Una volta grattato via il pensiero
quello che appare sei tu.
“Ma è ridicolo!”
Ecco, quello sei tu.
♦
Assente da te stesso e dal mondo
abbandoni
sotto il sole cocente di un mortale sonno mentale
gli affetti senzienti del tuo esistere.
Il ricordo di sé latita dal momento presente
carne viva tra gli oggetti quotidiani
errata percezione delle cose
fatale dimenticanza
vaghiamo incoscienti come foglie meccaniche
trasportate dal vento della routine.
E non troverai al risveglio urlo o disperazione così grande
da colmare il vuoto della tua assurda memoria.
♦
G. I. Gurdjieff
Riemergono dal passato brandelli di vita
e vedo agire tra le nebbie di ieri
un me convinto da un istinto malato,
che non riconosco oggi.
Figliastri di una coscienza forzata,
alternativi a noi stessi
abbiamo vestito i panni dismessi
di personaggi estranei, lontani
interpretando ruoli scaduti
inseguendo i progetti di altri.
Contro natura.
Mi stupisco dei molteplici io
che sono stato
ne ripercorro le gesta e le intime ragioni
rifaccio la strada con loro, per capire.
Per trovare quella giusta.
♦
Io è un altro. Je est un autre: espressione adoperata da Arthur Rimbaud…
Ho sempre considerato valido il paragone tra scrittura e artigianato in generale, tra scrittura e scultura in particolare.
L’atto scritturale, per qualcuno, sarebbe ancora da relegare in un ambito creazionistico, caratterizzato da ispirazione divina e fatalismo. È vero: il passaggio dall’immaginazione di una situazione al concepimento dell’incipit rimane in fin dei conti un ‘mistero’, ma pur sempre un mistero laico. La ricerca della voce narrante è un ‘lavoro’ che confina con la metafisica: non esiste una tavola periodica delle idee. Dall’immaterialità interiore si passa miracolosamente al segno visibile e modificabile, dalla proiezione mentale di un dettaglio catturato tra la veglia e il sonno si giunge alla narrazione di una storia inventata, ma non per questo meno vera della vita reale.
Struttura
Preparare una ‘scaletta’ degli eventi, documentarsi, progettare la sequenza di forme eterogenee da far comparire nel testo, scrivere una sorta di “racconto parallelo” fatto di elementi embrionali e pensati ad uso e consumo dell’autore, conoscere in anticipo i ‘materiali’ da usare nella costruzione del nostro mondo immaginario, allestire un’impalcatura solida su cui aggiungere i vari ‘pannelli’ che illustrano la storia: tutto questo lavoro preliminare serve a costituire la struttura di un racconto. Un’idea, anche la più solida, la più ossessionante e vivida, ha bisogno di struttura. In alcuni casi l’idea nascente è talmente invadente e ipertrofica che contiene già nel suo interno una struttura prematura inglobata, prigioniera di una quantità eccessiva di materia non richiesta. Questo accade quando la formazione della struttura e l’ideazione della storia avvengono contemporaneamente. L’entusiasmo creativo sommerge una struttura ancora acerba che rischia di ‘crollare’ sotto il peso della materia narrativa collocata in maniera confusa sullo ‘scheletro’ del racconto. Anche nella creazione di una scultura, la materia in eccedenza viene allontanata con cura, senza compiere tagli profondi, con perizia chirurgica tramite una tecnica di intaglio – “per forza di levare” (cioè di sottrazione della materia superflua) – avendo ben presente in mente la forma che vogliamo raggiungere, per liberare la struttura e scarnificarla. Bisognerebbe parlare di ‘scoperta’ della scultura e non di creazione: ‘scolpire’ in senso lato significa sostanzialmente portare alla luce una forma che già esiste in maniera potenziale nel blocco materico messo a nostra disposizione dalla natura, dalla conoscenza, dalla lettura, dalla stratificazione delle esperienze culturali, dalla sedimentazione delle idee. Non tutti sono capaci di compiere questa operazione di scarnificazione: spesso c’innamoriamo della materia, la consideriamo incondizionatamente utile all’economia della nostra storia.
È per questo motivo che preferisco di gran lunga, in qualità di simpatizzante ‘strutturalista’, il secondo tipo di approccio, quello graduale, paziente, che rispetta gli ‘agganci’ forniti dalla struttura stessa. Le pause, l’attesa programmata, il “dormirci sopra” senza assecondare l’impazienza della conclusione: presupposti che spingono lo scrittore al rispetto dei ‘tempi di reazione’ e delle ‘distanze di sicurezza’. In questo caso il procedimento scultoreo modellato – “per mettere” ovvero modellando materiali plasmabili e sommati di volta in volta – è quello che più si avvicina alla tecnica scritturale ideale, aggiungendo gradualmente elementi narrativi appropriati. La struttura, se ben allestita grazie a un lavoro preliminare apparentemente noioso ma necessario, ci suggerisce essa stessa dove collocare in maniera omogenea i vari pezzi di argilla. Il nostro tempo di reazione al suggerimento può fare la differenza (a volte le intuizioni applicate frettolosamente possono denaturare la struttura; d’altro canto un’eccessiva attesa può svilire la freschezza di un’idea da cogliere al volo); ma è soprattutto grazie a una visuale distanziata che possiamo apprezzare il risultato della nostra opera di incastro. Nonostante la tecnica scritturale “per mettere” sia la più ‘saggia’ (anche se alcuni autori ‘ispirati dall’alto’ la detestano), non esclude una fase finale di intaglio, di rimozione del superfluo: anche le scelte ponderate, in seguito possono rivelarsi errate o bisognose di rivalutazioni modellanti. Io, per dirla in breve, parteggio per una scrittura “dal basso”.
Il taccuino è lo strumento con cui lo scrittore dà vita alla struttura. Dalla ricerca della voce narrante all’autoediting, passando per l’incipit (preceduto da un’eventuale introduzione), la costruzione e la collocazione di monologhi e dialoghi, la caratterizzazione dei personaggi, il climax o “i climax” da raggiungere, il tono e le sue variazioni, le citazioni da intercalare, il finale e il tempo ovvero la distanza della voce narrante dai fatti narrati: tutto deve essere pronto prima di cominciare a scrivere. C’è una scrittura non ufficiale che precede la scrittura vera e propria: si tratta di materiale ufficioso che nessuno leggerà mai, di ‘bozze’ e di progetti che testimoniano il ‘concepimento’, di prove che riassumono un cammino preliminare, personale, a volte doloroso e non casuale. Il rapporto tra lo scrittore e il suo taccuino può essere pacato o ossessivo: nel primo caso le linee progettuali abbozzate costituiscono solo un promemoria che non vincola la penna dello scrittore; nel caso di un rapporto ossessivo tra il ‘disegno’ e il ‘costruttore’, il taccuino diverrà motivo di tormento e punto di riferimento costante. Solo alla fine, dopo la stesura del finale, lo scrittore riesce finalmente a licenziare il proprio taccuino, chiudendolo. Non è dato sapere se si tratta di insicurezza o di fedeltà alla linea progettuale: l’importante, come sempre, è il risultato finale apprezzato dal lettore estraneo a queste dinamiche interne e segrete.
Decantazione
Sempre a proposito di ‘misteri’, quello riguardante la decantazione è senz’altro uno dei più affascinanti. Cosa accade durante i periodi in cui lo scrittore “sospende il giudizio” nei confronti del proprio lavoro artigianale? Perché è fondamentale lasciar ‘riposare’ il nostro scritto? In realtà a riposare non è lo scritto, in quanto prodotto ‘congelato’ nella posizione scelta dall’autore, bensì noi, il nostro occhio critico, la nostra forza creatrice di idee e di conseguenza la nostra capacità di valutare l’opera. Come per certi tipi di vino, anche per la scrittura vale la stessa regola: il prodotto che osserviamo sul foglio, frutto del nostro lavoro, purtroppo non rappresenta il risultato perfetto ed etereo di un’ideazione di origine soprannaturale ma è il ‘concepimento sporco’ di una mente che contiene ottime idee ma anche tanta ‘feccia’ ovvero sovrastrutture, errori cognitivi, illusioni, fantasmi, fraintendimenti, presunzioni, manie di grandezza, ipertrofismi vari… Lasciar riposare uno scritto significa far depositare sul fondo del nostro cervello le impurità scritturali che al termine del processo di assemblaggio non siamo in grado di valutare con serenità, apparendoci come oggetti intoccabili.
Che cos’è il Mind Uploading? In poche parole è il trasferimento della mente di un individuo dal cervello a un supporto non biologico. Direte voi: “ma è fantascienza!” In parte è così – per ora – ma la ‘discussione’ intorno alla realizzazione del M. U., almeno dal punto di vista filosofico e teorico, è più vecchia di quanto si possa immaginare. Siamo giunti a un punto, però, in cui il progresso tecnologico e le conoscenze riguardanti la struttura anatomica e la fisiologia del cervello, avvicinano gradualmente il sogno fantascientifico alla realtà. Che significa ‘trasferire’ una mente? Per cogliere il significato del trasferimento mentale bisogna partire dal presupposto che il pensiero è un prodotto meccanicistico: un meraviglioso e stupefacente prodotto, ma pur sempre il risultato di un’evoluzione anatomica ed elettrochimica… Certo, è stato più facile ricostruire la fisiologia dello stomaco che quella del cervello, ma il fatto che ci sia ancora tanto da fare sul versante della conoscenza del funzionamento del sistema nervoso, non significa che non si farà.
Il tema del doppio
Realizzare il Mind Uploading significa sostanzialmente creare una copia (o più copie) della nostra mente. Maggiore sarà la precisione con cui avverrà la scansione (“scanning”) e la conseguente mappatura sinaptica del cervello, maggiore sarà il grado di emulazione raggiunto. Anche se la mappatura da sola, senza l’introduzione di variabili fisiologiche (ormoni, influenze chimiche interne…), servirà a ben poco: il cervello è un organo estremamente complesso. L’intima conoscenza della neurofisiologia unita al progresso esponenziale raggiunto in campo informatico renderanno possibile l’abbattimento delle ultime barriere tra l’originale e la copia.
Il tema del doppio è un tema non nuovo per la fantascienza: racconti, film, telefilm, fumetti c’insegnano che i doppi in un modo o nell’altro, prima o poi, creano solo problemi. All’inizio della storia il doppio rappresenta la novità, la comodità, il progresso – vuoi mettere il piacere di mandare la tua copia a un duello o a raccogliere campioni di lava su un vulcano che minaccia di esplodere? – ma a un certo punto la narrazione devia verso i cosiddetti ‘imprevisti’. È già così difficile gestire la nostra complicata unicità!
Per ora il M. U. è solo teoria (la ricerca ha compiuto finora piccoli passi su modelli non umani) ed è troppo presto per parlare di menti innestate su robot umanoidi che prendono coscienza della propria individualità e se ne vanno in giro a combinare guai a nome nostro e con i nostri ricordi! Quindi preoccupiamoci dei profili clonati sui social network o dei cosiddetti furti di identità, espedienti molto in voga attualmente per spillare soldi ai malcapitati, perché quando il tema del doppio derivante dal M. U. diverrà un tema caldo sarà molto difficile dimostrare anche da un punto di vista legale che a compiere il crimine è stata la nostra copia e non noi stessi. Sarà difficile perché in fin dei conti le copie saranno noi, come in una sorta di vita parallela: come dimostreremo che, nelle condizioni in cui si è venuto a trovare il nostro doppio, non avremmo fatto lo stesso? Il suo crimine sarà il nostro crimine a meno che il codice penale non distingua la copia dall’originale fornendo piena dignità e autonomia giuridica al nostro doppio. Ma rendere autonoma la nostra copia, e quindi affidarle responsabilità civili e penali, significherà non considerarla più come la nostra copia e questo, lo capite da soli, sarebbe una contraddizione in quanto il nostro doppio sarebbe effettivamente una copia identica del nostro io e non solo una sua reinterpretazione.
Una questione spinosa non risolvibile nemmeno recuperando l’esperienza dei gemelli omozigoti: due gemelli nati da uno stesso zigote pur essendo identici e pur condividendo – anche a distanza – pensieri e in qualche caso azioni, hanno fin dalla nascita due menti ben distinte, ognuna delle quali segue una propria strada fatta di esperienze, di ricordi, di azioni e reazioni separate. La copia ricavata dalla mente di un uploadato di trentacinque anni, invece, avrebbe l’esperienza dei primi trentacinque anni dell’originale e in più le esperienze vissute autonomamente in qualità di copia, ma che sarebbero comunque condizionate dal vissuto dell’originale: la nostra copia potrebbe incontrare una nostra vecchia fiamma del liceo e riuscire a realizzare un rapporto sentimentale che l’originale non era stato in grado di realizzare. Oppure potrebbe decidere di vendicarsi di qualcuno… In entrambi i casi, sposare un’amica del liceo o uccidere una persona odiata, su chi ricadrebbe la colpa? Sull’originale che conteneva le premesse di quei gesti o su chi le ha realizzate? Bloccare penalmente la copia che commette un atto criminoso non sarebbe un’ipocrisia dal momento che l’originale da cui ha tratto ispirazione la copia rimarrebbe a piede libero?
Copie interattive
Una volta copiata e trasferita, quale sarebbe il destino della mente? Poiché il cervello da cui si trasferisce la mente è dotato di capacità cognitive, si presume che anche la sua copia avrà le stesse capacità che non si limiteranno alla sola consapevolezza o alla condivisione nella rete informatica dei propri pensieri. Quale sarà il grado di interazione tra il computer che ospiterà i risultati della scansione e la realtà esterna? Dal momento che la mente di una persona non è solo il risultato di pensieri generati in maniera solitaria ma soprattutto di informazioni sensoriali ricavate dall’esperienza relazionale e dal mondo esterno che ‘nutre’ la mente, il computer sarà corredato di sensori capaci di simulare i recettori che nel corpo fisico rappresentano le terminazioni nervose appartenenti ai cinque sensi?
Una mente non è solo il risultato di ricordi: integrare in tempo reale le esperienze con i dati (sensoriali e culturali) provenienti dall’esterno sarà il passo successivo di questa evoluzione. Ricordate il dottor Simon Wright, denominato anche Il Cervello Vivente, dell’anime Capitan Futuro? L’encefalo del vecchio scienziato, amico di Curtis Newton (Capitan Futuro), viene trasferito in un contenitore artificiale fluttuante. Anche se non si tratta di un trasferimento avvenuto grazie alla tecnica dello scanning, come previsto dai protocolli finora elaborati per il M. U., ma di un vero e proprio ‘spostamento’ di organo dalla sede cranica a un supporto meccanico, quello del cervello fluttuante del dottor Wright è un esempio perfetto di interazione post mortem tra cervello (e quindi la mente) di un soggetto e la realtà esterna.
L’obiettivo postumano di una mente uploadata in grado di comunicare con l’esterno rappresenta il senso di uno sforzo transumanista che non è solo fantascienza: non servirebbe a niente fare il backup della propria mente senza fornirle l’opportunità di continuare a interagire con le persone, i luoghi, gli oggetti, le emozioni che hanno contribuito nel corso di una vita alla costruzione dell’io.
La perdita dell’aura
Nel saggio intitolato L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, il filosofo Walter Benjamin afferma che la riproduzione di un’opera d’arte in vista di una sua diffusione (basti pensare alle stampe di un quadro vendute negli store dei musei) causerebbe la cosiddetta “perdita dell’aura”. L’aura è costituita dalla sensazione derivante dall’incontro tra l’originale e l’osservatore: una via di comunicazione ‘mistica’ e unica che la cultura di massa ha definitivamente demolito. Effettuando un parallelismo forzato e considerando la mente umana come un’opera d’arte potremmo dire lo stesso anche per quanto riguarda le copie ottenute con il M. U.? I transumanisti, negando ogni forma di misticismo, non sembrano porsi il problema: l’unica perdita preoccupante per loro è la perdita di dati fondamentali durante la fase di trasferimento della mente. Al di là dell’aura, resta il problema filosofico (e anche pratico) dell’originalità dell’individuo: se il nostro doppio agisse mentre noi siamo in vita, quindi in caso di copia ricavata da un Mind Uploading di tipo non distruttivo, non si andrebbe a invalidare l’unicità dell’individuo? Per valutare l’esistenza di una persona bisognerebbe ‘fare la media aritmetica’ tra il vissuto dell’originale e quello delle sue copie?
“Che combini?” – chiese la donna.
“Niente… Sto facendo a pezzi Berlusconi!” – rispose l’uomo senza scomporsi.
“Dopo, però, metti tutto a posto!” – intimò la donna.
“Non preoccuparti!”
Tempo fa su questo blog proposi un esperimento basato sull’utilizzo della cosiddetta tecnica del cut-up ampiamente e magistralmente sfruttata in ambito letterario (e non solo) dallo scrittore statunitense William Burroughs. Il potere ‘rivoluzionario’ insito nel cut-up di Burroughs consiste nella sua capacità di de-costruire il segnale apparentemente puro e corretto emesso dalle nuove e vecchie dittature mass-mediatiche: una de-costruzione che, in maniera sorprendente e direi anche avvilente, svela tutta l’impotenza di questo ‘giochino dadaista’ dinanzi all’autonomia sub-liminale della parola sradicata dalla frase e solo superficialmente divenuta nonsense. Il cut-up ha il merito di disegnare la mappa, non evidenziabile in altri ‘ragionevoli’ modi, degli intimi meccanismi che stanno alla base del CONTROLLO.
Verrebbe quasi da chiedersi: a cosa serve allora la ‘frase logica’? A cosa serve la sintassi? Sarei tentato di rispondere: a nulla! Quella che noi definiamo ‘comprensione’ è solo la componente conscia, manieristica, convenzionale, epidermica, visibile, udibile, dell’atto comunicativo (qualunque esso sia): in realtà, nei sotterranei della percezione, si nascondono meccanismi ben più inconsciamente sofisticati e capaci di ‘titillare’ i centri arcaici dell’Homo sapiens.
Il cut-up è in grado di interrompere (tagliandole fisicamente: dall’inglese cut up = ‘tagliare a pezzi’), questo sì, le linee logiche di associazione esistenti nel testo o nella sequenza musicale; non riesce però (se il ‘taglio’ viene effettuato a un livello medio, cioè non riducendo il testo in singole parole ma in frasi più o meno lunghe) a disattivare le connessioni associative in maniera radicale. Una frase, da sola, può conservare ancora una certa ‘pericolosità’ anche se sconnessa dal resto del testo e quindi priva di logicità testuale. Grazie all’esperienza del cut-up applicato al testo possiamo comprendere la differenza tra LOGICA e SENSO LOGICO. L’inintelligibilità del testo non coincide con il potere evocativo della singola parola. In una civiltà come quella attuale, abituata alla mediazione rapida e poco faticosa dell’Immagine, la ‘parola’ diventa icona, diventa diapositiva singola, autonoma, unicellulare, indipendente, provvista di senso logico anche quando siamo stati in grado di eliminare la logica dal contesto in cui la parola stessa è stata concepita e ‘allevata’. Il ‘senso’, facendo leva sul potere immaginifico della parola, ‘parla’ (espressione inflazionata in questi ultimi venti anni per motivi politici che tra poco affronteremo) alla pancia della gente. Dimenticando volontariamente fuori dalla porta la ben più necessaria logica. E questa regola vale in misura tanto maggiore, quanto più è semplice il testo. Una frase complessa, se scomposta, è più vulnerabile: il potere immaginifico in essa contenuto perde la sua energia strada facendo, attuando un taglio sempre più draconiano sul testo. Paradossalmente il cut-up, eliminando per sua natura proprio la ‘logica’ dal testo letterario e politico, ci permette di individuare le ‘centraline’ indipendenti del Controllo mass-mediatico.
Ed è così che è nata in me la necessità di sperimentare la tecnica del cut-up non più su un testo letterario (scomodando nuovamente il povero Manzoni e i suoi Promessi Sposi), bensì su uno scritto avente valenza sociale e politica: un messaggio del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi rivolto ai lettori del suo fan club. Il messaggio risale al periodo precedente al voto di sfiducia alla camera e al senato del 14 dicembre 2010.
Messaggio del Presidente del Consiglio
“Care amiche e cari amici, la missione che vi affido questa settimana è quella di aiutare gli italiani a capire questo momento politico così assurdo, così contrario all’interesse del Paese, così lontano dagli interessi veri della gente. Vi chiedo anche di mobilitarvi fin da ora per organizzare per sabato 11 e domenica 12 dicembre una grande manifestazione e una raccolta di firme a sostegno all’azione del governo per non tradire gli elettori, allestendo punti di incontro e di dialogo con gli italiani nei gazebo, nelle piazze e nei teatri delle vostre città. So che molti di voi anticiperanno questa mobilitazione già dalla prossima settimana e quindi credo riusciremo a mettere in campo una mobilitazione, un’azione davvero efficace. Il nostro governo, lo sapete, è il governo del fare, del fare quello che la gente chiede alla politica, cioè quello di cui il Paese ha bisogno. Gli altri parlano, noi facciamo. In questi due anni abbiamo risolto tutte le emergenze vecchie e nuove: il problema tragico dei rifiuti a Napoli e Campania è riemerso per incapacità delle amministrazioni locali: ho dato il via a un’operazione che in meno di due settimane porterà Napoli al suo dovuto decoro. Abbiamo agito con grande tempestività ed efficacia dopo il terremoto in Abruzzo e la Corte dei conti e l’Autorità sul controllo dei lavori pubblici hanno fatto giustizia di tutto il fango che era stato buttato addosso alla Protezione civile…” (continua qui)
Fase 1
“Facciamo a pezzi Berlusconi!”
La tecnica del cut-up è sostanzialmente semplice da realizzare ed è applicabile a qualsiasi testo: una volta stampato il testo da cutupizzare su un foglio bianco che sacrificheremo per la ‘causa’, non ci resta che scegliere la modalità di taglio. La forma più usata di cut-up (come si vede anche da alcuni video presenti in rete raffiguranti proprio Burroughs mentre illustra il ‘suo’ cut-up) consiste nel tagliare in quattro parti il foglio contenente il testo scelto dando a queste parti così ottenute un nuovo ordine. A questo punto già il testo è da considerarsi ‘alterato’, ma volendo si possono ‘spezzettare’ le sezioni ricavate in ulteriori parti più piccole e così via fino ad arrivare alle singole parole. Cercando, però, di lasciare intatte le frasi o le parole, a seconda del grado di taglio che decidiamo di applicare al testo. Unire due parti di due parole, per crearne un’altra nuova rappresentante un grugnito senza senso più che un neologismo avente un preciso significato, sarebbe ridicolo e grottesco e non servirebbe a niente dal punto di vista ‘rivoluzionario’!
La tecnica del cut-up in fin dei conti è personalizzabile, pur tenendo conto dell’unica regola appena esposta riguardante l’integrità delle parole. Io ho scelto di tagliuzzare il messaggio di Berlusconi in tante striscioline quanti sono i righi del foglio e in seguito ogni singola strisciolina in due, tre o più parti rispettando l’integrità delle parole come già ricordato. Nella foto sottostante il risultato del mio ‘tagliuzzamento’.
"Cancella spesso, se vuoi scrivere cose che siano degne d'essere lette." (Orazio)
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"Un libro deve essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi"
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