La poesia urbana di Michele Nigro
Non voglio scrivere nulla sulla ideologia, sulla personalità o sul retroterra culturale di Michele Nigro. So che è un artista multimediale e sperimentale. D’altronde, come ha dichiarato Nicholas Negroponte, il passaggio dagli atomi ai bit è inarrestabile e internet ne è una conseguenza, sebbene qualche intellettuale consideri il web un’anticultura per eccellenza. A mio avviso il flusso di coscienza di Joyce e l’ipertesto possono coesistere pacificamente¹. Non voglio in questa sede neanche stabilire cosa sia la poesia e cosa sia la poetica. Forse la poesia è un insieme di intuizioni verbali e la poetica è la riflessione sulla poesia da parte dell’autore. Probabilmente sappiamo solo che l’arte, per dirla alla Pareyson, è “il bisogno dell’inutile”. Si noti l’ossimoro. Di più forse non si può scrivere, vista e considerata la polisemia dell’opera d’arte e la polifonia della letteratura contemporanea. Nella storia dell’arte è accaduto anche che un oggetto comune come uno scolabottiglie diventasse un’opera perché era stato trasportato da un negozio a una galleria. Grazie a Dio esiste la libera interpretazione dei testi e delle opere! Quindi la mia non è che una delle tante comprensioni/spiegazioni possibili di questa raccolta poetica. Piuttosto vorrei condividere la mia opinione riguardo a un’altra questione: molti non vedono di buon occhio chi scrive poesie e considerano rispettabili solo i romanzieri. Per molti il poeta non è che un clown disadattato senza più alcun status oppure un esteta acchiappanuvole, perenne parodia di se stesso. E invece è un outsider, che sfida le convenzioni della cultura dominante. Nel mondo dei talk-show e degli sms, la poesia può essere un bisbiglio sommesso che vince l’incomunicabilità e il rumore. Personalmente trovo che oltre al romanzo vi siano altri modi dignitosi per esprimersi. Ad esempio la poesia, l’aforisma, il saggio breve, il racconto, il diario. Certo, chi scrive un romanzo insegue il sogno del best seller o del capolavoro. Ma difficilmente si realizzano queste cose. Io penso che tutto debba nascere da un’esigenza interiore; che sia ingiusto nei confronti di se stessi cercare di adattarsi alla logica di mercato o ai gusti del pubblico. Eppure un tempo non era così: fino al neoclassicismo settecentesco la poesia era considerata superiore alle altre arti. Inoltre sarebbe opportuno ricordare che abbiamo sentore d’eterno ogni volta che proviamo un’esperienza estetica, indipendentemente dalla sua forma. L’autore che non cerca a tutti i costi di scrivere un romanzo di successo ha un merito, se si considera la mercificazione dell’arte nell’industria culturale del tardo capitalismo.
La presente raccolta contiene poesie esperienziali: Nigro ha molti autorevoli pensatori dalla sua parte. Ad esempio per Locke la mente acquisisce conoscenza tramite esperienza empirica. Senza dimenticare tutti gli altri empiristi inglesi, tra cui anche Berkeley, Hume e Mill; e gli psicologi Wundt, K. Lewin e Piaget. Sono molti i predecessori illustri, secondo cui apprendiamo tramite introspezione e osservazione degli altri. Queste sono le modalità principali di apprendimento, anche se impariamo per mezzo di tentativi ed errori, grazie a dei feedback, tramite assimilazione e accomodamento. In queste poesie, reale, immaginario e simbolico si intrecciano. Interpretazione del mondo e creazione poetica si alternano. Questa opera trascende il logocentrismo occidentale. L’inconscio, che non viene rimosso o represso, non prende mai il sopravvento (come nei surrealisti o nei futuristi). L’autore forse vuole dirci che cerchiamo sempre di inglobare il reale in schemi per dare un significato al mondo, che questa nostra attività non è dettata solo dalla logica ma anche da processi psichici inconsci. Questi componimenti sono frutto della consapevolezza del “linguaggiare” descritto da Maturana: il Nostro ha preso atto da tempo che siamo immersi tutta la vita nella conversazione e nel linguaggio interiore. Allo stesso tempo è perfettamente cosciente che “il linguaggio è il significante di un significante” (F. de Saussure). Sa bene che l’inconscio non è solo istinto come sosteneva Freud, ma anche linguaggio. Per Lacan infatti l’inconscio è il significante: ogni volta che parliamo è l’Es che parla. Questi versi sono colloquiali: probabilmente c’è la ricerca di un noi duale. C’è la sfida dell’incontro: un tentativo di completarsi, nonostante gli esseri umani siano come i porcospini di Schopenhauer. Ma il mondo non per questo diventa provvisto di coerenza e di senso. Il rapporto amoroso rivela la sua illogicità.
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