarmente utile al riguardo la lettura di un articolo dei dottori Claudio e Tristano Ajmone intitolato “Assertività: gli errori cognitivi” in cui pongono una domanda ben precisa: “Chi non ha mai dubitato delle intenzioni di un’altra persona senza prove oggettive?” In un mio precedente post – “Il fattoide” – mi preoccupavo della creazione di fatti ‘artificiali’ e non verificati capaci di ‘inquinare’ la realtà. E se il fattoide riguardasse noi stessi (auto-fattoide)? Se diventassimo noi stessi produttori di fattoidi riguardanti la nostra persona? O meglio: i pregiudizi che abbiamo nei nostri confronti possono influenzare negativamente la nostra vita di relazione? La risposta evidentemente è sì.

Nell’esporre la Cognitive Therapy (CT) di Beck, i dottori Ajmone, elencando le distorsioni cognitive sistematiche, pongono al primo posto la cosiddetta Deduzione arbitraria: trarre conclusioni in assenza di prove o in contrasto con esse. Manca la capacità di prendere in considerazione spiegazioni alternative più plausibili per le esperienze del presente. Il passato svolge un ruolo di causalità temporale distorto (se un evento era vero nel passato allora sarà sempre vero) che porta alla formulazione di previsioni negative su prove deboli.

E in seguito, proponendo alcune regole su come gestire assertivamente i pensieri, scrivono: “Chi interpreta finisce per accettare come vere le sue affermazioni, distorcendo così le relazioni con gli altri. Dobbiamo imparare a non interpretare. Se abbiamo dubbi dobbiamo cercare riscontri reali alle nostre teorie. Ipotesi e realtà non vanno confuse. L’interpretazione è una forma di allucinazione.” Ripenso alle ‘droghe allucinogene’, alle varie ‘mode psichedeliche’ abbinate a determinati periodi storici: la cultura dello ‘sballo’ durante la rivoluzione culturale del ’68 e negli anni successivi. Il nostro cervello non ha bisogno di motivazioni storiche o culturali per creare uno stato di allucinazione ‘a costo zero’, senza l’assunzione di sostanze esterne.

Ma gli antichi greci forse ne sapevano più di noi e, anche senza avere le stesse esigenze dell’uomo moderno, già erano alla ricerca di un’imperturbabilità esistenziale che oggi è assolutamente indispensabile.

Grazie alla cosiddetta “sospensione del giudizio” o epochè unita a una buona dose di forza di volontà e di auto-analisi (escludendo quei casi clinici gravi, bisognosi di una seria e urgente terapia psicanalitica), le forme lievi di errore cognitivo, riconoscibili da parte del soggetto e poco frequenti, possono essere perlomeno prevenute, tamponate o addirittura corrette nell’ambito di un processo di auto-guarigione. Sospendere il giudizio non solo nei confronti del mondo esterno, ma soprattutto nei confronti del nostro spazio interiore (inner space): significa dare e darsi una possibilità. <<L’epochè (dal greco ‘sospendo’, ‘passo sotto silenzio’) per lo scetticismo è l’atto di sospendere ogni giudizio intorno alle cose, poiché di queste non si può affermare un predicato piuttosto che un altro, né definire in maniera dogmatica, ragioni di forza eguale potendosi invocare pro e contro ogni opinione; il meglio è tacere: né sì, né no.>> (dal “Dizionario di filosofia e scienze umane” di E. Morselli). E’ evidente, però, che un ritorno ossessivo da parte del soggetto su un errore cognitivo rende inefficace il semplice approccio filosofico e auto-analitico.

L’epochè, al di là di un’applicazione etico-morale, scientifica e sociopolitica, è utile anche nell’ambito delle relazioni interpersonali: il gruppo di filosofi detti neo-pirroniani o “veri scettici” (vissuti tra il I e II sec. d.C.) affermavano che la sospensione del giudizio consiste nel sospendere il proprio assenso non ai fenomeni (di per sé innegabili: a meno che non ci si trovi dinanzi a un caso dimostrabile di illusione ottica) ma al fatto che ai fenomeni, o a delle formulazioni di pensiero, corrisponda la vera realtà. Ad esempio: è vero che ho visto mia moglie uscire dal palazzo dove abita un suo ex fidanzato (il fenomeno ottico è innegabile; ho visto effettivamente mia moglie uscire dal portone di quel palazzo) ma ciò non esclude le seguenti ipotesi: 1) che in quello stesso palazzo abiti anche una delle migliori amiche di mia moglie; 2) che il suo ex fidanzato non abiti più lì. L’errore cognitivo dà vita al pregiudizio e l’anassertivo grida immediatamente al “tradimento”. Lo scettico, invece, sospende il giudizio (pensare subito al tradimento significa avere una bassa autostima e privare il prossimo di un’alternativa che la nostra mente è incapace di concepire da sola), tace, attende l’arrivo di una quantità maggiore di informazioni utili per completare il quadro, ma non esclude nessuna ipotesi, neanche quella più dolorosa, proprio per amore della verità: il fatto che la moglie non lo tradisca in “quel” palazzo non significa che non lo tradisca affatto (in altri luoghi), che non lo abbia tradito in passato o che non lo tradirà. Lo scettico, così come l’assertivo, possiede un pensiero elastico, variegato, costruttivo, possibilista. Lo scettico non è uno sciocco aggressivo, ma è un realista che ama difendere la propria dignità fino all’ultimo. Dobbiamo imparare ad essere scettici verso noi stessi.

Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che non abbiamo le prove dell’efficacia di tale “dubbio metodico” (come lo definiva Cartesio) applicato alle relazioni sociali. Invece le prove esistono (prima di tutto perché esiste un’ampia bibliografia psicanalitica collegata ai ‘corsi di assertività’ tenuti dagli addetti ai lavori) e le possiamo ripescare anche dal nostro vissuto relazionale, solo che spesso le rimuoviamo per lasciare spazio a nuovi e terribili pregiudizi (verso noi e gli altri): quante volte ci è capitato di trattenere saggiamente la lingua e di avere la brillante idea di lasciar riposare la nostra spada nel fodero invece di essere i primi a sferrare il colpo verso un nemico che esisteva solo nel nostro immaginario alterato? Innumerevoli volte. E come ci siamo sentiti, dopo che la nostra attesa è stata premiata dalla saggezza, quando abbiamo finalmente realizzato che le idee malsane fino a quel momento coltivate non erano nient’altro che errori del nostro pensiero? Non abbiamo avvertito un senso di liberazione? Non ci è sembrato di aver contribuito alla costruzione e non alla distruzione della nostra vita sociale?

Scrive l’Abate Dinouart nel trattato intitolato “L’arte di tacere”: <<Quando si deve dire una cosa importante, bisogna stare particolarmente attenti: è buona precauzione dirla prima a se stessi, e poi ancora ripetersela, per non doversi pentire quando non si potrà più impedire che si propaghi.>>

5 Risposte to “Errori cognitivi e sospensione del giudizio”

  1. stefania Says:

    Molto interessante e ben scritto. Spesso consiglio a qualche mio alunno impulsivo di contare fino a 10 prima di parlare.
    Bravissimo Michele.

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  2. Bonaventura Says:

    Voglio conoscere la moglie di Vladimiro. Molto interessante.

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  3. […] sospensione del giudizio (in omaggio all’epochè della “Fenomenologia” di Edmund Husserl) da applicare, in questo […]

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  4. Ahahahah! Mitica lama… 🙂
    Mi hai fatto schiattare dalle risate… Eheheh!
    Un tipico commento in stile lamellar-horror!
    Direbbero gli esperti che hai una carenza nella capacità di “problem solving” e che la tua è una disabilità cognitiva da aggressivo… Ma so anche che te ne sbatteresti di questa diagnosi e che la scanneresti lo stesso… 🙂
    Ciao! 🙂

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  5. Vladimir Says:

    Condivisibile, ma io se quella puttana di mia moglie la vedo uscire dalla casa del suo ex, soprattutto se agghindata come una troja, io prima la scanno, e poi scanno l’ex, anche se non abita più lì, per sicurezza. E poi, eventualmente, mi assicuro di non aver allucinato. Per il resto, condivido.

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