La poetica “maledetta” di Roberto Miglino Gatto

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Rosario Carello, nella prefazione a “Poesie perdute”, non usa mezzi termini: nella poesia di Roberto Miglino Gatto vi sono la stessa ansia, inquietudine e insoddisfazione presenti nei versi di quelli che un tempo furono definiti “poeti maledetti”. Squarci di vita folle; esistenzialismi registrati senza aspettarsi niente in cambio, né aiuti né condanne; “urli” degni di Ginsberg anche se meno rabbiosi e più rassegnati: appare scontato il passaggio da Rimbaud, Baudelaire, Verlaine ai poeti e romanzieri della cosiddetta beat generation impregnati di strada e di notti con sfumature situazioniste a esistere in giro (Guy Debord docet!), senza meta e speranza. Quelle di Gatto sono poesie fatte di attimi sensoriali mai fini a se stessi, che preparano il terreno a condizioni dell’anima, a interiorità disperate che forse non cercano più neanche una risposta, ma si limitano a fissare un vissuto scellerato.

… di puttana in puttana

così come vado con loro

tornerei indietro di decennio in decennio

fino ad arrivare ad un primitivismo ottuso

di selvaggio e incoscienza d’animale…

C’è bisogno di recuperare il piglio ancestrale dell’esistenza per salvarsi dal presente doloroso: ricercare una propria origine primitiva attraverso bassi istinti animaleschi, catartici e liberatori.

… Notte

e fuochi accesi

sulle strade

nero asfalto

ruvido

e tu fanciulla

al mio fianco…

Un culto, anch’esso maledetto, della strada notturna che libera e condanna al tempo stesso: i riti sessuali con donne sconosciute e selvagge; la disperazione del viandante; la degenerazione, innominabile compagna di cammino verso la dannazione…

… falsi gemiti di piacere

di notti, che vanno via.

È una poesia ricca di sensualità e di sessualità: disseminata di orgasmi, letti disfatti, piccoli seni da baciare o mordere, labbra, capelli biondi, femmine in calore… Sesso disperato, salvifico, compulsivo; sesso rubato, pagato; sprazzi di sesso cercati per noia o per ingordigia lungo i margini esterni della notte e della ragione. Sesso senza nome come a volersi fottere il mondo intero, prima che il mondo fotta il poeta; altre volte è un sesso con nome (<<… questa notte / cerchiamo un po’ d’amore […] Vada per Eva lo fa con passione>>). È un sesso preliminare o sostitutivo di una fuga solo immaginata o irrealizzabile.

Andrò via di qui

[…]

Questa città non mi dà niente

dimenticherò questa strada

dimenticherò quel bar

dimenticherò tutto di me

anche il tuo sorriso…

La notte è sempre presente: testimone fedele di gesti inconfessabili, di ubriacature, di dannazioni e di tristi solitudini a un certo punto non più confortate da “compagni” funzionanti come in passato.

… notte solitudine

[…]

… questa bottiglia non serve

mi tormenta questa bottiglia

mi tormenti tu che non ci sei.

Momenti di perdizione che lasciano spazio alla coltivazione di una fede bizzarra, a strane “preghiere” di fortuna pensate dopo una difficile notte. In questa melma c’è il tempo e la forza di aggrapparsi a Dio e di dire:

… Ti ringrazio Gesù Santo

che mi hai tirato fuori dalla fossa…

[…]

Ora fa’ che non mi perda più.

E quasi come a voler portare il figlio di Dio dalla propria parte, dissacrandolo o amandolo in modo inconsueto:

Ti ho visto

Gesù benedetto

a bere un po’ di vino

e anche tu

al Vico delle Nevi

a cercare un po’ d’amore.

Costante è la prostituzione (considerata in senso lato) in cui perdersi, dimenticarsi; in cui diluire, con il favore dell’oscurità, i faticosi dolori del dì:

Fratello

ubriachi fino a domani

questa notte

andiamo da lei

tanto basta solo pagarla

e sarà più dolce la notte.

Quello che può sembrare un atteggiamento spavaldo, irriverente e cinicamente immorale, è in realtà il sintomo di un disperato bisogno d’amore; nelle poesie di Gatto è presente un dolore che non resta in silenzio ma diventa “peccato” autodistruttivo fatto di sesso, droga e alcol; un peccato che cerca amore presente, tangibile e non platonico.

… mi manca qualcosa e non so…

[…]

Ti voglio ancora

notte squallida

kief e barbiturici

vino e sesso.

E ancora, consapevole che tutta questa ricerca autodistruttrice è diretta verso un luogo conosciuto a cui è impossibile sfuggire, e che la vita che precede quel momento va vissuta maledettamente fino all’ultima goccia:

… viaggi notturni

con gente da galera.

Fermarci solo per bere e dormire

e insultare una puttana.

La pace si cercherà

solo nella tomba

tanto qui la gioia non esiste.

Baciami, baciami.

Ho bisogno d’amore

baciami.

Il tutto alternato da fonti di gioia diverse dalla solita atmosfera alcolica, vicine al mezzo espressivo d’elezione che a volte dona frammenti di speranza:

… E poi gode, gode nello scrivere

sì, sì, forse poi è più bello…

Senza aspettative di salvezza assoluta:

… visionario e pazzo

allucinato e poeta

illuso e fottuto desolato.

E senza nemmeno pentimenti duraturi:

Dei miei vizi

della mia viltà

dei miei vini

non ne perderò

una goccia

ubriaco e vile.

Mi ami?

Anche quando Gatto sembrerebbe dare spazio a una descrizione puramente romantica, speranzosa, finalizzata alla valorizzazione di ventate di bellezza presenti con naturalezza negli interstizi dell’esistenza, ecco che girato l’angolo del verso il lettore è travolto nuovamente dal disincanto disastroso del poeta che torna a descrivere il suo vissuto fatto di << Notti vili con donnacce…>> oppure << Canti d’amore e baci / quasi orge / Ebbrezza e marijuana…>>.

L’ultima speranza è contenuta nella dimenticanza, in quella che Gatto chiama la poesia perduta; come perduto si sente il poeta che non riesce a dimenticare se stesso. La poesia perduta è quella, forse, non fissata, non scritta perché portatrice di altre verità scomode, di altri ricordi squallidi.

Follia angoscia e delusione

è tutto da dimenticare

non ci riesco ma è tutto da dimenticare.

Poesia perduta, follia e delusione

fuochi spenti e deserti

tutto di me è da dimenticare.

[…]

Dimenticare la mia follia le mie visioni.

Dimenticare, è la poesia perduta.

Eppure in tutta questa perdizione e disperazione, quanta bellezza, quanta poesia, quanti ricordi dolci e decadenti al contempo, quante descrizioni che fanno bene all’anima, quanta voglia di fissare quei particolari quotidiani che salvano, nonostante le macerie interiori. Ancora oggi di notte a Battipaglia può capitare d’incontrare Roberto mentre cammina solitario con una serenità nel passo non intuibile dalla lettura dei suoi versi “maledetti”; forse con il suo sguardo fisso sulla strada e che sembrerebbe ogni volta ignorare il mondo e i passanti, cerca ancora imperterrito perduti angoli di notte.

il presente articolo in versione pdf:

La poetica “maledetta” di Roberto Miglino Gatto

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(con il poeta Roberto Miglino Gatto… insolitamente, di giorno!)

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(quarta di copertina)

3 Risposte to “La poetica “maledetta” di Roberto Miglino Gatto”

  1. Ne viene fuori un personaggio alla Bukowski, molto interessante… e la tua è una recensione rispettosa e delicata nei confronti dell’uomo poeta, nei confronti di Roberto Miglino Gatto.
    Mi hai incuriosito e ora leggerò le sue poesie.
    Grazie!

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