“Intervista a Michele Nigro”, a cura di Roberto Guerra (versione integrale per Ferrara Italia)
Come preannunciavo qui, ecco la versione integrale dell’intervista di Roberto Guerra al sottoscritto, pubblicata sul sito Ferrara Italia.
Segue uno stralcio:
“R.G. Parole futuribili e sperimentali in senso letterario, la letteratura 2.0?
M.N. Già esiste una “letteratura 2.0”: al di là della webpoetry a cui accennavo nella precedente risposta, oggi molte riviste storicamente cartacee, la stessa critica letteraria, il book-marketing, l’editoria, si sono “trasferiti” sul web o almeno hanno una vita “anfibia”. Ma non credo che la tua domanda si riferisse a questo aspetto. Ci chiediamo sempre se l’utilizzo di internet abbia influenzato o meno (e quanto) il nostro linguaggio, e la risposta è sempre “sì, lo ha influenzato!”; ma non ci domandiamo mai quanto invece il fare letteratura in rete abbia influenzato il web stesso. Da questo gioco di “influencing bidirezionale” è chiaro che possono prendere vita parole nuove, linguaggi quotidiani, più che sperimentali, che si prestano alla creazione letteraria. Il vero “esperimento” non è stravolgere la lingua per sembrare ribelli, ma è usare il linguaggio letterario lì dove gli “esperti” ci consigliano di fabbricare dei post leggeri, lineari e semplici da capire. Il vero sperimentalismo risiede nell’interazione tra la lentezza tipica del pensiero letterario e la velocità dell’informazione in internet. Quali e quante parole futuribili nascono da questa interazione? Molte, e spesso non ne siamo consapevoli.
Il non-sense e la parodia della neoavanguardia a che servirebbero oggi? Molto più sensato (e forse rivoluzionario) è usare linguaggi familiari, anche tecnici, con finalità letterarie; nelle mie poesie non ho avuto paura di introdurre parole come “3D”, “space clearing”, “autodigestione”, “look” ecc., a discapito di un lirismo più tradizionale.
“Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui è fatto il linguaggio dell’epoca a cui apparteniamo” parafrasando Shakespeare. Anche se siamo molto critici nei confronti della consistenza morale, spirituale e intellettuale dell’epoca in cui viviamo, in realtà siamo fortunati e non lo sappiamo: grazie ai mezzi informativi a nostra disposizione, un tempo impensabili, abbiamo l’opportunità di far convivere la tradizione con un certo slancio sperimentale, e verificarne i risultati in tempo reale. Non bisogna temere la diluizione e la contaminazione: noi non saremo mai come l’algoritmo di Zuckerberg, abbiamo un’anima capace di controllare ogni tipo di contaminazione. Se una parola non serve all’economia della nostra ricerca poetica, e soprattutto non rispecchia il nostro stato evolutivo neurolinguistico del momento, state pur certi che non entrerà in nessuna delle nostre poesie.”
Per leggere l’intervista: qui
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10 marzo 2019 a 12:58
[…] https://michelenigro.wordpress.com/2018/02/04/intervista-a-michele-nigro-a-cura-di-roberto-guerra-ve… […]
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6 febbraio 2018 a 18:09
Mi piace molto la risposta che hai dato all’ultima domanda:
Cos’è un libro se non un “erede” del nostro pensiero, un supporto a cui affidare una parte del nostro linguaggio per contrastare l’oblio?
È vero, il libro è anche un “erede”!
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6 febbraio 2018 a 20:39
Grazie Destino, in realtà avrei voluto usare il termine “custode” più che “erede”… ma c’ho pensato dopo! Ormai è andata… 😉
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7 febbraio 2018 a 15:05
Ormai sì, ma rende comunque bene l’idea.
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