FONTE: qui!
Archivio per filosofo
Letture Heideggeriane all’UniSa
Posted in nigrologia with tags convegno, cultura, filosofia, filosofo, immagine, laboratorio, lettura, linguaggio, Salerno, università on 25 novembre 2018 by Michele NigroFONTE: qui!
Platone digitale
Posted in nigrologia with tags digitale, evoluzione, filosofia, filosofo, futuro, internet, libro, rete, Salerno, società, università, web on 2 giugno 2016 by Michele NigroEleatica 2015
Posted in nigrologia with tags antico, archeologia, Campania, cultura, filosofia, filosofo, Grecia, letteratura, libri, linguistica, poesia, poeta, Salerno, scuola, società, università on 1 luglio 2015 by Michele NigroAnche quest’anno, dal 10 al 13 settembre, appuntamento con Eleatica, consueta manifestazione sulla filosofia eleatica che si svolge presso la Fondazione Alario ad Ascea Marina (SA), immersi nella suggestiva cornice dell’antica Elea-Velia, sede della scuola di Parmenide e Zenone. Dal 2004, suo anno di ideazione, studiosi e appassionati di tutto il mondo si incontrano ogni anno per discutere del pensiero e dell’attualità di questi grandi filosofi. La manifestazione prevede sessioni scientifiche di studio e approfondimento di diversi temi riguardanti i maestri eleatici, in un prismatico progetto volto a concentrare annualmente l’attenzione sulle diverse sfaccettature che tale fase della filosofia presocratica ebbe e sugli elementi che ancora oggi risultano contestuali…
(fonte della notizia: Eleatica 2015, dal 10 al 13 settembre. Tra gli ospiti: Emanuele Severino e Alberto Bernabé)
La Festa della Filosofia 2013: Pensare il Pianeta
Posted in nigrologia with tags capitalismo, cosmo, filosofia, filosofo, futuro, manifesto, mondo, natura, pensiero, pianeta, politica on 6 aprile 2013 by Michele Nigro“Lo spirito del terrorismo” di Jean Baudrillard
Posted in nigrologia with tags 11 Settembre 2001, attentato, comunicazione, controllo, distopia, fatto, fiction, filosofia, filosofo, George Orwell, giornalismo, giustizia, Grande Fratello, immaginario collettivo, immagine, informazione, Jean Baudrillard, mass-media, messaggio, Ministro della Paura, morte, notizia, Orwell, politica, potere, realtà, sistema, società, società dello spettacolo, sociologia, spettacolo, terrorismo, tv, verità, visione on 21 Maggio 2012 by Michele NigroScritto in riferimento agli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti, questo saggio di Baudrillard (Raffaello Cortina Editore, 45 pagine) è utile anche all’interpretazione di alcuni aspetti riguardanti i recenti fatti terroristici di Brindisi (la bomba davanti alla scuola Morvillo Falcone) e prima ancora di Genova (la ‘gambizzazione’ di Roberto Adinolfi). Quali meccanismi comunicativi convivono intorno a un atto terroristico? Il terrorismo è un gesto orribile proveniente dall’esterno della società (come se fosse una sorta di azione aliena) o è un gesto ‘allevato’ inconsapevolmente all’interno di essa? (<<… perché il male è qui, è dappertutto, come un oscuro oggetto di desiderio…>> pag. 10). Il terrorismo, che piaccia o meno, è un sottoprodotto aberrante di questa società: non proviene da mondi lontanissimi; anche le istituzioni che s’impegnano a combatterlo, coloro che s’indignano e indignandosi diffondono le notizie relative all’atto terroristico, lo tengono indirettamente a battesimo.
<<… Siamo ormai molto al di là dell’ideologia e del politico. Dell’energia che alimenta il terrore, nessuna ideologia, nessuna causa, neppure quella islamica, può rendere conto. È una cosa che non mira neppure più a trasformare il mondo, che mira (come le eresie nei tempi antichi) a radicalizzarlo attraverso il sacrificio, mentre il sistema mira a realizzarlo con la forza. Il terrorismo, come i virus, è dappertutto. C’è una perfusione mondiale del terrorismo, che è come l’ombra portata di ogni sistema di dominio, pronto dappertutto a uscire dal sonno, come un agente doppio. Non si ha più linea di demarcazione che permetta di circoscriverlo, il terrorismo è nel cuore stesso della cultura che lo combatte, e la frattura visibile (e l’odio) che oppone sul piano mondiale gli sfruttati e i sottosviluppati al mondo occidentale si congiunge segretamente alla frattura interna al sistema dominante…>> (pag. 14-15)
L’atto terroristico nasce dal bisogno ‘moderno’ di essere ovunque grazie a un gesto eclatante, di comparire nella realtà di tutti noi per veicolare un messaggio globale e prepotente. Parlo di ‘gesto moderno’ in relazione al suo svuotamento ideologico che è direttamente proporzionale al progresso dei mezzi di comunicazione gestiti da quel sistema che s’intende sconfiggere con l’atto terroristico. Usare i media per colpire il sistema che li ha creati e per restituire al sistema una parte dell’energia negativa: <<… La tattica del modello terroristico consiste nel provocare un eccesso di realtà e nel far crollare il sistema sotto tale eccesso. Tutto il ridicolo della situazione e insieme tutta la violenza mobilitata dal potere gli si ritorcono contro, perché gli atti terroristici sono insieme lo specchio esorbitante della sua stessa violenza e il modello di una violenza simbolica che gli è vietata, della sola violenza che non possa esercitare: quella della propria morte…>> (pag. 25)
(nella foto: il presunto attentatore di Brindisi ripreso da una telecamera)
I terroristi, ancor prima di accendere la miccia o di schiacciare il telecomando per la detonazione, sanno che in pochi secondi balzeranno agli onori della cronaca e utilizzano le immagini orribili diffuse dai media per raggiungere i propri obiettivi ‘comunicativi’; al tempo stesso il sistema riutilizza altre immagini per identificare gli autori di quei gesti condannati dall’opinione pubblica. L’immagine diventa così fattore patogeno e terapia, mezzo di offesa e di difesa, oggetto terrorizzante e contributo alla giustizia: <<… Di tutte queste peripezie a noi resta soprattutto la visione delle immagini. Dobbiamo conservare questa pregnanza delle immagini, e la loro fascinazione, perché le immagini sono, lo si voglia o no, la nostra scena primaria…>> (pag. 35) E ancora, insiste Baudrillard: <<… Tra le altre armi del sistema che gli hanno ritorto contro, i terroristi hanno sfruttato il tempo reale delle immagini, la diffusione mondiale istantanea di esse. […] Il ruolo dell’immagine è fortemente ambiguo. Perché nell’atto stesso in cui lo esalta, prende l’evento in ostaggio. L’immagine gioca come moltiplicazione all’infinito e, simultaneamente, come diversione e neutralizzazione… L’immagine consuma l’evento, nel senso che lo assorbe e lo dà a consumare.>>
Delegare l’interpretazione della realtà all’immagine significa deresponsabilizzare il pensiero: <<Che ne è allora dell’evento reale, se dappertutto l’immagine, la finzione, il virtuale entrano per perfusione nella realtà? […] Ma la realtà supera veramente la finzione? Se sembra farIo, è perché ne ha assorbito l’energia, divenendo essa stessa finzione. Si potrebbe quasi dire che la realtà sia gelosa della finzione, che il reale sia geloso dell’immagine… È una specie di duello tra loro, a chi sarà il più inimmaginabile. […] Perché la realtà è un principio, ed è questo principio che è andato perduto. Realtà e finzione sono inestricabili e il fascino dell’attentato è innanzitutto quello dell’immagine. […] In questo caso, quindi, il reale si aggiunge all’immagine come un premio di terrore, come un brivido in più. […] Questa violenza terroristica non è “reale”. È qualcosa di peggio, in un certo senso: è simbolica. La violenza in sé può essere perfettamente banale e inoffensiva. Solo la violenza simbolica è generatrice di singolarità. […] Lo spettacolo del terrorismo impone il terrorismo dello spettacolo. E contro questa fascinazione immorale l’ordine politico non può nulla.>> (pag. 36/40)
Eppure l’immagine non è la realtà: ne rappresenta solo il riverbero, l’eco. L’immagine è la traccia più affidabile della realtà, la più vicina, a volte l’unica a disposizione di chi si occupa di memoria e di ricerca della verità, ma è pur sempre un artificio, un’adulterazione della stessa. In base alle immagini separiamo il Bene dal Male, scegliamo da che parte stare, decidiamo contro chi combattere, ma questo non significa che possediamo la verità. E soprattutto: il terrorismo è sempre il risultato di un’azione contro il sistema o è un evento usato dallo stesso sistema per deviare e controllare l’opinione pubblica?
L’attentatore (o gli attentatori) di Brindisi realizza un meccanismo sofisticato per causare dolore e morte, e trascura la presenza di telecamere in grado di identificarlo. Si parla, spesso a sproposito, di “Grande Fratello” e di “deriva orwelliana” ovvero di un abuso della presenza tecnologica capace di effettuare un controllo asfissiante sui membri della società. Quando, in seguito, ci accorgiamo che quella stessa tecnologia può rappresentare un valido aiuto per la giustizia o addirittura un mezzo per salvare le nostre vite, dimentichiamo gli abusi, le proiezioni distopiche, le prepotenze del sistema, le visioni fantascientifiche. Forse il problema non è il controllo in quanto tale, che può risultare paradossalmente ‘utile’: la vera deriva orwelliana è contenuta nell’interpretazione delle immagini affidata ai gestori del sistema, nella loro capacità di disinnescare la realtà e di potenziare l’impatto di determinati atti terroristici per finalità che ignoriamo: <<… Qualsiasi violenza sarebbe loro perdonata se non fosse ripresa e amplificata dai media (“il terrorismo non sarebbe nulla senza i media”). Ma tutto questo è illusorio. Non esiste uso buono dei media, i media fanno parte dell’evento, fanno parte del terrore, e giocano in un senso o nell’altro.>> (pag. 40-41)
“Cyberfilosofia” di Jean Baudrillard
Posted in nigrologia with tags contaminazione, cyberpunk, evoluzione, fantascienza, filosofia, filosofo, immaginario collettivo, immagine, irrealtà, matrice, matrix, Philip K. Dick, postmoderno, realtà, realtà virtuale, robot, science fiction, simulacro, simulazione, surrealismo on 17 Maggio 2012 by Michele NigroApparentemente innocuo, composto da 45 pagine, “Cyberfilosofia” è una pubblicazione postuma (ed. Mimesis, collana Minima Volti – 2010) del filosofo “patafisico” Jean Baudrillard (1929-2007), interessante, in alcuni punti volutamente ermetica e assiomatica, ricca di nuovi punti di vista stimolanti. Divisa in quattro capitoletti, l’argomentazione di Baudrillard ha il raro dono di utilizzare alcuni elementi tipici dell’immaginario fantascientifico per affrontare temi filosofici riguardanti la vita dell’uomo del terzo millennio: il simulacro e il suo sorpasso reso possibile dal vasto universo della simulazione e dell’iperrealtà; la differenza tra automa e robot (nel secondo capitolo intitolato “L’automa e il robot”); l’esegesi di “Crash” (titolo del romanzo di Ballard e del film diretto da David Cronenberg) nel terzo capitolo intitolato appunto “Crash” in cui Baudrillard, grazie alla sua speciale lente d’ingrandimento iperrealista, evidenzia la commistione esistente tra corpo organico e macchina, tra sessualità e tecnologia, la coincidenza tra l’automobile incidentata (simbolo del romanzo di Ballard) e il godimento puro; e infine il disimpegno definitivo di Baudrillard nei confronti del film “Matrix”: nel quarto e ultimo capitolo – “Decodificare Matrix, Le Nouvel Observateur intervista Jean Baudrillard” – viene spiegata una volta per tutte la distanza esistente tra il pensiero del filosofo francese e il messaggio contenuto nel film dei fratelli Wachowski.
Ma è nel primo capitolo – “Tre ordini di simulacri” – che Baudrillard lancia le sfide più interessanti all’indirizzo del mondo fantascientifico. Esiste ancora una relazione tra l’immaginario e le nuove esigenze della science-fiction? Baudrillard non ha dubbi in merito: “… il buon vecchio immaginario della science-fiction è morto, e qualcosa d’altro, che non è più science-fiction, sta nascendo.” Una frase laconica che potrebbe mandare nel panico i puristi del genere e che invece costituisce una traccia affascinante per quei nuovi protagonisti della letteratura fantascientifica che amano indagare andando oltre i confini imposti da una definizione che sembrerebbe non prevedere contaminazioni (fra i pionieri di questo nuovo modo di reinventare la fantascienza, in Italia, sicuramente sono da annoverare i Connettivisti). Baudrillard afferma che in un mondo come quello attuale, in cui il modello, grazie alla simulazione, ha superato il reale diventando esso stesso un’anticipazione del reale, non c’è più spazio per “anticipazioni finzionali” e quindi per una trascendenza immaginaria. Per dirla in parole povere: la fantascienza, se vuole sopravvivere deve “morire”, orientarsi verso nuovi obiettivi, diluendosi in essi.
Superlativo il seguente brano tratto da “Cyberfilosofia”: <<La realtà poteva sorpassare la finzione: era il segno più sicuro del possibile gioco al rialzo dell’immaginario. Ma il reale non può sorpassare il modello, di cui non è che l’alibi. L’immaginario era l’alibi del reale, in un mondo dominato dal principio di realtà. Oggi è il reale che è diventato l’alibi del modello, in un universo retto dal principio di simulazione. Ed è paradossalmente il reale che è diventato oggi la nostra vera utopia – ma è un’utopia che non appartiene più all’ordine del possibile, perché non si può che sognarne come un oggetto perduto. Forse la science-fiction dell’era cibernetica e iperreale non può che consumarsi nella resurrezione “artificiale” di mondi “storici”, cercare di ricostruire in vitro, fin nei minimi dettagli, le peripezie di un mondo anteriore, gli avvenimenti, i personaggi, le ideologie passate, svuotate del loro senso, del loro processo originale, ma allucinanti di verità retrospettiva. Così in Simulacri di Dick, la guerra di Secessione. Gigantesco ologramma in tre dimensioni, dove la finzione non sarà più uno specchio teso al futuro, ma riallucinazione disperata del passato. Non possiamo più immaginare altri universi: la grazia della trascendenza ci è stata negata anche su questo terreno. La science-fiction classica è stata quella di un universo in espansione; trovava del resto le sue vie nei racconti di esplorazione spaziale complici delle forme più terrestri di esplorazione e di colonizzazione del XIX e XX secolo.>>
E poi, ancora, come a voler concretizzare definitivamente la sua sfida post-moderna: <<Non è più possibile partire dal reale e fabbricare l’irreale, l’immaginario a partire dai dati del reale. Il processo sarà piuttosto l’inverso: si tratterà di realizzare situazioni decentrate, modelli di simulazione e di ingegnarsi a dar loro i colori del reale, del banale, del vissuto, di reinventare il reale come finzione, proprio perché il reale è scomparso dalla nostra vita. Allucinazione del reale, del vissuto, del quotidiano, ma ricostruito, talvolta fin nei dettagli di un’inquietante estraneità, ricostruito come una riserva animale o vegetale, esposta alla vista con una precisione trasparente, e tuttavia senza sostanza, derealizzata in anticipo, iperrealizzata. La science-fiction non sarebbe più, in questo senso, un romanzesco in espansione con tutta la libertà e il naif che le derivano dal fascino della scoperta, ma piuttosto evolverebbe implosivamente, a immagine della nostra concezione attuale dell’universo, cercando di rivitalizzare, riattualizzare, riquotidianizzare dei frammenti di simulazione, frammenti di quella simulazione universale che è diventato per noi il mondo che si dice “reale”.>>
“Cyberfilosofia” è un libro che ogni scrittore di fantascienza dovrebbe leggere.
La vita secondo Victor Velasco
Posted in nigrologia with tags antropologia, attimo, avventura, casa, cinema, cinematografia, città, cucina, energia, esistenzialismo, film, filosofia, filosofo, gastronomia, ideale, matrimonio, mondo, morte, musica, notte, poesia, psicologia, romanticismo, romantico, società, sperimentalismo, suicidio, teatro, umorismo, usi e costumi, viaggio, vita on 13 giugno 2010 by Michele Nigro“… una volta al mese io cerco sempre
di rendere nervosa una bella ragazza,
tanto per impedire al mio ego di avvilirsi…”
“… i vecchi sporcaccioni
riescono a farla franca molto meglio…”
“… agli albori di una nuova amicizia!”
(Victor Velasco,
citazioni dal film “A piedi nudi nel parco”)
Chi è Victor Velasco? Un filosofo epicureo? Un flâneur newyorkese? Un “uomo di mondo”? L’ultimo dei bohémien? Un aristocratico senza soldi? Un gentiluomo d’altri tempi? Un imboscato? Un romantico buongustaio? Un signore attempato che ha paura di invecchiare? Uno spiantato che approfitta del prossimo e in cambio dona la propria energia vitale? Un esistenzialista assetato di esperienze? Un single che è sempre in buona compagnia?… Tutte queste definizioni unite insieme? Già, forse le cose stanno proprio così: Victor Velasco è tutto questo in un’unica persona! Quindi è un essere inesistente, un ideale umano, un personaggio troppo variegato e intrigante per sopravvivere in questo mondo, fuori dalla pellicola. Soprattutto non è uno di quelli che sta a guardare mentre gli altri fanno, ma è uno che fa anche se gli altri stanno a guardare! Confusi? Niente paura: per comprendere le mie farneticazioni vi basterà visionare (o rivedere nel caso siate dei nostalgici recidivi) un film del 1967 intitolato “A piedi nudi nel parco” (Barefoot in the Park) e diretto da Gene Saks. Una commedia romantica tutto sommato scemotta se non fosse, appunto, per il personaggio di Victor Velasco che inocula in maniera provvidenziale nella “trama” un fattore di sana instabilità intorno alla quale ruota la (breve) “crisi matrimoniale” dei giovani protagonisti (Jane Fonda e Robert Redford): vivere pienamente gettandosi a capofitto nell’esistenza senza fare troppi calcoli oppure condurre una vita ponderata, sobria, abitudinaria? Victor Velasco non può esistere nella vita di tutti i giorni perché rappresenta la necessaria alternativa che sonnecchia in stato di quiescenza all’interno di quella “bolla idealistica” grazie alla quale sopravviviamo a noi stessi. Se esistesse veramente, a lungo andare diventerebbe noioso e inflazionerebbe l’ideale alternativo che incarna.
Chi o cos’è, dunque, Victor Velasco? È l’esistenza che riprende quota prepotentemente; è camminare lungo il cornicione di un palazzo per rientrare in casa; è l’arte di arrangiarsi ed essere felici; è non preoccuparsi di restare in piena notte senza mezzi pubblici perché tanto c’è già una nuova esperienza che ci aiuterà a occupare il tempo in attesa del mattino; è possedere un pezzettino di mondo dentro di sé e donarlo agli altri con gioia, senza farlo pesare; è non dire mai “basta!” oppure “per oggi sto bene così!” o altre frasi tipiche di chi ha paura di vivere fino in fondo; è sperimentare per sentirsi parte integrante del mondo e non come osservatori asettici dall’alto di un castello fortificato… Victor Velasco è un buongustaio che preferirebbe morire piuttosto che prendere pillole contro l’ulcera e rinunciare a certe esotiche prelibatezze gastronomiche; è un uomo di “cultura” non nel senso libresco del termine ma esperienziale. Essere Victor Velasco significa “provare tutto almeno una volta”; significa diversità e integrazione; significa autoinvitarsi a cena senza farsi troppi problemi o portare un gruppo di amici in un fumoso ristorante albanese senza licenza (“I quattro venti”) per gustare piatti provenienti dagli antipodi del gusto ordinario; significa sfidare il freddo e le convenzioni, e cantare “Shama Shama” (canzone popolare albanese) a New York tra una zuppa di fagioli greci e una bottiglia di ouzo con cui allentare i freni inibitori… “Andare a piedi nudi nel parco non è sensato, ma è divertente!” – dice la giovane sposina. Vivere senza compromessi, perché vivere è un’esperienza meravigliosa.
Darsi totalmente! Questo significa essere Victor Velasco, essere simili o tentare di essere simili a Victor Velasco. E sì, perché non è facile diventare come Victor Velasco: non dall’oggi al domani. Ci vuole allenamento, occorrono anni. E poi bisogna almeno una volta nella vita sentire il desiderio di essere Victor Velasco: altrimenti inganniamo noi stessi solo per fare colpo sugli altri, calandoci in personaggi che non ci appartengono interiormente.
I viaggi, gli eventi affrontati nel corso della vita, le storie da raccontare, le persone incontrate, le esperienze, le vite intrecciate, le tracce indelebili sulla pelle e nell’anima, i sapori, gli odori, i colori, le facce, i luoghi, le lingue, le usanze: tutto questo e molto altro ancora converge miracolosamente in un’unica persona eccezionale e rara che masticando e metabolizzando gli anni vissuti pienamente ripropone al prossimo la propria incommensurabile (non da tutti apprezzata, anzi per alcuni fastidiosa) joie de vivre. Istintivamente mi ritornano alla mente i versi della poesia “Non vorrei crepare” di Boris Vian:
“… Non vorrei crepare
Nossignore nossignora
Prima di aver assaggiato
Il gusto che tormenta
Il gusto più intenso
Non vorrei crepare
Prima di aver gustato
Il sapore della morte…”
E Charles Boyer, l’attore che interpretò il personaggio di Victor Velasco nel film del ’67, ebbe modo di assaggiare realmente (e non per copione) il gusto che tormenta… il sapore della morte. Esattamente come avrebbe fatto l’immaginario Velasco, anche Boyer non scende a compromessi con la non-vita: nel 1978, due giorni dopo la morte della moglie e con alle spalle l’oscuro suicidio del suo unico figlio (avvenuto nel ’65: due anni prima di interpretare la parte dello “spensierato” Velasco), Boyer decide di togliersi la vita con una overdose di barbiturici.
Una simile scelta può apparirci in netto contrasto con la gioiosa “filosofia di vita velaschiana” sopra descritta, eppure riflettendo con attenzione siamo addirittura in grado di rintracciare l’impeto vitale di Velasco nell’atto estremo di Boyer, perché come ci ricorda Martha Medeiros nella poesia, erroneamente attribuita a Pablo Neruda, “Lentamente muore”:
<<Lentamente muore chi non capovolge il tavolo…>>
Il Velasco che sopravvive in Charles Boyer decide di non voler morire lentamente e di voler capovolgere il tavolo della vita: paradossalmente in onore della Vita stessa! Come canta Franco Battiato nel brano “Breve invito a rinviare il suicidio”:
“… Questa parvenza di vita
ha reso antiquato il suicidio.
Questa parvenza di vita, signore,
non lo merita…
solo una migliore.“
Chi ha conosciuto la bellezza, chi ha amato, chi ha sperimentato la passione, chi ha gustato i sapori della vita, chi ha avuto il coraggio di trasformare la propria esistenza in un immenso banco di prova, non può accontentarsi di attendere il giorno successivo, quello che viene dopo e così via… fino alla fine.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.