Guido Davico Bonino e “La letteratura fantastica italiana”
Si è rivelato interessante e piacevole fin dalle prime battute l’excursus proposto il giorno 27 ottobre 2011 all’Università di Salerno dal prof. Guido Davico Bonino sulla letteratura fantastica italiana: una tematica che è stata curata in maniera sistematica dagli italianisti del nostro Paese solo a partire dagli anni ’20 e ’30 dello scorso secolo.
La “cicalata” sul fantastico italiano – come ha ribattezzato lo stesso Davico Bonino la sua dotta relazione – è partita da quelli che potremmo definire gli albori e non si è limitata a un’analisi ‘locale’ del genere letterario ma ha preso forza dall’inevitabile considerazione delle esperienze europee e mondiali che di seguito hanno influenzato positivamente gli autori italiani.
Sin dal ‘500 singolari scrittori hanno espresso la loro capacità creativa nell’ambito del fantastico.
Il primo nome illustre a cadere nella ‘rete’ del relatore è stato quello di Giovan Francesco Straparola (1480-1557?) che con la sua raccolta di racconti boccacceschi intitolata “Le piacevoli notti” introduce nella tradizione letteraria della penisola italica l’elemento fantastico. Senza tralasciare, in ordine cronologico, il famoso “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile (1566-1632) e le opere teatrali di Carlo Gozzi (1720-1806). Sarebbe stato pleonastico ribadire che questi autori classici con le loro opere rappresentano un tipo di fantastico che potremmo definire ‘primordiale’: il racconto fantastico di quei secoli coincide quasi sempre con una fiaba in cui è contenuto un “senso del meraviglioso” veicolato da animali introvabili in natura, piante mostruose, luoghi inimmaginabili, situazioni fisiche paradossali… Alcuni secoli più tardi, tuttavia, il saggista Cvetan Todorov (1939 – vivente) nella sua opera “La letteratura fantastica” avvertirà l’esigenza di mettere un po’ d’ordine affermando: <<bisogna distinguere tra ‘meraviglioso’ e ‘fantastico’>>
La Francia, dal punto di vista del genere fantastico, ha svolto
l’importante funzione di ‘nazione apripista’: partendo da Charles Perrault, passando per Jean Cocteau, Jules Verne fino a un ‘insospettabile’ Émile Zola.
Non da meno la Germania con Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1822): giurista, scrittore e compositore; personaggio geniale e al tempo stesso discutibile, dedito all’abuso di alcolici e particolarmente interessato alle giovanissime donne! Tutta l’opera narrativa di Hoffmann (in 7 anni, dal 1815 al 1822, scrisse oltre 2000 pagine di romanzi e racconti, tutti fantastici) fu tradotta da Carlo Pinelli, fratello di Tullio, per l’Einaudi. Doveroso ricordare almeno la raccolta di Hoffmann intitolata “Fantasie alla maniera di Callot” (Fantasiestücke in Callots Manier, 4 volumi) scritti a partire dal 1814 e contenente il racconto “Il vaso d’oro”, tradotto nel 1824 da Thomas Carlyle.
A nutrirsi delle opere di Hoffmann sarà anche l’americano Edgar Allan Poe e dimostrerà di essere stato influenzato dall’autore europeo, tanto da farne il suo modello e il suo ideale, pubblicando nel 1840 i “Racconti del grottesco e dell’arabesco” (Tales of the Grotesque and Arabesque). In Francia l’autore de “I fiori del male”, Charles Baudelaire, all’età di venticinque anni legge Poe, ne rimane folgorato e lo traduce integralmente in francese dimostrando una certa devota ossessione.
Ala liberale dei Romantici, di cui fa parte anche Victor Hugo, sempre in Francia, lo scrittore di racconti fantastici Charles Nodier, bibliotecario della Biblioteca dell’Arsenale di Parigi, crea un cenacolo letterario che riunisce dal 1824 al 1836 penne del calibro di François-Adolphe Loève-Veimars che traduce in francese tutte le opere di Hoffmann.
Baudelaire scrive due saggi su Edgar Allan Poe e in generale si fa lentamente strada l’idea che le novelle brevi (non troppo brevi, però) sotto certi aspetti valgono più di una novella lunga o addirittura di un romanzo: la virtù insita nella sintesi che caratterizza il racconto breve diventa preponderante, perché ha il vantaggio immenso di accrescere l’effetto finale sul lettore. Anche se lo stesso Poe non rimane estraneo alla forma del romanzo, come dimostra la pubblicazione della “Storia di Arthur Gordon Pym”. Sin dall’ ‘800 la novella è il genere letterario preferito dagli scrittori francesi di fantastico. E non solo francesi.
All’appello non possono mancare i racconti fantastici di
Théophile Gautier e quelli di altri due ‘insospettabili’ francesi: i venticinque tra racconti e romanzi squisitamente fantastici di Honoré de Balzac (del quale, dopo morto, si disse: “È morto il San Gottardo degli scrittori realisti”) e i cinquanta racconti fantastici (prelevati da un corpus di trecentocinquanta racconti) appartenenti a un altro grande personaggio della letteratura francese, Guy de Maupassant.
L’autore di origini francesi Adelbert von Chamisso scrisse nel 1814 un racconto che narra di un uomo senza ombra (venduta al demonio!) e intitolato “Storia straordinaria di Peter Schlemihl”. Molti di questi Autori sono stati tradotti in italiano.
Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà, curando per l’Einaudi l’Atlante della letteratura italiana, hanno preso in considerazione anche le ‘tracce fantastiche’ presenti nella storia della nostra letteratura. Tommaso Zanotti, invece, in maniera certosina ha elencato le traduzioni delle opere fantastiche tradotte in lingua italiana, da quando è nato negli italiani un certo interesse nei confronti di questo genere letterario, fino ai giorni nostri.
Ma è possibile individuare un preciso momento storico in cui collocare la nascita del fantastico italiano?
Secondo alcune scuole di pensiero tutto sarebbe nato dall’esperienza artistica dei cosiddetti “scapigliati” (dai capelli scomposti!). La Scapigliatura pensata da
Cletto Arrighi (1828-1906) attirò l’attenzione di artisti come Camillo Boito (autore della novella “Senso” che ispirò l’omonimo film di Luchino Visconti); Igino Ugo Tarchetti che scrisse il racconto fantastico “Uno spirito in un lampone”; Roberto Sacchetti; Carlo Dossi, maestro di Carlo Emilio Gadda.
Il critico letterario Gilberto Finzi anni fa ha curato per gli Oscar Mondadori la raccolta (275 pagine) intitolata “Racconti neri della scapigliatura”.
Il fantastico non ha il compito di spiegare certi fenomeni (come la metempsicosi) usando la ragione, ma tende a lasciare tutto sospeso: lo stupore derivante dai racconti fantastici serve ad aprire canali irrazionali verso zone arcaiche della mente umana. L’assurdo ha il delicato compito di mantenere vivo il mistero intorno all’esistenza umana.
Monica Farnetti ha spiegato in più di un’occasione che anche i veristi, incredibile ma è così, cedettero alla tentazione di sperimentarsi nel genere fantastico: Giovanni Verga con il racconto “Le storie del castello di Trezza”; “Un vampiro” di Luigi Capuana; Salvatore Di Giacomo; Federico De Roberto; Matilde Serao… Tale partecipazione non coincide con un mero sperimentalismo scritturale ma nasce come rivolta contro lo scientismo positivista con cui si credeva di poter spiegare tutto.
Sono due i modi del fantastico:
- con malinconia (pessimismo, perdite, ecc.)
- con ironia (distacco).
Interessante il volume curato dalla giornalista e scrittrice Costanza Melani (conduttrice della trasmissione ‘libresca’ “La Banda del Book” andata in onda tempo fa su Rai 5) e intitolato “Fantastico italiano” (BUR Edizioni), contenente 34 racconti di 21 autori italiani affascinati dal genere fantastico, che si affaccia al ‘900 italiano.
Il testo “Ottocento nero italiano”, sottotitolo narrativa fantastica e crudele (Nino Aragno Editore) è una raccolta di racconti fantastici curata da Claudio Gallo e Fabrizio Foni, con l’introduzione di Luca Crovi, contenente tra gli altri anche scritti di Emilio De Marchi.
“Racconti scapigliati” è il titolo, invece, di una raccolta di racconti curata da Roberto Carnero per la BUR.
Partendo da questi riferimenti bibliografici sparpagliati si evince che il materiale riguardante il fantastico italiano è ampio e ben documentato grazie alle varie edizioni che hanno offerto in questi anni una panoramica esauriente capace di soddisfare le esigenze di quei lettori amanti del genere.
Ma quali sono stati, invece, i rapporti tra fantastico italiano e Novecento?
È difficile stabilire un canone di scelta, perché più si va avanti nel tempo e maggiori sono le tematiche che rappresentano il genere fantastico: non si tratta più di racconti concepiti intorno a fenomeni naturalistici grotteschi e surrealisti ma l’indagine si sposta verso territori intimi, psicologici, metafisici. Verso ciò che oggi molti chiamano ‘inner space’.
In “Novelle per un anno” di Luigi Pirandello, ben 31 racconti (in un corpus di 250) sono definibili come fantastici e possono essere raggruppati in precise sezioni tematiche: 1) folclore e religione; 2) il tema dei “doppi” (le doppie personalità); 3) ombre; 4) case infestate; 5) congedi (ovvero ‘sogni’ come nel caso della novella “Soffio”); 6) animali. “Racconti fantastici” di Luigi Pirandello è appunto il titolo di una raccolta di racconti curata per la Einaudi da Gabriele Pedullà. Molti di questi racconti rappresentano la forma protocellulare di successive opere teatrali.
Sarebbe impossibile parlare di fantastico italiano senza citare Aldo Palazzeschi e il suo romanzo “Il codice di Perelà” (1911), unico grande romanzo fantastico italiano, così come non mancano contributi al fantastico negli 82 racconti scritti nel corso della sua attività letteraria. Nella narrativa di Palazzeschi il fantastico è veicolato da personaggi “buffi” (dove buffo è ogni uomo che non riesce ad adattarsi alle regole) che rappresentano il ‘diverso’ in senso lato, colui o colei che ha un atteggiamento non conforme alle tradizioni, l’individualista che viene considerato buffo da chi non è capace di uscire dagli schemi imposti dal sistema.
I personaggi buffi di Palazzeschi non coincidono affatto con quelli “veri” presenti nei 104 racconti fantastici del grande scrittore e saggista Massimo Bontempelli che, per tale motivo, definì “realismo magico” il suo tentativo di costruire dei racconti che partendo da una base realistica e quotidiana, giungono lentamente a proporre degli scenari fantastici che spiazzano il lettore. Da ricordare anche il suo romanzo breve “522. Racconto di una giornata” in cui è un’automobile a narrare i fatti in prima persona.
Arturo Loria, ebreo modenese, contribuì alla “causa fantastica” italiana soprattutto tramite le sue 3 raccolte di racconti più famose: “Il cieco e la Bellona”, “Fannias Ventosca”, “La scuola di ballo”.
Loria scrive storie fantastiche ambientate in un universo di girovaghi, manutengoli, emarginati stralunati (ricorda per tale motivo Raffaele Viviani): in questo mondo avvengono fatti che portano il lettore fuori dal reale. In tale scenario si pone il suo racconto “L’appuntamento”, dove un uomo tutte le notti sogna tanto che alla fine la vita vera per lui diventerà l’ “altra”, quella del sogno.
Alberto Savinio, fratello di Giorgio De Chirico, è stato un artista molto originale, caratterizzato da una scrittura in continua metamorfosi (che ricorda indirettamente quella pittorica presente nei quadri dell’illustre fratello): anch’egli come Bontempelli scrisse una serie di racconti fantastici (ripresi dalle edizioni Adelphi) che partendo da una quotidianità quasi scontata deviano inesorabilmente verso atmosfere metafisiche e fantastiche. Notevole e surrealista la storia, che fu anche una litografia, intitolata “I miei genitori”.
Discutere di fantastico italiano significa inevitabilmente avvicinarsi alla figura straordinaria di Dino Buzzati: anche il suo fu un fantastico che potremmo definire ‘di tipo divulgativo’; il fratello di Buzzati era un biologo, ogni anno in odore di Nobel, mai ottenuto. Racconti fantastici sono quelli contenuti nella raccolta intitolata “Paura alla Scala”. Nel racconto “Sette piani”, presente nelle raccolte “Sessanta racconti” e “La boutique del mistero”, Buzzati affronta in maniera surreale e fantastica i temi della malattia e delle paure umane.
In conclusione, altri due grandi scrittori italiani interessati alla letteratura fantastica furono Tommaso Landolfi e Italo Calvino: il primo, in bilico tra fantastico e grottesco, ripubblicato dalle edizioni Adelphi, può essere apprezzato nella bellissima raccolta, curata dallo stesso Italo Calvino, intitolata “Le più belle pagine di Tommaso Landolfi” e contenente sezioni dai titoli inequivocabili come “Racconti fantastici”, “Racconti ossessivi”, “Racconti dell’orrido”, ecc.
Calvino è ricordato nell’ambito del fantastico soprattutto per “Le cosmicomiche”: una raccolta di 12 racconti, tra l’umorismo e il paradossale, che affrontano tematiche come l’universo, l’evoluzione, lo spazio e il tempo.
Calvino inoltre curò l’edizione dei “Racconti fantastici dell’Ottocento”, suddividendoli in 2 categorie:
–VISIONARIO: incubo, allucinazione, mostri, vampiri, ecc.
–QUOTIDIANO: il racconto sboccia da un fenomeno microscopico di quotidianità.
Nel 1970 un giornalista di “Le Monde” chiese a Calvino una definizione di “fantastico”: Calvino nel rispondere richiama l’attenzione sul senso di straordinario, sull’ordine e sulla perfetta simmetria che devono caratterizzare un racconto, lasciando intuire che il modello di racconto fantastico a cui faceva riferimento erano, meritatamente, le sue “Cosmicomiche”.
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(Un ringraziamento ad Antonio Scarpone, anch’egli presente al seminario di Davico Bonino, per la revisione/integrazione del presente articolo).
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28 giugno 2022 a 09:00
[…] Guido Davico Bonino e “La letteratura fantastica italiana”. […]
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5 febbraio 2022 a 18:24
[…] Guido Davico Bonino e “La letteratura fantastica italiana” (scritto a “quattro mani”… […]
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27 ottobre 2019 a 23:59
L’ha ripubblicato su Pomeriggi perduti.
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