Archivio per equilibrio

Tornando dal bosco…

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 settembre 2018 by Michele Nigro

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Ernst Jünger, nel suo “Trattato del ribelle”, intimava ai non piegati di “passare al bosco”, per coltivare in clandestinità le proprie idee… Un “consiglio” simile lo diede anche il buon Henry David Thoreau in “Walden ovvero Vita nei boschi”.

Tornando da una meravigliosa “passeggiata” in un bosco della mia terra, percorrendo una strada lastricata di pietre, che s’inerpica immersa in una galleria verde, conducendo il camminatore verso la cima di un monte definito sacro dagli “indigeni”, dove una grande croce di ferro illumina le notti della valle sottostante, confermando la presenza di un Cristo che veglia sugli uomini deboli e peccatori, mi sono chiesto a dispetto di Jünger e Thoreau: “cosa portiamo indietro con noi, invece, ritornando dal bosco?”

Panni impolverati, sudati, a volte infangati o con tracce d’erba; uno zaino da rimettere a posto, in attesa della prossima avventura; scarponi da lucidare; un po’ di muscoli indolenziti dalla salita e qualche piccola vescica sotto i piedi da bucare; le consuete riflessioni, che accompagnano il cammino, sulle esperienze esistenziali finite e sulla vita che, imperterrita, mi attende… Tutto nell’ordinario. Dopo una doccia rigenerante che lava via il sudore, è il turno delle foto naturalistiche scattate durante la salita (e la discesa) da “scaricare” sul computer: restano impresse nella mia mente — non lavate via insieme alla polvere — le immagini (più importanti di qualsiasi foto) della bellezza ammirata, pregata, celebrata, quella che fa arrestare il passo ogni dieci metri perché vuoi vedere e gustare quella parte di bosco da un’angolazione un tantino diversa dalla precedente. E sì perché la natura non si ripete, non è mai la stessa: ad ogni passo la combinazione tra rocce, terra, alberi, radici, arbusti, foglie cadute, rami secchi, tronchi marci, funghi, ciclamini, ragnatele, felci, dirupi che costeggiano il cammino, luce che trapela dall’alto attraverso il fitto fogliame, è destinata a mutare. Non esiste un risultato di questa combinazione uguale a un altro; e allora non puoi proprio perderti quel “quadro”, quell’istantanea irripetibile, quel fotogramma di un film documentario in cui sei attore, stavolta, e non spettatore passivo. Vuoi imprimerla in te la combinazione. E ti fermi cento, diecimila volte… Come a voler ridire, ancora incredulo, a te stesso più che alla natura: “ma è cosa mai che sei così bella?” E sai anche che ciò che immortali con la tua macchina fotografica sarà sempre poca cosa rispetto alla bellezza vista direttamente, attraverso la retina dell’occhio, grazie anche alla rielaborazione del nostro amato cervello.

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Il momento perfetto

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 febbraio 2018 by Michele Nigro

Esisteranno, un giorno che non chiameremo più giorno

anche per noi

un tempo e uno spazio

(non più tempo, non più spazio)

in cui diluire la vita incompresa, la non riuscita

e quella non digerita, in cui disperdere

le questioni di principio e gli affanni

i quotidiani attriti dell’inutile fare

gli orgogli della carne e le posizioni in classifica.

Dove tutto sarà quasi pace, ingiudicato e incolore

o colorato a piacere, con le mani e i piedi della notte camminata

di stelle e vino, sospesi

solo una musica lieve e ricordi blandi di

una certa vita lasciata indietro, laggiù o lassù

da qualche parte, insomma… Senza nomi di città,

o di strade, o cognomi strani, o numeri civici e di telefono.

Ignoti, ignoranti e ignorati

in eterno.

 

Non c’importerà più di niente

perché niente saremo.

Forse vivi, forse no

in ogni caso non lo scopriremo.

 

Finalmente

sorridendo, senza sapere come

ci dimenticheremo

sui marciapiedi dell’universo.

Il viaggio, tra localismo ed esotismo

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 1 Maggio 2017 by Michele Nigro

versione pdf: Il viaggio, tra localismo ed esotismo

Intorno al viaggiare vi è in atto da tempo una guerra non dichiarata: quella tra visione localistica ed esotica del movimento conoscitivo compiuto dal viaggiatore. I localisti, cugini non troppo lontani dei selecercatisti, tendono a concentrarsi solo ed esclusivamente sulle bellezze locali, a frequentare luoghi dove non è richiesto alcuno sforzo linguistico per farsi comprendere dalle popolazioni “indigene”, a sviluppare in maniera anacronistica lo slogan di fascistissima memoria “Preferite il prodotto italiano” anche in ambito turistico. Gli esotisti, dal canto loro, prediligono una fuga dalla realtà, una letteratura d’evasione in movimento, sono affetti da un’esterofilia curata male e che ha origini antiche: la frammentazione linguistica pre- (e direi anche post-) unitaria; la disomogeneità geopolitica che ha reso difficile la vita ai “fratelli d’Italia”; i tanti, troppi secoli vissuti in qualità di colonizzati da chiunque si trovasse a passare per la penisola. Nonostante il tricolore calcistico, estero è bello, estero è meglio: ancora una volta siam pronti alla morte culturale e identitaria.

L’ideale, come sappiamo, sta nel mezzo: occorrerebbe un approccio anarco-individualista per liberarsi dalle catene delle due fazioni. Non appartenere a nessun luogo ma essere ovunque, e al contempo abitare il tutto senza trascurare il particolare, conoscere il locale e il lontano da noi, apprendere “La distinzione / e la lontananza” (cit.), integrarli in un discorso sapienziale a chilometro zero. Evitare il viaggio vissuto come mero spostamento fisico, ma al tempo stesso non trincerarsi dietro a pigrizie culturali anchilosanti. Non concentrarsi né sul dito, né sulla Luna, ma sul gioco di sovrapposizione tra oggetti distanti che mai s’incontreranno, se non nell’immaginazione di chi crea analogie. E si scorge in questa pratica un profondo senso di libertà: l’unica possibile, in grado di sconfiggere la nostra limitatezza, il nostro essere finiti in quanto umani e confinati in un arco temporale insignificante.

Perché vi può essere tanto esotismo anche nelle cose locali, si può andare lontano restando in zona, così come ci può capitare di recuperare il nostro senso di appartenenza viaggiando in luoghi impensati, proprio mentre cerchiamo di dimenticare il punto di partenza e la nostra quotidianità. La filosofia low cost del facile spostamento ha azzerato la lentezza dell’avvicinamento, un tempo prerogativa di camminatori, naviganti e pensatori perdigiorno. Il web, la rete, non ha unito il mondo, lo ha solo omologato e reso l’ingresso a stanze lontane più rapido e facile. Ed è una grande comodità tutto questo! Nulla da eccepire… Le parti che compongono il mondo fisico e quello conoscitivo sono già in connessione da secoli, ma lo abbiamo dimenticato perché nel frattempo la conoscenza analogica è stata sostituita da quella digitale, più veloce ed efficace, che ha appiattito o sotterrato certi percorsi umani divenuti pura archeologia. La rete ha incentivato l’esotismo sì, ma quello errato: ci si illude di essere andati fuori ma in realtà siamo rimasti fermi nella casella iniziale del gioco, perché certe scoperte si compiono sulle lunghe distanze, quelle vere, e a distanza di tempo. Solo in fase di ritorno, come accade in vecchiaia dopo una vita di strade battute, ritornando a essere localisti senza perdere gli odori del mondo acquisiti nel corso di numerosi viaggi, si realizza il confronto che istruisce. Lo sguardo di un localista che è stato esotista e ha viaggiato con saggezza, sarà sempre più ampio e ricco della visione limitata di chi si rinchiude nella roccaforte della valorizzazione dei prodotti tipici locali.

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The Giver – Il mondo di Jonas

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 11 aprile 2017 by Michele Nigro

versione pdf: The Giver – Il mondo di Jonas

Una delle caratteristiche più frequenti nei recenti film di genere fantascientifico è senza alcun dubbio il processo di ibridazione da cui nascono: l’originalità, sempre più rara, è stata sostituita da più sicuri incroci tra porzioni di precedenti pellicole di successo (anche di generi differenti), come in una sorta di grande esperimento di ingegneria genetica adattata alla cinematografia. Lungi da me il voler giudicare come negativa questa tecnica d’ibridazione, che nella maggior parte dei casi fornisce risultati gradevoli, sarebbe tuttavia interessante analizzarne – in altra sede e in maniera più approfondita – l’origine, gli obiettivi, le tecniche narrative che utilizza per rendere credibile il risultato finale: si tratta di mancanza di idee come accennavo all’inizio? Voglia di “contaminazione” tra generi? Sperimentalismo transmediale libro-film? Sta di fatto che questi film derivano quasi sempre da altrettanti romanzi, quindi l’ibridazione avviene a monte. È letteraria.

Non sfugge a tale fenomenologia il film intitolato The Giver – Il mondo di Jonas (tratto dal romanzo The Giver – Il donatore di Lois Lowry): l’accostamento più facile da fare sarebbe quello con il film Hunger Games, ma scavando in profondità è interessante rilevare quante altre analogie meritano di essere scoperte e analizzate. La storia contenuta nel film di Phillip Noyce ha letteralmente “rubato” l’idea della riscoperta dei colori (e delle emozioni) a un altro grande film sottovalutato: Pleasantville. L’assegnazione di mansioni al compimento del 18° anno d’età assomiglia alla divisione in fazioni presente nel romanzo Divergent di Veronica Roth (dal momento che il romanzo della Roth è del 2011, mentre quello di Lowry è del 1993, sarebbe il film Divergent ad avere un “debito” con The Giver – Il mondo di Jonas; anche se entrambi i film sono del 2014!). L’estirpazione delle emozioni dall’animo umano è un chiaro riferimento al film Equilibrium di Kurt Wimmer; la società quasi apatica, senza classi e senza memoria di The Giver ricorda un po’ quella degli Eloi di H. G. Wells; l’iniezione mattutina per debellare gli impulsi sessuali e sentimentali è l’equivalente, in termini di controllo sociale, dell’assunzione di soma ne Il mondo nuovo di Aldous Huxley; l’amore controllato (e inibito) tra uomo e donna non può non rievocare il rapporto proibito tra Winston e Julia nel celebre romanzo 1984 di George Orwell. Per non parlare della deriva eugenetica, presente in numerose opere letterarie e cinematografiche fantascientifiche. Interessante il riferimento antiabortista (i bambini non conformi allo standard vengono “congedati”: un modo pulito per dire uccisi) e quindi antispartano contenuto nel messaggio filmico. Riferimento che potrebbe essere esteso anche al tema delicato e attuale dell’eutanasia: quando una società legifera sulla nascita, sulla morte e sui sentimenti ed emozioni contenuti nell’intervallo di tempo compreso tra questi due momenti, può definirsi libera? Sembrerebbe chiedersi la voce narrante di questa storia. Anche se, come accade nella realtà, non è la condizione esistenziale in sé ma la necessaria presa di coscienza a fare la differenza in termini di azioni da intraprendere.

L’idea di una società distopica “con il trucco” non è originalissima: nella maggior parte dei casi si tratta di società post-apocalittiche, perché deve esserci sempre un evento passato sconvolgente – una guerra, un’epidemia, una quasi estinzione – per far cambiare rotta all’umanità e per farle scegliere un nuovo inizio basato su scelte radicali applicate da un’oligarchia. Come a voler dire: “abbiamo sbagliato, è vero, ma da oggi in poi si riga dritto, con nuove regole e guai a chi sgarra!” Innumerevoli sono gli esempi, fantascientifici e non, letterari e cinematografici, di società apparentemente perfette ma che nascondono regole di vita disumane e innaturali: The Island film di Michael Bay, L’uomo che fuggì dal futuro (THX 1138) di George Lucas, La penultima verità (The Penultimate Truth) romanzo di Philip K. Dick, The Truman Show film di Peter Weir, La fuga di Logan (Logan’s Run) film di Michael Anderson, La possibilità di un’isola romanzo di Michel Houellebecq… ecc. Continuate voi: sono sicuro che avete almeno un titolo di film o di romanzo da aggiungere all’elenco!

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Antropico

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 26 settembre 2016 by Michele Nigro

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Il grado antropico

di sperdute contrade

non distrae la ricerca

del segno arcaico.

 

Un motore a scoppio

s’alterna alla pietra

muta testimone

o miliare muschiata,

al ronzio d’insetti

e al tonfo di frutti maturi

come questioni lasciate cadere.

 

Sincronia tra passi e cuore

su asfalti di campagna,

i pensieri metropolitani

diluiti da elementi naturali

attendono le piogge d’autunno.

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(foto M. Nigro)

Presepe morente

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 6 dicembre 2015 by Michele Nigro

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Nel rassegnato silenzio

di un presepe morente

la fortuna d’essere ignorati

e l’anarchica gioia

del ritrovarsi

non seguita da benedizioni.

Animo autunnale

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 18 ottobre 2015 by Michele Nigro

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Ho tentato di vivere ad oltranza

superando la capacità genetica a gioire

ricevuta in eredità dal caso

ma era ridicolo quello strafare inquieto

con cui tradivo la mia natura silente.

Scelsi uno sguardo corrucciato a coprire

la felice verità invisibile agli occhi dell’ovvio,

sviando il giudizio di masse superflue

con rari sorrisi come caramelle per stolti.

Brutta

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 9 ottobre 2015 by Michele Nigro

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Era affetta da quel tipo di bellezza

che obbliga alla perfezione

fino all’ultimo respiro del giorno,

movimenti studiati

alla scuola di geometria corporale

per non fallire in pubblico.

Quanta forza comica

si sprigionò, invece

dalla serena bruttezza

del tuo lasciarti stare.

Logiche autunnali

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 15 settembre 2015 by Michele Nigro

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“Lungo il transito dell’apparente dualità
la pioggia di settembre
risveglia i vuoti della mia stanza”

(“Nomadi”, Juri Camisasca)

 

Logiche autunnali

La gioia perversa del declino

Che cos’è l’autunno se non un’anti-primavera, una meta-stagione, un video reverse della natura, un’idea per canzoni e poesie, l’attesa gioiosamente malsana di un periodo sospeso senza energia e senza speranza, il movimento rallentato verso l’angolo spento di un ciclico andare?

Le ingenue illusioni primaverili e le forzate previsioni generate da un ottimismo solare lasciano il posto a un’assoluta e salvifica mancanza di pretese, non priva di fede: si attende il nulla con fiducia, il letargo dell’iniziativa con un’operosa umiltà, la contemplazione di un’apparente morte stagionale che invece è vita, sobria e sfornita di annunci vacanzieri.

Veni l’autunnu
scura cchiù prestu
l’albiri peddunu i fogghi
e accumincia ‘a scola [1]

Vi può essere felicità nell’immagine statica di muti rami spogli?

Mentre la primavera è un tempo durante il quale il corpo e la mente si preparano all’azione indispensabile e vincente, alla sensualità che previene i rimpianti per le occasioni perse, citate ne “Le passanti” di Fabrizio De André, l’autunno è la stagione del libero arbitrio, dell’atarassia e del disincanto: si può scegliere di seguire l’assopimento pre-letargico dettato dal momento o coltivare una non richiesta intraprendenza fuori tempo.

La sorpresa che possiamo offrire a noi stessi consiste nel traslare una vitalità scontata e pubblicizzata – silenziosamente ma con piglio inesorabile, mentre le foglie cominciano a cadere preannunciando la periodica fine di un necessario slancio riproduttivo – dall’epoca della linfa bollente a quella del freddo esistenziale che nasconde gallerie di ghiaccio percorse a sorpresa dall’aria calda di un’insospettabile passione. La scelta, compiuta in una fase durante la quale – a differenza dell’estate – nessuno pretende niente dagli altri, è più autentica, non sottoposta a pressioni dogmatiche travestite da favorevoli previsioni del tempo che inducono all’impresa.

Ho tentato di vivere ad oltranza

superando la capacità genetica a gioire

ricevuta in eredità dal caso

ma era ridicolo quello strafare inquieto

con cui tradivo la mia natura silente.

Scelsi uno sguardo corrucciato a coprire

la felice verità invisibile agli occhi dell’ovvio,

sviando il giudizio di masse superflue

con rari sorrisi come caramelle per stolti. [2]

L’uomo autunnale, lasciandosi forgiare dal silenzio che ama e cerca, pregusta la landa gelida del futuro imminente di cui sarà protagonista incontrastato il Generale di napoleonica memoria: egli, l’uomo dell’equinozio d’autunno, sorride dinanzi allo schermo grigio e uggioso dell’inverno intravisto all’orizzonte, lì dove altri rabbrividiscono, s’intristiscono, foto-deprimendo il loro ego, rifugiandosi in un nuovo e lontano miraggio primaverile, prigionieri di un ciclo meteorologico senza fine (nonostante, a dire di qualche cittadino non avvezzo alla campagna, non ci siano più le mezze…).

L’autunnalità non è mai stata solo una condizione meteorologica: perché, come recita il titolo di una canzoncina di Dear Jack, “La pioggia è uno stato d’animo”. È realmente autunno solo quando è autunno in te! Ci siamo convinti del fatto che siano le intemperie a influenzare la nostra interiorità emotiva – il che per alcuni, i meteoropatici ad esempio, e nella fattispecie i cosiddetti “depressi invernali” affetti da SAD (Seasonal Affective Disorder), è anche vero – mentre invece è esatto il contrario: vi può essere una “felicità perversa” (perversa per i discepoli della Dea Melanina) in un giorno senza sole, nel rumore della pioggia (“… Odi? La pioggia cade/su la solitaria/verdura/con un crepitío che dura/e varia nell’aria/secondo le fronde/più rade, men rade…” [3]), in un bosco innevato, nei lampi notturni come flash provenienti dalla macchina fotografica di un dio pronto a immortalare l’umana caducità, nell’impari lotta metropolitana a suon di soffiatori e rastrelli contro le feuilles mortes [4] simili a pensieri rinsecchiti raccolti alla fine di un’estate, nel vento forte che prepotentemente s’incunea nelle narici al punto da farci pensare – in preda a un inebriante senso di rianimazione – di non aver mai respirato fino ad allora… Felicità per un peggioramento del meteo che non metta a rischio, sia chiaro, l’incolumità degli abitanti di un territorio, come accade troppo spesso a causa di una trasandatezza amministrativa che sfocia in un dissesto idrogeologico mortale!

Vuoi mettere una giornata uggiosa

nuvole nere in cielo

minacciose e severe come matrigne

con la solare prevedibilità dell’io estivo?

Vorresti paragonare i misterici scrigni

e le magiche elucubrazioni

di un pomeriggio desolato e grigio

con i vortici popolosi delle feste?

“Datemi un temporale

una biblioteca

un gatto nero

… e vi trasmuterò il mondo!”

Un’acquosa aria elettrica

m’invita ad esplorare

i cauti incubi del quotidiano.

Vi ho mai parlato dei danni

che i raggi solari dell’ingenuo

mi causano sulla pelle dell’anima?

Lo spirito casalingo del fuoco

illumina i sapienti libri eterni,

lontano dai percorsi consueti

di un borghese “dì di festa”.

E speriamo che piova ancora. [5]

L’uomo delle solitarie passeggiate su strade di foglie morte ricerca la vita in quei luoghi in cui la maggioranza dei suoi simili ha smesso di cercarla, perché così è stato insegnato loro dal pratico buonsenso di un immaginario collettivo limitato.

E mi piaceva camminare solo
per sentieri ombrosi di montagna,
nel mese in cui le foglie cambiano colore,
prima di addormentarmi all’ombra del destino… [6]

La soddisfazione derivante da un’apparente stabilità esistenziale e la voglia di intraprendere un nuovo cammino a volte sono incompatibili: per cominciare una ricerca (fosse anche solo una quest vissuta nella nostra mente!) occorre avere il coraggio di mettersi in discussione, abbandonando le proprie comode certezze:

No, cosa sono adesso non lo so,
sono un uomo, un uomo in cerca di se stesso.
No, cosa sono adesso non lo so,
sono solo, solo il suono del mio passo. [7]

E l’inizio di un autunno è il momento propizio per entrare in crisi (dal latino crĭsis, dal greco κρίσις – krísis: “decisione”, “scelta”, “giudizio”, “separazione”…) perché:

Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull’età,
dopo l’estate porta il dono usato della perplessità…
Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità,
come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità… [8]

Un’esistenza rallentata ma rigogliosa pullula nei silenziosi sottoboschi tramortiti dai primi freddi mattini, compagni di soli pallidi e senza gloria che attendono di prevalere sulle nebbie come il sole di Austerlitz.

Non fa promesse l’autunno: esso semplicemente è, prendere o lasciare (ma lasciare per andare dove? Ai Caraibi, come quelli che inseguono l’estate per paura del freddo e del fisco?); immobile come la natura in pausa sul bordo nuvoloso dell’inverno; deciso preparatore atletico per tempi duri; severo come chi ha l’ingrato compito di annunciare ai presenti che la festa è finita.

L’autunno è un “tipo serio”, tempo assertivo nonostante il suo essere congiunzione, ma dotato di dolcezza e di comprensione infinite: ti lascia prendere le ultime cose da terra, ti attende sull’uscio, ti fa preparare le valigie con calma, senza la nevrosi dei viaggi estivi, mentre ti illustra con voce sussurrata il programma per i mesi successivi, ovvero mentre ti rivela che in realtà non c’è alcun programma, perché la vocazione dell’autunno è quella di essere zona sospesa dell’andare pubblico, angolo privilegiato per la riflessione che precede il cristallizzarsi degli intenti, attimo transitorio – e non ancora del tutto incantato – verso il gelo definitivo, nel corso del quale prendere le ultime decisioni sfuggite all’afoso caos agostano.

Sembra che ti metta fretta con la sua presenza: l’anno in fin dei conti è agli sgoccioli; ma l’autunno ti lascia libero dinanzi all’inesorabilità del nulla e della morte. Vuole che l’incontro tra te e l’infinito sia onesto e concreto, voluto anche se inevitabile; disintossica il ritmo della vita dalle frivolezze estive per far compiere all’uomo la sua scelta in maniera meditata ed equilibrata.

L’estate sta finendo e un anno se ne va,
sto diventando grande: lo sai che non mi va [9]

In realtà è bello invecchiare (“…Viva la Gioventù,/che fortunatamente passa,/senza troppi problemi…” [10]); o meglio: è bello raggiungere un’età – diversa per ognuno – in cui saggezza e possibilità di azione, esperienza e progettualità, siano in perfetto equilibrio. Saper convertire il “diventare grandi” da condizione opprimente a ottima opportunità, questo è o dovrebbe essere l’obiettivo del crescere. La fine dell’estate non deve essere vissuta come una feroce deprivazione da parte del tempo, bensì come una parentesi durante la quale analizzare in piena libertà e serenità il cammino compiuto, per raccogliersi in vista di nuove possibilità. E l’autunno, che segue questa fine, è il periodo ideale – più della primavera – per ricominciare: come accade durante l’imbrunire (… clemente è l’imbrunire/balsamo serale per animi piagati… [11]), è il momento in cui, liberati dalla morsa dei raggi solari, ci si confida di più, mimetizzati dalla semioscurità.

Poche le cose che restano alla fine di un’estate
La quiete dei colori autunnali si rifletterà sulle strade e sugli umori
Come il dolce malessere dopo un addio. [12]

Le carni espanse e sguaiate, cotte al sole dell’assurdo, rientrano nei ranghi di un’estetica composta; la mente spiaggiata su orizzonti impropri si ricompone pian piano, cercando pensieri semplici e familiari. L’umanità reduce dai flussi migratori del consumismo (in antitesi scaramantica a quelli recenti per disperazione, fame e guerre), spinta da paure ancestrali riproposte dalla saltuaria consapevolezza della sua precarietà su questo pianeta, comincia a trasformare e conservare i frutti raccolti dall’edulcorato entusiasmo estivo. L’uomo-conserva, adoperando barattoli e cotture prolungate, batte in ritirata accampandosi tra le mensole di una dispensa interiore, mentre l’uomo autunnale avanza con vitalità e passo coraggioso sotto le prime dolci piogge, come se si apprestasse a vivere l’occasione irripetibile e fanciullesca di una gelida estate.

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Principio di indeterminazione della rondine

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 28 giugno 2015 by Michele Nigro

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Vortici roteanti nell’aria calda

onorano primordiali istinti,

elettroni pomeridiani garriscono

tra i palazzi dell’uomo.

Verità granitiche si sfaldano

sotto i colpi della distinzione

e di cambi repentini di rotta,

l’occhio finito e amante della misura

osserva la particella dell’oggi

alterando la sua velocità nella storia.

Sospendo il giudizio dinanzi a presunte realtà

esisto in umile silenzio, senza emettere alcun suono

in attesa di dati liberi dall’opinione.

Temo che anche il mio respiro

condizioni i progetti dell’assoluto,

perché non conosco il destino

di quel turbinio di rondini.

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Limbo

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 26 Maggio 2015 by Michele Nigro

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Dilaniata da un doveroso incollare

pezzi rotti acrobatici,

intravedi

egoistiche dolci fughe

all’orizzonte.

Riesci a immaginare il bagnasciuga

sospeso tra il paziente spiegarsi

e la voglia di partire in silenzio?

È su quella striscia abbozzata

di parole vane e rabbia in sillabe

o nel mutismo di un fare introverso

che attendi, sopra una poltrona di valigie

la prossima marea ottimale.

La crasi del settimo anno

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 12 Maggio 2015 by Michele Nigro

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Il campo gravitazionale

del tuo culo filosofico

voluttuoso emblema divino

influenza questo dittongo

tra anime

libere dal senso del possesso

unite a un livello superiore

di energia resistente al tempo

e alla morte.

Emma Saponaro

"Cancella spesso, se vuoi scrivere cose che siano degne d'essere lette." (Orazio)

il giardino dei poeti

la poesia è la fioritura del pensiero - il miosotide non fa ombra alla rosa, ciascuno la sua bellezza

Pomeriggi perduti

quasi un litblog di Michele Nigro

Mille Splendidi Libri e non solo

"Un libro deve essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi"

Poetarum Silva

- Nie wieder Zensur in der Kunst -

Leggo e cammino

Amo leggere, amo camminare e amo fare le due cose insieme (non è così difficile come sembra)

Maria Pina Ciancio

Quaderno di poesia on-line

LucaniArt Magazine

Riflessioni. Incontri. Contaminazioni.

Fantascritture - blog di fantascienza, fantasy, horror e weird di gian filippo pizzo

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L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.

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