Intervista monodomanda di Roberto Guerra su “Call Center – reloaded”
Michele Nigro alias Nigricante, il reloaded per il racconto “Call Center” e in edizione cartacea. Una metafora attualissima sul destino socioeconomico e psicosociale del nostro tempo, tra avvento irreversibile della robotica e dell’automazione, e il suo impatto reale nel mercato del lavoro non attrezzato per pilotare la mutazione in atto. A ruota libera, che ne pensi?
Non è attrezzato perché mancano (ancora?) le basi per una definizione seria e politicamente strutturata del lavoro stesso in quest’epoca di cambiamenti: così facendo il tutto viene delegato agli squali del pseudoliberismo economico. L’ideologia è scomparsa, la politica offre soluzioni da “paghetta” settimanale giusto per restare a galla dal punto di vista elettorale. Gli unici ad avere le idee chiare su come sfruttare i lavoratori sono gli aguzzini aziendali che masticano risorse umane, delocalizzano, licenziano, assumono facendo firmare contratti in bianco… Fanno i loro comodi indisturbati: e siamo arrivati ai braccialetti di Amazon per sapere quante volte vai a pisciare! Quale sarà il prossimo stadio dell’automazione e dell’efficientismo? E noi glielo lasceremo fare per esigenze impellenti? È solo il mercato del lavoro ad essere impreparato o è impreparato anche il sistema politico che dovrebbe regolamentarlo, proteggendo i cittadini che a quel sistema dà energia nelle urne? Da qui il voto di protesta dello scorso 4 marzo…
La “liquidità” dei lavori attuali, che nel mio racconto social fantasy ho solo sfiorato, ma ci sarebbero tanti altri esempi da poter fare, non è determinata dal progresso scientifico e tecnologico, come qualcuno ha erroneamente pensato; durante il “secolo breve” c’è stato un progresso ancor più incisivo di quello in atto, eppure i lavoratori non vivevano nella costante incertezza del loro destino occupazionale. Era un tempo in cui il lavoro, molto spesso, accompagnava la gente fino alla tomba, o almeno fino a un pensionamento sicuro! Chi ha reso il mondo del lavoro non attrezzato al cambiamento? Ancora una volta mi viene in mente una sola risposta: la classe politica – nella fattispecie quella italiana – che dirige e legifera, non ha idea del cambiamento in atto e quindi offre soluzioni attraverso strumenti spuntati, antichi, inutili, arrugginiti… Se a questo aggiungiamo, in qualità di consumatori inconsapevoli e culturalmente impreparati, una domanda sociale sempre più debole e accondiscendente, è chiaro che il cambiamento tanto auspicato sul versante politico non avverrà mai. Anche noi “spettatori” abbiamo le nostre responsabilità. Siamo sicuri che la soluzione sia da ricercare solo nell’integrazione del progresso tecnologico nel sistema lavorativo e che invece non si tratti anche di riscoprire, rilanciare, rivalutare, idee lavorative anticapitalistiche? Anticapitalismo che non è sinonimo di luddismo, intendiamoci. Tu accenni nella domanda a una situazione “psicosociale”: ma sono solo la politica e l’economia a condizionare questo stato psicosociale, come se fossimo foglie al vento, oppure sono anche le nostre microscelte, le nostre battaglie, a condizionare il sistema generale? Comunque nella tua intervista/postfazione, caro Roberto, contenuta nella nuova edizione di “Call Center – reloaded”, sono stato più esaustivo e invito i tuoi e i miei lettori ad andare a leggerla, dopo aver letto ovviamente il racconto che la precede.
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10 marzo 2019 a 12:58
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