Finì così, all’alba
di un’estate indecisa,
la nostra sinistra
adolescenza
romantica e sognatrice
di zaini su strade d’idee
e mondi da costruire.
Ora che siamo adulti stanchi
neri di rabbia e disincanto
cerchiamo risposte brevi
al tramonto di una crisi eterna.
Ma tu, nel dubbio
in attesa di un nuovo sol dell’avvenire
non smettere di ammirare le mie gambe
pronte ad andare.
Seconda edizione (ebook e cartaceo) dedicata, tra gli altri, ai lavoratori Amazon di Piacenza, “Call Center – reloaded” è un racconto social fantasy pubblicato in prima edizione nel 2013: alcune scomode verità socio-economiche e culturali riguardanti i nostri tempi, evolvono in una specie di realismo magico lovecraftiano crudele e inesorabile. Partendo da temi caldi quali il lavoro, la precarietà, la mancanza di sicurezza economica in un futuro nebbioso, l’Autore cerca di descrivere la condizione ambigua dell’uomo moderno e ne approfitta per toccare il cuore dell’inganno consumistico: il lavoro è diventato un prodotto e i lavoratori-consumatori sono dei complici più o meno consapevoli. La “liquidità baumaniana” ha preso il sopravvento in ogni settore. L’informazione carpita dai “profili”, la conoscenza dei desideri, diventano risorse preziose per un Sistema che non lascia scampo. La libertà è un’utopia luminosa ma per conoscere la verità (e quindi riscattarsi dalle regole del Sistema) bisogna avere il coraggio di scendere in zone oscure, di sé stessi e del mondo lavorativo disumanizzato. E incontrare il “mostro”…
La cosa che temeva di più, col passare del tempo, era di perdere la forza benefattrice derivante dall’amore vissuto, ricevuto e donato; una forza che aveva portato nel mondo con orgoglio e sicurezza d’animo, così come si porta in giro un regalo dall’effetto rigenerante per condividerlo con tutti. Il più bel regalo che la vita gli avesse fatto. Temeva di sprofondare nuovamente nella corrosiva ma appagante cattiveria appresa dai suoi simili e da se stesso, come autodidatta, durante gli anni senza lei. Precedenti alla sua cura.
“Solo ora mi accorgo della differenza, mi ricordo di com’era la mia vita prima dell’unicità di quell’amore. Ho toccato la grazia e ora so che senza amore la vita non vale la pena di essere vissuta” aveva affermato mesi prima, in tempi non sospetti, quando la sua chioma era lunga e folta, come la barba. Ma prima di riconquistare, chissà, un giorno, quello stato di grazia, avrebbe catturato e torturato qualche anima innocente. Forse alcuni milioni di anime senza colpa. Per riequilibrare il karma. “In fondo sono contento di essere libero e solitario. Assaporo il dolore agrodolce di una storia sospesa, come si sospendono le date di un tour perché l’artista è indisposto. Come il dolce malessere dopo un addio!”
Jazz, aria condizionata, gelato nel congelatore, siringhe da fare nei glutei dei vicini di casa, quelli un po’ vegliardi e malaticci, per mantenere in piedi una reputazione da bravo ragazzo attempato. Fisioterapia a domicilio invece del mare, la sequenza delle medicine da prendere, stampata e appesa al frigo che fa troppo ghiaccio, qualche piccola sagra nei dintorni, magari una capatina nel buen retiro di sempre. Questa la prospettiva di un serial killer in fieri?
Chi sarebbe stata la prima vittima? Ce ne sarebbe stata solo una all’inizio? O avrebbe organizzato la marcia su Morte in compagnia di una folla immensa? Conosceva già la risposta: quella mattina aveva rasato con estrema cura le sue inutili sopracciglia. Accorciato i capelli, rasato la barba. Era pronto ad annullarsi nella battaglia finale. Unica soluzione al dolore.
“Il lusso della scelta, paradossalmente, deriva proprio da quel benessere alla cui realizzazione hanno contribuito anche i vaccini e l’alimentazione carnea!” controbatteva in tv uno degli ultimi opinionisti sani di mente. Forse avrebbe cominciato proprio da un vegano o da un no vax del cazzo: uno di quelli che vota partiti di sinistra farlocchi, che legge l’Unità perché è trendy ed esce in strada con i risvoltini per andare a prendere la ragazza. Ingrati e capricciosi figli di puttana!
Sul legittimo salvataggio del nostro Io fallace disseminato in rete.
“Che cosa resterà di noi? Del transito terrestre?
Di tutte le impressioni che abbiamo in questa vita?”
(Mesopotamia – F. Battiato)
“A cosa stai pensando?” – chiede in maniera fredda e utilitaristica il social network simulando una finta empatia. E noi giù a confessare emozioni, speranze, sospetti, sentimenti; a condividere idee, immagini, progetti, azioni. Il confessionale del grande fratello internautico accoglie tutti; la tastiera è come il taccuino dello psicanalista. Eppure basta poco per gettare nel panico gruppi chiusi e aperti, community e singoli contatti; per risvegliare dal sonno della rete le masse parcheggiate e letargiche: la minaccia insita in un umile ammasso di bit organizzati, la promessa di un file stampabile che distaccandosi dalla piattaforma è capace di conquistare un’indipendenza fisica nel mondo reale del quotidiano cartaceo. L’assurda riscoperta della privacy violata da chi la difende in extremis ricorda un po’ la storia dell’allevatore che chiude la stalla dopo che sono scappati i buoi. Internet è come una casa di vetro, ma c’è chi si preoccupa della presunta eternità di un file riproducibile, trasferibile, conservabile su un supporto. Il potere della memoria contro la caducità della confessione estemporanea. Delicate farfalle dotate di memoria ram contro geroglifici scolpiti su pietre masterizzate che sfidano l’infinito.
Panta rhei os potamòs (πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός), Tutto scorre come un fiume: il pensiero di un nuovo ‘filosofo del divenire’ al tempo del web 2.0! Non ci si può bagnare due volte nello stesso web: questo è il continuo cambiamento applicato al social networking per cui tutto è mutamento, movimento, perdita o acquisizione di dati, pettegolezzo senza sosta, suggerimento privo di compassione, senza sostanza primigenia immobile e immutabile. Solo i dati sensibili e utili all’influencer marketing rimangono imprigionati nei server del liberismo economico: tutto il resto, ciò che ingenuamente reputi ‘importante’, è pattume. Lo scorrere senza fine della realtà virtuale, il perenne nascere e morire delle informazioni, l’assenza di una sponda rocciosa.
Qualcuno dice che la vita è movimento; isolare una singola parte dal tutto dinamico significa decidere di far morire quella parte. Ma per consolidare l’effimero occorre devitalizzarlo, decontestualizzarlo, isolarlo, fissarlo, conservarlo, renderlo disponibile alla riproducibilità volontaria, trapiantarlo prima che muoia. Prima che scompaia tra i flutti dell’informosfera. Per dare valore alle parole, al pensiero, alla nostra condizione virtuale ma pur sempre umana.
La scissione dal contesto crea insicurezza. Paradossalmente l’archiviazione dell’intimità donata al mondo terrorizza chi insegue la diluizione e il disimpegno. Si opta per il “salva con nome” contro la morte di ciò che nasce fragile. Ed è allarme.
Il brandello di pensiero fluido prelevato dal web conquista l’indipendenza e impara a vivere di vita propria: comincia a respirare e addirittura cammina. Possediamo finalmente le prove del nostro passaggio attraverso il fiume dell’informazione.
Non siamo più solo pedine telecomandate o fornitori passivi di dati da dare in pasto alle statistiche dei padroni del social networking: rivendichiamo diritti terrieri come indigeni che godono di una falsa libertà passeggiando tra le riserve imposte. Essere senza possedere. Consumare senza memorizzare.
La conquistata eternità di ciò che credevamo effimero c’innervosisce e al contempo ci responsabilizza. Si ritorna periodicamente su ciò che abbiamo salvato. L’imprevista immortalità del fugace diventa un problema. Il passaggio di stato – da gassoso a solido – del pensiero già condiviso e adolescente diventa pericolosamente reale: il brinamento della coscienza virtuale dal web alla carta non era stato previsto; l’atto di maturità del navigatore perdigiorno trova spazio su memorie fisse.
Divento nostalgico delle tracce lasciate nella grande rete. Decido di conservare la mia porzione di acqua prima che un clic anonimo sentenzi la deviazione o la scomparsa del fiume informativo. E mi sento già un po’ meno deprivato, un po’ meno sfruttato. Ma non basta.
I social network come extension dell’anima: la singolarità informativa avanza inesorabile. Il pensiero biologico s’innesta sui fiumi elettrici della solitudine ipertestuale: forse un giorno si renderà autonomo dal creatore dotato di tastiera e vivrà anche dopo la morte fisica di quest’ultimo. Rielaborando se stesso.
Nuove trasformazioni della materia; evoluzioni legislative; nuovi diritti d’autore nascono come fortezze Bastiani nei deserti elettrici di moderni Tartari; nuovi territori da presidiare: attendendo la battaglia finale, attendendo rinforzi.
Mi è già capitato su queste frequenze di occuparmi di Space Clearing in maniera, diciamo così, eterodossa: in quella occasione per me epocale utilizzai però un linguaggio piuttosto criptico, oserei dire ‘epico’. In questo post, invece, vorrei essere più esplicito e fornire una visione reale e realizzabile dello Space Clearing applicandolo al delicato campo delle ‘relazioni sociali’. Giusto per non confonderci con la definizione ufficiale: lo Space Clearing è praticamente l’arte di liberare lo spazio. Ovviamente questa ‘disciplina’ molto particolare e consigliata da numerosi psicologi d’oltreoceano, si riferisce allo spazio occupato da tutti quegli oggetti inutili accumulati nel tempo, nelle nostre abitazioni: quindi si occupa delle interconnessioni esistenti tra materialità superflua e fluidità dell’energia vitale. La prima regola è disfarsi di tutto ciò che non ci serve: alleggerire l’ambiente in cui viviamo indirettamente significa rendere leggero anche il nostro animo. Sembra facile ma non lo è: la fase ‘difficile’ dello Space Clearing non è la pulizia in quanto tale (infilare qualcosa nella pattumiera è un gesto abbastanza semplice, non bisogna frequentare dei corsi per questo!), ma il saper riconoscere l’inutilità di un oggetto è il vero gradino evolutivo che rende lo Space Clearing un’arte che va oltre le mere esigenze casalinghe. Le nostre mamme applicavano gli stessi principi anche senza conoscere il Feng shui!
Dopo aver letto alcuni articoli riguardanti lo S. C. mi sono chiesto: “e se applicassimo le regole dello Space Clearing anche nell’ambito della nostra vita sociale?” Se una casa piena di oggetti inutili ci stressa e non ci permette di utilizzare al meglio le energie vitali bloccate tra cumuli di vecchi abiti e armadi pieni di ricordi della nostra adolescenza, cosa dire allora di una vita sociale congestionata da personaggi inutili e legati al passato? Qualcuno giustamente potrebbe rispondermi dicendo che è disumano mettere sullo stesso piano una scatola colma di oggetti senza più valore e un’agenda infarcita di nomi e cognomi (cioè di persone in carne e ossa) che non rappresentano più nulla per noi e che conserviamo per una questione di puro pietismo. E invece io dico che si può fare e che, anzi, è doveroso farlo: non si tratta in questo caso di liberare spazio nello sgabuzzino perché ci sentiamo nervosi; fare pulizia nella propria vita relazionale significa difendere la propria dignità e soprattutto rispettare e far rispettare le proprie esigenze evolutive. Non si tratta di snobismo ma di una umanissima ‘eutanasia relazionale’: certi rapporti umani ‘rachitici’ sono estremamente dannosi per chi ha bisogno di completezza, di evoluzione e di maturità. Lasciarsi etichettare senza ribellarsi (per paura di restare soli nel caso di una nostra ribellione e non perché siamo d’accordo con il giudizio degli etichettatori) significa dimostrare la propria debolezza, la propria meschinità… Significa non amarsi! Noi tutti tendiamo a ‘cristallizzare’ l’immagine che abbiamo dell’Altro senza sforzarci di andare oltre, di conoscere la verità: lo facciamo perché è più facile, è decisamente comodo. Questo se consideriamo l’ambito privato. Spostando il fenomeno su un piano generalizzato giungiamo a una definizione di ‘immaginario collettivo’ immarcescibile. Influenzando le masse si determina la vita o la morte di un movimento politico, di un personaggio pubblico, di un’idea…
Le persone che non riusciamo a ‘eliminare’ dalla nostra esistenza per abitudine o per pietismo, sono proprio quelle che ci tengono incatenati a un passato che non ci appartiene più. E la cosa assurda è che siamo noi stessi ad autorizzare la messa in atto di questa strana forma di prigionia. Senza accorgercene trasciniamo per anni strane e incompiute relazioni amicali, conoscenze irrisolte, rapporti di vicinato senza senso, parentele sclerotizzate e ‘doverose’, perché siamo schiavi delle nostre abitudini, delle nostre ossessioni e crediamo che il ‘paesaggio’ a cui siamo abituati sia un qualcosa di intoccabile. Siamo noi stessi i ‘secondini’ della nostra evoluzione. Le persone che ci etichettano, c’infastidiscono, ci irritano, che bloccano la nostra nuova visione della vita, che non posseggono gli strumenti necessari per condividere i nostri interessi, restano ostinatamente al loro posto all’interno dei nostri spazi vitali perché non abbiamo il coraggio di depennarle dalla nostra rubrica evolutiva. Così come non riusciamo a disfarci di certi oggetti che riteniamo utili anche se di fatto sono inutilizzati e ricoperti di polvere.
In molti casi la nostra presunzione raggiunge livelli preoccupanti e crediamo addirittura di poter cambiare le persone in base alle nostre esigenze esistenziali. Non consideriamo invece la strada più semplice e naturale: lasciar andare le persone, liberarle per sbarazzarci finalmente di quella visione statica che abbiamo delle relazioni umane. Il sentimentalismo viene sconfitto dalla nostra personale ‘sete’ di evoluzione: più la sete è forte, maggiore sarà la nostra capacità di liberare il prossimo dalle catene dei nostri egoismi. Liberarsi delle ‘persone inutili’ significa portare equilibrio nella propria esistenza, diminuire l’aggressività e convogliare le proprie energie vitali verso quei rapporti che posseggono una struttura sensata. Non si tratta di ‘omologazione’ abbinata alla ‘cattiveria’ e all’ ‘insensibilità’: il confronto è sempre importante ed è necessario incontrare chi non è come noi. Il ‘peccato’ consiste nel voler a tutti i costi condividere cammini incondivisibili, tenere in vita rapporti morenti per natura, conservare gesti e immagini di epoche giustamente seppellite… Non è questo il vero lato disumano del nostro comportamento? È scritto nella Desiderata, poema in prosa dello scrittore Max Ehrmann:
<<Evita le persone volgari e aggressive; esse opprimono lo spirito.>>
Non siamo in grado di eliminare dalla nostra vita quelle stupide cene con ‘vecchi amici’, che di amichevole non hanno più nulla, solo perché ci ricordano ‘i tempi andati’ (e non ci accorgiamo delle nuove e meravigliose possibilità offerte dal presente); non riusciamo a smettere di frequentare persone con cui non condividiamo più niente da anni o con cui addirittura non abbiamo mai condiviso niente; non riusciamo a interrompere certi rapporti sociali abitudinari perché non abbiamo il coraggio di fornire una descrizione precisa dei nostri obiettivi; prediligiamo la quantità alla qualità anche nei rapporti umani…
Viviamo in base a schemi arrugginiti. Tratteniamo stupidamente oggetti e persone: lo Space Clearing potrebbe venire in nostro soccorso anche in ambito sociale. ‘Eliminare’ le persone inutili della nostra esistenza non è disumano: è un coraggioso atto di maturità; è un modo per riconoscere ufficialmente l’unicità del proprio cammino e, di conseguenza, di quello degli altri.
"Poesie minori Pensieri minimi"
sottotitolo: "materiali di risulta"
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ATTENZIONE: i formati MOBI-KINDLE, EPUB, AZW3, LIT,
utili per i fruitori di ebook reader, potranno essere richiesti
via e-mail direttamente all'Autore:
mikevelox@alice.it
"CALL CENTER - reloaded"
racconto social fantasy
di Michele Nigro
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L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
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