Prefazione a “L’ospite molesto” di Alda Visconti Tosco

Il diario esperienziale di Alda Tosco Visconti non è un percorso autobiografico: la forma è, sì, autobiografica ma il coinvolgimento esistenziale ed emotivo causato dalla sua lettura va inevitabilmente ad interessare la “radice” dell’umanità e quindi è un cammino che appartiene o potrebbe appartenere a tutti, indistintamente.

Potremmo cambiare il nome dell’autrice, la definizione della malattia, le date, i luoghi, i fatti, ma il potere catartico derivante dall’esperienza dolorosa resterebbe inalterato perché il Dolore, nella vita dell’Essere Umano, è paradossalmente un elemento terribile ma salvifico nella sua sconvolgente veridicità.

“Non ti aspettavo”! E chi se lo aspetterebbe? Le fulgide e meritate proiezioni verso un futuro coltivato e sperato accompagnano giustamente le ore giovanili di ogni essere dotato di progettualità e passione: eppure Alda porta con sé, da epoche in cui non sospetta neanche lontanamente la visita di quel futuro “Ospite molesto”, già l’avvisaglia di una Natura matrigna. Un preannuncio che la renderà forte e inconsciamente “pronta” in vista dell’arrivo di un “mostro strisciante” il cui nome dovrà imparare a pronunciare e ad accettare: Sclerosi Multipla.

Quello di Alda Tosco Visconti non è un autobiografismo pedante e prolisso che informa il Lettore su questioni irrilevanti e ripetitive; e come potrebbe esserlo: è la mappatura cronologica di un travaglio fisico e psichico “in fieri”, e quindi privo di qualsiasi illusoria “glassatura” romanticheggiante come avviene invece nelle storie riviste dall’alto di una collina sicura e fortificata, dopo il passaggio della tempesta.

Una cronistoria all’interno della quale l’Autrice riesce magistralmente a calare sprazzi di vita passata, come a voler ricordare a sé stessa e a noi Lettori che il dolore e la malattia inevitabilmente inducono l’essere pensante alla rivisitazione del vissuto, alla sua riqualificazione e mai alla sua rimozione, perché quando si soffre la menzogna diventa un ridicolo e superfluo optional di cui è meglio sbarazzarsi in fretta. Dei necessari flashback grazie ai quali separare il Prima e il Dopo l’arrivo dell’ospite inatteso: parallelismi che danno un’idea, a chi scrive e al Lettore, della gradualità di un cammino lungo, costellato di eventi e di persone, verso la definitiva accettazione.

Accettazione che non deve mai essere confusa con la rassegnazione improduttiva e passiva.

C’è un paradosso che caratterizza il diario di Alda e che lo rende per tale motivo unico: il linguaggio narrativo portante è brutale e scarno, volutamente senza fronzoli e in alcuni punti affastellato come lo sono tutti i diari di questo mondo chiusi nei cassetti della quotidianità, ma al tempo stesso pervaso da una irrefrenabile voglia di Poesia: non vi è una sola pagina in cui il racconto necessariamente vero e scomodo non sia accompagnato, quasi come a voler mitigare la crudezza della realtà, da una o più pennellate di autentica poesia. Attimi e visioni che solo una persona particolarmente sensibile e costretta ad “esercizi di forzata osservazione” può cogliere: quella stessa Natura matrigna, colpevole di tutto ciò, – sembra chiedersi l’Autrice – è capace di offrirmi simili scenari ricchi di poesia da conservare? “Si respira un caldo rovente che pervade l’aria e i sensi. Il rialzarmi dal fresco pavimento che mi accoglie mi è impossibile, non ho idea di dove siano le gambe.” Una poetica vera e struggente, riguardante una condizione innegabile e dolorosa, che non si dissocia dal mondo, dalla natura, dai valori sensoriali che continuano a pervadere la vita di un corpo disobbediente ma interattivo. E infatti: “Caldo afoso, le cicale assordanti ora mi infastidiscono. Un grillo approdato sul terrazzo mi annuncia la sua presenza salterina. E’ nerissimo, quasi blu, incuriosita seguo il suo prodigarsi in uno show inaspettato. Non si dorme, l’umidità appare già dal mattino con la nebbiolina che arriva dalla piana del Po.”

Alla domanda “si tratta di un diario che provoca tristezza?” io rispondo laconicamente “no!”

Lo stillicidio di “cattive notizie”, delle immense difficoltà da superare a livello personale e interpersonale, e dei terribili termini medici che caratterizzano lo scritto, non annebbiano minimamente la carica morale e spirituale di chi sa “riciclare” il Dolore creando “energia”: “Finisce provvisoriamente l’incertezza di vita e riprendo a convivere con la strana bizzarria.” La sensibilità inizialmente rivolta verso sé stessa, dopo anni di “allenamento”, diventa sensibilità “cosmica”, come traspare dalla lettera all’amica Terry: “…Ogni giorno mi scontro con queste strane manifestazioni di incivile convivenza, cerco di capire, ma sono troppo stanca per agire e oramai la mia rabbia non è più sopita, ma è palesemente evidente, tanto che chi mi ha a fianco la avverte epidermicamente. Carissima, vivevo libera senza schemi mentali e forse, anzi, cieca al vivere civile, non ledevo né mi ledevano e poche volte mi preoccupavo di altri atti incivili, se non manifestando palese disappunto verbale.” Non si tratta, dunque, solo di un cammino medico e ospedaliero, ma di una profonda metamorfosi umana e filosofica che trasforma gli esseri apparentemente “deboli” in colonne portanti del sentire umano ormai disumanizzato.

Si fuoriesce dalla lettura di questo diario non solo con una commozione catartica fine a sé stessa, ma con la vivida consapevolezza che la Vita è un dono da assaporare fino in fondo facendo leva sulle potenzialità che ci vengono concesse, senza ripensare ossessivamente a quelle di cui siamo stati privati.

Grazie Alda!

Michele Nigro


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