Archivio per dubbio

The Truman Show

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versione pdf: The Truman Show

dedicato a tutti quelli che

non hanno una telecamera nella testa

 

Davvero viviamo una vita decisa e organizzata da altri? O meglio, davvero crediamo di vivere la nostra vita, quella scelta da noi, di essere i timonieri delle nostre giornate, di conoscere chi siamo e perché ci troviamo in un determinato posto e non in un altro? Conoscenza e azione sono elementi inscindibili: l’una influenza l’altra; e in mezzo dovrebbe abitarvi un necessario risveglio. Alcuni tirando in ballo, giustamente, il “Mito della Caverna” di Platone, anche se nello show di cui ci apprestiamo a discutere, nessuno è materialmente incatenato. Infatti non c’è peggiore catena di quella mentale. Il libero arbitrio, in realtà, è una leggenda illuministica, basata su un’eccessiva fiducia in ciò che crediamo di sapere. L’autentica libertà si realizza quando giochiamo a carte scoperte, quando prendiamo le nostre decisioni dopo aver conosciuto tutte, o quasi tutte, le amare verità che accompagnano la nostra esistenza, al di là dei sensi e della dimostrazione scientifica. Al di là delle presunte verità religiose che ci vengono impartite fin dalla più tenera età: ci tranquillizziamo sapendo di essere stati creati da una divinità, che tutto è già stato deciso, che la nostra funzione su questa terra è già stata calcolata. Perché preoccuparci dunque? Perché cercare risposte, essere infelici aspirando a qualcos’altro? Ateo è chi non accetta la “sceneggiatura” scritta da un Creatore non televisivo.

The Truman Show, film del 1998 diretto da Peter Weir e interpretato dal bravissimo Jim Carrey, sembrerebbe essere la versione mainstream (e anticipatoria, almeno dal punto di vista della cronologia d’uscita delle pellicole) della Matrix – del 1999 – delle ormai Sorelle Wachowski. Una versione popolare, addolcita dalla implicita comicità di Carrey, ma non priva di implicazioni filosofiche scomode, dolorose, difficili da digerire: noi non conosciamo niente della nostra vita; per anni e anni portiamo avanti un copione che ci fa stare bene, né felici né infelici ma stabili, che rende morbido tutto il nostro andare, un cliché adottato senza battere ciglio. “Noi accettiamo la realtà del mondo così come si presenta, è molto semplice” afferma Christof, il creatore-regista del Truman Show, che con quel suo nome da redentore è in realtà garanzia di artificiosità e inganno.

Facciamo parte di uno spettacolo protettivo che ci accoglie fin dal primo vagito e, se nel frattempo non ci poniamo domande devianti, ci accompagna con dolcezza verso la tomba, lì dove saremo costretti finalmente a essere autentici, immobilmente noi stessi. Uno spettacolo forte di secoli, millenni di esperienza, di sovrastrutture collaudatissime, infallibili. Se Truman è inconsapevole del fatto di essere la star di uno spettacolo mondiale, noi siamo, eccome, coscienti del nostro essere controllati e monitorati: partecipiamo con le nostre “dirette” sui social al grande spettacolo messo in piedi dai vari Christof della new economy, dagli ideatori di un iperrealismo mediatico che sta fagocitando la semplice realtà (si legga, a tal proposito, il post “Cyberfilosofia” di Jean Baudrillard). Se non sei live non sei nessuno, se non rendi partecipi gli altri di ciò che fai e di dove sei (geolocalizzazione), non conti. Sei asocial. Se non sei in diretta, allora non lo stai vivendo! Se non entri anche tu nella Casa, se non ti confessi pubblicamente davanti a una telecamera, non farai mai la differenza. Ci caschiamo tutti prima o poi; tutti danno il proprio contributo, anche quelli che si credono “vergini”, asettici, ribelli, distanti, e si illudono di non fornire materiale al grande show. Persino i neoluddisti

Ma alla fine, contraddicendo il titolo di un romanzo della Mazzantini, “ognuno si salva da solo”: gli altri, questi famigerati altri che tiriamo in ballo ogniqualvolta non siamo in grado di prenderci le nostre responsabilità, possono solo assistere alla nostra esistenza, osservarla con i loro occhi di prigionieri liberi, in quanto essi stessi personaggi dello spettacolo, che ridono di noi perché inconsapevoli di esserlo.

Gli altri, gli ostruzionisti: quelli che ci frenano, ci ostacolano, ci convincono che non ce la possiamo fare, che dicono di conoscerci e noi dietro, come tante pecore, a credere che sia così. Ci fidiamo del loro giudizio. Ma il freno della nostra esistenza risiede davvero negli altri? O è dentro di noi? Il nostro esistere, in realtà, non interessa agli altri: il loro giudizio (o pregiudizio) serve solo a spostare, per un certo periodo di tempo (alcuni ci riescono per una vita intera) il metro di valutazione da sé stessi al mondo esterno, agli altri appunto. Per alleggerirsi l’anima, per non doversi confrontare con sé stessi, per viaggiare più comodi e veloci.

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On the road

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 7 Maggio 2017 by Michele Nigro

versione pdf: On the road

“… Dovevamo ancora andare lontano.

Ma che importava, la strada è la vita…”

(Sulla strada, Jack Kerouac)

Che differenza c’è tra il cammino di quando si è giovani e quello che si compie da adulti? Non dipende dalla quantità di passi, dalla forza disponibile, dall’orario scelto per camminare, dal tipo di strada, asfaltata o sterrata… Da giovani quasi sempre si cammina in compagnia, si cerca la massa, perché in fondo non sappiamo chi siamo, cosa vogliamo, e nel gregge (o nel branco, a seconda dell’indole) ci diluiamo, ritroviamo negli altri i pezzi mancanti della nostra identità, gli integratori di personalità; dal gruppo riceviamo la carica energetica per fare, decidere, confrontarsi, coltivare ideali, costruire qualcosa per noi e la comunità, o per illuderci di farlo; da giovani si ha la speranza di camminare in compagnia di un mondo fatto di persone perché il disincanto non ha ancora preso il sopravvento e crediamo testardamente nella parola insieme: non si è consapevoli della condizione solitaria dell’essere umano, del fatto che il mondo esisterebbe ugualmente anche senza gli altri e che la visione che abbiamo di questo pianeta è solo nostra e di nessun’altro; l’essere soli è una condizione non permanente ma fondamentale, da vivere almeno una volta nel corso della vita: la patologia nasce dall’imposizione della solitudine; quando è spontanea e ricercata in piena autonomia, deve essere vissuta con serenità.

L’assioma aristoteliano dell’uomo animale sociale ce lo raccontiamo volentieri perché conviene da un punto di vista pratico, economico (senza per questo dover giungere agli “estremi” descritti da Hobbes); perché abbiamo bisogno degli altri per sopravvivere in determinati momenti, per non sentire il freddo della galassia in cui vaghiamo. In realtà siamo soli anche quando ci uniamo in matrimonio o sposiamo la causa ideologica di un partito politico che ci avvolge e ci prende totalmente. La solitudine è la parte vera, cruda, naturale del nostro esistere: tutto quello che riusciamo a conquistare partendo da questa verità assoluta – verità che non deve scoraggiare o causare malinconia e che è in grado di posizionarci dinanzi a uno specchio per alcuni doloroso e al tempo stesso catartico, che purifica dal superfluo della verde età – è una conquista duratura e inattaccabile, che dà i propri frutti in un’ora inattesa. Quando si è giovani si cammina insieme agli altri perché non conosciamo il potere riparatorio e ricostituente della nostra solitudine, non l’abbiamo ancora sperimentato, ed è giusto che sia così a quell’età. Il passaggio è graduale, la perdita quantitativa di presenze umane è determinata da uno stillicidio impercettibile.

Da adulti, una volta raccolta una quantità sufficiente di esperienze sia positive che negative, abbiamo la forza e la consapevolezza che occorrono per camminare da soli. È un cammino solitario che paradossalmente permette di entrare in sintonia con molte più persone, di incontrare chi è come noi e di escludere la massa che scherma il segnale. Cantava Fossati: “… cambio posto e chiedo scusa / ma qui non c’è nessuno come me…”. Per sintonizzarci sulle stesse frequenze di chi è come noi, però, dobbiamo imparare a fare silenzio, a stare soli, in disparte per meglio osservare e capire cosa vogliamo, ai margini (ed essere sereni mentre si sta al confino, altrimenti l’insoddisfazione per l’assenza di persone e cose vane, che abbiamo creduto indispensabili, disturba l’ascolto); come ho scritto anni fa nella poesia Riconoscersi: “… ho riconosciuto tra sussurri di venti rapaci / la tua voce rivolta all’anima…”. Non c’è altra via.

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Il silenzio quando non credi

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 29 Maggio 2015 by Michele Nigro

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Preghiere laiche senza tempo

sussurrate nella mente

da giovani voci passate.

Fresche oasi per l’anima

salvano i vaganti dal caos dell’andare,

resiste l’inconsapevole trascendere

verso un improbabile divino

di audaci speranze

troppo grandi da nominare.

Il silenzio gotico

accoglie i dubbi sull’esistenza,

come fiori puri

adornano l’altare del disincanto.

(nella foto: Basilica di San Lorenzo Maggiore, Napoli)

Corri ragazzo, corri!

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 aprile 2015 by Michele Nigro

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(Elogio della velocità mimetica)

Non stare troppo a lungo in un parcheggio, da solo

esitando con le chiavi in mano,

indeciso se partire incurante dei dettagli

o riflettere su quell’insolito ciuffo di erba fresca

calpestato da ruote impegnate

sopravvissuto al cemento e all’asfalto del progresso

isola spontanea di lenta e silenziosa tenerezza

interrotta dai sibili di veicoli in gara

su una vicina autostrada

i passanti potrebbero pensare

alla pausa pensierosa e serena

che precede un suicidio metropolitano,

cronaca al tramonto.

Non essere indeciso sull’amore e le sue gioie

aspettando di vedere all’orizzonte degli anni uguali

una figura significativa

che aggiunga sale ai tuoi giorni

potrebbero sospettare indicibili mali,

poeticherie

deviazioni dalla natura, disinteressi carnali,

anaffettività

perversioni filosofiche di una mente non conforme

lontana dalla media aritmetica del buonsenso.

Non smettere di sorridere e agitarti

durante i sabati programmati

dai signori del divertimento

qualcuno potrebbe intravedere

un’inopportuna infelicità da panchina

tra le luci spensierate del consumo.

Non dimenticare di pregare e incensare

le reliquie danarose dei potenti

e le statue sanguinolente del culto nazionale

portate in catartiche processioni per simulare

storie millenarie di provvidenza

che fanno bene a cuori incapaci di vivere

la folla potrebbe pensare che hai voglia di esistere

di provare sulla tua pelle sensazioni non scritte

classificarle senza bisogno di una guida

di camminare lungo la strada di una legge interiore.

Corri, partecipa senza dubitare

e muoviti insieme agli altri

vota e fai votare, sii utile allo sviluppo

non perdere tempo

e non fermarti mai, credendo di fare la differenza!

Corri ragazzo, corri!

alla stessa velocità del mondo.

Mimetizzati

e lascia le pause agli indecisi pensanti,

perché fino a quando correrai

nessuno si accorgerà di te.

Le domande da risveglio

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 11 dicembre 2014 by Michele Nigro

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RQM

(Rapid Question Movement)

Affacciata alla finestra di un nuovo giorno di quella sua strana vita, si poneva le solite, veloci, puntuali domande in attesa del caffè in risalita lenta dal freddo notturno: “che pianeta è questo? in che paese mi trovo? in quale città?”. E ancora: “che lingua userò oggi, la stessa di ieri? quali gesti? sono sicura di essermi svegliata o sto ancora vivendo in un sogno? chi o cosa può darmi la prova che questa sia la realtà? è tutto vero o è solo uno tra i tanti punti di vista imposti dall’abitudine al falso?”. Tutto quello che di crudo e apparentemente presente i suoi nervi ottici trasportavano verso l’area cerebrale deputata alla rielaborazione dei dati, erano sequenze create da un artista del nuovo realismo elettronico e ritrasmesse nella sua, diciamo così, ‘coscienza’ o si trattava di un breve momento reale sfuggito al controllo del programma giornaliero che stava caricandosi nei meandri del sistema nervoso? Non l’avrebbe mai capito perché il margine di differenza, se mai fosse esistito quel margine, era limitato e impercettibile: tutto sembrava lineare, consequenziale, coerente. Maledettamente coerente. L’unica sbavatura era contenuta in quel suo capriccioso dubbio mattutino, un istante, niente di più, fatto di domande bizzarre e gettate nella mischia del risveglio, così per caso, a minare le sicurezze depositate il giorno precedente nella banca del sapere ordinario. Ogni alba una rinascita, una nuova lotta tra verità e apparenza. “Perché tutto è così com’è, e non in un altro modo? Perché proprio così?”. Si sentiva orfana di un’alternativa interiore prima ancora che visiva. Solo pochi interminabili secondi e tutto sarebbe tornato alla normalità: il sangue, fluendo da una modalità orizzontale e onirica ad una verticale e militante, avrebbe ricondotto le domande nell’ordine voluto dal programmatore supremo dell’io. La luce e l’aria fresca, instancabili sentinelle del risveglio, avevano atteso pazienti l’apertura del vetro della finestra ricoperto dalla condensa di una notte senza ricordo, pronte a colpire come sberle mattiniere il volto dubbioso della dormiente in procinto di scrutare e ascoltare la strada e i suoi dintorni. Giovane donna a spasso con cagnolino, operai sul tetto del palazzo in costruzione, ululato del solito canide prigioniero al secondo piano, torre del ripetitore nella stessa posizione da decenni a diffondere presunti cancri elettromagnetici, cane randagio che gironzolando fa la pipì su una ruota scelta in base a precise regole chimiche, flottiglia di colombi in volo, panni stesi mossi dal vento, inutile vociferare dai garage sottostanti, camion della spazzatura in ritardo, auto parcheggiate sotto casa in un ordine somigliante a quello del giorno precedente, montagne con paesini tipo presepe sulla destra e orizzonte marino con traghetto in fase di attracco di fronte, quasi coperto del tutto da un’edificazione costante nel tempo. Le sequenze di quartiere e della visuale concessa in quel punto del mondo erano state rispettate anche quella mattina, salvo alcune variazioni per rendere realistico e originale l’impatto sensoriale, passando da un giorno all’altro, mentre le domande eversive sfumavano lentamente dalla sua mente come le immagini di un sogno vissuto ma non catturato. Per sempre perso ma pronto a ripresentarsi sotto altre forme, con altre effimere domande sospese tra sogno e realtà, tra una ricerca inquieta della verità e l’accettazione rassegnata di una realtà rattoppata e indossata. Forse avrebbe posto a se stessa quegli stessi interrogativi anche affacciandosi dalla finestra di un hotel del quartiere Shibuya di Tokyo. Chissà! Sequenze differenti, medesimi dubbi. E un giorno l’avrebbe sperimentato.

Un odore prepotente di caffè interruppe la ricerca della verità.

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Devozione

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 31 Maggio 2014 by Michele Nigro

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Durante la caduta annulli le decisioni dell’io

ti senti più forte nel gregge e affidi l’incerto domani

alle cure di una balsamica illusione.

Psicologie da stadio prescrivono

volontà diluite nella corrente del gruppo,

la mentalità della folla

rende indolori le ferite del misero.

L’anestetico fornito fin dalla nascita

alleggerisce le fatiche del cammino terreno,

l’individuo giace assonnato e felice

nell’utero della chiesa metropolitana.

Una parte di te lo sa! Sei vero solo al di fuori del rito,

il pensiero come sabbia nell’ingranaggio liturgico

interrompe l’emozione collettiva

delle madri fasciste in processione.

Eserciti devoti e ipnotizzati

si dirigono ciechi e con passo orante

verso le terre di un eretico silenzio da estirpare.

Identifichi il tuo stare al mondo

con guerre sante pensate dai pastori della carità,

nessun dubbio può sminuire l’ereditata appartenenza

al progetto superiore, liquido amniotico per uomini mai nati.

Partecipi dubbioso al dolore rappresentato

sugli altari dello spettacolo sacro.

I corpi estranei della consapevolezza

banditi dall’oligarchia incensata

attendono sul sagrato della vita

il ritorno di una verità non rivelata.

Je est un autre

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 27 febbraio 2014 by Michele Nigro

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Riemergono dal passato brandelli di vita

e vedo agire tra le nebbie di ieri

un me convinto da un istinto malato,

che non riconosco oggi.

Figliastri di una coscienza forzata,

alternativi a noi stessi

abbiamo vestito i panni dismessi

di personaggi estranei, lontani

interpretando ruoli scaduti

inseguendo i progetti di altri.

Contro natura.

Mi stupisco dei molteplici io

che sono stato

ne ripercorro le gesta e le intime ragioni

rifaccio la strada con loro, per capire.

Per trovare quella giusta.

Io è un altro. Je est un autre: espressione adoperata da Arthur Rimbaud

Tradizione

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , on 5 ottobre 2011 by Michele Nigro

<<La Tradizione dalle mille sfaccettature, rappresentata il più delle volte su un piano relazionale, sessuale e affettivo, diventa come un giogo da applicare sul collo dei buoi di turno; la pur minima considerazione del “non visto” esula da qualsiasi sforzo mentale; le verità oggettive non subiscono alcuna scalfittura da parte del Dubbio intelligente; si preferisce credere nella transustanziazione come atto di fede e non si dà alcuna possibilità, non si concede alcun margine di vita all’uomo reale che incontriamo ogni giorno per strada e che viene privato della nostra fede. Ciò che spiega la televisione è sacrosanto, le informazioni derivanti dalla Grande Rete sono inconfutabili; le nostre esperienze, quelle dei parenti, del vicino di casa o degli avi sono scevre di qualsiasi tipo di verifica o di contestazione, la sospensione del giudizio non è divertente come l’etichettatura o la marchiatura a fuoco…>>

(da “La bistecca di Matrix”, pag. 14-15)

L’agenda

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 26 gennaio 2011 by Michele Nigro

<<… Prima o poi la polizia avrebbe rintracciato la sua auto e non avrebbe potuto presentare agli inquirenti la spiegazione di “un altro Aldo” che viveva in lui e di cui non controllava le abitudini e le pulsioni. Avrebbe dovuto dire che si era trattato di un incidente e che in preda al terrore era fuggito via disperato. Sì…! Avrebbe detto così. Forse il giudice avrebbero preso in considerazione l’emotività onesta di un lavoratore integerrimo quale era sempre stato e come tutti lo conoscevano.

Il problema era un altro; le domande erano altre: da quanto tempo era nato questo nuovo Aldo? Le scritte sull’agenda erano solo gli ultimi segni dell’attività dispettosa e sovversiva di Aldo-due? Se così stavano le cose, quali e quante nefandezze aveva commesso negli anni precedenti? Gisella aveva notato qualcosa? A chi aveva fatto del male? E soprattutto: perché era nato? Come eliminarlo?

Le ipotesi erano molteplici e oscillavano tra una sfera squisitamente scientifica e un’altra più semplicemente – si fa per dire – “surreale”.>>

(tratto da L’agenda)

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Jesus Video

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 26 aprile 2010 by Michele Nigro

(una mia vecchia recensione pubblicata sul settimanale “Strange Days”)

“Lo specchio di Dio”

di

Andreas Eschbach

Dopo il recente tormentone “Codice Da Vinci” di Dan Brown, criticato dagli esperti del settore per le sue incongruenze e “scomunicato” dalla Chiesa di Roma per la sua insolenza, vi invito a prendere in considerazione un’alternativa piuttosto solida e, credo, meno fortunata del best seller di Brown: mi riferisco a “Lo specchio di Dio” (titolo originale “Jesus video” del 1998) dell’autore tedesco Andreas Eschbach già noto per altri romanzi altrettanto originali e calcolati. In comune con il Codice, “Lo specchio di Dio” possiede il dichiarato e intricato intento di minare i pilastri del pensiero religioso occidentale tramite una “decodificazione” di eventi misteriosi che sembrerebbero appartenere, e lì pronti ad esaurirsi, alla contemporaneità. Ma così non è!

Non è un libro di religione, anche se il titolo potrebbe dare questa impressione, ma un romanzo che, come recita il sottotitolo – “un thriller sul mistero di Gesù Cristo” – riesce ad intersecare fantascienza e archeologia; fede cristiana e giallistica; rigore scientifico e passione narrativa…

Eschbach non è un dissacratore a corto di idee per i suoi romanzi, ma un originale “cercatore” che utilizza vari elementi, tutti differenti e apparentemente inconciliabili, per giungere all’impegnativa messa in discussione di uno dei pilastri dell’Occidente cattolico, ponendosi una semplice domanda: perché siamo cristiani? E non lo fa scomodando teologi, filosofi e porporati, ma utilizzando lo strumento che gli è più consono: la fantasia.

Viene ritrovato, in una necropoli israeliana durante alcuni scavi, uno scheletro datato intorno ai duemila anni con accanto il libretto delle istruzioni per una videocamera non ancora in commercio!

L’unica spiegazione è che si tratti di un futuro “viaggiatore nel tempo”, uno scettico votato alla ricerca della verità al punto da sacrificare la propria vita, anzi il proprio tempo, (ritornando indietro di duemila anni, in un viaggio di sola andata, sa di dover morire durante l’epoca di Cristo) pur di “filmare” e quindi documentare l’effettiva esistenza del falegname di Nazareth e consegnare agli uomini del futuro, dopo duemila anni e nascondendole accuratamente, le “prove” necessarie per confermare o distruggere il Potere della Chiesa.

Non sarò certo io a rivelare la fine di questo intrigante “giallo fantarcheologico”; fatto sta che Eschbach sembra aver indovinato una miscela originale capace di far rabbrividire sia i puristi della fantascienza che i ricercatori storici. Eppure, se analizziamo a fondo l’idea di Eschbach, ritroviamo gli ingredienti base del nostro essere “uomini e donne del terzo millennio”… Qual è lo strumento di cui tutti noi oggi sembriamo fidarci ciecamente, senza mai metterlo in discussione? Io direi lo strumento dell’Immagine. Il conforto e l’appagamento che riceviamo dalla conferma immediata dell’immagine caratterizza la nostra epoca e la fede (cioè il “fidarsi” senza vedere!) sembrerebbe non avere più un posto sicuro nella vita di ognuno di noi. La Chiesa, che ha fatto un grande uso di immagini (sacre) nei secoli passati sembrerebbe, in questo romanzo, essere minacciata proprio dall’immagine… Da un’immagine video che confermi o meno l’esistenza di Gesù!

Eschbach non si accontenta della dissertazione filosofica e porta le telecamere, provocatoriamente, nell’epoca di Cristo: non sappiamo se per sottolineare e deridere lo scetticismo dell’uomo moderno o per evidenziare il bisogno molto attuale di una Chiesa che ha sempre più necessità di mostrarsi, forse per sopravvivere, attraverso i mezzi della comunicazione di massa! Basti pensare alle migliaia di mms e videoriprese effettuate dalla gente in occasione dell’esposizione al pubblico della salma di Giovanni Paolo II nella Basilica di S. Pietro e al bisogno impellente di affidare su ben altri supporti mnemonici il significato di una vita umana già di per se intensa!

Non sappiamo nemmeno se il nostro Autore voglia dare un’impronta filosofica e teologica al proprio lavoro, ma di sicuro l’accostamento tra fantascienza e fede crea nel lettore, credente o agnostico, una strana sensazione di insicurezza mista a terrore per tutto ciò che vediamo sotto i nostri occhi cristiani e che potrebbe scomparire da un momento all’altro a causa di un paio di videocassette vecchie di millenni e ritraenti un Cristo mai morto in croce, con tanto di famiglia e una falegnameria ereditata dal padre o addirittura il nulla perchè mai esistito! In questo romanzo vengono convogliate tutte le perplessità del cristiano medio che spesso si affida ad un dio che non vede, che a volte “sente” nella preghiera, ma che vorrebbe toccare come lo scettico S. Tommaso.

E’ furbo Eschbach perché rimane fedele al modello, sempre gradito, di H. G. Wells e della sua “macchina del tempo” pur non entrando nei particolari tecnici del viaggio come quest’ultimo; è preciso e coerente nel far coincidere le varie scenografie che, in alcuni capitoli in modo troppo schizofrenico ma efficace, si alternano facendo passare il Lettore dagli scavi archeologici israeliani alle stanze del Papa nel Vaticano.

E’ un romanzo accattivante e originale per alcuni versi ma soffre dello stesso male che attanaglia la produzione artistica, letteraria e cinematografica di questi ultimi decenni: brilla di luce riflessa. Nel senso che anche Eschbach ha imparato a fare il “giocoliere” e così si diverte a miscelare elementi già esistenti: ritroviamo l’avventurismo alla Indiana Jones che s’intreccia con la dotta dissacrazione del “Pendolo” di Umberto Eco; c’è la stessa energica ossessione già adoperata nei confronti dei Templari in quasi tutte le salse e c’è la minuziosità tipica dei polizieschi “serial thriller” che s’alterna ad una descrizione più rilassata fatta di sensualità e goliardia hollywoodiana…

Emerge un aspetto positivo, tra i tanti, che va preso in considerazione: l’Autore tedesco affida, nelle mani della fantascienza, la decostruzione religiosa dell’Occidente. E per farlo non si accontenta di mettere in discussione alcuni miracoli attribuiti ai santi della Chiesa, ma colpisce al cuore della cristianità. Tremiamo, leggendo le pagine di Eschbach, pur non credendo; c’appassioniamo alle ipotesi dei personaggi pur sapendo che si tratta d’invenzione… Altri autori si sarebbero “bruciati” scrivendo un libro simile, ma Eschbach riesce a non farsi odiare per questa sua ingenua ribellione anticonformista e addirittura, in alcuni punti, dona ai personaggi più scettici e miscredenti del suo romanzo una passione ed una “fede” degna del miglior cristiano… Forse vuole ricordare a tutti noi che la via verso la fede passa proprio attraverso la prova e il dubbio; e ne “Lo specchio di Dio” il Dubbio è sicuramente il “personaggio” principale.

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