Due interviste analoghe, intitolate “Fantascienza, religione, politica e…”, sono apparse sull’interessante sito “Fabbricanti di Universi”: la prima delle due interviste è quella già nota ai Lettori di “Nigricante”, realizzata da me e rivolta ad Antonio Scacco in occasione del 25° anniversario della nascita di “Future Shock”; l’altra realizzata dall’ideatore di “Fabbricanti di Universi”, Roberto Paura, e rivolta a un altro esponente di spicco della fantascienza italiana, Gian Filippo Pizzo, curatore insieme a Walter Catalano dell’antologia di fantaresistenza “Ambigue utopie” e in procinto di realizzare una nuova antologia di racconti dedicata alla “fantareligione”.
Le due serie di domande pur partendo da argomentazioni simili (appunto la fantascienza, la politica, la religione…), danno vita a delle risposte diametralmente opposte, come opposti sono i punti di vista dei due intervistati. Chi frequenta il fandom da anni sa benissimo che Antonio Scacco e Gian Filippo Pizzo sono due intellettuali ideologicamente agli antipodi: ed è proprio per questo motivo che l’accostamento delle due interviste risulta essere interessante. Solo dal confronto antitetico nascono la vera cultura e la vera informazione.
Anche le Edizioni Scudo danno spazio alla mia intervista a Scacco. Annuncia su FacebookLuca Oleastri, illustratore e grafico, uno dei fondatori delle Scudo: <<Invece delle solite “chiacchiere da bar” sulla fantascienza, vi invitiamo a leggere l’interessantissima intervista a cura di Michele Nigro ad Antonio Scacco, decano del fandom italiano con la sua fanzine “Future Shock” (che esce da 25 anni) e personaggio assai controverso per il suo approccio ideologico alla SF.
Se siete dei veri appassionati di fantascienza non potrete che intervenire in merito alle “carte” messe in campo da Sacco. Buona Lettura!>>
Interessante anche il commento già postato nelle news da Giorgio Sangiorgi, scrittore e saggista, cofondatore delle suddette edizioni.
Facciamo insieme un riassunto delle puntate precedenti.
Sul n.15 della interessantissima rivista di sci-fi “Fondazione” egregiamente fondata e curata da Claudio Chillemi ed Enrico Di Stefano, un saggio di quest’ultimo intitolato “Strane forme di vita – ovvero la SF dove non avreste mai creduto di trovarla” poneva ai Lettori una domanda scomoda ma necessaria: “È tramontata l’era della Fantascienza?” E dopo aver evidenziato lo straordinario polimorfismo di questa meravigliosa branca della creatività umana, l’Autore concludeva affermando: “La Fantascienza moderna… ormai è percepita più come genere cinematografico che letterario.”
Nel successivo n.16 l’Autore Nando Messina, già cofondatore della storica fanzine “Zap”, lettore di “Fondazione” e appassionato di fantascienza, rispondeva in maniera ironica al saggio di Di Stefano con un intervento articolato e surreale (non riassumibile in questa sede e che invito tutti a leggere direttamente dalla fonte cartacea).
Quasi all’inizio del suo intervento Nando Messina, inoltre, riservava parole lusinghiere nei confronti del mio racconto pubblicato sul n.15: […] Perché sento l’esigenza di confutare quanto scritto da Lui? (riferendosi a Enrico Di Stefano, n.d.b.) Nella catena, realizzatore – produttore – fruitore, io entro solo come piccolo lettore di sci-fi, ma perché, dopo aver letto, sempre sullo scorso numero (n.15, n.d.b.), il breve racconto di Michele Nigro “L’ultimo Tramonto” ho passato venti minuti ad assaporarne il retrogusto delle atmosfere e a rileggere alcuni passi, e tutto il seguente pomeriggio di vacanza al mare ad immaginare la realizzazione del film basato sul racconto, dall’adattamento alla scelta delle scenografie e persino alle musiche? […]
Azzardo alcune ipotesi interpretative: Nando Messina confuta il “pessimismo” di Di Stefano (sfruttando di fatto l’esempio fornito dal mio racconto) affermando, in un certo qual modo, che la Fantascienza non potrà mai evolvere in fenomeno puramente cinematografico fino a quando esisteranno Autori in grado di creare storie a loro volta capaci di attivare l’immaginario del Lettore anche (e non solo) in senso cinematografico: il “film” nasce prima di tutto nel cervello del “semplice” Lettore. Le riduzioni cinematografiche hollywoodiane sono un fenomeno secondario anche se apparentemente prevalente e il Regista, insieme allo Sceneggiatore, è egli stesso – dimenticarlo sarebbe intellettualmente grave e ingiusto nei confronti di chi scrive – un lettore.
Sentendomi piacevolmente tirato in ballo dall’intervento di Messina e non contento del mio ruolo di lettore passivo avevo preso, come si usa dire in questi casi, “carta e penna” (o “tastiera e mouse”, se preferite!) e avevo fornito il mio modesto contributo alla discussione (qui di seguito riportato). Contributo, tra l’altro, inviato anche alla stessa Redazione della rivista “Fondazione” in vista di un possibile, futuro sequel riguardante le numerose domande sul destino del genere letterario fantascientifico.
Buona lettura.
“Manca l’analisi e poi non c’ho l’elmetto”
Stimolato dalla domanda postaci da Nando Messina nella rubrica “Fondazione Interventi” dello scorso numero 16, pag.56 – “Può finire tutto senza scomparire?” – ho tentato di dare, prima di tutto a me stesso e per ciò che riguarda la cosiddetta “fantascienza sociologica”, una risposta capace di soddisfare almeno uno dei molteplici aspetti storico-letterari insiti nella domanda.
Cito Messina: “Poi lentamente, nel corso degli anni ’80, tutto questo (riferendosi alle tematiche sci-fi del XIX e XX secolo, n.d.a.) finisce. Gli ultimi fuochi si chiamano “cyberpunk”. […] All’inizio di questo secolo non potei fare a meno di chiedermi cosa fosse successo…”
Il senso di “diluizione”, percepito dall’autore della domanda, nell’ambito della letteratura fantascientifica è condivisibile. E fa bene a non escludere il Cyberpunk e il suo upgrade Postcyberpunk dagli ultimi tentativi, seppur timidi e poco incisivi, di critica sociale. Il divario tra la possente “cosmogonia distopica” di Orwell, Huxley, Zamjatin, Bradbury, Boye, Dick e la sterile adorazione del “dettaglio orfano di una trama” è fin troppo evidente: gli effetti speciali hollywoodiani hanno prevalso, alla fine, sui grandi contenuti della letteratura.
Quale è la causa di questo indebolimento? Durante l’epoca precedente alla caduta programmata a tavolino del famigerato Muro di Berlino la gente aveva (o credeva di avere) le idee chiare: esistevano un al di là e un al di qua della cortina. Anche se il totalitarismo sovietico, sapientemente celato dietro scenari futuristici, non è stato l’unico obiettivo della fantascienza distopica “partorita” durante buona parte del cosiddetto secolo breve, ne ha rappresentato la colonna vertebrale. Molte persone, dopo il disfacimento dell’Unione Sovietica, sono entrate in una profonda crisi esistenziale perché è venuto a mancare un solido punto di riferimento su cui concentrare le proprie “misurazioni” sociali, politiche, ideologiche e religiose: la diluizione del “male” esige, oggi, un’analisi più accurata e non di tipo ideologico. Il “nemico esterno” è divenuto parte integrante della famiglia e ammicca ogni sera dallo schermo (uno qualsiasi), ma nessuno lo vede! Il gioco si è complicato. Il Cyberpunk ha solo sfiorato il problema dei nuovi “totalitarismi bianchi”.
Il disagio espresso da chi avverte la presenza di un “buco tematico” nella moderna letteratura fantascientifica non è solo frutto della nostalgia: il confronto con le opere sci-fi lette in passato evidenzia maggiormente il tipo di carenza, senza risolverla. Cantava Venditti anni fa: “… Manca l’analisi e poi non c’ho l’elmetto…” Non si tratta, per dirla in parole povere, di inventarsi nuove strane società da dare in pasto ai lettori di sci-fi vogliosi di evasione o di coniare nuovi termini futuristici per stupire chi è già saturo di una terminologia tecnologica di uso quotidiano. Occorrerebbe un’analisi particolareggiata e al tempo stesso grandangolare della società moderna e il coraggio (l’elmetto) di raccontarla in una distopia che è quasi realtà, senza scomodare improbabili secoli futuri. Le note dolenti della cosiddetta “fantascienza sociologica”, descritte durante il secolo scorso dai maestri della sci-fi distopica, le stiamo “suonando” ora, pur non trovandoci in Unione Sovietica, pur credendo di essere liberi. Ma non c’hanno detto su che tipo di spartito le avremmo trovate. Il compito di riconoscerlo, almeno quello, spetterebbe a noi. Il compito di riconoscere le nuove dittature dolci travestite da “partiti dell’amore” spetta a noi e non ad autori morti decine e decine di anni fa.
La “matrice” in cui viviamo oggi ha disabilitato il nostro “olfatto”: occorrono, pertanto, nuovi livelli di ricerca, nuovi stadi e stati di consapevolezza, differenti obiettivi interiori non individuabili dai sondaggi di mercato, nuove scelte di vita difficili da scannerizzare.
Ed è per questo motivo che occorrono riviste come “Fondazione”: capaci non solo di proporre ai propri Lettori le voci nuove, seminuove e rodate del panorama sci-fi italiano, ma soprattutto di diventare luoghi cartacei adatti per la coltivazione di una critica dinamica e stimolante.
Non possiamo più attendere solo il romanzo rivelatore o l’intervista all’autore pluripremiato per conoscere lo “stato dell’arte”: occorre discuterne qui, ora, tra di noi, subito, senza perdere tempo. La Storia è veloce; il Punto di non ritorno è ormai vicino!
[…] Ma non è soltanto un problema della fantascienza. Il gap generazionale si è verificato in tutti i settori del libro, qualsiasi sia il genere letterario. Mancanza di rincalzi, tutti persi dietro l’eterna incantatrice. Non c’è più tempo per leggere, punto e basta. E questo ci porta alla seconda domanda.
Perché non ci sono più fandomiani? Ma, benedetto il cielo!, chi glielo dà, appunto, il tempo a ‘sti poveri ragazzi?
Decalogo del bravo fandomiano:
1) leggere;
2) leggere prima di tutto fantascienza, ma non solo;
3) leggere prima di tutto fantascienza, ma non solo e cercare di capire;
4) leggere prima di tutto fantascienza, ma non solo e cercare di capire e di rielaborare;
5) leggere per puro piacere;
6) esporre a quante più persone la propria passione e cercare di coinvolgerle;
7)partecipare a qualche pubblicazione amatoriale o addirittura fondarla;
8 ) partecipare alle manifestazioni di genere;
9) scrivere di fantascienza su pubblicazioni nemiche;
10)anteporre la fantascienza a tutto (denaro, ragazza, vita, ecc.)
Ora per rispettare questo decalogo occorre avere tempo. Ciò significa lasciar perdere la televisione (a meno dei film di fantascienza), lasciar perdere la play station e i vari giochi, lasciar perdere le ore passate al telefonino (senza parlare mai con nessuno o di cose serie), usare internet con moderazione e tornare a una vita sociale (quella in cui ci si vede, occhi contro occhi, muso contro muso). […]
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