Decennale “Limina Mentis”, volume II
Ho partecipato con due poesie – intitolate Gualchiera e Palestra di vita – al vol. II dell’antologia multi-volume ideata per il decennale della casa editrice Limina Mentis di Lorena Panzeri. E come si evince dall’elenco degli Autori in copertina, sono in ottima compagnia.
Interessante l’Interpretazione iniziale del critico letterario Gian Mario Villalta: la necessità di distinguere ancora una volta l’imitazione dell’opera dall’imitazione del processo creativo, distinzione mal riuscita a discapito della prima e a favore della seconda ovvero di una “genialità individuale” che ha causato non pochi danni nel corso della recente storia letteraria. Invece l’imitazione dell’opera (dei Grandi) dovrebbe essere propedeutica all’atto creativo. Scrive infatti Villalta: “Dall’Ottocento in poi il pregiudizio romantico di una dotazione naturale della seconda (imitare il processo creativo) e di una responsabilità negativa della prima (imitare l’opera), poiché conculcatrice del genio individuale, ha portato gravi danni alla didattica, impoverendo i fruitori e i poeti di un patrimonio di abilità e di conoscenza consistente.” Detto in parole povere: bisogna leggere, studiare, analizzare, esercitarsi, imitare appunto. E non solo: magari bastasse solo questo! Scrive in seguito Villalta: “Dove riconosco, e dove posso situare nella mia attuale sensibilità e predisposizione alla poesia, quel processo creativo che mi permetterebbe di scrivere una poesia mia, riuscita e corrispondente al mio tempo? La risposta più semplice è che devo rapportare i processi creativi appresi […] con l’attivazione di diversi livelli di correlazione tra la mia sensibilità, la realtà vissuta e l’ambito delle opere che io riconosco esemplari. Insomma devo operare nell’ambito di una ‘poetica’…”
Un ambito fatto di autocorrezioni e di formazione; un processo che non s’improvvisa. Chi tra di noi non ha conosciuto, almeno una volta nella vita, l’invasato di turno, l’artista ispirato divino, la sacerdotessa che non ha bisogno di leggere gli altri perché troppo presa dalla propria ispirazione, il profeta la cui mission è quella di rivelare segreti al mondo tramite i propri versi, quello che scrive sotto dettatura aliena o di angeli custodi? Lasciate perdere questa gente ridicola: il poeta è uno con le mani sporche di quotidianità e di realtà; pur non trascurando il mistero divino della creazione poetica (‘divino’ laicamente inteso), non dimentica la materialità della propria ricerca sulla parola.
Interessante anche quando Villalta chiama in causa finalmente, nel tentativo di far riparare sotto l’ombrello di un unico principio le innumerevoli varianti che determinano la nascita di una singola opera, discipline come la paleontologia, le neuroscienze e la psicolinguistica. Sono anni, e non sono da solo, che istintivamente inseguo una spiegazione al processo poetico che comprenda tali saperi: pur essendo un atto umano laicamente divino, come scrivevo sopra, è necessario non dimenticare la materialità e quindi la ‘scientificità’ della creazione poetica in relazione all’evoluzione neurologica individuale e di specie.
23 settembre 2017 a 15:24
Condivido il pensiero di Villalta sul fatto di dover leggere, studiare, analizzare, esercitarsi ecc. prima di approdare ad una poesia “corrispondente al mio tempo”.
Le spiegazioni al processo poetico e le tue considerazioni finali, sostengono il pensiero secondo cui c’è una certa “scientificità” nell’atto creativo e pare che non si può più prescindere anche da questa considerazione.
Complimenti, non vedo l’ora di leggere la raccolta!
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23 settembre 2017 a 15:33
Non una scientificità ‘durante’ l’atto creativo ma dopo, quando si è alla ricerca della poetica… per collocare la propria poesia in un contesto di trasformazione in atto, se c’è e se si vuole partecipare a questo processo: sennò si può tranquillamente usare la poesia come sfogo personale e addio.
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23 settembre 2017 a 15:35
Certo… Ti sei spiegato molto meglio tu, grazie! 😉
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