La poesia “Non andartene docile in quella buona notte”, letta in questo video da Michele Nigro, è tratta dalla raccolta “Poesie – Dylan Thomas” ed. Einaudi 2002, a cura di Renzo S. Crivelli, traduzione di Ariodante Marianni.
La poesia “Non andartene docile in quella buona notte”, letta in questo video da Michele Nigro, è tratta dalla raccolta “Poesie – Dylan Thomas” ed. Einaudi 2002, a cura di Renzo S. Crivelli, traduzione di Ariodante Marianni.
“Pomeriggi perduti”, è il titolo di una mia recente poesia, dove con il termine “perduti” non si vuole intendere persi, sprecati come i Wasted Years (Anni sprecati) degli Iron Maiden, ma piuttosto come l’Orizzonte perduto (Lost Horizon) di Frank Capra; pomeriggi presentati, forse, in una versione più ottimistica rispetto al Meriggiare pallido e assorto di montaliana memoria: l’isolamento conclamato e la solitudine lasciano spazio a un ascolto speranzoso; l’oltre inaccessibile diventa a tratti addirittura raggiungibile seppure indefinibile.
Perduti ovvero ‘che si perdono nel tempo’, perché senza cronaca, come certi insegnamenti ancestrali, muti, trasportati dal vento o incastonati nella pietra (e a volte liberati e fatti risuonare, come nel caso delle sculture sonore di Pinuccio Sciola); insegnamenti che non legano con le cose del tempo presente ma in un certo qual modo fanno parte del mondo, stanno al mondo per essere appresi da chi li riconosce.
L’elogio della lontananza (il sottotitolo) – come presa di distanza fisica dal caos ma soprattutto come un distanziarsi cognitivo dai falsi saperi della società civile – diventa così necessario, indispensabile: lontananza dai rumori, dall’elettricità che ha fatto progredire il mondo, è vero, ma lo ha anche reso distratto, nevrotico, iperinformato ma ignorante e perennemente occupato a inseguire una verità creata ad arte.
Così come potrebbero essere perduti, stavolta nel senso di sprecati, per chi questa spina, di tanto in tanto, non riesce proprio a staccarla.
Quando ci mettiamo in ascolto e facciamo vuoto dentro e fuori di noi, allora l’universo ci parla sul serio, insegna cose… anche se non sappiamo quali. “Sentiamo” di aver appreso, ma non chiedeteci di più! Assorbiamo saperi non detti, indefinibili, dinanzi ai quali la parola è impotente, inutile, superflua come certe faccende del mondo. Saperi che, però, ci trasformano lentamente; registriamo una saggezza non umana contenuta negli oggetti naturali, nelle forme antiche persistenti nonostante il progresso, in quelli che Ludovico Einaudi ha definito, musicalmente parlando, Elements.
Solo nella lontananza possiamo compiere questo miracolo laico.
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Esegesi de “La monotonia”
Alcuni pensano di poter separare la poesia dalla cronaca, il mondo noumenico dei versi da quello immanente dei fatti quotidiani. Quali analogie intercorrono tra la difficile decisione di mettere in vendita, ad esempio, una vecchia casa di campagna appartenente a una famiglia da più generazioni, frequentata con una riverente abitudine, e l’elogio della flessibilità di Mario Monti? Apparentemente nessuna. Come accade durante un telegiornale senza audio, supportato da musiche casuali che evocano notizie alternative: “Interrompere le connessioni associative” – scrivevo qualche post fa!
La monotonia sembra essere diventata un problema nazionale, oltre che personale. Sentiamo l’esigenza di abbandonare antichi schemi familiari in vista di orizzonti esistenziali flessibili: il ricordo, la tradizione, i luoghi e gli oggetti pregni di significato, rappresentano al tempo stesso un peso fastidioso da cui liberarsi e i simboli necessari, archetipici direi, che nutrono la nostra individualità. Da una parte sentiamo di non poter fare a meno di certe ‘fonti storiche’ personali, dall’altra siamo consapevoli che la vera evoluzione interiore (e fenotipica) ha bisogno di interruzioni draconiane. Anche la semplice vendita di un ‘oggetto’ di famiglia può scatenare una serie piuttosto articolata di contrasti interiori, alimentati dal pragmatismo di chi vive accanto a noi:
Mi chiedono da anni
di svendere il passato
la mia storia
i luoghi familiari
i ricordi di chi non c’è
gli oggetti consueti.
Per una manciata di soldi sporchi.
Sul versante socio-economico un accademico prestato alla politica, il Presidente del Consiglio Mario Monti, suggerisce ai giovani di non essere monotoni e di non legarsi all’idea del mitico ‘posto fisso’: una tipologia lavorativa ormai scomparsa da decenni a cui, pur volendo, sarebbe difficile legarsi. La monotonia della prevedibilità esistenziale e occupazionale contro l’elogio della mobilità:
“Bisogna guardare avanti!”
Proiettati verso un futuro vivace
ma senza identità.
La perdita dell’identità deriva dalla mancanza di sicurezza economica e dalla svendita del patrimonio storico personale: vogliono ridurci a produttori-consumatori privi di significato. Il precariato, diluito nella flessibilità della cosiddetta new economy, diventa paradossalmente sinonimo di vivacità imprenditoriale e di antidoto alla monotonia.
Poi mi accorgo che il passato
è già morto.
Sopravviveva fino a ieri
nella mia mente stanca
grazie a un’illusione tiepida
che oggi non ho più voglia
di perpetuare.
Alla fine ci si arrende. Convinti che in fin dei conti è bello accettare la sfida lanciata dall’insicurezza: rimanere legati a certe logiche non ripaga; che è eccitante cambiare, evolvere, sciogliersi in soluzioni estemporanee, svendersi… Avanzare fiduciosi, rimanendo fermi nella novità effimera del presente. Seppellire il passato solido per non fare confronti scomodi con un futuro precario. Il senso d’appartenenza rinforza l’anima ma al tempo stesso l’appesantisce con un patrimonio genetico superato. La ripetizione uccide la creatività esistenziale. Voltare pagina per salvarsi grazie all’ebbrezza di un divenire nebbioso: la stabilità è un disvalore che può condurre a morte il nostalgico; la mente costruisce catene illusorie in grado di bloccare la freschezza autoimprenditoriale perché siamo ossessionati dall’idea che lo strappo con il passato sarà doloroso e non crediamo nella possibilità di nuovi scenari.
L’Italia non può e non deve essere un paese per monotoni: il futuro appartiene ai lavoratori multitasking. Fare un solo lavoro è da sfigati! (Martone docet). Il romantico fatalismo mediterraneo è un cancro da estirpare dalla mentalità dell’italiano medio: bisogna essere dei convinti sostenitori della flessibilità. Cambiare lavoro (o trovarne uno) e andare oltre la cortina densa del passato personale è, tutto sommato, abbastanza facile. Basta volerlo. Basta impegnarsi.
Non avevo capito niente.
Grazie Mario!
Quando parliamo di canzone siamo abituati a riferirci, per merito o per colpa di un certo condizionamento sanremese, a un tipo di componimento musicale e vocale caratterizzato da un filo logico ben evidente, le cui parti (introduzione – strofa – ritornello – strofa – inciso musicale – finale) soddisfano una coerenza ‘scolastica’ di fondo. La “trama” di queste canzoni è facile da individuare ed è per questo motivo che riescono a rispettare certi parametri standard accettati dalla maggioranza: “Canzone vocale. Musica destinata al popolo, di facile presa e assimilazione, si giovò agli inizi di elementi colti e popolari…” (fonte Wikipedia)
Se c’è un cantautore italiano che ha avuto il coraggio, nonostante le sue primissime esperienze nel mondo della musica leggera siano state proprio di stampo popolar-commerciale, di tagliare il cordone ombelicale dal rischio di standardizzazione, questo è senza alcuna ombra di dubbio Franco Battiato. La scelta di abbandonare certi stilemi inflazionati gli è valsa fin da subito la definizione di “cantante difficile”. Una definizione piuttosto ‘superficiale’ che serve all’ascoltatore medio per giustificare la propria pigrizia nei confronti di un tipo di ‘canzone’ che innegabilmente richiede (per non dire esige) volontà e amore per la ricerca (interiore e culturale in senso lato): alcune canzoni che potremmo definire ‘facili’ nascondono, dietro una struttura apparentemente scontata, una complessità tematica non trascurabile; la ‘difficoltà’ insita nell’ascolto dei brani musicali di Battiato riguarda, secondo il mio umile punto di vista, l’eterogeneità dei messaggi contenuti che non fornisce un appiglio sicuro e stabile a chi, invece, ha bisogno di sicurezze non solo nella ‘vita materiale’ di tutti i giorni ma anche mentre ascolta una canzone. Ascoltando un brano di Battiato (mi riferisco al periodo durante il quale Battiato è stato anche autore dei testi) ci accorgiamo quasi sempre dell’inesistenza di una “trama”, di una struttura logica che ingabbia l’esperienza spazio-temporale dell’ascoltatore. Lo scopo di Battiato non è quello di confezionare un “raccontino musicato” per soddisfare il romanticismo dei molti, ma di descrivere atmosfere, stati d’animo immutabili, condizioni interiori, passioni carnali, ricerche spirituali adattabili all’uomo dell’antica Grecia e all’umanità tecnologica del terzo millennio:
<<… Le tue strane inibizioni
che scatenano il piacere
lo shivaismo tantrico
di stile dionisiaco
la lotta pornografica dei Greci e dei Latini
la tua pelle come un’oasi nel deserto ancora mi cattura
ed è bellissimo perdersi in quest’incantesimo…>>
(tratto da Sentimiento Nuevo)
E’ evidente che una siffatta canzone non può trovare riscontro tra chi sente l’esigenza semplicistica e appagante della rima “cuore-amore”. La canzone reinventata da Battiato ha il compito non dichiarato di sradicare l’ascoltatore dalle sue abitudini sonore per proiettarlo verso nuovi scenari esotici ed esoterici. Battiato non è assillato dall’idea di doversi ‘giustificare’ con gli ascoltatori: mette a disposizione sprazzi di esperienza (viaggi, letture, pensieri, doni meditativi, attimi, fotogrammi esistenziali, sfumature antropologiche, echi del passato, visioni, traguardi interiori, se necessario ingenuità…) su tappeti musicali di volta in volta differenti e che hanno il compito di veicolarli. Spetta all’estimatore/ascoltatore, partendo dai dati forniti in maniera apparentemente affastellata, compiere una ricerca capace di ripercorrere all’inverso (dalla foce alla sorgente) i cammini culturali proposti dal cantautore andando al di là della musica e in alcuni casi anche al di là dei testi. Le frasi ‘esoteriche’ che a volte ritroviamo nei testi delle canzoni di Battiato rappresentano delle “tracce” da sviluppare: è l’ascoltatore che sceglie il grado di penetrazione della propria ricerca. Sviluppare queste tracce, però, non significa essere sicuri di raggiungere la verità assoluta: ripercorrere determinati sentieri può aiutarci a creare empatia tra noi e il nostro cantautore, e a condividere le sue esigenze spirituali. Ma l’unicità dell’esperienza interiore è irriproducibile.
Come è possibile, allora, seguire (capire) un simile cantautore?
C’è chi si abbandona a una semplice e per certi versi comoda ‘istintualità sonora’: lasciarsi trasportare verso paesaggi interiori rivitalizzati dalla musica, senza porsi troppe domande di natura ‘esegetica’; c’è chi, invece, tenta (e sottolineo ‘tenta’) di interpretare ‘cerebralmente’ e di contestualizzare le intenzioni testuali del cantautore, fornendo una ‘mappatura’ biografica, culturale e discografica.
Annino La Posta, autore del libro intitolato “Franco Battiato. Soprattutto il silenzio” (ed. Giunti – 2010), fornisce al lettore gli elementi necessari per la costruzione di questa ‘mappa’ esistenziale e discografica, senza avere la pretesa di ‘congelare’ il lavoro interpretativo sulla musica o sui testi di Battiato (-Sgalambro) perché, come dice lo stesso autore nella prefazione: “il compito che un libro come questo è chiamato ad assolvere è quello di mostrare, di chiarire, di rendere più fruibile una materia complessa, cercando di dare la misura di un autore tanto singolare.” Pur essendo consapevoli, aggiungo io, che la complessità per sua natura non può essere contenuta ma solo temporaneamente arginata e rallentata. Giusto per avere il tempo di osservarla e fotografarla. Il libro di La Posta è un testo utile che possiede una struttura ‘enciclopedica’: il racconto, diviso in gruppi di anni (si parte dall’intervallo temporale 1945-1971), riguardante la vita personale e artistica di Franco Battiato, si alterna a ‘schede’ che hanno il non facile compito di ‘spiegare’ – brano per brano! – gli album musicali finora pubblicati dal cantautore siciliano. Fino al 2009.
Un gran bel viaggio attraverso la vita e le opere di un grande uomo e di un grande cantautore. Buona lettura.
No! Effettivamente a pensarci bene è proprio vero: Madonia e Battiato non avrebbero mai potuto vincere Sanremo. Ed è stato un bene perché, anche se non seguo mai il festival e quest’anno è stata un’eccezione dovuta appunto alla presenza del Maestro, ho confermato un aspetto di questo celebre ‘concorso canoro’ italiano che già conoscevo da tempo: la gente che segue Sanremo vuole sognare, desidera stare bene, amare, sentirsi amata… Tutto il resto è fatica. Caso mai affrontare, grazie a qualche canzone ‘impegnata’, alcuni temi scottanti di interesse sociale, ma senza toccare ‘percorsi interiori’ insoliti e fastidiosamente soggettivi.
Ecco che quindi, e giustamente direi, ottiene la vittoria un grande cantautore come Vecchioni che sottolinea magistralmente il bisogno di amore che c’è in ognuno di noi: l’amore come antidoto al decadimento personale e generale…
Non potevano vincere Madonia e Battiato con un testo come quello del brano “L’alieno” perché è una ‘canzone’ che istiga al movimento, alla presa di coscienza; è un brano che provoca consapevolezza anche se lo fa in maniera lieve. L’italiano medio già sufficientemente stressato dalla vita quotidiana fatta di traffico, bollette, crisi lavorative, instabilità politica, non poteva ‘accollarsi’ pure le sensazioni di estraneità di Luca Madonia.
Ma analizziamo il testo per renderci effettivamente conto dei contenuti ‘esoterici’, seppure addolciti, presenti ne “L’alieno”:
Vago per la strada
In cerca di occasioni nuove
Ma non mi basta mai quello che vedo
Passo tra gli odori
E tra gli umori della gente
Che mi sfiora indifferente
Il movimento è alla base della Vita; il cosmo è movimento: i dervisci tanto cari a Battiato hanno trasformato questo concetto antico quanto il mondo in danza, una danza che è preghiera. Per migliorare il proprio ‘stato’ bisogna mettersi in cammino, esplorare, cercare, domandare… Il ‘vagare’ dell’autore non è goliardico o disperato: si vaga apparentemente senza meta e con soavità ma l’obiettivo è già presente in noi, anche se non lo sappiamo. Abbiamo solo bisogno di materializzare l’oggetto del nostro cercare, incontrandolo. Le ‘occasioni nuove’ non sono sempre frivole: conoscere altre persone, esplorare i loro microuniversi, è un’esperienza esaltante se ce ne rendiamo conto. Le ‘occasioni nuove’ sono anche le strade interiori non percorse e le possibilità spirituali scartate perché faticose. Ma l’insoddisfazione è sempre in agguato: il non accontentarsi non è segno di isteria ma dovrebbe rappresentare la ‘molla’ con cui spingerci verso ‘nuovi stati di coscienza’. Se ciò che vediamo non ci soddisfa vuol dire che dobbiamo conquistare nuovi orizzonti interiori ed esteriori: non si tratta di capricci ma di segnali d’allarme da prendere seriamente in considerazione. Questo nostro stato d’ipersensibilità ci rende reattivi persino agli odori, ed è un bene: l’animo ‘artistico’ non dà niente per scontato; tutto diventa ‘traccia’ da seguire. E si riesce a percepire l’umore di chi non conosciamo e ci sfiora tra la folla: siamo come ‘carte assorbenti’ e questa condizione, quando non siamo preparati, ci mette in crisi e ci disturba. In realtà questa condizione è un vero ‘stato di grazia’ da accogliere come una benedizione divina. In quei momenti siamo persone ‘a colori’ in un mondo in bianco e nero: saper gestire questa ‘grazia’ è difficile; anzi è difficile proprio riconoscerla come tale. La gente che non conosce il nostro stato interiore ci sfiora indifferente e non lo fa con cattiveria: è se stessa. La gente è così sempre; noi siamo così sempre.
Colgo l’occasione
Di una estate al mare
Dell’aria un po’ confusa per colpa del calore
Io seguivo con lo sguardo
L’onda sulla spiaggia
Che arriva sempre uguale e tutto si ripete
Ci distraiamo facendo ‘cose normali’: in realtà vorremmo tornare a essere indifferenti come gli altri ma non ci riusciamo. Ce ne andiamo al mare per assopire quella strana sensazione provata in città, ma anche lì questa singolare iperestesia dell’anima fa bene il suo lavoro e ci ‘tortura’: la confusione non ci distrae; il calore non ci rende più malleabili. Un elemento naturale cattura la nostra attenzione: anche il ripetersi del movimento marino è per l’autore un messaggio ‘filosofico’. Il messaggio dice che quando siamo ‘normali’ e anestetizzati dall’illusione di considerarci liberi non ci rendiamo conto invece di essere schiavi di un meccanismo ben preciso e collaudato nei secoli: tutto si ripete nella storia dell’uomo e noi siamo prigionieri di un cliché. Anche un’innocente onda marina ce lo ricorda. E lo sguardo dell’uomo in crisi non perdona: segue e registra ogni cosa. Sappiamo che le ‘cose naturali’ devono ripetersi ‘per natura’: ma la sensazione di prigionia e di ripetizione si riferisce ad altro, ad una condizione umana che con un po’ d’impegno potrebbe essere spezzata, o almeno migliorata.
E tu, tu non mi basti più
Io sono solo in questa vita
E forse come te mi sento
Io vivo nei panni di un alieno che non vola
Che non mi assomiglia ma
Io vivo ai margini di una vita vera
E non mi riconosco
Anche la persona più importante della nostra vita non riesce a colmare il vuoto interiore; quella stessa persona a cui mesi o anni prima avevamo consegnato speranze, progetti, idee, sentimenti, illusioni, ricordi, quella stessa persona ora appare estranea ai nostri occhi: anch’ella fa parte del meccanismo che si ripete. O forse quel “tu” è riferito non a una persona in carne ed ossa ma a una passione, un mestiere, una scelta vitale che ha perso senso a causa di un contesto alienante. Inevitabile, a questo punto, la sensazione di solitudine. Neanche il contatto fisico con la persona amata, forse, riesce a placare il bisogno di ricerca che va oltre la salda quotidianità di una coppia collaudata. Ciò accade perché si tratta di un’insoddisfazione superiore, che supera i bisogni ordinari. Tentiamo un approccio empatico per salvare il salvabile: – chissà, forse anche tu ti senti come me e io potrei così rimanere legato a una persona – sembra sperare l’autore. Ma è un’illusione, l’ultima: perché questo è un viaggio che va affrontato in solitudine.
"Cancella spesso, se vuoi scrivere cose che siano degne d'essere lette." (Orazio)
la poesia è la fioritura del pensiero - il miosotide non fa ombra alla rosa, ciascuno la sua bellezza
quasi un litblog di Michele Nigro
"Un libro deve essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi"
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Amo leggere, amo camminare e amo fare le due cose insieme (non è così difficile come sembra)
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