Primavera, vento fresco
nostalgia d’autunno.
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Comunicato Stampa
In un dittico a due voci il poeta si apre al prossimo, anch’egli poeta, scegliendo che ai suoi versi facciano eco quelli di un altro poeta che trova in qualche modo affine, in cui individua corrispondenze sonore o emozionali, affinità elettive, corrispondenze di significanti.
Emanuele Marcuccio
PoetiKanten Edizioni ha pubblicato Dipthycha 3. Affinità elettive in poesia, su quel foglio di vetro impazzito… [1], terzo Volume del progetto poetico in dittici a due voci [2], su idea e cura editoriale del poeta palermitano Emanuele Marcuccio, ivi presente con venti liriche.
Scrive Marcuccio nella nota di introduzione: «Sì, è l’affinità elettiva poetica, la telepresenza attraverso un PC, la “corrispondenza d’amorosi sensi”, riprendendo la celebre espressione foscoliana, che poi cito in “Telepresenza”, in dittico a due voci con “Vita parallela” di Silvia Calzolari e che costituisce il manifesto poetico di tutto il progetto; non a caso ogni volume è aperto da questo dittico, “corrispondenza d’umano sentire” per il tramite di un computer, “quel foglio di vetro impazzito”, che sempre e comunque “c’ispira”.»
<<A questa frase (“Vedi un uomo senza passato”, n.d.b.) potrebbe essere contrapposto l’incipit di un fondamentale libro di fantascienza, “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, nel quale l’autore ricostruisce magistralmente un sentimento antitetico a quello espresso da Huxley e appartenente a una futura società videodipendente, molto simile alla nostra, talmente disinteressata all’insegnamento derivante dai libri, da bandirli per legge e incendiarli sistematicamente: “Era una gioia appiccare il fuoco. Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse. […] …mentre i libri, sbatacchiando le ali di piccione, morivano sulla veranda e nel giardinetto della casa, salivano in vortici sfavillanti e svolazzavano via portati da un vento fatto nero dall’incendio.”
Impossibile non cogliere il riferimento alla famigerata “Notte dei cristalli” nella Germania nazista del 1938: durante il pogrom della notte tra il 9 e il 10 Novembre di quell’anno, oltre alle decine di ebrei uccisi e alle migliaia di deportati, furono saccheggiati e incendiati negozi, frantumate centinaia di vetrine (da qui il riferimento ai “cristalli”), date alle fiamme decine di sinagoghe e vennero bruciati migliaia di libri non graditi dalla propaganda nazista (anche se la “moda” di bruciare i libri ‘non ariani’ era cominciata già qualche anno prima). Si avverava la profezia del poeta Heinrich Heine, che quasi un secolo prima aveva ammonito: “Ricordatevi che prima si bruciano i libri e poi si bruciano gli uomini”.>>
(da “La bistecca di Matrix”, pag. 26-27)
L’avevo preannunciato in un mio post non recente, precisamente nel mese di Dicembre del 2010. Ora posso finalmente dare fiato alle trombe: è uscito il 5° volume di “Arenaria” (collana rigorosamente aperiodica “di ragguagli di letteratura moderna e contemporanea” curata dal poeta, scrittore e saggista siciliano Lucio Zinna ed edita dalla ILA PALMA di Palermo) contenente il mio saggio intitolato “Il momento della partenza – Analogie e differenze tra gli esempi di Manzoni e Tolkien”. Si tratta di uno scritto a cui ho tenuto e tengo molto, e oggi posso affermare senza ombra di dubbio che la ‘gestazione dell’idea’ e la stesura del saggio sono state fasi tutto sommato “divertenti”, se confrontate con quella “travagliata” di revisione tuttora in atto. E’ vero: ho appena detto che il mio saggio è stato pubblicato, ma questo non significa che la sua ‘messa a punto’ sia terminata, non significa che è un saggio ‘arrivato’… Al contrario: a giudicare dalla serie piuttosto nutrita di risposte competenti da parte di lettori privati e di critiche costruttive ricevute in questi mesi, unite ad alcune analisi “feroci” provenienti dal ‘mondo filologico’ che smontano e mettono giustamente in crisi le zone deboli del mio scritto, pare proprio che l’opera di riscrittura che mi si prospetta davanti sarà difficile, articolata ma al tempo stesso affascinante. Critiche che m’inducono a compiere alcune inevitabili letture d’approfondimento e che precedono la fase vera e propria di “ristrutturazione” del saggio, in vista di una nuova pubblicazione. Scrive Vito Cerullo nell’articolo “Anatomia di un saggio”, pubblicato sul n.7/2005 della rivista letteraria “Nugae”: <<Un saggio non finisce mai, in considerazione della possibilità di modifiche affidate a una seconda edizione; nella primizia del ripensare alla dolce esitante imperfezione ritoccata ogni volta, con la levità del pensiero sugli affanni spastici dello scrivere, e quasi scordata come un sogno dimenticato, fidando poi nella rigiurata fedeltà della memoria. Aver dato vita a questa creatura di forme, significherà averla condannata alla fallibilità, nell’impossibilità (di lei) di potersi negare rifluendo in una dimensione astorica, atemporale, inscindibile da altre materie. Il punto oscuro della vicenda è da ricercare forse nell’ardua comprensione di quando e in che modo tutto comincia.>>
Non ho mai scavato seriamente in cerca delle ragioni inconsce che mi hanno indotto a scrivere questo saggio: forse la voglia di “partire” in senso lato (interiormente e non solo geograficamente); la necessità di sentirsi instabili e fuggitivi ma vivi; il bisogno spudorato di dissacrare, accostando mondi e scritture per alcuni incompenetrabili; il movimento doloroso che di fatto, però, riesce a gabbare la morte e l’ingiustizia. Forse il bisogno di delegare a un dettaglio – la partenza – la responsabilità di suscitare una sensazione d’insicurezza che ci risveglia e ci salva dal torpore di uno schema esistenziale. O forse è stato solo un presuntuoso gioco di analogie forzate tra storie famose e per tale motivo ritenute da alcuni ‘ingessate’.
Ritornerò su questo saggio imperfetto e incompleto. Me lo devo.
In questo numero di “Arenaria” sono in ottima compagnia, come si evince dall’indice del 5° volume.
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