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“Frequenze Poetiche” n.9 – maggio 2018

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 1 luglio 2018 by Michele Nigro

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Giorgio Moio, poeta, saggista, critico letterario, editore, m’informa della presenza sul n.9 di “Frequenze Poetiche”, rivista di poesia internazionale ed altro, del mio scritto semi-autobiografico intitolato “1978 – 2018: comunicato n.7”, lievemente ri-editato per l’occasione dalla redazione di FP. Al di là del personale contributo, trattasi di un numero ricco e interessante, come si può evincere dall’indice. Buona lettura!

Segue come da comunicato:

INDICE

POETI – SCRITTORI – DONNE E UOMINI ILLUSTRI DEL PASSATO
– Maria Farina, Eleonora Duse…………………………………. p. 5

POETI DA RICORDARE
– Octavio Paz, Henri Michaux: viaggio nell’abisso………….. ” 9

CRITICA LETTERARIA & D’ARTE
– Antonio Sacco, Relazione tra poesia e pittura…………. ” 17
– Javier Josè Rodriguez Vallejo, Baudelaire una lucie’rnaga que illumina una biblioteca de Arteaga……………………………………………………………………………………….. ” 22

POESIA ITALIANA CONTEMPORANEA
– Leopoldo Attolico, La musica è finita………………………………………… ” 27

POESIA STRANIERA CONTEMPORANEA
– Carlos Vitale, Jornada y otros poemas…………………………………….. ” 31

POESIA VISUALE – SCRITTURE ASEMANTICHE – ARTI VISIVE
– Carlo Bugli, Senza titolo………………………………………………………….. ” 25
– Fabio Strinati, Quattro musiche visuali………………………………………. ” 31

PROSA – AFORISMI – HAIKU
– Michele Nigro, 1978 – 2018: comunicato n.7…………….. ” 40

RIVISTE DI LETTERATURA
– Raffaele Giglio, «Critica Letteraria». Una rivista
napoletana………………………………………………………………. ” 53

DISCUSSIONI & INTERVISTE
– Giorgio Moio, Intervista a Marco Palladini…………………. ” 61

LETTURE & RILETTURE
– Alfonso Amendola, Della feroce limpidezza in
Bruno Di Pietro…………………………………………………………. ” 71
– Francesco Aprile, La fiera degl’inganni di Giorgio Moio…………………….. ” 73
– Marilena Cataldini, Riflessioni al varco di un cancello……………….. ” 75

MOSTRE D’ARTE – EVENTI – NOTIZIARIO ………………… ” 78

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Il viaggio, tra localismo ed esotismo

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 1 Maggio 2017 by Michele Nigro

versione pdf: Il viaggio, tra localismo ed esotismo

Intorno al viaggiare vi è in atto da tempo una guerra non dichiarata: quella tra visione localistica ed esotica del movimento conoscitivo compiuto dal viaggiatore. I localisti, cugini non troppo lontani dei selecercatisti, tendono a concentrarsi solo ed esclusivamente sulle bellezze locali, a frequentare luoghi dove non è richiesto alcuno sforzo linguistico per farsi comprendere dalle popolazioni “indigene”, a sviluppare in maniera anacronistica lo slogan di fascistissima memoria “Preferite il prodotto italiano” anche in ambito turistico. Gli esotisti, dal canto loro, prediligono una fuga dalla realtà, una letteratura d’evasione in movimento, sono affetti da un’esterofilia curata male e che ha origini antiche: la frammentazione linguistica pre- (e direi anche post-) unitaria; la disomogeneità geopolitica che ha reso difficile la vita ai “fratelli d’Italia”; i tanti, troppi secoli vissuti in qualità di colonizzati da chiunque si trovasse a passare per la penisola. Nonostante il tricolore calcistico, estero è bello, estero è meglio: ancora una volta siam pronti alla morte culturale e identitaria.

L’ideale, come sappiamo, sta nel mezzo: occorrerebbe un approccio anarco-individualista per liberarsi dalle catene delle due fazioni. Non appartenere a nessun luogo ma essere ovunque, e al contempo abitare il tutto senza trascurare il particolare, conoscere il locale e il lontano da noi, apprendere “La distinzione / e la lontananza” (cit.), integrarli in un discorso sapienziale a chilometro zero. Evitare il viaggio vissuto come mero spostamento fisico, ma al tempo stesso non trincerarsi dietro a pigrizie culturali anchilosanti. Non concentrarsi né sul dito, né sulla Luna, ma sul gioco di sovrapposizione tra oggetti distanti che mai s’incontreranno, se non nell’immaginazione di chi crea analogie. E si scorge in questa pratica un profondo senso di libertà: l’unica possibile, in grado di sconfiggere la nostra limitatezza, il nostro essere finiti in quanto umani e confinati in un arco temporale insignificante.

Perché vi può essere tanto esotismo anche nelle cose locali, si può andare lontano restando in zona, così come ci può capitare di recuperare il nostro senso di appartenenza viaggiando in luoghi impensati, proprio mentre cerchiamo di dimenticare il punto di partenza e la nostra quotidianità. La filosofia low cost del facile spostamento ha azzerato la lentezza dell’avvicinamento, un tempo prerogativa di camminatori, naviganti e pensatori perdigiorno. Il web, la rete, non ha unito il mondo, lo ha solo omologato e reso l’ingresso a stanze lontane più rapido e facile. Ed è una grande comodità tutto questo! Nulla da eccepire… Le parti che compongono il mondo fisico e quello conoscitivo sono già in connessione da secoli, ma lo abbiamo dimenticato perché nel frattempo la conoscenza analogica è stata sostituita da quella digitale, più veloce ed efficace, che ha appiattito o sotterrato certi percorsi umani divenuti pura archeologia. La rete ha incentivato l’esotismo sì, ma quello errato: ci si illude di essere andati fuori ma in realtà siamo rimasti fermi nella casella iniziale del gioco, perché certe scoperte si compiono sulle lunghe distanze, quelle vere, e a distanza di tempo. Solo in fase di ritorno, come accade in vecchiaia dopo una vita di strade battute, ritornando a essere localisti senza perdere gli odori del mondo acquisiti nel corso di numerosi viaggi, si realizza il confronto che istruisce. Lo sguardo di un localista che è stato esotista e ha viaggiato con saggezza, sarà sempre più ampio e ricco della visione limitata di chi si rinchiude nella roccaforte della valorizzazione dei prodotti tipici locali.

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Festival Internazionale di Poesia di Milano – II edizione

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , on 22 febbraio 2017 by Michele Nigro

FONTE

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Fondazione Pinuccio Sciola

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 24 luglio 2016 by Michele Nigro

Ricevo privatamente via e-mail e con piacere ritrasmetto il seguente comunicato stampa…

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Nasce la Fondazione Pinuccio Sciola,

istituzione deputata a promuovere la memoria

e il messaggio d’arte dello scultore recentemente scomparso. 

Ha preso vita ufficialmente venerdì 22 luglio la Fondazione Pinuccio Sciola, istituzione deputata a promuovere la memoria e il messaggio d’arte dello scultore di San Sperate scomparso lo scorso 13 maggio a Cagliari. Presenti al tavolo della Sala Consiliare del Comune di San Sperate, i figli dello scultore Chiara, Tomaso e Maria Sciola, il sindaco di San Sperate Enrico Collu, il vicepresidente della Regione Autonoma della Sardegna Raffaele Paci, il prorettore vicario dell’Università degli studi di Cagliari Francesco Mola e i giornalisti Gianni Filippini e Giovanni Floris (in collegamento via skype). “Questa è una giornata molto importante per me, Chiara e Maria, da oggi siamo fondatori e amministratori della Fondazione Pinuccio Sciola. I progetti di nostro padre sono importanti e hanno un valore profondo. La presenza delle istituzioni ci rassicura sul fatto che avremo tutto il sostegno necessario affinché questi progetti possano vedere presto la loro realizzazione”. Questo uno dei passaggi dell’intervento introduttivo di Tomaso Sciola che ha voluto illustrare gli ambiziosi obbiettivi della Fondazione. A queste dichiarazioni ha risposto il vicepresidente della Regione Raffaele Paci, che ha assicurato massima attenzione e massimo impegno da parte dell’istituzione da lui rappresentata a supporto della erigenda Fondazione. Anche dal prorettore Mola è giunto un netto segnale di disponibilità alla collaborazione dell’Ateneo con la neonata Fondazione. In collegamento via Skype, il giornalista Giovanni Floris ha sottolineato il valore di Pinuccio Sciola, per il lavoro svolto, per i temi trattati, per la dolcezza, profondità e sensibilità che ne hanno caratterizzato la vita e il percorso artistico. Il giornalista Gianni Filippini ha invece rimarcato quanto l’istituzione della Fondazione sia lo strumento adeguato a raggiungere gli obiettivi elencati con grande lucidità dal suo programma. In conclusione il sindaco di San Sperate Enrico Collu ha ricordato l’importanza di Pinuccio Sciola per il paese di San Sperate, che continuerà a scoprire nel tempo la grandezza del suo più illustre artista.

LA FONDAZIONE – Pensata dall’artista di fama internazionale nel suo ultimo periodo di vita, la Fondazione nasce su volontà dei figli Chiara, Tomaso e Maria (che fanno parte del Consiglio di Amministrazione) e incarna i progetti, lo spirito di apertura, ospitalità, condivisione e rispetto della natura e delle persone che sono stati i valori caratterizzanti la vita dello scultore. Continuare a tramandare il messaggio d’arte di Pinuccio Sciola, tenendo vive e promuovendo le attività, i contatti e i progetti internazionali che l’artista ha costruito e sostenuto nel corso della sua vita: questi gli obiettivi principali sui quali verranno focalizzate le attività principali.

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Il “Selecercatismo”

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 6 febbraio 2016 by Michele Nigro

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Che cos’è il “selecercatismo”? Trattasi di una “corrente filosofica” (continua e mai alternata perché l’ignoranza esige una certa coerenza) di recente definizione ma che affonda le proprie radici in epoche antiche, quando la struttura delle città-stato fortificate e autosufficienti è diventata schema di pensiero geneticamente trasmissibile, prima dell’avvento del viaggio per conoscenza e non per necessità; gli aderenti a tale corrente hanno una visione egocentrica del sistema conoscitivo: sono le esperienze che girano intorno a noi, a distanza di sicurezza e separate da un profondo fossato popolato da coccodrilli che difendono il senso d’appartenenza dalle incursioni della curiosità; non siamo noi che dobbiamo girare nell’universo in cerca di esperienze su cui schiantarci. I selecercatisti, in particolar modo quelli italici, tra i più rappresentativi per ottusità, anche se non mancano filoni con caratteristiche specifiche in altri paesi, chiosano quasi tutte le morti di connazionali avvenute non sul patrio suolo ma in terre straniere adoperando l’ormai classica espressione “se l’è cercata!” (sottintendendo la morte o una situazione spiacevole), andando a soddisfare anche l’etimologia del termine che dà il nome alla corrente filosofica di cui ci occupiamo.

E così Pippa Bacca se l’è cercata, il fratello minore di Reinhold Messner se l’è cercata, Patrick de Gayardon se l’è cercata, Vanessa e Greta rapite in Siria, come le “due Simone”, se la sono cercata, quelli di “Medici Senza Frontiere” se la cercherebbero tutti i giorni; secondo alcuni anche Giulio Regeni, il ricercatore friulano 28enne recentemente torturato e ucciso in Egitto se la sarebbe cercata occupandosi di questioni lontane… Anch’io in fin dei conti me la cercherei ogni volta che scelgo un viaggio un po’ strano che si discosta dalle rotte del buonsenso comune.

Risultato dell’ibridazione tra l’amichevole “chi te lo fa fare?” e il “fatti li cazzi tua!” di origine razziana, il selecercatismo rappresenta l’evoluzione anti-radical chic della semplice omertà mafiosa e camorristica: mentre il soggetto omertoso tende a non esprimere alcun giudizio e soprattutto a non fornire elementi utili allo svolgimento di indagini intorno a un fatto criminoso restando in “religioso” silenzio, il selecercatista conosce (o pensa di conoscere tenendosi a debita distanza dai fatti vissuti in prima persona), parla o straparla nel corso di comizi populisti al bar, non sospende il giudizio e quindi sentenzia, elargisce consigli dall’alto della sua ignoranza, seleziona i soggetti “viaggianti” a suo dire poco intelligenti da quelli che come lui non rischiano. Il tutto restando comodamente a casa propria.

Ma i selecercatisti con chi ce l’hanno? Per il selecercatista medio, quasi sempre culturalmente e politicamente di destra o di centrodestra, cattolico fino a un certo punto ovvero fino ai margini di una fede conveniente, con cultura medio-bassa e mosso da un esasperante nazionalismo di difesa con sfumature leghiste (quando è costretto a viaggiare, è solo per “spostarsi”), qualsiasi attività (culturale, turistica, umanitaria, giornalistica, linguistica, commerciale, sportiva ecc.) svolta al di fuori del territorio nazionale (nella fattispecie del territorio italiano, ma in molti casi anche al di fuori del territorio regionale, provinciale o comunale, per non dire condominiale) comporta un rischio che non sarà mai convalidato dalle buone intenzioni iniziali di chi svolge le suddette attività internazionali o fuori dagli schemi dell’immaginario collettivo.

Scalare la vetta di una catena montuosa appartenente a un altro paese, andare in vacanza all’estero non solo per puro svago asserragliandosi in un resort ma spinti dalla voglia di conoscere altre culture, occuparsi di ingiustizie e di battaglie civili dal carattere esotico o raccontare una guerra in luoghi distanti dal proprio orticello, fare il missionario o l’imprenditore in un paese in via di sviluppo, ecc.: per il selecercatista queste elencate, e molte altre ancora, sono tutte attività inutilmente rischiose. “Perché morire all’estero quando si può comodamente morire in patria?” questa la sua domanda-motto. Il selecercatismo possiede solide basi già nella quotidianità nazionale (in fondo un giudice che viene ucciso perché combatte la mafia, se l’è cercata! Anche se, bisogna riconoscerlo, se l’è cercata in patria) ma raggiunge il suo acme dileggiante nei confronti di quelli che rischiano la propria vita o solamente i propri interessi materiali in luoghi lontani dalla quotidianità sociale e linguistica. Chi te lo fa fare ad andare fino a lì, se puoi farti ammazzare qui…?

Ma come è strutturata la psicologia selecercatista? In realtà dietro l’apparente buonsenso del selecercatista si nasconde una paura fottuta della vita e della conoscenza in senso lato! Dietro la convenienza scientificamente ricercata del non esporsi, si erge il terrore del confronto, la scomodità insita nella diversità; la passione internazionalista è vista come uno sport estremo e l’occuparsi di storie lontane come un hobby per benestanti nullafacenti e romantici sentimentali. Egli tende a etichettare come inutile e pericoloso tutto ciò che non riesce a gestire a causa del proprio limitato punto di vista: una donna stuprata perché vestita in maniera provocante o uccisa perché sessualmente libera (Ashley Olsen), l’avventuriero solitario che muore durante una traversata oceanica (o è in difficoltà come capitato a Giovanni Soldini), il giornalista freelance preso in ostaggio (o ucciso, vedi Enzo Baldoni) mentre racconta un conflitto invece di affidarsi a delle comode notizie d’agenzia… Tutti quelli morti, secondo il selecercatista, in maniera inutile, se la sono cercata perché hanno vissuto provocatoriamente, hanno varcato il confine dell’ovile, e non hanno seguito la strada tracciata dai “saggi vigliacchi” vissuti prima di loro. E sì perché il selecercatista si considera saggio, umile come piace a dio, furbo perché protetto da una sapienza da borgo medievale, intelligente ma con sobrietà per non offendere i sacri Lari, previdente come un buono fruttifero postale, originale nel suo essere attento in un mondo di pazzi, mai scontato, pavido o chiuso di mente, e soprattutto pensa di possedere le chiavi per la vita eterna: noiosa, bidimensionale, grigiastra, ripetitiva ma eterna, perché chi invecchia e muore a casa propria, diciamocelo, è un po’ come se vivesse per sempre senza aver mai vissuto.

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La poesia resistente!

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 30 aprile 2015 by Michele Nigro

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Il viaggio

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 22 aprile 2015 by Michele Nigro

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Eliminare la fretta del ritorno

a casa

tra sicurezze etichettate

e appartenenze

perdersi per il mondo

privo di memoria e lingua natia

immerso nel viaggio

nuova dimora senza tempo.

Public house

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 dicembre 2014 by Michele Nigro

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Il tizio prigioniero nel suo pub

mesceva birre mondiali miste a pettegolezzi

conservando fedele

un animo provinciale.

I liquidi

seguono leggi innate

e assumono la forma dei contenitori.

“Lost in Translation”: perdersi e ritrovarsi… a Tokyo

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 13 novembre 2014 by Michele Nigro

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Scrive Michel Onfray in “Filosofia del viaggio (Poetica della geografia)”: <<… ci si mette in cammino spinti soltanto dal desiderio di partire incontro a sé stessi nel disegno, molto ipotetico, di ritrovarsi, se non di trovarsi. […] I tragitti dei viaggiatori coincidono sempre, segretamente, con ricerche iniziatiche che mettono in gioco l’identità.>> Ma per imparare a ritrovarsi (e a trovare gli altri con occhi nuovi) bisogna prima di tutto perdersi: nella traduzione di una lingua difficilissima, nelle notti insonni trascorse a guardare canali incomprensibili, nel fondo del proprio bicchiere seduti a un bar, nell’avventura di una notte… E prima ancora di partire essersi già persi nelle proprie insicurezze, in rapporti familiari che lontani da casa all’improvviso ci appaiono alienati e alienanti, nei fallimenti e nelle rinunce che la vita non risparmia a nessuno.

Il viaggio, per sua natura, offre al viaggiatore delle preziose brecce su verità che la soporifera routine dellalost-in-translation quotidianità tende a ridimensionare. Per compiere, però, questo scomodo confronto con sé stessi e con la propria vita, non occorre solo un luogo diverso ma anche un complice, un amico insonne come lo siamo noi, che parli la nostra stessa lingua (quella madre e del cuore) e soprattutto che abbia la stessa identica sete di semplicità e di verità. Come accade ai due protagonisti del film di Sofia Coppola, “Lost in Translation” (L’amore tradotto), Bob (Bill Murray) e Charlotte (Scarlett Johansson) che casualmente – a volte le cose migliori della vita capitano per caso – cominciano a vivere una straordinaria e spontanea storia di amicizia tra l’hotel di cui sembrano essere prigionieri e le elettriche strade di Tokyo. Un film che, sfruttando il fattore diversità di una città lontanissima non solo geograficamente ma anche culturalmente, vuole essere un elogio a quei legami inaspettati che spesso arricchiscono l’esistenza degli uomini e delle donne.

La pellicola è caratterizzata da molte pause, silenzi, sguardi, (tutti tenerissimi e lost-in-translation-picnecessari per sottolineare la non urgenza del parlare e la bellezza nell’essere solo presenti, nell’esserci e basta, che a volte è sufficiente), e da una trama delicata e a dir poco disarmante tanto è elementare, ma che riesce a trattenere nel suo tessuto dei contenuti “filosofici” a cui nessun spettatore può sottrarsi. Contenuti che portano inevitabilmente a delle precise domande: siamo soddisfatti delle nostre vite e delle persone con cui abbiamo scelto di vivere? Cosa avremmo voluto fare nella vita e che ci ritroviamo a non fare? Cos’è che ci tiene realmente svegli la notte al di là del jet lag e del fatto di aver cambiato materasso dormendo in un hotel? Cosa ci accorgiamo di aver perso quando ci ritroviamo da soli e lontani da casa? La risposta a tutte queste domande, e a molte altre, non la ritroviamo in una notte di sesso sfrenato tra un uomo e una donna, adulti, intelligenti, liberi e sessualmente attivi – cosa che fortunatamente non avviene tra i due protagonisti perché la loro funzione in questo film è un’altra; è una funzione umanizzante anche se passeggera – ma in una tenera amicizia nata per sopperire a mancanze interiori ed esistenziali e che va ben al di là della semplice e ormai scontata “conquista carnale” (scontata cinematograficamente parlando!). Ed è forse proprio questa piccola ma importante eversione del canone hollywoodiano del “sesso facile e a buon mercato”, a rendere speciale il film di Sofia Coppola.tumblr_mbgog2P85B1ri3in9o1_1280

Ci si può amare senza amarsi materialmente? È possibile far incontrare le anime di due esseri viventi, un uomo e una donna, due esperienze, due età, due insoddisfazioni, in una zona neutrale e asessuata? La risposta, decisamente impopolare, è , si può! E soprattutto, la domanda più scomoda: vi può essere più amore – almeno in alcuni frangenti dell’esistenza – nell’amicizia che non nei consolidati e ufficiali rapporti coniugali? Anche in questo caso la risposta è positiva. Sono momenti di grazia, e quindi rarissimi, ma possibili. Momenti che magicamente trasformano gli asettici non-luoghi di Marc Augé (aeroporti, hotel, ristoranti… tutti quei luoghi che non ci appartengono) in luoghi del cuore che diventano per sempre nostri. Diventano storia, e non una storia. Vi è più amore nella condivisione spontanea e semplice, raccontando di sé stessi l’uno all’altra in un letto, restando vestiti e guardandosi negli occhi, che nella petulante richiesta di scelta del colore della moquette da parte di una moglie distante emotivamente e troppo presa dai figli, o nell’arrivismo professionale di un giovane marito che fugge.

Il viaggio, ma non solo il viaggio – anche su altri terreni “neutrali” è possibile realizzare il confronto che ci serve -, dà la possibilità al viaggiatore di “guardarsi da fuori” e di accorgersi che nessuna vita è perfetta, che nessun rapporto è perfetto, che le scelte sbagliate sono una costante nell’esistenza umana, ma che alla fine, nonostante questa presa di coscienza che dovrebbe sconvolgerci fin a_610x408dalle fondamenta, ritorniamo alla realtà che scegliamo di non condannare anche se imperfetta. Alla fine l’unica concessione data nel film a Bob e Charlotte è un tenero bacio sulle labbra dopo un abbraccio quasi filiale, un bacio non “predatorio” ma un lascito fatto di puro amore e che non potrà più essere ricambiato perché nato tra due vite asincrone, quindi vero, non calcolato, disinteressato e più potente dell’amore che possiede e imprigiona. Alla fine ci si ritrova, dopo essersi persi, non perché si cambia radicalmente vita, abbandonando famiglia e paese, ma perché si è avuto il coraggio di perdersi e di guardare con occhi diversi – con gli occhi dell’altro – gli spazi interni dell’esistere umano. Perché ci si riscalda alla sola idea di quel dono inatteso – al fuoco dell’incontro – di quella fugace nuova amicizia sorta dal nulla e gratuitamente. Per ricominciare a crederci, ritornando ognuno alla propria vita.

L’amore può essere tradotto, come recita il sottotitolo del film? Tradurre significa “tradire” e a volte per riconquistare l’amore che non alberga più nelle nostre esistenze dobbiamo tradire il nostro ego fatto di convinzioni e false conquiste, e tradurre l’amore in qualcos’altro, in amicizia ad esempio, usando un linguaggio nuovo capace di descriverci con clemenza e leggerezza. Senza possedere, senza pretendere, senza darsi appuntamenti, con serenità e compassione. A volte abbiamo bisogno di uno sguardo esterno per “tradirci” e per liberarci dallo schema che ci tiene prigionieri. A volte abbiamo bisogno semplicemente che qualcuno ci faccia compagnia mentre tentiamo di addormentarci.

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Battipaglia a “Giochi Senza Frontiere”

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 18 dicembre 2012 by Michele Nigro

Un mio articolo-intervista riguardante l’esperienza ludica della città di Battipaglia, nel 1973 e nel 1978, vissuta a “Giochi Senza Frontiere”, trasmissione televisiva internazionale che ha segnato un’epoca, è stato pubblicato sul numero doppio 16-17 (pag. 14) del quindicinale “il Battipagliese”.

Scarica il pdf: il_battipagliese_16

(Il presente articolo, a firma del sottoscritto, e pubblicato su “Il Battipagliese”, testata giornalistica donata al Comune di Battipaglia da FARINV srl, non è stato, fino a oggi, regolarmente retribuito come da accordo preliminare tra l’Autore e la Condirezione della suddetta testata. Il sottoscritto sa che la richiesta di retribuzione è stata regolarmente protocollata dalla Condirezione presso il Comune – Condirezione che non è assolutamente responsabile della mancata retribuzione degli articoli dei collaboratori – e attribuisce, ovviamente, la mancata retribuzione ai fatti di cronaca giudiziaria che hanno interessato l’ex Sindaco di Battipaglia Giovanni Santomauro e che hanno determinato lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni camorristiche, con conseguente interruzione di tutte le attività, comprese quelle giornalistiche, legate all’Amministrazione interessata: va da sé che anche i pagamenti degli articoli sono passati tragicamente in secondo piano! Il sottoscritto è consapevole del fatto che la mancata retribuzione di alcuni articoli giornalistici, se confrontata con lo “tsunami” di capi d’accusa formulati contro l’Amministrazione Santomauro, e che hanno determinato il successivo insediamento di ben tre commissari prefettizi, è sicuramente poca cosa. Invita tuttavia gli ex lettori de “Il Battipagliese” e i cittadini di Battipaglia a considerare questo singolo e insignificante fatto come l’ennesima occasione – se mai ce ne fosse bisogno – per inquadrare un periodo, i suoi personaggi, la provenienza politica degli stessi, i meccanismi poco chiari che hanno caratterizzato quella Amministrazione e a trarre le conclusioni che l’intelligenza suggerirà loro. Anche in vista di future scelte elettorali che riguarderanno il Comune di Battipaglia. Michele Nigro)

n.16-17-2012

Napoli Comicon: Fumetto & Letteratura

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 29 aprile 2012 by Michele Nigro

Non sono mai stato un otaku e non penso di diventarlo a quarantuno anni suonati, anche se la vita spesso ci riserva delle simpatiche sorprese: la passione non conosce età. Le mie incursioni nel mondo dei fumetti e dei cosiddetti cartoni animati, due forme d’arte che ho sempre amato anche se in maniera pacata, sono state ordinarie: il classico svezzamento in tenera età con “Topolino” e “Paperino”, il periodo d’oro degli anime giapponesi trasmessi dalle televisioni private durante gli anni ’80 e ’90, alcuni vhs gradualmente sostituiti dal dvd, qualche manga, un paio di fumetti dei supereroi più in voga, due o tre graphic novel… Niente di paragonabile al collezionismo fedele, meticoloso e costante nel tempo di un autentico otaku.

In questi giorni a Napoli (alla Mostra d’Oltremare dal 28 aprile al 1 maggio) si svolge il Napoli Comicon, il salone internazionale del fumetto giunto alla sua XIV edizione e dedicato quest’anno ai rapporti tra “Fumetto & Letteratura”. Anch’io ho avuto il piacere di immergermi, durante un affollatissimo primo giorno d’apertura, nell’atmosfera fibrillante di una fiera fumettistica. La mia prima fiera!

Quello dei fumetti è un universo infinito e l’umanità che lo popola è a dir poco variegata e interessante: i fantasiosi cosplayer portatori di colore e di entusiasmo, i gestori di fumetterie e i professionisti delle scuole del fumetto, gli editori/espositori con i loro ‘prodotti’, i ‘fumettari’ in cerca di numeri da collezione e di autografi, i disegnatori pronti a regalare uno spicchio della loro arte, i giocatori di ruolo… Impossibile sintetizzare un mondo così sfaccettato e articolato come quello degli appassionati di fumetti e ‘articoli affini’. Un’umanità intelligente, pacifica, intenta a coltivare una sana passione. Si parla spesso di crisi economica ma dopo aver vissuto una giornata al Napoli Comicon posso dire senza ombra di dubbio che, a parziale compensazione del momento difficile, perlomeno non esiste una crisi della creatività, dell’arte, della voglia di partecipare e di fare: anche la fantasia e in particolar modo il mercato che gira attorno alla nona arte (il fumetto) possono dare indirettamente una mano all’economia.

Partecipare a una fiera fumettistica significa anche avere l’occasione di dare vita a nuove collaborazioni in vista di progetti artistici condivisi o di incontrare amici di vecchia data, come è capitato a me: passeggiando tra i vari stand, infatti, ho rivisto dopo più di dieci anni un amico del periodo universitario – Luca Presicce, direttore artistico delle Wombat edizioni e da sempre appassionato di fumetti – presente al Napoli Comicon in qualità di editore/espositore.

Unica nota dolente, dal punto di vista organizzativo, è stata la pessima gestione del ticketing online: gli organizzatori del Napoli Comicon, evidentemente, non hanno ancora capito che la frase “acquistare il biglietto via internet” dovrebbe equivalere alla possibilità di entrare rapidamente, controllando all’ingresso il codice a barra posto sul biglietto stampato a casa, senza dover fare la fila per procurarsi uno stupido braccialetto di carta da indossare durante la visita, vanificando così il vantaggio del ticketing online sul quale grava, tra l’altro, la prevendita! Attendere per più di un’ora sotto il sole, pur avendo fatto il biglietto online, non è un modo simpatico di iniziare un’esperienza bella come quella del Napoli Comicon.

Duchesca

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , on 4 aprile 2011 by Michele Nigro

Nel cuore della mia incontenibile Napoli vi è un luogo, un po’ vico e un po’ leggenda, dove ognuno trova ciò che vuole. Il suo nome è Duchesca. Non chiedetemi quali sono i suoi confini nella città e quali oggetti si vendono, perché domani potrebbe essere già troppo tardi per aggiornarsi su ciò che hanno da proporvi. La Duchesca, più che un luogo, è una condizione mentale e solo chi ha la forza di cercare può affrontare la marea di proposte che sgorga dai meandri di questo mercato vivente.

Alle spalle di un Garibaldi indifferente che rimugina sull’unità d’Italia, sorgono disseminate le bancarelle della Duchesca ricoperte di scarpe vendute per niente, mutande, calzini, camicie improponibili, pantaloni e lampadari. E poi pentole, fiori finti, ‘pezze americane’, ferraglie e con un po’ di fortuna dischi volanti e souvenir dell’area 51 nel deserto del Nevada.

Garibaldi guarda troppo lontano per accorgersi che al suo piedistallo i disoccupati hanno appeso anche uno striscione rosso contenente la parola “… lavoro…” e che ogni giorno, quegli stessi disoccupati, bloccano una strada di Napoli per protestare contro non si sa più bene chi! Ormai…

La Duchesca risponde alla protesta con la solita e inflazionata inventiva napoletana che da secoli sfama, e forse vizia, milioni di persone…

E come sempre il tutto accade alle spalle di qualche governante: non importa se francese, spagnolo, garibaldino, monarchico o repubblicano. La gente conosce una sola parola e un solo imperativo: ‘campare’.

La Duchesca non è un luogo ‘nobile’ come il nome potrebbe far credere ai più superficiali. É una galassia di popolazioni che propone di tutto: austeri russi con il loro catalogo di residuati d’oltrecortina; polacchi che cercano di venderti vecchi cimeli sotto forma di orologi da polso prodotti nell’ex Unione Sovietica durante la Guerra Fredda; un vecchietto espone una serie di autoradio con ancora attaccati i fili elettrici delle macchine da cui sono stati ‘prelevati’, senza la necessaria benedizione del proprietario; un ucraino vende scarponi da montagna rigorosamente neri e lucidi (forse trafugati a qualche morto) e un venditore di videocassette che cerca di convincere un pensionato, con la giacca consunta e la borsa da impiegato del catasto, a comprarsi l’ultimo film porno con la focosa donnina di turno. Più in là, un marocchino che parla un perfetto napoletano presenta i suoi prodotti esotici ad alcune casalinghe curiose. Ma i super organizzati del quartiere sono e restano sicuramente i cinesi: insegne luminose con ideogrammi indicano l’entrata dei loro punti vendita dove abbondano i principali ingredienti della tradizione gastronomica cinese. In questa “China Town partenopea” ti senti lontano da casa, ma in realtà sei a due passi dalla stazione ferroviaria di Napoli Centrale.

Francesco Costa non poteva trovare titolo più giusto per il suo romanzo: “Non vedrò mai Calcutta”. Non c’è bisogno, infatti, di viaggiare perché a Napoli c’è tutto il mondo!

Come ‘militari del sesso’ in libera uscita, alcune prostitute di colore cercano tra le bancarelle un attimo per sé stesse… Prima che la notte cali inesorabilmente per ridestare i doveri della loro schiavitù.

La Duchesca non è un mercato: è di più.

Le sue diramazioni penetrano nel tessuto del quartiere rendendolo vivo, pullulante di idee, di ‘mbruogl, di calore umano e di partecipazione. La libertà di chi sopravvive contro la prigionia di chi vuole rispettare le regole: questa è la sfida lanciata dalla Duchesca verso il mondo globalizzato dalla volontà di pochi potenti.

Nei vicoli più stretti le bancarelle tappezzano il cammino rendendolo ovattato e caldo come in una enorme vagina sociale. Ti stringi alla gente e con una mano controlli il portafogli. Ma nonostante tutto cammini e cerchi. Cosa? Non si sa.

La solidarietà tra i venditori ambulanti è un esempio di patto sociale che è stipulato nel quotidiano e nel senso di appartenenza al quartiere e alle sue esigenze. Non c’è menefreghismo tra queste viuzze, ma un’energia empatica avvolge le urla dei venditori per richiamare il cliente e per far sapere al quartiere, e se serve al mondo intero, che ci sono anche loro.

Un fiume di gente chiede, si ferma, prova, discute, parla, propone, paga, conta il resto, apre la busta per ammirare l’acquisto, confronta, conforta, solidarizza, esige, prenota, soppesa, si consiglia, ripassa, indifferentemente legge i prezzi, dissente, osteggia, maneggia, corteggia, sentenzia, preme, guarda, medita, si indispone, oculatamente deprezza, disprezza, apprezza, e intanto tocca, ritocca, mette in bocca, sghignazza, chiede ancora, presiede, saluta, risaluta, fugge – “vac’ e press!” – fa l’occhiolino, ti plagia, si adagia e con maestria ti vende, ti assicura, ti garantisce, ti ripaga, ti ascolta, ti vuole bene e ti tradisce.

“Prego, prego!”; “Capo, che v’ serv?”; “Pruvatavelle: si nun v’ piace, j ccà stong!”; “Almen nù cafè?!”; “L’ultimo dei Dip Parpòll? Circat i Let Zeppelìn? M’ rispiac juagliò: cà nun vennimm suppost!”; “Cing euri! Sùl cing euri!”; “Che vulit: ricit a me!”; “Gennarì, sient a stù signor!”

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