La Passacaglia di Franco Battiato

Pochi giorni fa è uscito il singolo “Passacaglia” tratto dal nuovo album di inediti di Franco Battiato intitolato “Apriti Sesamo”. Ancora una volta il cantautore siciliano fa da ponte tra antico e moderno, tra musica colta e musica popolare, traducendo in suoni contemporanei (suscitando già le perplessità di alcuni puristi e dei soliti nostalgici del periodo pre-sgalambrico) una forma musicale appartenente alla tradizione e che nel corso dei secoli è diventata un vero e proprio genere musicale: la passacaglia appunto. Battiato si è ispirato, rielaborandola sia dal punto di vista musicale che testuale, alla Passacaglia della vita di Stefano Landi (1587 – 1639), già rivisitata tempo fa, ma senza subire grandi trasformazioni, da un altro grande cantautore italiano: Angelo Branduardi.

Il concetto musicale di variazione, caratteristica fondamentale della passacaglia, è applicabile anche alla nostra vita. Il “passare la calle”, ovvero la strada, è un simbolo che non appartiene solo a coloro che vivono e lavorano in strada, i musicisti girovaghi e i viandanti, ma anche a tutti gli altri esseri viventi che si apprestano, come natura vuole, a lasciare questa vita terrena o più semplicemente a cambiare modo di vivere, evolvendo nel corso dell’esistenza. L’attraversamento quale simbolo di trasformazione di una vita, di una carriera artistica, di un passaggio esistenziale interiore… Anche la morte è un passaggio e non la fine di tutto, ma accettarla non è semplice. Tutto finisce: i governi, gli imperi, i papati, le ricchezze, l’interesse nei confronti di un lavoro o la passione per una persona amata, la vita. E la fine può giungere in qualsiasi momento, anche mentre stiamo facendo ciò che desideriamo (come si legge nel testo di Landi: Si more cantando, si more sonando […] Si more danzando, bevendo, mangiando…).

Quella che segue è un’analisi del tutto personale del testo del brano “Passacaglia” di Franco Battiato e non rappresenta assolutamente un’esegesi definitiva che può compiere solo l’autore. O meglio, gli autori, dal momento che, come accade ormai da anni, la rielaborazione del testo è avvenuta in collaborazione con il filosofo siciliano Manlio Sgalambro. Da notare le parti del testo che ripropongono esattamente, soprattutto nell’incipit, alcuni passaggi della “Passacaglia della vita” di Landi e altre parti in cui Battiato in modo palese personalizza il testo, attingendo elementi dalla propria vita, nonostante il lavoro coautorato con Sgalambro.

Ah come ti inganni
se pensi che gli anni
non han da finire
è breve il gioire
i sani gli infermi
i bravi gli inermi
è un sogno la vita
che passi gradita.

Non importa come tu abbia trascorso la tua esistenza, se sia stato sano o malato, lavoratore o scansafatiche. Un’unica verità accomuna tutti gli esseri viventi e in particolar modo gli esseri umani dotati, a differenza degli altri esseri senzienti, di una coscienza: la vita non dura per sempre – siamo “Di passaggio”, cantava lo stesso Battiato anni fa – l’eventuale gioia che ne trai è breve ed è destinata a finire. Così breve e sfumata da sembrare un sogno; quindi cerca di viverla in maniera gradevole e se possibile utile dal punto di vista della crescita personale.

Vorrei tornare indietro
per rivedere il passato
per comprendere meglio
quello che abbiamo perduto
viviamo in un mondo orribile
siamo in cerca di un’esistenza.

Anche se ci sforziamo di vivere correttamente, veniamo spesso e volentieri colti dalla tentazione di voler tornare indietro, per rifare il percorso, per rivivere meglio periodi della nostra vita durante i quali l’istinto negativo ha prevalso sulla comprensione. Oppure, anche se non abbiamo compiuto gravi errori, semplicemente per rivedere meglio alcune scene che ci sono sfuggite e aiuterebbero a comprendere la nostra vita attuale. Siamo prigionieri del presente e spesso non siamo consapevoli di ciò che abbiamo perduto: gli autori, credo, in questo passaggio non si riferiscono solo a una perdita personale, legata all’arco esistenziale del singolo individuo, ma a un impoverimento dell’umanità che travalica la persona e coinvolge l’essere umano in generale. La regola del “guardarsi indietro” vale anche per l’uomo di altre epoche, ma sembra che l’assurda vita frenetica dell’uomo del terzo millennio abbia aggravato questa perdita di dati esistenziali. Infatti Battiato non esita a dichiarare che viviamo in un mondo orribile: e non si riferisce solo alle cattive notizie dei telegiornali ma allo stile di vita che abbiamo adottato, illudendoci di vivere. Vivere respirando e pagando le tasse non è vivere: la vera esistenza, quella che in pochi ormai cercano con impegno, è tutta un’altra cosa. Forse già la scelta di ricercare un’esistenza superiore sarebbe un segno positivo, rappresenterebbe un tentativo di allontanamento volontario dall’abbrutimento, anche se i risultati, per debolezza o disattenzione, non sempre sono garantiti.

La gente è crudele
e spesso infedele
nessun si vergogna
di dire menzogna
i giovani putti
e gli uomini tutti
non val il fuggire
si plachi l’ardire.

Battiato con questi versi affonda il bisturi nel tessuto malato della società in cui viviamo. La vita del singolo individuo e quella dell’intera umanità sembrano essere caratterizzate dalle stesse patologie: la crudeltà, l’infedeltà, l’assenza di vergogna e quindi la sfacciataggine, la propensione alla menzogna sono diventati i punti di riferimento del nostro agire quotidiano. Non abbiamo più maestri da cui imparare: i politici e i dirigenti, che più di tutti dovrebbero insegnare la responsabilità e l’amore per il bene comune, ed essere di esempio per la società che pretendono di governare, stanno compiendo un arrembaggio etico senza precedenti.

Perché accade tutto questo? Cos’è che non ci permette di capire che quella intrapresa è una strada errata? Sia i giovani che gli adulti hanno lo stesso comportamento: sfuggono alle proprie responsabilità senza porsi domande scomode e in grado di far invertire la rotta a un’esistenza diretta verso la morte interiore. E soprattutto credono di poter sfuggire alla morte, quella vera, corporale, che attende ognuno di noi alla fine del percorso. Dinanzi a tale verità schiacciante e per questo rassicurante, non val il fuggire. Tutto ciò che facciamo sembrerebbe duraturo e tutto ci sembra fattibile perché già vissuto da altri furbi prima di noi; non ci sono regole ma solo opportunità da cogliere al volo. Crediamo di vivere in eterno e non consideriamo il fatto che certi errori possono determinare l’esito di un’intera vita: non sempre si ha il tempo materiale per correggere i propri errori e non comprendiamo che perdere la prima occasione che ci viene data, può risultare fatale. Mancanza del senso della morte e “possibilismo” esasperato: questi i mali da combattere. Si plachi l’ardire come a voler dire sii umile, “abbassa la cresta”, non credere di essere eterno e punta alle cose che contano, andando al di là del possesso e delle piccole furberie quotidiane. L’ardimento è un coraggio baldanzoso di natura effimera che ci permette di compiere gesti clamorosi ma vuoti dal punto di vista della vera ricerca interiore.

Vorrei tornare indietro
per rivedere gli errori
per accelerare
il mio processo interiore
ero in quinta elementare
entrai per caso nella mia esistenza
fatta di giorni allegri
e di continue esplorazioni
e trasformazioni dell’io.

Si dice sempre che “per capire il presente bisogna studiare il passato”. Gli storici questo lo sanno bene: chi conosce la storia prevede gli eventi e spesso riesce a subodorare certi pericolosi ricorsi storici. Anche a livello personale vale la stessa regola: prendersi del tempo per ripercorrere mentalmente il proprio passato, affrontando anche certi fantasmi irrisolti legati ai propri errori, può servire a sbloccare un’esistenza congelata in un presente inconsapevole e cieco. Rivedere gli errori, come in un film interiore, ripercorrere le pagine poco edificanti della propria vita, anche se è un’operazione fastidiosa e dolorosa, può essere utile per oliare gli ingranaggi di una crescita che non procede come avevamo programmato. Insomma, per darci una mossa! Per accelerare, prima che sia troppo tardi, un processo interiore di crescita e di evoluzione che non ha nulla a che vedere con l’essere belli, muscolosi, sensuali, potenti, vincenti dal punto di vista professionale, politico, sociale. Spesso non abbiamo o non vogliamo avere memoria del nostro passato: ricordiamo solo il passato recente, quello conveniente, quello che ci espone il meno possibile al giudizio degli altri. Ricordare la propria infanzia richiede un certo coraggio misto alla voglia di mettersi in gioco, esponendosi, lasciando che gli altri vedano come eravamo, prima che le sovrastrutture dell’adulto seppellissero il nostro vero io acerbo. Spesso confondiamo la “nascita ostetrico-ginecologica” con quella esistenziale: quand’è che cominciamo a vivere veramente? Quando comincia la nostra voglia di mettersi in gioco? Quand’è che cominciamo ad avere consapevolezza del nostro esistere? A porci domande? L’inizio di questo percorso non viene deciso a tavolino ma è un inizio personalizzato, intimo, unico, casuale. Battiato afferma, probabilmente riferendosi a se stesso: ero in quinta elementare / entrai per caso nella mia esistenza. C’è chi entra nella propria esistenza anche prima di frequentare la quinta elementare, qualcun’altro molto tempo dopo o addirittura mai! Ma cosa può scatenare questo ingresso casuale nell’esistenza? E quale è stata la causa che ha scatenato in particolare l’entrata del giovane Francesco Battiato nella propria esistenza? Da cosa è simboleggiato l’inizio della sua ricerca interiore? Afferma Mena Battaglia, estimatrice delle opere musicali di Franco Battiato: <<Io credo che, in realtà, si riferisca ad un episodio in particolare: quando una sua maestra gli fece rileggere un tema che lui scrisse per la precisione in terza elementare e che cominciava così: “Io, chi sono?”. Molti anni dopo Battiato è riuscito a trovare la risposta a quella domanda nella ricerca della Verità Assoluta, nella Consapevolezza del Sè che si attua con la meditazione.>>

Non dobbiamo pensare, però, a un’esistenza concentrata e senza tregua sulla ricerca spirituale e caratterizzata da un ammaestramento severo del proprio mondo interiore: Battiato parla, giustamente, di giorni allegri ovvero di giochi, di spensieratezza infantile, di una sana “ignoranza”, di regole arcaiche e istintive accettate senza discutere, di una libera casualità che permette all’essere umano di compiere quelle necessarie e continue esplorazioni conducendolo a conseguenti e vitali trasformazioni dell’io. Si tratta di crisi indispensabili, di richieste ben precise provenienti da quella componente vera e primordiale racchiusa in ognuno di noi: guai se non sentissimo l’esigenza di esplorarci e di trasformarci in base alle nuove direttive dettate dall’io. La morte può essere anche rappresentata dalla mancanza del passaggio: il “non passare la calle”, l’assenza di variazioni musicalmente parlando, è un altro modo, più doloroso e innaturale, di morire restando apparentemente in vita.

vorrei tornare indietro
nella mia casa d’origine
dove vivevo prima di arrivare qui sulla terra

Questa volta il tornare indietro desiderato da Franco Battiato non riguarda la storia visibile dell’individuo, quella compresa tra il momento della nascita biologica e il presente, ma è un riavvolgere il nastro per ritornare verso origini superiori, non biologiche, metafisiche. Quella ricercata dagli autori è una casa d’origine particolare, non di tipo genitoriale ma ultraterrena, immateriale, noumenica. O forse una dimora di cui non si ha memoria; una dimora cosmica, pura, lontanissima, primordiale e quindi non inquinata da sovrastrutture fisiologiche, da pseudo-consapevolezze o da debolezze terrene. Alcuni parlano di memoria intra-uterina o addirittura di memoria karmica; si tratta di memorie non disponibili per tutti ma che bisogna saper risvegliare con tecniche particolari: siamo più antichi e complessi dello stupido uomo consumatore descritto dalle pubblicità.

entrai per caso
nella mia esistenza
di antiche forme
e insegnamenti
e trasformazioni dell’io
e trasformazioni dell’io.

Da questa dimensione primordiale, non tangibile, si passa per caso in un’esistenza che nessuno di noi sceglie consapevolmente: Battiato non è ateo, crede in un disegno superiore ma non crede in un destino preconfezionato da cui è difficile liberarsi. La casualità interessa l’inizio del percorso ma in seguito possiamo migliorare e crescere con la forza di volontà, la disciplina e l’esercizio. Veniamo al mondo circondati da antiche forme culturali ereditate, già presenti prima del nostro arrivo, e riceviamo insegnamenti dalla nostra famiglia di origine (o da maestri incontrati sempre per caso che forniscono, a chi ha sete di miglioramento, indispensabili “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” ma efficace), anche se con il tempo e grazie a una speciale ricerca capiamo che le nostre vere origini travalicano gli affetti familiari, le culture dominanti e i saperi secolari.

Un passo dopo l’altro, un pezzettino alla volta, assistiamo alle trasformazioni dell’io: quell’entità granitica che chiamiamo personalità diventa plastilina; l’indispensabile diventa superfluo, le “questioni di principio” materia per barzellette. Così ognuno di noi realizza la propria passacaglia: un passaggio di stato esistenziale che non riguarda solo la morte, ma i numerosi passaggi e le necessarie trasformazioni che dovrebbero caratterizzare la vita di un essere umano in evoluzione.

Ma per evolvere bisogna morire. Morire bisogna!

8 Risposte to “La Passacaglia di Franco Battiato”

  1. L’ha ripubblicato su Pomeriggi perdutie ha commentato:

    … il tornare indietro desiderato da Franco Battiato non riguarda la storia visibile dell’individuo, quella compresa tra il momento della nascita biologica e il presente, ma è un riavvolgere il nastro per ritornare verso origini superiori, non biologiche, metafisiche. Quella ricercata dagli autori è una casa d’origine particolare, non di tipo genitoriale ma ultraterrena, immateriale, noumenica…

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  2. Virginia Says:

    Complimenti per l’ottima analisi, Michele!

    Piace a 1 persona

  3. destino Says:

    Ciao Michele,
    intanto complimenti per questo articolo che, come puoi immaginare, desta in me molto interesse.

    Vorrei tornare indietro
    per rivedere il passato
    per comprendere meglio
    quello che abbiamo perduto

    Su questa strofa mi chiedo spesso, riascoltandola in questi giorni, quale sia il pensiero reale di Battiato. Mi domando se lui voglia realmente tornare indietro per “rivedere” gli errori, capire ciò che si è perso..
    Poi, rileggo tutto il brano, e non può non venirmi in mente una sua celebre frase contenuta ne “Il Cammino interminabile”: -Se vuoi conoscere i tuoi pensieri di ieri osserva il tuo corpo oggi
    Se vuoi sapere come sarai domani osserva i tuoi pensieri di oggi. – (Vedi Soka Gakkai nella celebre frase: Se vuoi conoscere le cause create nel passato, guarda gli effetti che si manifestano nel presente; se vuoi conoscere gli effetti che si manifesteranno nel futuro guarda le cause che stai mettendo nel presente),e mi sembra che il cerchio si richiuda, che il pensiero sia, alla fine, sempre quello.
    Passato e futuro che si amalgamano in quello che è il nostro presente.
    Questo testo rivisitato, mentre da un lato mi appare come un voler dire “ciò che sei ora è frutto di ciò che sei stato in passato” e quindi inutile pensare di voler tornare indietro, inutile sperare di recuperare ciò che è ormai troppo distante. Dall’altro lato, invece, lo trovo molto stimolante, nel senso che è un voler spingerci ad accettare si il passato, ma facendoci rendere conto che il futuro “è ancora da venire” e che ora, subito, immediatamente possiamo fare qualcosa per cambiare, per rimediare. E’ un invogliarci ad aprire il famoso “terzo occhio”? Un esortarci a sviluppare lo “spirito verticale”?
    Di certo ci spinge a migliorarci, a ricercare il “meglio” in ognuno di noi, a farlo ora “nel presente”, per il futuro.
    Perché è un po’ come le persone che sono sempre in giro con qualche videocamera in mano, che sia un cell. o una digitale, poco importa. Ci penso spesso a questa cosa.. Le persone passano tutto il tempo a fotografare a riprendere un evento, una ricorrenza, un concerto.. ed è come voler fermare il tempo. Per il gusto di vedere un qualcosa in futuro, quando ormai sarà già passato..
    Piccolo particolare.. omettono di “viversi” il presente! E’ nel presente che abbiamo il potere di “agire” e di “cambia-re/ci”!
    Il tuo articolo è molto “stimolante” bravissimo e come al solito io, per esprimere un concetto “semplicissimo” ho necessità di scrivere sempre troppo.. Hemingway mi odierebbe.. 😉
    Buona serata Michele e ancora grazie!

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    • Grazie Destino, hai aggiunto nuovi elementi alla discussione… Trovo interessante il tuo riferimento al Cammino interminabile. Per quanto riguarda il fatto di fare foto e di memorizzare le esperienze, credo che si possa vivere pienamente il momento come dici tu e immortalarlo senza timore di distrarsi dall’essenza del momento. D’altronde anche noi, quando andiamo ai suoi concerti o alle sue presentazioni scattiamo foto ma non perdiamo il succo del messaggio…

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  4. icittadiniprimaditutto Says:

    Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

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