Archivio per filosofia

“Archetipi poetici”: videointervista a Elio Parisi

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 24 dicembre 2018 by Michele Nigro

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Francesco Innella è uno dei curatori dell’antologia “Archetipi poetici” (AA.VV.), di recente pubblicazione: ha rivolto all’artista Elio Parisi non solo domande riguardanti l’antologia in cui è presente con suoi componimenti, ma anche lo “stato dell’arte” in ambito poetico, la ricerca di una propria poetica, l’evoluzione del linguaggio…

videointervista realizzata presso “Artè – Sala da tè & caffè culturale”, Battipaglia (Sa). Videoripresa: Michele Nigro.

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Antologia “Archetipi Poetici”: intervista all’Autore Pasquale Fernando Giuliani Mazzei

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 13 dicembre 2018 by Michele Nigro

versione pdf: intervista a Pasquale Fernando Giuliani Mazzei.

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Antologia “Archetipi Poetici”: intervista all’Autore

Pasquale Fernando Giuliani Mazzei

 

a cura di Francesco Innella e Michele Nigro

 

Qual è o quale dovrebbe essere, secondo te, la funzione della poesia nella società attuale? Chi fa poesia oggi, come si muove nel contesto socio-culturale o come dovrebbe muoversi?

La poesia è evocazione perché non è prosa descrittiva ma è ritmica, ovvero, è certamente sintesi anche del mondo di cui è contemporanea ma, non descritto nella lingua quotidiana del discorso libero, bensì in versi, che sono un’elaborazione metrica dell’elaborato prosastico, tuttavia senza esserne la tautologia, anzi, esprimendo l’antipatia tra creatività e banalità.

Anche nella società condizionata dal solipsismo cronico procurato dall’uso irresponsabile dei social media, la funzione eziologica di ogni forma d’arte rimane catartica, perché esprime il criterio critico del suo autore che si rivela soltanto se non si isola nell’elitarismo ma è dialettico.

Come nasce la tua poesia? Potresti “illustrarci” la tua poetica e dirci quali sono le caratteristiche peculiari del tuo linguaggio poetico? Quali poeti ti hanno ispirato?

Presumo che, come per tutti, la mia poesia nasca dalla semplice esigenza di comunicare le mie emozioni, cioè, di scandagliare il profondo della mia personalità e di confrontarlo con la realtà attuale; dunque, attraverso la poesia tento di esprimere le mie opinioni individuali, sociali e politiche anche con una ricerca filologica delle parole, italiane, dialettali, straniere, risalendo alla origine del fonema e del linguaggio gestuale primario.

I miei poeti preferiti sono Omero, Virgilio, Dante Alighieri, Thomas Stearns Eliot, Pier Paolo Pasolini, John Lennon, Carole King ed altri.

Quale è stato il criterio con cui hai scelto le dieci poesie inserite nell’antologia “Archetipi Poetici”? Quale tra esse ti rappresenta di più?

Nella scelta delle mie poesie, ho provato a dissipare i miei dubbi ricostruendone il percorso cronologico e diversificato nelle lingue, negli stili e, forse, quella che mi rappresenta di più tra di esse, è la prima inserita nell’antologia, “Composizione n.1”.

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“La ricerca di senso all’epoca dei social” presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 26 novembre 2018 by Michele Nigro

Giovedì 29 novembre 2018, ore 15.30

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“La ricerca di senso all’epoca dei social: un’attuale querelle des anciens et des modernes.
Facilitazioni e deragliamenti nella ricerca di nuovi significati esistenziali attraverso le strategie comunicative dei social ed il loro uso ed abuso”.

FONTE: qui!

Letture Heideggeriane all’UniSa

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , on 25 novembre 2018 by Michele Nigro

FONTE: qui!

Antologia “Archetipi Poetici”: intervista all’Autore Francesco Innella

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 11 novembre 2018 by Michele Nigro

versione pdf: intervista a Francesco Innella

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Antologia “Archetipi Poetici”: intervista all’Autore Francesco Innella

 a cura di Michele Nigro

 

Qual è o quale dovrebbe essere, secondo te, la funzione della poesia nella società attuale? Chi fa poesia oggi, come si muove nel contesto socio-culturale o come dovrebbe muoversi?

Il poeta oggi ha perduto la sua funzione di “vate” ed è inserito nella società effimera dell’apparenza, per cui fare poesia significa, alla fine, la creazione di un genere letterario che diventa sempre più specifico, che desta soltanto l’interesse di una ristretta cerchia di cultori perdendo, in maniera forse irreversibile, il favore del grande pubblico.

Il poeta si trova in contatto con un sottobosco molto variegato, formato dai concorsi letterari, per lo più a pagamento, che sono inutili, dalle riviste specializzate, in cui non è facile entrare, dalle case editrici a caccia di autori che pubblicano a proprie spese (la cosiddetta EAP, editoria a pagamento, n.d.r.). Come ci si può orizzontare in un mondo simile? Molti poeti preferiscono rinchiudersi nelle loro torri d’avorio.

Come nasce la tua poesia? Potresti “illustrarci” la tua poetica e dirci quali sono le caratteristiche peculiari del tuo linguaggio poetico? Quali poeti ti hanno ispirato?

Un giorno fui posseduto dal daimon e sentii che il mio destino era segnato: dovevo diventare uno spazio vuoto, dove una voce estranea detta.

Ho sempre coltivato il verso breve, suggestionato dall’ermetismo.

Il mio percorso poetico è stato all’inizio esistenziale, ero legato al disagio della vita contemporanea, poi sono passato alla poesia filosofica, fino ad approdare a una poesia “sapienziale”. Rivolta alla scoperta dell’Io interiore. In seguito ho scoperto l’haiku: una forma sintetica di poesia nata in Giappone, essenziale ed illuminante, una vera forma poetica di meditazione.

Il mio vero maestro è stato Cesare Pavese: ho assimilato il suo modo di costruire la poesia, grazie a lui ho imparato il mestiere di poeta e poi me ne sono distaccato.

Quale è stato il criterio con cui hai scelto le dieci poesie inserite nell’antologia “Archetipi Poetici”? Quale tra esse ti rappresenta di più?

Ho preferito inserire poesie legate alla quotidianità, al dato esistenziale, a quelli che sono i conflitti umani che non si risolvono mai, perché nessuno ne ha la volontà. Quella che più mi rappresenta è Viaggio Astrale.

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Tornando dal bosco…

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 settembre 2018 by Michele Nigro

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Ernst Jünger, nel suo “Trattato del ribelle”, intimava ai non piegati di “passare al bosco”, per coltivare in clandestinità le proprie idee… Un “consiglio” simile lo diede anche il buon Henry David Thoreau in “Walden ovvero Vita nei boschi”.

Tornando da una meravigliosa “passeggiata” in un bosco della mia terra, percorrendo una strada lastricata di pietre, che s’inerpica immersa in una galleria verde, conducendo il camminatore verso la cima di un monte definito sacro dagli “indigeni”, dove una grande croce di ferro illumina le notti della valle sottostante, confermando la presenza di un Cristo che veglia sugli uomini deboli e peccatori, mi sono chiesto a dispetto di Jünger e Thoreau: “cosa portiamo indietro con noi, invece, ritornando dal bosco?”

Panni impolverati, sudati, a volte infangati o con tracce d’erba; uno zaino da rimettere a posto, in attesa della prossima avventura; scarponi da lucidare; un po’ di muscoli indolenziti dalla salita e qualche piccola vescica sotto i piedi da bucare; le consuete riflessioni, che accompagnano il cammino, sulle esperienze esistenziali finite e sulla vita che, imperterrita, mi attende… Tutto nell’ordinario. Dopo una doccia rigenerante che lava via il sudore, è il turno delle foto naturalistiche scattate durante la salita (e la discesa) da “scaricare” sul computer: restano impresse nella mia mente — non lavate via insieme alla polvere — le immagini (più importanti di qualsiasi foto) della bellezza ammirata, pregata, celebrata, quella che fa arrestare il passo ogni dieci metri perché vuoi vedere e gustare quella parte di bosco da un’angolazione un tantino diversa dalla precedente. E sì perché la natura non si ripete, non è mai la stessa: ad ogni passo la combinazione tra rocce, terra, alberi, radici, arbusti, foglie cadute, rami secchi, tronchi marci, funghi, ciclamini, ragnatele, felci, dirupi che costeggiano il cammino, luce che trapela dall’alto attraverso il fitto fogliame, è destinata a mutare. Non esiste un risultato di questa combinazione uguale a un altro; e allora non puoi proprio perderti quel “quadro”, quell’istantanea irripetibile, quel fotogramma di un film documentario in cui sei attore, stavolta, e non spettatore passivo. Vuoi imprimerla in te la combinazione. E ti fermi cento, diecimila volte… Come a voler ridire, ancora incredulo, a te stesso più che alla natura: “ma è cosa mai che sei così bella?” E sai anche che ciò che immortali con la tua macchina fotografica sarà sempre poca cosa rispetto alla bellezza vista direttamente, attraverso la retina dell’occhio, grazie anche alla rielaborazione del nostro amato cervello.

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Volto di donna

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 Maggio 2018 by Michele Nigro

Rosaria Costa Schifani

Isoliamo l’audio. Per un attimo, solo per un attimo, mettiamo da parte le parole struggenti, arrabbiate, diventate “storia nazionale” e ormai parte del nostro immaginario collettivo, pronunciate da Rosaria Costa (nella foto), vedova dell’agente di Polizia Vito Schifani, uno dei componenti della scorta al giudice Giovanni Falcone, ucciso durante la strage di Capaci il 23 maggio 1992. Togliamo il sonoro, “dimentichiamo” la lettera disperata ma decisa letta a Palermo dalla vedova Schifani durante il funerale degli agenti e dei due magistrati, e concentriamoci su questo volto di donna immortalato in una suggestiva foto della giornalista Letizia Battaglia. Leggiamolo; leggiamo le parole non dette…

Quello che vediamo è il volto di una donna ferita, intimamente ferita, anche se la genuina bellezza di giovane madre ventiduenne contrasta l’affiorare di indelebili segni dolorosi: il fuoco disperato è tutto dentro, è un fuoco agitato le cui lingue si manifesteranno nelle parole che in questo caso abbiamo deciso di non riascoltare.

Un “titolo laico” potrebbe essere: Madonna con occhi chiusi, in preghiera o in procinto di leggere su un foglio alcune cose da dire agli uomini della mafia, lì presenti; occhi chiusi e senza lacrime visibili perché già tutte versate, sono finite o riassorbite dalla rabbia. La bocca è semiaperta: quelle labbra stanno per pronunciare parole di perdono ma anche di condanna e di disincanto. Labbra ancora troppo giovani per restare sole; labbra strappate a una vita di coppia appena cominciata. Sono labbra che chiedono giustizia e che sembrano domandarsi “dove è finita quella vita felice promessa ai miei ventidue anni?”. Labbra di mamma che dovrà dare risposte, un giorno, a un figlio appena nato. E ai tanti figli acquisiti che incontrerà in un doveroso cammino appena iniziato.

Ma è anche un volto costretto a dividersi tra luce e ombra, un prima e un dopo lo scoppio di Capaci. Luce e ombra simili alle molte ombre e alle conquistate luci che accompagnano ancora oggi un’esecuzione di mafia diversa da tutte le altre: eclatante, spettacolare, “esagerata”. In quel tritolo mandanti ed esecutori concentrarono tutta la rabbia di una Cupola decapitata, processata, condannata, che aveva giurato di presentare il conto.

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The Truman Show

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versione pdf: The Truman Show

dedicato a tutti quelli che

non hanno una telecamera nella testa

 

Davvero viviamo una vita decisa e organizzata da altri? O meglio, davvero crediamo di vivere la nostra vita, quella scelta da noi, di essere i timonieri delle nostre giornate, di conoscere chi siamo e perché ci troviamo in un determinato posto e non in un altro? Conoscenza e azione sono elementi inscindibili: l’una influenza l’altra; e in mezzo dovrebbe abitarvi un necessario risveglio. Alcuni tirando in ballo, giustamente, il “Mito della Caverna” di Platone, anche se nello show di cui ci apprestiamo a discutere, nessuno è materialmente incatenato. Infatti non c’è peggiore catena di quella mentale. Il libero arbitrio, in realtà, è una leggenda illuministica, basata su un’eccessiva fiducia in ciò che crediamo di sapere. L’autentica libertà si realizza quando giochiamo a carte scoperte, quando prendiamo le nostre decisioni dopo aver conosciuto tutte, o quasi tutte, le amare verità che accompagnano la nostra esistenza, al di là dei sensi e della dimostrazione scientifica. Al di là delle presunte verità religiose che ci vengono impartite fin dalla più tenera età: ci tranquillizziamo sapendo di essere stati creati da una divinità, che tutto è già stato deciso, che la nostra funzione su questa terra è già stata calcolata. Perché preoccuparci dunque? Perché cercare risposte, essere infelici aspirando a qualcos’altro? Ateo è chi non accetta la “sceneggiatura” scritta da un Creatore non televisivo.

The Truman Show, film del 1998 diretto da Peter Weir e interpretato dal bravissimo Jim Carrey, sembrerebbe essere la versione mainstream (e anticipatoria, almeno dal punto di vista della cronologia d’uscita delle pellicole) della Matrix – del 1999 – delle ormai Sorelle Wachowski. Una versione popolare, addolcita dalla implicita comicità di Carrey, ma non priva di implicazioni filosofiche scomode, dolorose, difficili da digerire: noi non conosciamo niente della nostra vita; per anni e anni portiamo avanti un copione che ci fa stare bene, né felici né infelici ma stabili, che rende morbido tutto il nostro andare, un cliché adottato senza battere ciglio. “Noi accettiamo la realtà del mondo così come si presenta, è molto semplice” afferma Christof, il creatore-regista del Truman Show, che con quel suo nome da redentore è in realtà garanzia di artificiosità e inganno.

Facciamo parte di uno spettacolo protettivo che ci accoglie fin dal primo vagito e, se nel frattempo non ci poniamo domande devianti, ci accompagna con dolcezza verso la tomba, lì dove saremo costretti finalmente a essere autentici, immobilmente noi stessi. Uno spettacolo forte di secoli, millenni di esperienza, di sovrastrutture collaudatissime, infallibili. Se Truman è inconsapevole del fatto di essere la star di uno spettacolo mondiale, noi siamo, eccome, coscienti del nostro essere controllati e monitorati: partecipiamo con le nostre “dirette” sui social al grande spettacolo messo in piedi dai vari Christof della new economy, dagli ideatori di un iperrealismo mediatico che sta fagocitando la semplice realtà (si legga, a tal proposito, il post “Cyberfilosofia” di Jean Baudrillard). Se non sei live non sei nessuno, se non rendi partecipi gli altri di ciò che fai e di dove sei (geolocalizzazione), non conti. Sei asocial. Se non sei in diretta, allora non lo stai vivendo! Se non entri anche tu nella Casa, se non ti confessi pubblicamente davanti a una telecamera, non farai mai la differenza. Ci caschiamo tutti prima o poi; tutti danno il proprio contributo, anche quelli che si credono “vergini”, asettici, ribelli, distanti, e si illudono di non fornire materiale al grande show. Persino i neoluddisti

Ma alla fine, contraddicendo il titolo di un romanzo della Mazzantini, “ognuno si salva da solo”: gli altri, questi famigerati altri che tiriamo in ballo ogniqualvolta non siamo in grado di prenderci le nostre responsabilità, possono solo assistere alla nostra esistenza, osservarla con i loro occhi di prigionieri liberi, in quanto essi stessi personaggi dello spettacolo, che ridono di noi perché inconsapevoli di esserlo.

Gli altri, gli ostruzionisti: quelli che ci frenano, ci ostacolano, ci convincono che non ce la possiamo fare, che dicono di conoscerci e noi dietro, come tante pecore, a credere che sia così. Ci fidiamo del loro giudizio. Ma il freno della nostra esistenza risiede davvero negli altri? O è dentro di noi? Il nostro esistere, in realtà, non interessa agli altri: il loro giudizio (o pregiudizio) serve solo a spostare, per un certo periodo di tempo (alcuni ci riescono per una vita intera) il metro di valutazione da sé stessi al mondo esterno, agli altri appunto. Per alleggerirsi l’anima, per non doversi confrontare con sé stessi, per viaggiare più comodi e veloci.

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“Scalo a Grado”, gruppo fb dedicato a Franco Battiato

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 31 marzo 2018 by Michele Nigro

È nato “Scalo a Grado”, gruppo Facebook dedicato al cantautore e musicista siciliano Franco Battiato. Qualcuno, forse, esclamerà: “Un altro!?”. È vero, la blogosfera e i social network pullulano di pagine dedicate a Battiato, ma la “linea editoriale” di questo gruppo in fieri è stata tracciata adoperando una “filosofia del togliere”, puntando a obiettivi contenutistici ben precisi – e non “Alzando solo polvere” -, visto che chi amministra “Scalo a Grado” proviene da esperienze simili in qualità di membro di gruppi e fan club, escludendo di conseguenza le negatività, le esasperazioni e i fanatismi riscontrati altrove.

Per iscriversi:

https://www.facebook.com/groups/scaloagrado/

cop arca di noè

DESCRIZIONE DEL GRUPPO

“Scalo a Grado”

Agnus dei qui tollis peccata
mundi miserere
dona eis requiem.

Lanciato ufficialmente la domenica di Pasqua dell’anno 2018 (1° Aprile, ma senza voler essere uno scherzo!), questo gruppo non poteva intitolarsi in altro modo, o così ci piace pensare.

“Fare scalo a Grado” significa fermarsi per leggere o venire a condividere scritti (propri o di altri autori) inerenti non solo la musica del cantautore siciliano Franco Battiato, ma anche le sue esperienze non musicali, il suo pensiero e i tanti affluenti culturali che lo hanno nutrito in tutti questi preziosi anni di attività; significa soffermarsi in un luogo sospeso tra la terra e il mare, un po’ isola e un po’ terraferma, al confine tra due nazioni immaginarie, tra il viaggio interiore e quello geografico, tra l’uomo che ricerca nel silenzio e l’artista che canta seduto su un tappeto.

Tutto questo, se vorrete, con una predisposizione al sincretismo, alla disappartenenza politica, religiosa e filosofica e alla multiculturalità. Al di là dei riti collettivi, non incoraggiati in questo gruppo.

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Aggiustare il tiro

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 9 marzo 2018 by Michele Nigro

versione pdf: Aggiustare il tiro

Oltre le esigenze d’artiglieria

A volte alcune parole ci ossessionano; a volte queste si organizzano in frasi più o meno brevi che ci accompagnano come mantra ripetuti nel corso della giornata, le sgraniamo con la punta delle dita come rosari tenuti nelle tasche mentali del nostro andare quotidiano. Ve n’è una che mi fa compagnia da mesi, o forse addirittura anni, non saprei fissare l’inizio esatto di questo intercalare rassicurante, e che nel suo riproporsi a orari da muezzin, si fa preghiera laica: aggiustare il tiro.

Nam myōhō renge kyō! Da ripetere ad libitum…

Aggiustare: riparare, fare meglio, diventare più giusto dopo aver fatto una cosa sbagliata, ritornare sui propri passi senza ripetersi, mettendo stavolta i piedi nei punti giusti; ritrovare forze interiori che credevamo perse, grazie a storie sentimentali che ancora una volta – pur nella loro drammaticità – ci fanno credere nella vita; rivalutarsi con occhi nuovi, i propri, e non con quelli degli altri; essere innamorati dell’amore, rimediare, fare manutenzione del sé, volersi bene nell’età della ragione e nonostante la ragione, provare a recuperare gli oggetti prima di gettarli, ritornare a credere non in un dio ma in se stessi, ritornare vergini e risposarsi a ottant’anni (“Mangia prega scopa” perdonami Julia!), ripercorrere strade conosciute come se fosse la prima volta, perdonarsi, rivivere un progetto in modo migliore, coltivare il proprio mondo, addobbarlo nella speranza che la bellezza ottenuta si espanda nell’universo. Allenarsi nel fare una cosa, esercitarsi per diventare più bravi, anche se ad esempio non è corretto dire: “ho aggiustato l’esecuzione al pianoforte di una sonata di Rachmaninov”.

Il tiro: non è quello a cui penserebbe Lapo Elkann, bensì è l’oggetto da aggiustare, da correggere, anche se a volte potrebbe sembrare un qualcosa di impalpabile. Il tiro è l’obiettivo del nostro provarci con devozione, prendendo la mira dalla finestra di una nuova casa; chi aggiusta il tiro ha fede, non ha fretta. “La pazienza è la virtù di chi aggiusta il tiro” parafrasando un noto proverbio. Gli artiglieri dell’esercito sono persone pazienti, meticolose, hanno fede perché non vedono direttamente con i loro occhi l’obiettivo, nella migliore delle ipotesi ce l’hanno nel cannocchiale: lo percepiscono, sanno più o meno dov’è, si affidano al sentito dire delle carte geografiche militari. “Quando due tiri di aggiustamento consecutivi fanno forcella, cioè finiscono a cavallo dell’obiettivo, uno più corto ed uno più lungo, allora si procede con successivi dimezzamenti dell’ampiezza metrica della forcella fino a che, arrivati alla correzione minima di 50 metri, tutta l’unità di fuoco di artiglieria, con i dati di tiro così calcolati, inizia il tiro di efficacia per ottenere sull’obiettivo gli effetti voluti con il numero di colpi necessari.” (1) Bisogna imparare in fretta dai propri errori per non sprecare tempo e proiettili: se l’artigliere continua a sbagliare vuol dire che sta continuando ad affidare il proprio tiro al caso, vuol dire che non sta imparando nulla, che non vuole o non sa imparare. Intanto il nemico si riorganizza, sposta mezzi e uomini, si prende gioco di noi che ci avviamo a perdere la battaglia.

“Aggiustare il tiro!” me lo ripeto mentre guido, cammino, faccio la spesa; lo consiglio addirittura agli amici, come una panacea per tutte le stagioni: “aggiusta un po’ il tiro!”, “guarda, secondo me ti basterebbe aggiustare solo un po’ il tiro!”, “su questa faccenda dovresti aggiustare il tiro!”, “perché non ti fai una bella tisana con fiori di aggiustamenti di tiro, vedrai che ti passa il raffreddore!”…

“Provaci ancora, Sam” diceva Woody Allen, mentre Fiorella Mannoia cantava: “Come si aggiusta il tiro, per non morire!” O pressappoco. È un dire che rassicura, dà speranza in un futuro in cui quel benedetto tiro sarà stato finalmente aggiustato e quindi avremo centrato il bersaglio. Non faremo più forcella! Per dirla all’artigliera maniera. Anche all’errore bisognerebbe dare un limite, una data di scadenza, come per Berlusconi e lo yoghurt. Se proprio ci siamo affezionati al nostro sbagliare (perché fornisce materiale letterario o esalta il nostro esistenzialistico modo di stare al mondo con cui corroderci) cerchiamo almeno di cambiare errore. Per sembrare innovativi. Gli elementi che caratterizzano un’esistenza sono più o meno uguali per tutti: amore, cultura, lavoro, socialità, spiritualità, sesso… Solo noi, tuttavia, possiamo decidere per la qualità di questi elementi.

Ci diamo un’ennesima possibilità per aggiustarlo: se poi ne avremo effettivamente l’occasione e la forza, non importa. È necessario continuare a lanciare il cuore oltre l’ostacolo e crederci: forse il vero e proprio aggiustamento consiste prima di tutto in questo. Ma a fianco della fatalità c’è bisogno di scienza, per non affidarsi al caso a cui s’accennava. Ecco che l’aggiustare il tiro diventa un non ricadere negli stessi punti ma in punti diversi, per imparare almeno cose nuove; cercare nuove amicizie con caratteristiche diverse da quelle precedenti, meno deludenti, con meno furti di energia; continuare ad avere fiducia nella vita nonostante aumentino al cimitero le tombe di amici e familiari, e tu che ti senti ancora in gioco perché fai loro visita stando dall’altro lato della lapide; cercare nuovi amori, portando gelosamente con sé quello che di bello abbiamo imparato dai precedenti battiti di cuore; cercare un nuovo lavoro dopo averne perso uno che non ci dava sicurezza o dopo non averne cercato affatto alcuno per un bel po’ di tempo perché sfiduciati. Aggiustare il tiro del confronto col mondo! Perché “Tutta la vita è risolvere problemi”, intitolava così Karl Popper il suo ultimo libro, un disincantato messaggio da ereditare. Anni fa sul biglietto di un giovane suicida c’era scritto: “questa vita non fa per me!”. Perché, ce n’è un’altra più facile? Se c’è fatemela vedere! Aggiustare il tiro non è solo un disumano tendere alla perfezione ma forse significa proprio cominciare ad accettare la finitezza del proprio esistere e partendo da questa verità fare di tutto per migliorarsi, a volte ricostruendo dalle macerie.

Non prestare sempre lo stesso fianco ma almeno cambiare fianco! Anche per provare cosa si sente quando a essere colpito è un fianco inedito. O, addirittura, imparare a non prestarne alcuno: ma qui sfioriamo la maestria, e ci vuole tempo, esercitazione, esperienza. Dribblare gli eventi, gli schemi esistenziali disegnati da altri, i destini imposti; migliorarsi per non darla vinta a chi ha già scommesso, sicuro del risultato; riconoscere le atmosfere, gli ambienti già vissuti, e non entrarvi nuovamente; non ripetersi. Da 1 a 10, quanto ci odiamo quando ci ripetiamo? Io, 11…

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La casa senza noi

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 6 febbraio 2018 by Michele Nigro

(Protagora)

Come corpo morto

pian piano si fredda

la casa lasciata sola

non vissuta da aliti umani

vapori di brodo sui vetri

e caldi sospiri di stufa.

Tra queste quattro mura inanimate

si rifugia forse lo spirito

della storia che non conta

il tempo

perché tempi non conosce?

Cosa fai al buio, d’inverno

durante le lontane feste?

 

I testimoni oculari

che tutto misurano

lasciano dietro di sé

polveri ignoranti

tra muti oggetti

non più sfiorati

da una vista cosciente,

un ultimo giro di chiave

li separa da un’immobile eternità.

Emma Saponaro

"Cancella spesso, se vuoi scrivere cose che siano degne d'essere lette." (Orazio)

il giardino dei poeti

la poesia è la fioritura del pensiero - il miosotide non fa ombra alla rosa, ciascuno la sua bellezza

Pomeriggi perduti

quasi un litblog di Michele Nigro

Mille Splendidi Libri e non solo

"Un libro deve essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi"

Poetarum Silva

- Nie wieder Zensur in der Kunst -

Leggo e cammino

Amo leggere, amo camminare e amo fare le due cose insieme (non è così difficile come sembra)

Maria Pina Ciancio

Quaderno di poesia on-line

LucaniArt Magazine

Riflessioni. Incontri. Contaminazioni.

Fantascritture - blog di fantascienza, fantasy, horror e weird di gian filippo pizzo

fantascienza e fantastico nei libri e nei film (ma anche altro)

Le parole e le cose²

Letteratura e realtà

L'Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internazionale

L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.

internopoesia.com/

Il blog di Interno Poesia

Iannozzi Giuseppe - scrittore e giornalista

Iannozzi Giuseppe aka King Lear -scrittore, giornalista, critico letterario - blog ufficiale

Emanuele-Marcuccio's Blog

Ogni poesia nasce dalla meraviglia...

DEDALUS: corsi, testi e contesti di volo letterario

Appunti e progetti, tra mura e spazi liberi

i sensi della poesia

e in pasto diedi parole e carne

La Camera Scura - il blog di Vincenzo Barone Lumaga

Parole, storie, pensieri, incubi e deliri

La Mia Babele

Disorientarsi..per Ritrovarsi

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