Interruzione di dipendenza

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Prendete una vostra abitudine, quella più frequente, la più ossessionante anche se impercettibile, quella che voi credete essere la più cara e innocua, e… interrompetela. Così, per compiere un esperimento giocoso che pian piano potrebbe diventare un necessario esercizio di miglioramento della qualità esistenziale. Allontanatevi da essa, da questa abitudine non vitale a cui siete legati ma di cui credete di non avvertire la pressione discreta che esercita sul vostro vivere, espelletela dal vostro tempo quotidiano, dai vostri meccanicismi, dal paniere di tic pseudoculturali che tenete sul comodino a portata di mano e di cui vi siete autoconvinti di non poter fare a meno. Osservatela, se volete, dall’esterno prima di archiviarla definitivamente o per un breve periodo di prova, ricordatene le fattezze, studiatene la presenza nella vostra vita per riconoscerla se si dovesse ripresentare sotto mentite spoglie, bussando alla porta delle azioni meccaniche. Se non ha un nome, datele un nome per meglio identificarla. Spegnete il pilota automatico e pilotate a naso! Osservate voi stessi dall’esterno, il vostro corpo mentre vive, come in un film di cui siete i protagonisti, per comprendere quanto siete ridicoli nel compiere l’automatismo da cui vi state allontanando: se non si è consapevoli del proprio essere ridicoli, c’è il rischio che permanga un sottile velo di nostalgia nei confronti dell’abitudine da eliminare. Dovete essere convinti per non avere rimpianti: la consapevolezza del nostro sentirci ridicoli necessita, però, di un cambio di scena. Il film mentale non basta: certi particolari non si possono notare se non da un esterno reale, dall’altra parte del vetro, concedendosi un’azione alternativa che segua il pensiero. Quello che state per vivere non è un addio ma un consapevole arrivederci: forse ritornerete a servirvi delle abitudini che abbandonate, solo che non le chiamerete più abitudini ma azioni utili e non periodiche, oserei dire volontarie e ricercate. L’obiettivo è avere il coraggio di smettere di amare le vostre abitudini perché rassicuranti e già sperimentate. Alterando il grafico di quell’azione riscoprirete il valore del suo significato nella vostra esistenza. Fermarsi un attimo prima del tic non è sufficiente: bisogna dimostrare a noi stessi che l’interruzione che abbiamo deciso di effettuare possiede una sua consapevole costanza. Uno dei fattori più importanti per la riuscita di questo esperimento, infatti, è il tempo che lasciamo trascorrere dopo aver preso la decisione di interrompere la dipendenza: ma non si tratta di un mero “contare fino a dieci!” dedicato agli isterici. È qualcosa di più: siamo lì che fremiamo per soddisfare la nostra abitudine, solo un soffio ci separa dal soddisfacimento di quell’ennesimo atto compulsivo che crea un benessere effimero, ma ecco che all’improvviso una lampadina si accende nella nostra personale scatola di Skinner. Non si tratta stavolta di un segnale convenzionale che dà il via al riflesso automatico a cui il nostro corpo obbedisce senza opposizione, ma è una luce nuova, dispettosa, alternativa, irriverente e scomoda. Una luce che ci chiede di attendere, di rimandare, di sospendere la soddisfazione di un falso bisogno, di cercare una strada non battuta, anzi di non cercare nulla, di sperimentarci nella non azione attiva, insomma di fermarci sull’uscio, per una volta sola o per sempre… se l’esperimento funziona. Quella che sembrava un’alternativa scomoda diventa essa stessa una piacevole abitudine: abituarsi a non abituarsi, una contraddizione che salva la vita. Autodirottarsi per mettersi alla prova e sperimentare le virtù del non fare contro la persecuzione del fare. Riposizionare i mobili di una stanza per vederli illuminati da un angolo diverso e per accorgerci che seduti in un lato differente della stanza riusciamo a vedere particolari dalla finestra che fino a quel momento erano sfuggiti al nostro guardare assuefatto. O addirittura disfarsi dei mobili per sperimentare il vuoto. Se il tempo trascorso dalla sospensione è sufficiente ci accorgeremo di aver “abortito” in maniera corretta, di aver tagliato il cordone ombelicale senza traumi e di non aver bisogno delle cose di cui ci siamo privati: l’interruzione di dipendenza sarà premiata con una riscoperta sobrietà e una nuova energia deviata verso mete non contemplate. Potevamo scegliere di non far finta di scegliere e invece continuavamo a far finta di scegliere. Perché? Per paura? No, di meno: per pigrizia; la paura sarebbe già un sentimento più audace e giustificabile. Non dobbiamo attendere la costrizione della crisi per riuscire a vedere altri scenari e interrompere le nostre routines: anche piccole decisioni non eclatanti e silenziose, compiute nel nostro quotidiano, possono fare la differenza in termini di economia psichica. Questa non è una riflessione per la scuola dei maniaci del controllo: noi non controlliamo niente! Però possiamo influenzare il ritmo delle azioni, la loro frequenza e incidenza nella nostra vita, come il capovoga di un’imbarcazione a remi che determina il ritmo di vogata: possiamo scegliere una non battuta, una remata a vuoto, una pausa. Come una nota non suonata, un colpo non vibrato, una pagina saltata e non letta, una routine non rispettata… Non per sadismo, ma per ricalibrare i sensori e ricominciare a percepire il suono basilare della verità.

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VIDEO CORRELATO: “Si può fare” di Angelo Branduardi

5 Risposte to “Interruzione di dipendenza”

  1. Ho continuato a pensarci in questi giorni, tutte le volte che prendo il mio “espressino”, tutte le volte che per pranzo mi preparo il mio amato tè bancha ecc.. Non comprendo, come magari si può immaginare, l’attaccamento al pc, non solo perché non ho questa dipendenza così da “affamata”, non ho neanche un cell. con Internet, figuriamoci.. ma perché ho sperimentato lo stare lontana dal pc per un bel po’ e sono “sopravvissuta”, ciò che mi mancano se mai sono i “rapporti umani” che ho con i miei amici “virtuali” 🙂
    Comunque.. tenendo conto di quelle che possono essere le nostre piccole manie e le nostre piacevoli abitudini, sono giunta ad un pensiero, ma è un pensiero che “ribalta” ciò che dici tu. E ciò che scrivi è anche condivisibile ed utile, non lo nego!
    Il pensiero è questo:
    Perché “evitare” questi piccoli piaceri, come li chiami tu, rassicuranti? Perché spingermi nell’abolirli, anche solo per un periodo, come una sorta di fioretto che si fa durante la Quaresima? Indubbiamente avrei qualche risultato, non ho dubbi, ma perché, a questo punto, non cercare invece nelle cose che “meccanicamente”, “obbligatoriamente”, “giornalmente” sono obbligata a fare e che non vorrei proprio fare? Forse credo che cercherò di impegnarmi, non dico nel farmele piacere, ma nel cercare di non “odiarle” (volendo esagerare) così tanto. Cercherò di avvicinarmi ad esse non con “passo ostile”, ma con “tranquilla rassegnazione”, un po’ come diceva T.Terzani, come “un filo di erba al vento”.
    Forse si, rinunciare ad alcune cose è una prova “notevole” da affrontare e decidere di perseguire, ma trovo anche che nell’accettare ciò che non ci piace, cercando di farlo nella maniera più “soft” possibile è allo stesso modo “una prova”, un tentativo di capire noi stessi, mettendoci appunto alla prova, ma questa volta non con il “togliere”, ma con il “mettere” che diventa “accettazione” con relativo cambiamento, perché si cambia in qualsiasi modo.. è nella natura umana l’evoluzione.. ciò che siamo e che saremo.
    Grazie!

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    • sì, interessante alternativa questa del “mettere”… ovviamente ognuno personalizza in base alla propria esistenza ed esperienza. no, non la ridurrei la questione a tipo “fioretto” per andare in paradiso: è più seria… è la conquista della lontananza, della distanza senza attaccamento, un punto “filosofico” da raggiungere, non solo un capriccio sperimentale come io l’ho presentato 😉 anch’io c’ho le mie “piccole gioie quotidiane”, e nessuno le vuole toccare: mi riferivo invece alle dipendenze più striscianti, a quelle che diventano normalità… prima di “rimuoverle” bisogna però esserne coscienti: il cammino è lungo e non facile. io ho descritto la parte facile, quella che viene dopo l’individuazione… il cambiare strada per vedere altri scenari prevede un presa di coscienza che precede tutto, sennò niente… grazie per aver riflettuto! 🙂

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  2. Mi fa pensare non poco questo articolo, ma non perché concordo con ciò che dici in maniera totale.
    Ci penso..

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