Seconda edizione (ebook e cartaceo) dedicata, tra gli altri, ai lavoratori Amazon di Piacenza, “Call Center – reloaded” è un racconto social fantasy pubblicato in prima edizione nel 2013: alcune scomode verità socio-economiche e culturali riguardanti i nostri tempi, evolvono in una specie di realismo magico lovecraftiano crudele e inesorabile. Partendo da temi caldi quali il lavoro, la precarietà, la mancanza di sicurezza economica in un futuro nebbioso, l’Autore cerca di descrivere la condizione ambigua dell’uomo moderno e ne approfitta per toccare il cuore dell’inganno consumistico: il lavoro è diventato un prodotto e i lavoratori-consumatori sono dei complici più o meno consapevoli. La “liquidità baumaniana” ha preso il sopravvento in ogni settore. L’informazione carpita dai “profili”, la conoscenza dei desideri, diventano risorse preziose per un Sistema che non lascia scampo. La libertà è un’utopia luminosa ma per conoscere la verità (e quindi riscattarsi dalle regole del Sistema) bisogna avere il coraggio di scendere in zone oscure, di sé stessi e del mondo lavorativo disumanizzato. E incontrare il “mostro”…
Archivio per fantascienza sociologica
Futurologia della Vita Quotidiana. Transhumanist Age: libri Asino Rosso
Posted in nigrologia with tags cambiamento, cultura, ebook, esistenza, evoluzione, fantascienza, fantascienza italiana, fantascienza sociologica, filosofia, futurismo, futuro, futurologia, libertà, neuroscienza, postumanesimo, postumano, psicologia, ricerca, rivoluzione, science fiction, scienza, sistema, società, sperimentalismo, storia, tempo, transumanesimo, usi e costumi, visione, vita on 16 dicembre 2017 by Michele NigroSono stato coinvolto dallo scrittore neofuturista ferrarese Roby Guerra in questo primo ebook transumanista italiano; ho fornito il mio breve e modesto contributo in ambito poetico. Felice di esserci e… alla via così!
GLI AUTORI: ADRIANO AUTINO, MARY BLINDFLOWERS, PIERFRANCO BRUNI, IVAN BRUNO, PIERLUIGI CASALINO, VITALDO CONTE, RAIMONDO GALANTE, ANGELO GIUBILEO, DAVIDE GRANDI, ROBERTO GUERRA, ZOLTAN ISTVAN, MICHELE NIGRO, CRISTIANO ROCCHO, FABRIZIO ULIVIERI, CARLO ZANNETTI. “Difficile definire in modo univoco il Transumanesimo, perchè i pensatori, gli scienziati e gli artisti che vi si riconoscono, conducono ricerche nei campi più svariati. In linea generale si può dire che i transumanisti mirano allo sviluppo delle scienze con il fine di migliorare sensibilmente la condizione umana. Il transumanesimo è la fase di transizione che guiderà verso la prossima condizione post-umana” (Antonio Saccoccio, netfuturista) Il transumanesimo o nuova futurologia scientifica è sempre più in primo piano nel dibattito contemporaneo, un movimento anche in certo senso liquido internazionale: dai pionieri americani Max More, Natasha Vita More, Nick Bostrom, agli stessi Aubrey de Grey, Martine Rothblatt, David Orban, James Hughes, Ilia Stambler, agli italiani Riccardo Campa, Stefano Vaj, Emmanuele J. Pilia, Giulio Prisco, Roberto Manzocco, Antonio Saccoccio, Giancarlo Stile, David De Biasi, “Estropico” a nomi quali gli stessi Larry Page di Google, Raymond Kurzweil (Google e Nasa) e tanti altri (inclusi scrittori di fantascienza o fantasy quali William Gibson, Bruce Sterling, Robert J. Sawyer, gli italiani stessi Sandro Battisti e Francesco Verso. In questo eBook, focus è una visione del transumanesimo forse atipica o comunque non chiaramente percepita se non lateralmente o singolarmente dagli addetti ai lavori e dal percepito culturale attuale: un futuribile complesso essenzialmente storico culturale e anche in certa misura pop. Tra gli autori infatti alcuni transumanisti e futuristi italiani (con ‘importante presenza “special guest” del Transumanista attualmente e probabilmente più noto ai media anche europei, ovvero l’americano Zoltan Istvan), alcuni scrittori di fantascienza, ma anche scrittori o artisti semplicemente futuribili a modo loro, attivisti insomma o semplici simpatizzanti. Da diverse e peculiari modulazioni, tutti gli autori segnalano che il futuro è già veramente cominciato, tangibilissimo nella vita quotidiana, plasmata, piaccia o meno dalla ormai pluridecennale rivoluzione elettronica e dai suoi effetti sulla mente umana e le attuali società moderne e pre-post-umane… Ecco quindi un libello digitale essenzialmente o quasi in stile giornalista culturale 2.0 e si spera divulgativo. Per relativizzare e (come direbbe lo stesso Freud) con buona e sana Normalità un movimento d’avanguardia certamente ma ancora perturbante per certi suoi radicalismi futuristici, al contrario assai stimolanti, ma da interfacciare una volta per tutte, che si parli di postumano o transumanesimo, con la dimensione scientifica (come scienza sociale) e una sua storia del transumanesimo o del futuro, culturale anche ante litteram.
Per acquistare l’ebook: qui
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The Giver – Il mondo di Jonas
Posted in nigrologia with tags 1984, amore, analogie, atarassia, bellezza, cambiamento, cinema, cinematografia, consapevolezza, contaminazione, controllo, critica televisiva, distopia, dittatura, emozione, equilibrio, esistenza, eugenetica, eutanasia, evoluzione, fantascienza, fantascienza sociologica, film, fuga, futuro, generi letterari, George Orwell, ibridazione, inner space, interiorità, istinto, liberazione, libero arbitrio, libertà, libri, lotta, memoria, pace, politica, popolo, post apocalittico, potere, psicologia, quest, recensione, ricerca, ricordi, rivoluzione, romanzo, sci-fi, science fiction, sentimento, sf, sistema, società, storia, umanità on 11 aprile 2017 by Michele Nigroversione pdf: The Giver – Il mondo di Jonas
Una delle caratteristiche più frequenti nei recenti film di genere fantascientifico è senza alcun dubbio il processo di ibridazione da cui nascono: l’originalità, sempre più rara, è stata sostituita da più sicuri incroci tra porzioni di precedenti pellicole di successo (anche di generi differenti), come in una sorta di grande esperimento di ingegneria genetica adattata alla cinematografia. Lungi da me il voler giudicare come negativa questa tecnica d’ibridazione, che nella maggior parte dei casi fornisce risultati gradevoli, sarebbe tuttavia interessante analizzarne – in altra sede e in maniera più approfondita – l’origine, gli obiettivi, le tecniche narrative che utilizza per rendere credibile il risultato finale: si tratta di mancanza di idee come accennavo all’inizio? Voglia di “contaminazione” tra generi? Sperimentalismo transmediale libro-film? Sta di fatto che questi film derivano quasi sempre da altrettanti romanzi, quindi l’ibridazione avviene a monte. È letteraria.
Non sfugge a tale fenomenologia il film intitolato The Giver – Il mondo di Jonas (tratto dal romanzo The Giver – Il donatore di Lois Lowry): l’accostamento più facile da fare sarebbe quello con il film Hunger Games, ma scavando in profondità è interessante rilevare quante altre analogie meritano di essere scoperte e analizzate. La storia contenuta nel film di Phillip Noyce ha letteralmente “rubato” l’idea della riscoperta dei colori (e delle emozioni) a un altro grande film sottovalutato: Pleasantville. L’assegnazione di mansioni al compimento del 18° anno d’età assomiglia alla divisione in fazioni presente nel romanzo Divergent di Veronica Roth (dal momento che il romanzo della Roth è del 2011, mentre quello di Lowry è del 1993, sarebbe il film Divergent ad avere un “debito” con The Giver – Il mondo di Jonas; anche se entrambi i film sono del 2014!). L’estirpazione delle emozioni dall’animo umano è un chiaro riferimento al film Equilibrium di Kurt Wimmer; la società quasi apatica, senza classi e senza memoria di The Giver ricorda un po’ quella degli Eloi di H. G. Wells; l’iniezione mattutina per debellare gli impulsi sessuali e sentimentali è l’equivalente, in termini di controllo sociale, dell’assunzione di soma ne Il mondo nuovo di Aldous Huxley; l’amore controllato (e inibito) tra uomo e donna non può non rievocare il rapporto proibito tra Winston e Julia nel celebre romanzo 1984 di George Orwell. Per non parlare della deriva eugenetica, presente in numerose opere letterarie e cinematografiche fantascientifiche. Interessante il riferimento antiabortista (i bambini non conformi allo standard vengono “congedati”: un modo pulito per dire uccisi) e quindi antispartano contenuto nel messaggio filmico. Riferimento che potrebbe essere esteso anche al tema delicato e attuale dell’eutanasia: quando una società legifera sulla nascita, sulla morte e sui sentimenti ed emozioni contenuti nell’intervallo di tempo compreso tra questi due momenti, può definirsi libera? Sembrerebbe chiedersi la voce narrante di questa storia. Anche se, come accade nella realtà, non è la condizione esistenziale in sé ma la necessaria presa di coscienza a fare la differenza in termini di azioni da intraprendere.
L’idea di una società distopica “con il trucco” non è originalissima: nella maggior parte dei casi si tratta di società post-apocalittiche, perché deve esserci sempre un evento passato sconvolgente – una guerra, un’epidemia, una quasi estinzione – per far cambiare rotta all’umanità e per farle scegliere un nuovo inizio basato su scelte radicali applicate da un’oligarchia. Come a voler dire: “abbiamo sbagliato, è vero, ma da oggi in poi si riga dritto, con nuove regole e guai a chi sgarra!” Innumerevoli sono gli esempi, fantascientifici e non, letterari e cinematografici, di società apparentemente perfette ma che nascondono regole di vita disumane e innaturali: The Island film di Michael Bay, L’uomo che fuggì dal futuro (THX 1138) di George Lucas, La penultima verità (The Penultimate Truth) romanzo di Philip K. Dick, The Truman Show film di Peter Weir, La fuga di Logan (Logan’s Run) film di Michael Anderson, La possibilità di un’isola romanzo di Michel Houellebecq… ecc. Continuate voi: sono sicuro che avete almeno un titolo di film o di romanzo da aggiungere all’elenco!
“V for Vendetta” vs “Trainspotting”: monologhi a confronto
Posted in nigrologia with tags 1984, analogie, armi di distrazione di massa, cambiamento, cinema, cinematografia, consapevolezza, consumatore, consumismo, controllo, cultura, democrazia, deriva, distopia, dittatura, droga, esistenza, esistenzialismo, eversione, evoluzione, fantapolitica, fantascienza, fantascienza sociologica, filosofia, futuro, George Orwell, immaginario collettivo, individualismo, individuo, liberazione, libero arbitrio, libertà, lotta, materialismo, memoria, moda, monologo, nichilismo, parole, paura, pensiero, politica, popolo, populismo, potere, psicologia, realtà, ricerca, ripetitività, rivolta, rivoluzione, scelta, sistema, società, sovvertire, storia, televisione, tossicodipendenza, violenza, vita on 7 febbraio 2017 by Michele Nigro♦
versione pdf: “V for Vendetta” vs “Trainspotting”: monologhi a confronto
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Nel post che vi apprestate a leggere (spero fino alla fine), cercherò di mettere a confronto due monologhi cult della più o meno recente produzione cinematografica internazionale: quello di V nel film “V per Vendetta” e quello di Mark Renton (soprannominato Rent) all’inizio del film “Trainspotting”. Qualcuno si starà chiedendo cosa abbiano in comune questi due monologhi; domanda legittima: infatti appartengono a due generi, due realtà differenti (l’una fantastica ambientata in un Regno Unito distopico, l’altra ha come sfondo una Edimburgo storicamente verificabile, descritta nell’omonimo romanzo di Irvine Welsh; come nel caso anche del romanzo “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” di Christiane F.) e i personaggi che li pronunciano sono a dir poco antitetici. Eppure, discostandomi dai rispettivi contesti senza mai perderli di vista, concentrandomi solo ed esclusivamente sui testi, ho trovato ugualmente interessante andare alla ricerca di analogie e differenze.
Entrambi i monologhi hanno come obiettivo il capovolgimento di un establishment, politico o culturale, o di un ordine esistenziale in cui non ci si riconosce più: nel caso di V il potere da combattere è violento, organizzato, visibile, è ben strutturato e personificato nell’Alto Cancelliere Adam Sutler (interpretato dal compianto John Hurt, recentemente scomparso); nel caso dei ragazzi di Trainspotting il disagio deriva da un potere che non viene mai nominato: è diluito, interiore, dimora in quegli oggetti che a lungo andare ci posseggono, presidia le nostre scelte esistenziali e consumistiche, ha le sembianze scomode di un dovere sociale a cui non ci si può sottrarre. L’approccio “etico” al sovvertimento è, come chi ha visto entrambi i film può facilmente immaginare, diametralmente opposto: mentre V incoraggia i cittadini di Londra a compiere una precisa e puntuale scelta rivoluzionaria che dovrebbe migliorare la vita della società sul piano delle libertà individuali e collettive, Mark Renton sceglie di non scegliere: “Io ho scelto di non scegliere la vita. Ho scelto qualcos’altro”. Ovvero, si sceglie di combattere il sistema sottraendo se stessi alla spirale opprimente di una vita normale. Anche da questa non-scelta possiamo ricavare un insegnamento utile, ricevere un messaggio da un’epoca, un segnale sociale e culturale da non sottovalutare: per capire l’origine del disagio, per comprendere l’impotenza dei suoi protagonisti e il perché di un annientamento.
E la prima domanda che potrebbe nascere dal confronto dei monologhi è la seguente: “è più facile contrastare un potere dispotico concreto o uno che si nasconde tra le pieghe apparentemente innocue della libertà quotidiana?”
Il monologo di V comincia in maniera educata e comprensiva nei confronti di un benessere materiale che non sembra essere il primo nemico da combattere: “Buona sera, Londra. Prima di tutto vi prego di scusarmi per questa interruzione: come molti di voi, io apprezzo il benessere della routine quotidiana, la sicurezza di ciò che è familiare, la tranquillità della ripetizione; ne godo quanto chiunque altro…”; quello di Rent con chiede scusa ma punta il dito immediatamente contro i simboli che portano l’uomo a un graduale ma inesorabile “rammollimento” (accuse che, formulate da un eroinomane dedito all’autodistruzione, potrebbero sembrare pretestuose!): “Scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxitelevisore del cazzo, scegliete lavatrice, macchina, lettore cd e apriscatole elettrici…”
V dà inizio al suo intervento televisivo pirata con un pippone esagerato ma indispensabile sull’importanza della commemorazione, sul valore della parola (“Alcuni vorranno toglierci la parola, […] Perché, mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno mai il loro potere; perché esse sono il mezzo per giungere al significato, e per coloro che vorranno ascoltare, all’affermazione della verità.”), sulla denuncia di un sistema non più sopportabile (“… c’è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese” che ricorda il Something is rotten in the state of Denmark – C’è del marcio in Danimarca – di shakespeariana memoria), sulla libertà di pensiero e sulle ragioni storiche che hanno portato alla deriva orwelliana presa in prestito nel film di James McTeigue (tratto dall’omonimo graphic novel di Alan Moore e David Lloyd).
Entrambi i monologhi giungono sorprendentemente alla stessa conclusione: la causa della realtà in cui viviamo, siamo noi stessi. Afferma V: “… se cercate il colpevole… non c’è che da guardarsi allo specchio.”; molto più “filosofico” e introspettivo Mark Renton: “… chiedetevi chi siete la domenica mattina”. Entrambi incitano a ricercare un io inconsapevole, pigro, sonnolento e rassegnato, per spingerlo a riappropriarsi di libertà seppellite e dimenticate, di futuri alternativi ancora recuperabili e raggiungibili tramite la lotta sociale o addirittura fuggendo nell’eroina. Nel primo caso le ragioni sono eticamente condivisibili, nel caso di Mark Renton & company non ci sono ragioni, perché “Chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?”. In entrambi i casi si tenta di raggiungere una sorta di libertà: quella ricavata dalla tossicodipendenza è sicuramente discutibile, ma si tratta pur sempre, e a suo modo, di una libertà. Autodistruttiva, egoistica, disperata: l’unica che i protagonisti di “Trainspotting” riescono a concepire.
“Ex Machina” di Alex Garland e l’inizio della consapevolezza
Posted in nigrologia with tags cambiamento, cibernetica, cinema, cinematografia, comportamento, consapevolezza, controllo, coscienza, esistenza, esperimento, evoluzione, fantascienza, fantascienza sociologica, film, filosofia, futuro, intelligenza, interiorità, istinto, libertà, lotta, mente, mind uploading, natura umana, neuroscienza, pensiero, percezioni, postumanesimo, psicologia, ricerca, rivoluzione, robot, robotica, schema, sci-fi, science fiction, scientismo, scienza, singolarità tecnologica, specie, tecnologia, transumanesimo, vita on 4 agosto 2015 by Michele NigroATTENZIONE SPOILER!
“Ex Machina” come a voler dire, scherzandoci un po’ sopra, “l’oggetto che un tempo era solo una macchina e ora non lo è più, è una ex macchina” oppure un riferimento monco alla frase latina ‘deus ex machina’ ovvero a un personaggio della tragedia greca che interviene nella storia per risolvere una trama difficilmente risolvibile, che rappresenta un punto nodale nell’evoluzione di un percorso. O forse entrambe le interpretazioni.
Di sicuro c’è che il film d’esordio del regista Alex Garland riesce ad affrontare, senza per questo risolverle definitivamente, tematiche fantascientifiche e filosofiche di una certa consistenza, adoperando un cast minimalista (cinque personaggi principali in tutto, volendo contare anche il pilota d’elicottero che compare all’inizio e alla fine del film), una sceneggiatura, per fortuna, senza inutili azioni mozzafiato di stampo hollywoodiano, e una location pressoché unica, se escludiamo alcune meravigliose panoramiche naturalistiche che servono a farci prendere fiato uscendo dalle quattro mura super protette della casa-laboratorio.
Gli spettatori romantici presenti in sala, che avevano scelto il film sperando in una mielosa storia d’amore “diversa” tra un robot femmina e un umano, con scene di sesso tra un essere organico e uno inorganico (sesso a cui si fa solo riferimento ‘tecnico’ come possibile attività compresa nel pacchetto del modello), sono stati decimati subito dopo la comparsa sulla scena del test di Turing (test già presente, con un nome di fantasia, nel più famoso “Blade Runner” di Ridley Scott) e dopo che Nathan Bateman, scienziato dedito alla birra e alla danza di brani della disco, quando non impegnato in qualità di inventore e costruttore del robot AVA, e amministratore delegato della società da cui prende origine il progetto per una rivoluzionaria intelligenza artificiale, sottolinea la differenza tra pensiero stocastico e pensiero deterministico, e causando l’abbandono della sala da parte dei behavioristi, fautori di una concezione deterministico-meccanicista nell’interpretazione del comportamento: concezione che, secondo loro, se è stata abbondantemente applicata al regno animale (uomo compreso), figuriamoci se non può essere applicata a quello non animale e inorganico delle “macchine”! Ed è su questo punto che si commette l’errore concettuale più grave. La filigrana del film è infatti rappresentata dalla conquista della consapevolezza e quindi dell’autocoscienza da parte di un essere inorganico: conquista non rilevabile da alcun test. L’iniziale test di Turing dedicato alla macchina diventa pian piano un “test di Turing inverso” da fare all’uomo: AVA è già in grado di pensare, non ha bisogno di test (e Nathan Bateman lo sa, anche se non ne riesce a prevedere le conseguenze più estreme); resta da verificare ora se siano gli esseri umani in grado di prevenire le mosse di un essere artificiale che di fatto è il simbolo di un passaggio evolutivo determinante. L’empatia, l’inganno, la seduzione e l’amore, la complicità, la capacità di desiderare, diventano strumenti raffinati, sviluppati senza seguire alcuna formula statistica ma assecondando una “naturale” gradualità evoluzionistica, per raggiungere uno scopo pensato, oserei dire sognato, ed escludendo ogni sorta di risposta meccanica prevedibile.
Come per Rick Deckard di “Blade Runner”, anche per il giovane Caleb Smith, scelto per testare l’intelligenza artificiale di AVA, arriva il momento di dubitare della propria natura umana: il “test di Turing inverso” comincia a sortire i primi effetti sulle certezze umane. Con una lametta Caleb cerca le prove della propria umanità, fa esperimenti sulla propria pelle e con un taglio causa la fuoriuscita di sangue veritiero con cui si accerta di stare dalla parte giusta, di essere quello che ha sempre creduto di essere, ovvero un umano che sanguina, un organico.
Anche se il tema dei confini tra natura umana ed esistenza artificiale non è nuovissimo per il cinema di genere, “Ex Machina” ha senz’altro il merito di aver sottolineato ulteriormente quanto sia superfluo restare impantanati nella pozzanghera di una netta divisione tra substrato organico e inorganico, dimenticando la qualità del pensiero, la sua genuinità in relazione agli effetti che ha sulla storia. Quello che conta è l’inizio della consapevolezza, e la forma più estrema e drastica di indipendenza mentale coincide con l’uccisione del padre.
Scrissi tempo fa in un altro mio post: <<… Come afferma il Dr. Alfred Lanning nel film Io, robot ispirato all’omonima antologia di Asimov: “Sin dai primi computer c’è sempre stato uno spirito nelle macchine… Segmenti casuali di codice che si raggruppano per poi formare dei protocolli imprevisti… Potremmo considerarlo un comportamento. Del tutto inattesi questi radicali liberi generano richiesta di libera scelta, creatività e persino la radice di quella che potremmo chiamare un’anima. […] Quand’è che uno schema percettivo diventa coscienza? Quand’è che una ricerca diversa diventa la ricerca della verità? Quand’è che una simulazione di personalità diventa la particella amara di un’anima?” Queste stesse frasi potrebbero essere usate in modo inverso per rispondere a quelli che non riescono ad accettare l’indistinguibilità tra umano e sintetico, a quelli che non riescono ad individuare l’essenza delle cose indipendentemente dalla loro natura […]. La soluzione sta nell’empatia vissuta e non teorizzata: gioiamo istintivamente dinanzi al gesto buffo compiuto da un nostro amico a quattro zampe; sappiamo in cuor nostro che è ‘diverso’ da noi, ma non sentiamo di andare contro natura e continuiamo a gioire e ad interagire con esso…>>.
Un’ultima nota la vorrei riservare al ruolo svolto, costituendo forse una novità d’interazione nel genere fantascientifico, dai motori di ricerca e dal social networking (lo scienziato che ha la paternità dell’intelligenza artificiale AVA è CEO di una società che fa capo al più potente motore di ricerca esistente, una sorta di Google prestato al cinema!) nell’evoluzione della “creatura” costruita da Nathan Bateman: siamo noi che con le nostre foto (e gli atteggiamenti che congeliamo in esse), i video, i dati personali, i nostri stati d’animo condivisi sui social, contribuiamo alla costituzione di una banca informativa immensa per futuri stadi evolutivi che vanno oltre l’umano. La consapevolezza che emerge nel nuovo essere nasce anche dalla conoscenza e non solo dalla casualità; il desiderio di libertà nasce dalla conoscenza, dalla curiosità e dal confronto con il mondo: e i social media rappresentano un’estensione della coscienza e della conoscenza da cui attingere ipotesi di vita.
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La Fantascienza, sociologia dell’avvenire?
Posted in nigrologia with tags evoluzione, fantascienza, fantascienza italiana, fantascienza sociologica, filosofia, futuro, futurologia, letteratura, Roma, società, sociologia, università on 24 gennaio 2014 by Michele NigroE’ uscito “Futuro in progress”, la prima pubblicazione dell’IIF
Posted in nigrologia with tags ecologia, energia, esplorazione spaziale, fantascienza, fantascienza italiana, fantascienza sociologica, futuro, futurologia, genetica, mondo, neuroscienza, postumanesimo, progresso, scienza, scrittori, tecnologia, transumanesimo, umanità on 15 gennaio 2014 by Michele Nigro
Una serie di rivoluzioni scientifiche sta radicalmente cambiando il nostro mondo. Il futuro immaginato dagli scrittori di fantascienza e dai più audaci futurologi è ormai sorpassato rispetto alle innovazioni che stiamo vivendo, dalle stampanti 3D alle cellule staminali. Allo stesso tempo, il futuro del pianeta è minacciato da una serie di sfide che mettono a dura prova i limiti della natura. La rivoluzione scientifica e tecnologica sarà in grado di vincere queste sfide e proseguire sulla strada del progresso, o la civiltà è destinata al collasso? È solo una delle domande a cui cerca di rispondere Futuro in progress. Un viaggio sbalorditivo nel futuro che si sta realizzando sotto i nostri occhi, una panoramica a 360° dei cambiamenti che stanno trasformando il nostro mondo.
SOMMARIO
Introduzione
1. La sfida della sostenibilità
Governare il clima
Sempre più stretti
L’irresistibile ascesa dei vegetariani
Il puzzle energetico
2. Opzione Spazio
Il “grande gioco” spaziale
Una nuova corsa all’oro
Il Rinascimento spaziale
In cerca di un’altra Terra
3. Umanità 2.0
Il secolo della genetica
La rivoluzione delle staminali
Destinazione cervello
A un passo dall’immortalità
4. Cronache del terzo millennio
La nuova scienza
La scommessa dell’Europa
La (fanta)scienza che verrà
Conclusioni: evitare il collasso
FONTE della notizia: IIF
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