E come Noodles alla fine del film “C’era una volta in America”, anche noi, a conclusione di un anno, non possiamo fare altro che sfoggiare il classico sorriso inebriato alla “nonostante tutto”, consapevoli che si tratta di un sorriso artificiale ottenuto con “l’aiutino”, stupefatto, inebetito, chimico, nel nostro caso alcolico visti i menù delle feste, di un disincantato sorriso d’ufficio tanto per tirare a campare, illudendoci di aver vinto per il solo fatto di essere ancora vivi. E per molti il traguardo è quello, non di essere “vivi di qualità”. Perché, proprio come per Noodles, ci sono momenti assurdi nella vita in cui il sorriso non può che essere strappato fuori in questo modo, dal sogno, dal fumo che stordisce: le naturali, e reali, vie della felicità non funzionano, anzi non esistono, essendo la felicità un miraggio inventato dal marketing e da alcuni filosofi idealisti. Perché solo l’ironia che tutto mescola può salvarci, insieme al jazz e a un buon whisky; e se la vita è ironica, perché non dovremmo esserlo anche noi?
Non importa se siamo andati a dormire presto la sera o se ci siamo nascosti nel buco del culo del mondo: la vita alla fine ci scova sempre e ci sottopone alle prove scelte da lei, perché quelle che noi vorremmo scegliere non valgono. Troppo facile, saremmo preparati e il gioco della vita – quella autentica – non si gioca con regole e fatti prevedibili, ma con le cadute e la conseguente capacità che ritroviamo in noi di sorridere di esse, soprattutto di noi caduti. Non importa come ci procuriamo tale sorriso: l’importante è riuscire a stiracchiare sul nostro viso un fottuto sorriso da epilogo, stappando champagne e augurandoci cose non desiderate.
lei mi ha detto che ti chiami così, che questo è il tuo nome, anche se nella nostra corrispondenza, riferendosi a te, usa sempre la “L” puntata, forse per una sorta di pudore reverenziale nell’incompletezza o perverso affetto fraterno tendente al protettivo che ancora conserva nei tuoi confronti: lo stesso che non le permette di liberarsi definitivamente di te e della scenografia in cui pensi di vivere al sicuro dalla vita.
Da tre anni amo tua moglie e, cosa apparentemente scontata da sottolineare ma ti assicuro che così non è, lei – la “lei” a cui facevo riferimento sopra – ama me. Mi ama in maniera, volendo usare un termine in voga nel mio mondo, inedita.
Perdona questo incipit a bruciapelo che sicuramente ti starà gettando nel più acuto sgomento, che presto diventerà risentimento e forse anche insanabile rabbia omicida, ma un caporedattore, anni fa, mi insegnò che quando si imposta un articolo di cronaca bisogna cominciare dai fatti crudi intorno ai quali costruire, in seguito e con tutta calma, le descrizioni del caso e le conclusioni dell’articolo stesso. Il dato è questo: da tre anni amo, nel corpo e nella mente, la donna con cui la sera giaci tranquillo e ignorante, la stessa con cui la mattina prendi il caffè e parli del più e del meno riguardanti la giornata che vi attende. E delle cose da fare insieme, per crescere i frutti nati da quello che un tempo avete pensato fosse amore. O forse l’hai pensato solo tu, o l’avete pensato entrambi per un certo periodo e poi ti sei lasciato cullare da ciò che credevi immutabile dinanzi ai tuoi occhi aperti a metà, gli stessi che hanno smesso di fare domande nonostante l’evidenza. Che non hanno più fatto la domanda fondamentaleper paura di una risposta che in cuor tuo conosci già.
Non so cosa sia successo tra di voi in questi anni, cosa si sia frantumato o, peggio ancora, cosa non ci sia mai stato; forse tu pian piano sei diventato un’istituzione, colui che c’è sempre e comunque, il figlio acquisito dei genitori di lei, un compagno discreto al di là dei difetti caratteriali, dell’indiscussa bellezza, del crescente disinteresse e del disamore celato; forse semplicemente hai dimenticato di leggerle delle poesie, nonostante lei te lo avesse chiesto con amore. I crolli spesso sono preannunciati da piccole crepe nei muri che rendono possibile una pacifica convivenza fino al momento del disastro silenzioso e privato. Quando certi cammini di coppia cominciano troppo presto, spinti da entusiasmi acerbi e da pressioni familiari e culturali esterne difficili da dominare, accade che nel corso del tempo l’evoluzione interiore di uno dei due lasci indietro l’altro, è naturale, anche se l’affetto e gli obblighi nei confronti di chi abbiamo intorno e che amiamo ci costringono a fornire una facciata apparentemente stabile e costante nel tempo. Non tutte, non tutti, hanno la forza o l’incoscienza di abbandonare il contesto familiare in cui vivono per ricrearne uno nuovo altrove e con altre persone. Quando uno dei due, all’interno della coppia, cresce interiormente e capisce chi è e cosa vuole dall’amore, allora per l’altro cominciano i guai; anche se tu, “caro” Lucio, questi guai non li conoscerai mai: vivi sereno nel tuo schema esistenziale tamponato con morbido cotone per non farti male, perché lei non vuole farti male, e solo di tanto in tanto ti sfiora un timido dubbio, una inconscia sfumatura fornita dal caso – un incidente! -, che non giunge mai alla piena verità, che ti stroncherebbe, a quella consapevolezza esplosiva che io e lei, tua moglie, immaginiamo come se fosse un esercizio della mente e su cui spesso facciamo pronostici – un Totocalcio mai giocato fino in fondo – a volte scherzando cinicamente, altre volte tremando per gli scenari catastrofici che ne conseguirebbero. Catastrofici per lei, per le persone che amate e, potrai non crederci, anche per te. Nonostante il nostro amore sia vivo e palpitante, unico e travolgente, lei continua a difendere la tua serenità, perché da essa dipende tutto l’equilibrio – in stile famiglia del Mulino Bianco – di un edificio che agli occhi degli altri deve apparire solido e incrollabile. Prigionieri in casa propria.
Io invece sono libero, o così credo, o almeno provo ad esserlo; libero di non spedirti questa lettera: se la spedissi entrerei anch’io a far parte della scenografia da cui vorrei liberare tua moglie, che sicuramente subito dopo mi odierebbe e la perderei, diventerei una pedina incattivita – complice di un femminicidio morale – sullo scacchiere di un “gioco” che non mi appartiene, un gioco che avete cominciato voi due, da soli o quasi, molti anni prima della mia entrata in scena. E certe partite possono concluderle solo gli iniziatori. Lo scopo della presente, infatti, non è quello di allestire una vendetta distruttiva nei tuoi confronti, nei confronti della tua esistenza tranquilla e ordinata: la vita amorosa segreta e parallela, vissuta a pochi metri dalla tua cecità, quella parentesi di vita vera che non conosci e che mai conoscerai, si è già vendicata abbastanza. E anche se tu non lo sai, lo so io… Lo sappiamo io e lei, e mi basta. Ci basta: abbiamo deciso così.
«Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze.»
(Gandalf a Frodo in “La Compagnia dell’anello”
Il Signore degli anelli, J.R.R. Tolkien)
Ronnie Lee Gardner (49 anni), condannato alla pena capitale per 2 omicidi, dopo 25 anni di attesa in un carcere dello Utah, è stato giustiziato (su sua richiesta) tramite fucilazione da un plotone di esecuzione. Ha trascorso le ultime ore di vita guardando nella sua cella la trilogia de “Il Signore degli Anelli”. Al di là, ovviamente, dell’ordinato “spettacolino” messo su nel penitenziario statunitense per i parenti delle vittime, le autorità, i giornalisti e gli altri “invitati”, il dettaglio che mi ha fatto riflettere maggiormente in tutta questa vicenda è proprio la scelta, da parte di Gardner, di voler vedere la trilogia filmica di Peter Jackson prima di morire con quattro colpi di fucile in petto. Non sapremo mai il vero motivo di questo ultimo singolare desiderio di un condannato a morte: singolare, sì, ma forse non del tutto incomprensibile; anzi comprensibilissimo se letto alla luce dello stralcio tolkieniano riportato all’inizio di questo articolo in cui Gandalf rimprovera Frodo per la facilità con cui quest’ultimo desidera la morte di Gollum, un essere spregevole e ripugnante, causa di molti mali… Mi piace pensare che Ronnie Lee Gardner abbia scelto di vedere la trilogia per riascoltare in particolar modo questo dialogo tra Gandalf e Frodo: un dialogo non privo di ripercussioni filosofiche, escatologiche, etiche e morali.
Gardner ha commesso errori irreparabili durante la sua vita violenta e ha provocato un immenso dolore ai familiari delle sue vittime, ma anche un assassino, condannato all’ergastolo invece che alla pena capitale, rinchiuso in una cella fino alla fine dei suoi giorni e senza la possibilità di interagire pienamente con il mondo, può svolgere un ruolo apparentemente incomprensibile in un piano che non vediamo… Chi siamo noi per togliere la vita a chi l’ha a sua volta tolta in maniera odiosa ad altri? Siamo in grado noi di stabilire, al di là della “soddisfazione” terrena e immediata di vedere applicata una giustizia-specchio (occhio per occhio…), che valore può avere l’esistenza persino di un feroce assassino come Gardner nell’ambito di un meccanismo che da qui non riusciamo a comprendere pienamente? “… Nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze…”
Sulla via per l’inferno c’è sempre un sacco di gente,
ma è comunque una via che si percorre in solitudine”
(da “Niente canzoni d’amore”, di Charles Bukowski)
L’occhio sulla metropoli
(edizione straordinaria)
Mattatoio Roxy
Il “Roxy Bar” chiuso per morte! Tutti i possibili moventi al vaglio degli inquirenti.
Dal nostro inviato.
<<È senza dubbio una vera e propria carneficina quella che si è consumata ieri notte in via Euchadè 5 presso il noto locale “Roxy Bar”, in passato già al centro di vicende sospette e mai del tutto chiarite a causa dell’omertà del gestore e dei suoi collaboratori. Questa volta però l’efferatezza con cui il “Roxy” è ritornato a far parlare di sé, dovrebbe permettere ai detective di gettare finalmente una luce significativa sulla vera natura del locale.
Da questa notte, nonostante l’enorme quantità di prove disseminate nel locale, gli inquirenti sembrano brancolare inspiegabilmente nel buio e il nervosismo con cui il Questore ha affrontato gli addetti stampa che solitamente frequentano gli uffici della Polizia, è la prova evidente che questo fatto di sangue è caratterizzato da una difficoltà nelle indagini mai riscontrata finora.
“Non posso ovviamente sbilanciarmi sui moventi perché è ancora sostanzialmente presto, e soprattutto non posso trarre conclusioni affrettate sul perché della presenza nel locale di certi personaggi che potrei definire improbabili in questo contesto – ha spiegato alla stampa il Capo della Scientifica all’uscita dal “Roxy” dopo i primi rilievi – ma posso dire senz’ombra di dubbio che la scena del crimine è quanto meno affastellata e incredibilmente eterogenea… Tutti, tranne uno, il gestore del “Roxy”, sono stati trucidati con dei colpi ben assestati di pistola termica. In questo locale è avvenuta una sparatoria piuttosto articolata; solo uno dei termizzati ha subito una vera e propria esecuzione con un colpo ravvicinato piazzato dritto in testa: lo scempio provocato, come potrete immaginare, ha reso difficile l’operazione di identificazione del soggetto. Per quanto riguarda gli altri colpi si tratta certamente dell’opera di un freddo professionista dotato di una mira quasi infallibile: alcuni fori termici, pochissimi, sono stati rinvenuti sui muri del locale o nei mobili in legno. Anche perché, evidentemente, c’è stato un tentativo di risposta al fuoco da parte delle vittime. In base alla perizia del medico legale, la morte del gestore del “Roxy” risalirebbe a molte ore prima del sanguinoso scontro armato e ciò infittisce ulteriormente la trama delle indagini. Alla luce dei fatti posso solo dire che dietro questo locale c’era più vita losca di quanto immaginavamo noi inquirenti e questo, come si può facilmente intuire, va a discapito della nostra professionalità e credibilità. Sapevamo che non era un locale tranquillo, ma devo purtroppo ammettere pubblicamente che la nostra rete informativa non è riuscita a intercettare i movimenti essenziali che sono culminati nella mattanza di stanotte. Per quanto riguarda la presenza di un nostro ispettore tra le vittime non posso dire altro, ma vi prego solo di non scrivere sui vostri giornali che si tratta dell’ennesimo caso di corruzione finito male o altre vostre fantasie giornalistiche. Le indagini sono aperte e può darsi che il nostro uomo stesse seguendo parallelamente e segretamente delle tracce importanti e che si sia trovato sulla scia di un fatto criminoso più grande di lui. Ora, per cortesia, lasciateci lavorare!”
Restano tuttavia molte altre domande in cerca di risposta e sulle quali gli inquirenti sembrano non volersi sbilanciare forse a causa di una imbarazzante mancanza di elementi: cosa ci faceva tra le vittime uno dei magnate della società finanziaria berlinese, per nulla noto al grande pubblico ma conosciuto nei ristretti e ovattati ambienti industriali tedeschi e soprattutto conosciuto dall’antimafia di Berlino? Perché il gestore del “Roxy” è stato ucciso molte ore prima dei fatti di stanotte e in un modo a dir poco originale e grottesco? Chi sono le persone viste uscire velocemente dal locale dopo la mattanza facendo perdere le proprie tracce e cosa sanno di loro gli inquirenti?>>
La notte prima.
Quando l’ispettore e la Rossa entrarono nel “Roxy”, la scena scultorea che si presentò dinanzi ai loro occhi possedeva una pesante carica mortale contornata da un elegante immobilismo.
Nebbia era tranquillamente poggiato al bancone mentre bruciava senza fretta una sigaretta ripescata dal pacchetto ammaccato che teneva in tasca da ore. Al suo fianco la rigida figura post mortem del suo amico Schiuma disteso sul bancone, ormai divenuto violaceo, rendeva ancor più paradossale la micidiale calma del fumatore che aspirava fumo e contemporaneamente non staccava gli occhi da uno strano cliente presente nella scena.
Dall’altra parte del salone appena illuminato dall’unica luce accesa sul bancone del locale, seduto a uno dei tavoli, c’era il fantomatico Crucco con alle spalle i suoi cinque poderosi bravi in giacca e cravatta, apparentemente immobili come statue e armati in maniera discreta ma adeguata per l’occasione.
Il mafioso berlinese sembrava di casa al “Roxy” e quella rimpatriata d’urgenza causata dalla fastidiosa questione del “Sion 2”, che a quanto pare avrebbe dovuto risolvere personalmente, l’aveva costretto a immergersi in giovanili ricordi lontani, fatti di precariato e soprusi, furti, piccoli omicidi e debiti da pagare: troppo lontani e giovanili per non suscitare nell’attuale magnate un leggero ma persistente disagio, ben controllato. Ora lui era un uomo totalmente diverso e quell’odore di birra doveva essere urgentemente sostituito da quello di un costoso sigaro estratto dalla tasca interna del suo cappotto bianco che contrastava con l’abbigliamento decisamente nero e omogeneo degli scagnozzi collocati nella scenografia del “Roxy”.
Il silenzio glaciale fu interrotto dal lieve rumore della piccola ghigliottina tranciasigari con cui il Crucco aveva tagliato la testa al suo sigaro, non potendo tagliare ciò che avrebbe voluto appassionatamente tagliare con tutta la celata rabbia di cui disponeva in quel momento.
Il Crucco e Nebbia si uccidevano lentamente con i loro sguardi.
Prima di infilarsi il sigaro in bocca, il Crucco girò la testa verso l’entrata dove da alcuni secondi stavano immobili l’ispettore e la Rossa appena apparsi sulla scena, e senza tradire alcuna emozione o sorpresa interruppe il silenzio verbale con un laconico: – Ah, ecco qui la puttana!
– Che c’entra tua madre? – rispose sarcastica la Rossa dando subito al Crucco, che non la conosceva personalmente ma solo tramite alcune foto, un assaggio del suo caratterino apparentemente fragile ma agguerrito.
– Mi piace la tua verve, ragazza! – incalzò il mafioso – Ma non ti salverà…
– E tu chi cazzo saresti? – chiese ingenuamente la Rossa facendo oscillare i suoi occhi tra quell’uomo distinto e volgare seduto al tavolo e Nebbia che terminava muto di fumare la sua paglia.
– È il Crucco! – Nebbia decise di interrompere il silenzio stampa.
– Il tuo datore di lavoro? – chiese ironicamente la ragazza.
– Non scherzare… Ha ucciso anche Schiuma! – disse Nebbia spostandosi dal bancone e dando alla Rossa la possibilità di visualizzare il corpo gonfio e violaceo di colui che l’aveva servita un’infinità di volte.
– Non piangerò per lui! – disse severa la Rossa ricordando che in fin dei conti il vecchio Schiuma aveva fatto da tramite tra il Crucco e Nebbia affinché lei morisse.
– Miei cari piccioncini, mi dispiace interrompere questo vostro piacevole dialogo ma i miei ragazzi, qui dietro, sono stanchi di stare in piedi e mi stavo chiedendo – interruppe con tono ironico il Crucco mentre il suo sigaro-ciminiera era poggiato tranquillamente tra le sue dita – se gentilmente potreste ridarmi ciò che m’appartiene… O meglio: ciò che appartiene a me e alla FutureProg!
Mentre terminava la sua frase, il Crucco indicò l’ispettore con un dito. Fulmineamente e in maniera invidiabilmente geometrica il più esterno dei cinque scagnozzi estrasse una pistola da sotto la giacca e termizzò il povero poliziotto che aveva avuto la terribile idea di voler condurre le indagini tutto da solo. L’ispettore, a differenza del suo Questore che già dimorava nel libro paga del Crucco da anni, non aveva saputo o voluto scegliere la comoda via della morbida connivenza e del facile agio economico gentilmente offerto dalla FutureProg. Il dovere compiuto fino in fondo spesso non ripaga gli audaci.
Un tonfo non accompagnato da alcun lamento.
Dal petto dell’ispettore caduto di schiena sul pavimento del “Roxy” si levava del fumo: il colpo termico aveva bruciato vestiti e carne, e il tronco dell’integerrimo paladino della giustizia sembrava uno sformato cotto a puntino.
– Odio gli autoinvitati! – riassunse il Crucco.
– Sei un lurido pezzo di merda! – disse la Rossa che contemporaneamente allo sparo termico aveva fatto un balzo laterale pensando di essere già lei l’oggetto dell’ordine omicida lanciato dal Crucco.
– Tranquilla, bambina… – sentenziò il berlinese – Mi servi viva… Sai e hai troppe cose per giacere esanime come quel cazzone che ti portavi dietro.
– Del triangolo Vaticano-Nazismo-Mafia, dunque, tu sei la parte più sporca, quella deputata ai lavori di bassa manovalanza? – la Rossa stuzzicava il Crucco trincerandosi dietro il suo essere indispensabile.
– Diciamo che mentre le altre componenti del triangolo, come lo chiami tu, si nascondono ipocritamente usando le loro maschere secolari e borghesi – si difese il Crucco – io sono quel tipo di affarista che le cose le chiede e le ottiene sempre facendo affidamento sulla propria capacità di sporcarsi le mani… – e cambiando repentinamente il tono della voce – Stammi a sentire, puttanella! Io oggi in Germania sono un uomo temuto e rispettato perché il mio potere economico e tecnologico l’ho saputo conquistare partendo dal basso e non l’ho ricevuto in eredità. Conosco le bassezze dell’essere umano perché è da quelle bassezze che provengo. Credi davvero che il Vaticano abitato da gonnelle porporate o i cosiddetti neonazisti del terzo millennio che si rifugiano dietro la tastiera di un computer potrebbero realizzare da soli le loro febbricitanti idee antisemite senza l’intervento di una componente essenziale come me?
– Sei fiero di te, a quanto vedo! – rispose la Rossa.
– Non si tratta di fierezza, bensì di volontà… – l’incalzò il Crucco – Ma sto perdendo tempo. Tuo padre e tuo fratello sono stati solo dei fattori imprevisti di cui, come ben sai, mi sono già occupato: il Dottor “E”, colto da una ritardata febbre di consapevolezza non ha saputo resistere alla tentazione di lasciarti questa scomoda eredità; il tuo fratellino prete apparteneva, invece, alla parte sana del Vaticano. Una parte, peccato per lui, minoritaria, dal momento che quasi l’intera Chiesa sarebbe ben lieta di sbarazzarsi finalmente degli ebrei per questioni annose e troppo noiose da elencare in questa sede goliardica.
– Non l’avrete mai il programma, questo lo sai… Vero? – disse la Rossa facendo seguire la frase da una risatina nervosa.
– Ma con chi ti credi di parlare, sgualdrinella che non sei altro? Pensi davvero che tu e un killer drogato possiate fermare un uomo come me? Pensi davvero che la FutureProg sia per me una zona oscura dell’affare e che io sia solo un avido affarista ignorante che non capisce nulla di tecnologia o che non sa come fottere i propri avversari? – il tono del Crucco aveva subito un notevole cambiamento rispetto al serafico inizio di quel anomalo dialogo da pub mentre era intento a stuzzicare il sigaro come se stesse al country club – Ma credi davvero che l’aver nascosto chissà dove la password per aprire il programma o il fatto di aver sotterrato il programma stesso in un vaso di basilico, in un cimitero irlandese, in una caverna in Siberia o nel culo di una statua nell’Acropoli di Atene possa scoraggiarmi, pensi davvero che questi espedientucci da ragazzina nevrotica possano bloccare il lavoro, la volontà, la determinazione di un uomo come me?
Intanto Nebbia, senza perdere di vista gli scagnozzi e il Crucco che agitava nell’aria dinanzi a sé il sigaro fumante durante il suo appassionato monologo, aveva fatto scivolare con la lentezza di un bradipo la propria mano destra tra il bordo del bancone e la propria schiena. Riusciva a malapena a sfiorare con le dita il calcio della sua “ThermoP38” infilata nei calzoni e coperta dalla giacca, e sentiva inesorabilmente che la fase allucinogena dell’ultima pillola di neurammina rubata al vecchio Schiuma, stava finalmente cedendo il passo alla fase più interessante del viaggio: molto presto l’ultima notte del “Roxy” sarebbe stata illuminata dai fuochi omicidi della neurammina. Gli scagnozzi non l’avevano perquisito, credendo forse in un ritorno del killer sulla retta via della criminalità. Quella era stata la loro ultima, inesorabile, ingenua disattenzione.
– Sei un lurido bastardo e me la pagherai! – la Rossa tentò una difesa d’ufficio che francamente non poteva competere con l’accalorata esposizione del mafioso berlinese.
– Ascolta, piccola mia! – il Crucco assunse improvvisamente un tono paterno e paradossalmente mieloso – Non ce la puoi fare contro di me… Lo capisci questo? Finora le persone che ho coinvolto nel tentativo di recuperare il programma hanno miseramente fallito, ma in un certo qual modo i loro fallimenti mi hanno dato la possibilità di studiare il nemico, di scegliere il modo migliore di intervenire. Qui! Oggi! Per sempre!
Il Crucco fece un altro dei suoi muti gesti carichi di drammatica responsabilità e uno dei bravi tirò fuori dalla giacca un astuccio di metallo contenente una strana siringa riempita di liquido azzurro.
– Sai, ragazzina mia, alla FutureProg non si occupano solo di informatica ma i campi d’interesse dei miei amici scienziati spaziano anche in settori non contemplati dal consiglio di amministrazione. Uno di questi campi è quello estremamente interessante della nanotecnologia applicata alla coscienza. Mai sentito parlare di “nanosiero della verità”? No, e come avresti potuto sentirne parlare, dal momento che anche questa del nanosiero, come nel caso di “Sion 2”, è una delle tante invenzioni ufficiose della FutureProg? No, non sto parlando di un siero come quello dei film di spionaggio di Hollywood. Stupidaggini! Questa è la neuroscienza che si sposa con la tecnologia più sofisticata. – spiegò con orgoglio il Crucco – Questo siero della FutureProg basa la propria azione su una nanotecnologia capace di agire direttamente sulle cellule nervose deputate al controllo della volontà e a quelle della memoria. Non si sfugge, mia cara! – il Crucco illustrava con orgoglio e nei minimi particolari la soluzione al problema dell’occultamento di “Sion 2”. E rivolgendosi a Nebbia aggiunse – Sarai tu stesso a iniettare il siero alla tua bella! Ah! Ah! Ah! Così potrai riparare alle cazzate commesse in questi ultimi giorni. Se obbedirai può darsi che ti lascerò vivere dopo che la pollastra avrà cantato a pieni polmoni!
– Sai, mi hai convinto! Credo che accetterò la tua offerta… – disse Nebbia mentre la Rossa lo guardava con odio misto a dolorosa sorpresa.
– Sei un miserabile… Lo sapevo che eri solo un lurido killer senza scrupoli – sbottò la Rossa che a stento tratteneva lacrime di rabbia.
– Mia dolce Rossa, che vuoi farci… Gli affari sona affari e io sono troppo innamorato della mia sporca e allucinata esistenza raminga per barattarla con i tuoi cazzo d’ideali che mi avrebbero sicuramente portato nella tomba prima del tempo.
– Bene, ragazzo! Sarai anche uno stupido drogato incasinato, ma sai riconoscere gli affari… Ah! Ah! Ah! – disse il Crucco compiendo, dopo quella dei suoi scagnozzi, la prima e ultima fatale ingenuità della giornata.
Nebbia si era avvicinato progressivamente allo scagnozzo che teneva in mano la scatola metallica contenente la siringa, conquistando la fiducia degli altri che intanto tenevano pronte le loro mani sui cannoni termici nascosti sotto le giacche; prese in mano la siringa, guardò il contenuto in controluce e rivolgendo lo sguardo verso il Crucco che mordicchiava di piacere il suo sigaro, disse: – Riconoscimi questo! – gridò Nebbia mentre estraeva con la rapidità di un mamba la sua “ThermoP38” da dietro la schiena e puntandola verso gli scagnozzi più esterni e quindi più difficili da beccare in caso di rapida fuga verso zone di riparo.
Pochi inesorabili colpi termici e tra lo stupore del Crucco, che aveva già lasciato cadere il sigaro mentre cercava riparo dietro il proprio tavolo ribaltato, caddero stecchiti i primi scagnozzi già vestiti come si deve per il proprio funerale. I corpi fumanti dei bravi centrati in pieno petto, avevano creato una leggera cortina fumogena che rese l’atmosfera del “Roxy” macabramente nebbiosa e puzzolente.
Il barbecue offerto dalla neurammina era cominciato.
La Rossa, intanto, con scatto fulmineo aveva decretato la propria irreperibilità rifugiandosi dietro una delle colonne quadrate del locale, raggomitolandosi e sperando di non essere raggiunta da uno dei colpi termici con cui gli scagnozzi sopravvissuti tentavano di difendere il proprio capo.
Nebbia sembrava una macchina programmata per uccidere: sparava e si spostava con una rapidità sovrumana nella sala semioscura e illuminata dai lampi delle pistole. Non c’era alcun segno di sforzo nel suo volto, nessuna traccia di indecisione o di dubbio.
– Elimina e pulisci! Elimina e pulisci! Elimina e pulisci! Elimina e pulisci! Elimina e pulisci! – ripeteva a se stesso, sussurrandolo, il solito mantra che utilizzava durante le missioni omicide degli anni bui e senza amore, anni fatti di neurammina e volti da eliminare, di soldi facili e sigarette da fumare negli angoli oscuri della notte e dell’anima in attesa di una preda senza storia.
Quando finalmente raggiunse il Crucco, disteso e insolitamente tremante tra i corpi fumanti di coloro che avevano tentato inutilmente di fermare a suon di colpi termici l’onda omicida del farmaco militare, Nebbia non si perse in inutili slogan.
– Mi licenzio! – sentenziò Nebbia a bassa voce, quasi come a non voler disturbare il condannato.
Il cranio fumante e scomposto del Crucco era uno spettacolo: l’encefalo bruciacchiato e parzialmente consumato dal colpo termico di Nebbia riduceva ai minimi termini l’ostentata potenza del mafioso tedesco, che fino a pochi minuti prima si ergeva al di sopra di Dio grazie ai suoi discorsi pregnanti e minacciosi.
Peccato che gli assetati giornalisti del giorno dopo non avrebbero mai immortalato la testa aperta e fumante del Crucco.
La Rossa, avvicinandosi dolcemente alle spalle di Nebbia, rimasto in piedi a rimirare il sanguinoso quadro creato dal suo pennello termico, cercò e trovò il braccio alla cui estremità pendeva, saldata alla mano, la pistola termica ormai scarica.
– È finita, puoi lasciarla andare! – sussurrò la Rossa.
Uno dei colpi disperati sparati dagli scagnozzi aveva colpito la pancia gonfia e violacea del povero Schiuma: schizzi di viscere e birra mista a sangue avevano creato uno strano disegno naif sulla specchiera del bancone.
La cortina fumogena di carne arrostita stava dileguandosi insieme al respiro affannoso di Nebbia che pian piano era riuscito a distogliere lo sguardo dal campo disseminato di corpi morti per rivolgerlo finalmente verso il volto della donna amata.
– Si va? – l’ultimo interrogativo della giornata rivolto alla Rossa che rispose con un sorriso vittorioso misto a una macabra euforia danzante tra corpi bruciati ed eleganti.
Alcune settimane dopo la sanguinosa notte del Roxy.
La sabbia bianca della spiaggia tropicale era lontana mille miglia dall’atmosfera cupa e trafficata della metropoli. I caldi raggi solari sulla pelle, il rumore della risacca, il vento tiepido e la pioggia di mojito freschi, avevano contribuito durante le settimane successive ai fatti del “Roxy” a rimuovere le pagine tristi legate alla storia oscura del “Sion 2” dalla mente dei protagonisti sopravvissuti. Nebbia, dopo alcuni giorni di comprensibili crisi dovute all’astinenza da neurammina, aveva pian piano ritrovato la serenità e la forza di tagliare definitivamente i ponti con un passato losco e disumano.
La Rossa, ormai pienamente convinta dell’amore che Nebbia nutriva nei suoi confronti, aveva dedicato tutte le sue attenzioni al ristabilimento fisico e morale di un uomo che aveva saputo ritrovare, tra le ore allucinate della propria esistenza, il barlume salvifico di un vero sentimento. E aveva basato la sua idea di ribellione seguendo la speranza che quel sentimento riusciva ancora a suscitare tra le pieghe di una vita apparentemente persa.
La Rossa e Nebbia avrebbero cercato con tutte le loro forze di riconquistare la propria fetta di felicità negata per troppo tempo.
Insieme, liberi, ripuliti da tutto ciò che li aveva sporcati, volutamente immemori dei giorni tragici e lontani, con il corpo e con la mente, dalla melma di una storia difficile e oscura.
– Vuoi qualcosa da bere? – chiese Nebbia alla Rossa mentre si alzava dalla sdraio per andare al vicino chiosco sulla spiaggia.
– Fai tu! – rispose languidamente la Rossa distesa sotto il sole e bisognosa di caldi massaggi solari.
Da dietro gli occhiali da sole quella stessa ragazza che aveva dovuto assistere alle scene più cruente della propria vita, la ragazza che aveva rischiato di morire a causa degli errori di un padre geniale e ingenuo, la giovane donna che era stata perseguitata dai residui inossidabili della pazzia umana, quella stessa ragazza che aveva messo in crisi le forze più potenti e malvagie dell’umanità, ora guardava allontanarsi un ex killer sanguinario completamente rinato, mentre andava a ordinare un paio di innocui mojito.
Non lontano dall’ombrellone della Rossa, un uomo di mezza età che indossava un costume fuori moda, un panama e un paio di ridicoli sandali, fino a quel momento intento nella lettura del proprio giornale, si alzò lentamente dalla propria sdraio e dirigendosi lentamente verso la Rossa si fermò a meno di un metro da lei. L’ombra creata dalla presenza dell’uomo attirò l’attenzione della Rossa la quale, alzando sulla fronte gli occhiali da sole per vedere meglio il volto di colui che le faceva ombra, si accorse che l’uomo dal fisico poco aitante e bianchiccio, portava appeso al collo un crocifisso d’oro.
– Buongiorno! Posso fare qualcosa per lei? – disse fiduciosa la Rossa cercando di capire cosa potesse mai volere da lei quello strano animale da spiaggia.
– Buongiorno a lei! – rispose l’uomo denunciando fin dalle prime sillabe un accento inconfondibilmente tedesco – Mi scusi se la disturbo, signorina!
E dopo una breve pausa, passando rapidamente dal sorriso sfoggiato durante la presentazione a una cupa tensione facciale, aggiunse serio: – Molto interessante quel tatuaggio che ha sul braccio!
"Poesie minori Pensieri minimi"
sottotitolo: "materiali di risulta"
raccolta di Michele Nigro
(edizioni nugae 2.0 - 2018)
LEGGILA GRATIS, ORA!
FREE DOWNLOAD!
(per leggere e/o scaricare il PDF pronto per la stampa: cliccare sull'immagine di copertina)
...
Dimensioni formato PDF: 12,7×20,32cm – 5”×8”
ATTENZIONE: i formati MOBI-KINDLE, EPUB, AZW3, LIT,
utili per i fruitori di ebook reader, potranno essere richiesti
via e-mail direttamente all'Autore:
mikevelox@alice.it
"CALL CENTER - reloaded"
racconto social fantasy
di Michele Nigro
su STREETLIB STORES
(per l'acquisto cliccare sull'immagine)
DISCLAIMER
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. Il curatore, inoltre, non ha alcuna responsabilità per quanto riguarda i siti ai quali è possibile accedere tramite i collegamenti posti all'interno del blog stesso, forniti come semplice servizio agli utenti della rete. Il fatto che il blog fornisca questi collegamenti non implica l'approvazione dei siti stessi, sulla cui qualità, contenuti e grafica è declinata ogni responsabilità. Il curatore del sito non ha alcuna responsabilità per le segnalazioni riportate nei commenti e per i loro contenuti. Ciascun commento inserito vincola l'autore dello stesso ad ogni eventuale responsabilità civile e penale. Le immagini pubblicate sono state trovate sul web e giudicate di pubblico dominio. Chiunque, potendo vantare diritti su di esse, volesse chiederne la rimozione può scrivere all'indirizzo di posta elettronica del curatore: mikevelox@alice.it
L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.