Archivio per legge

Don’t touch my Constitution!

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 8 dicembre 2016 by Michele Nigro

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Legge della Detrazione Universale di Nigricante

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 1 aprile 2016 by Michele Nigro

giphy

<<… I detrattori si attivano e agiscono per sminuire l’altrui iniziativa in maniera direttamente proporzionale al numero e all’importanza dei movimenti effettuati sul piano λ (e soprattutto al grado d’importanza “i” dimostrato pubblicamente), e inversamente proporzionale all’immobilismo “ĭ” (o presunto tale). Dati la costante universale “S” della strafottenza cosmica che permette all’operatore di andare avanti sempre e comunque, e l’attrito “A” tra egli e i commenti di segno negativo, resta da stabilire la variante “r” ovvero la distanza che l’operatore riesce a ricavare tra sé e i detrattori (detta anche “distanza interiore” d-i), rispettando la direzione pubblica vettoriale originaria.>>

Liberté, Égalité, Physicalité

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 15 dicembre 2015 by Michele Nigro

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Contenuti in spazi

disegnati da altri

ai fianchi le regole

del vivere sociale,

obliteratrici d’aria

la fila per morire

i divieti di fumo all’inferno

la linea gialla dell’anima

da non oltrepassare

le opinioni da corridoio

e le guerre inventate

gli orari d’ingresso

ai non luoghi.

In silenzio, al buio

dinanzi a un fuoco antico

le leggi della fisica

sole mi posseggono

nell’illusione del vero.

R.A.D.A.R.

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 10 luglio 2015 by Michele Nigro

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R.A.D.A.R.

Regole di vita intercettate

Rischiare, con una serie studiata e chirurgica di “no”, di perdere occasioni di vita buone solo a fare volume esistenziale; in compenso imparare a puntare sulla qualità, ad essere un po’ meno ‘foglia al vento’ e rispettare, facendolo rispettare anche agli altri, il proprio tempo. Le migliori occasioni, a volte, sono quelle perse; anche nel non vissuto c’è vita a dispetto dei fautori del fare. Ma non può esserci ‘economia energetica’ senza obiettivi: il progetto, e le scelte che facciamo intorno ad esso, sono strettamente interconnessi anche se all’apparenza slegati.

Andare controcorrente imparando ad andare prima di tutto ‘contro se stessi’, non cedere a un’apparente lampante convenienza e a una logicità della prima ora; allenarsi alla seconda battuta, al vuoto creatore o alla pausa musicale, all’eversione insita nell’incompleto e alla pazienza dei movimenti, aprendo lettere e pacchi postali dopo ore o giorni; disciplinare l’entusiasmo febbrile con la museruola della defervescenza. Un darsi tempo che non reprime gli animi ma li libera dal possesso e dalla nevrosi che rende ciechi.

Dare credito alla propria esperienza: è vero, le cose possono cambiare ed essere sempre diverse di volta in volta, ma ignorare il campanello dell’esperienza significa ignorare la propria storia, gli insegnamenti interiorizzati, le cose già fatte, le persone incontrate, le tipologie e le ideologie fallimentari, che stanno lì a dirci cosa non ripetere, chi evitare, per aggiustare il tiro, per esplorare nuove angolature e tentare di crescere sempre e solo in nome della qualità. Fare prevenzione senza farlo pesare al prossimo e senza giudicare, con stile.

Archiviare vicende e personaggi, per non rimanere impantanati nelle buche fangose della ricerca di gratitudine o di vendetta; lasciar andare, saper voltare pagina e cambiare scenari, svincolarsi da schemi, dogmatismi, luoghi, etichette, obblighi inventati dall’altrui vanità e dalla sete di dominio sul tuo spazio e sul tuo tempo. Ci è piaciuta in passato la funzione vanagloriosa di ‘ascoltatori’, fino a quando non abbiamo capito che la promozione del prossimo derivante dall’ascolto e da una compassione pseudoreligiosa si stava trasformando in un travaso di energia negativa basato sullo sfogo non costruttivo e sull’egocentrismo dell’ascoltato. I danni dell’altruismo non hanno tardato a manifestarsi; il silenzioso potere autorigenerante del libero arbitrio non è stato compreso dalla storia sociale. Sfuggire con classe a una storia già scritta, senza strappi eclatanti: ci vuole molto esercizio lontano dai riflettori, ma non è impossibile realizzarlo.

Ragionare prima di rispondere o di partire. La scelta della parola e della meta geografica non è una faccenda da prendere sottogamba: nel primo caso si rischia di impelagarsi in situazioni non realmente desiderate e cercate; nel secondo caso non viene rispettata la cosiddetta ‘vocazione nel (e non del) viaggiatore’, da non intendersi come predisposizione al viaggio-spostamento fisico: le città e i luoghi in realtà ci chiamano. La loro voce, facendo leva su archetipi ereditati non si sa bene come, è lì dentro di noi che cerca da anni di convincerci a partire, ma spesso scegliamo posti insensati suggeriti dall’emotività collettiva, dando forma a partenze non confortate da una struttura vocazionale coltivata nel tempo.

R.A.D.A.R. è vedere nella tempesta, prevedere gli sviluppi e quindi, per quanto possibile, prevenire il caso tenendo saldo il timone del nostro andare, percepire la sensazione forse illusoria di avere un minimo di controllo sull’esistenza in base a piccole decisioni quotidiane, apparentemente effimere ma a lungo andare incisive.

pdf: R.A.D.A.R.

Corri ragazzo, corri!

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 aprile 2015 by Michele Nigro

Forrest_Gump

(Elogio della velocità mimetica)

Non stare troppo a lungo in un parcheggio, da solo

esitando con le chiavi in mano,

indeciso se partire incurante dei dettagli

o riflettere su quell’insolito ciuffo di erba fresca

calpestato da ruote impegnate

sopravvissuto al cemento e all’asfalto del progresso

isola spontanea di lenta e silenziosa tenerezza

interrotta dai sibili di veicoli in gara

su una vicina autostrada

i passanti potrebbero pensare

alla pausa pensierosa e serena

che precede un suicidio metropolitano,

cronaca al tramonto.

Non essere indeciso sull’amore e le sue gioie

aspettando di vedere all’orizzonte degli anni uguali

una figura significativa

che aggiunga sale ai tuoi giorni

potrebbero sospettare indicibili mali,

poeticherie

deviazioni dalla natura, disinteressi carnali,

anaffettività

perversioni filosofiche di una mente non conforme

lontana dalla media aritmetica del buonsenso.

Non smettere di sorridere e agitarti

durante i sabati programmati

dai signori del divertimento

qualcuno potrebbe intravedere

un’inopportuna infelicità da panchina

tra le luci spensierate del consumo.

Non dimenticare di pregare e incensare

le reliquie danarose dei potenti

e le statue sanguinolente del culto nazionale

portate in catartiche processioni per simulare

storie millenarie di provvidenza

che fanno bene a cuori incapaci di vivere

la folla potrebbe pensare che hai voglia di esistere

di provare sulla tua pelle sensazioni non scritte

classificarle senza bisogno di una guida

di camminare lungo la strada di una legge interiore.

Corri, partecipa senza dubitare

e muoviti insieme agli altri

vota e fai votare, sii utile allo sviluppo

non perdere tempo

e non fermarti mai, credendo di fare la differenza!

Corri ragazzo, corri!

alla stessa velocità del mondo.

Mimetizzati

e lascia le pause agli indecisi pensanti,

perché fino a quando correrai

nessuno si accorgerà di te.

Ora illegale

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 29 marzo 2015 by Michele Nigro

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Tic! Tac! Tic! Tac!…

Non saranno le sciocche lancette di stato

seppur benedetto da dio

a decidere i tempi del mio esistere a pelle

ma la luce naturale in un meriggio di sole

trascorso con due ruote gonfie di passione

sulla strada

senza freni pensati da altri,

osservo il movimento irregolare dei secondi

su un orologio sconosciuto alla moda

come battiti cardiaci scanditi da un coraggioso muscolo

energia pura lontana da leggi e feste comandate.

Decidi tu l’età!

ignorando il buonsenso del corpo.

Un flusso ritmato di sangue illegale

mi spinge a desiderare le proibite proprietà

indicate dal senso delle sue parole di donna

che riempie vuoti inimmaginati,

mentre il vento riordina i fogli sparsi

di seppellite saggezze interiori

e dei tuoi orari ribelli.

Tic! Tac! Tic! Tac!…

Le sabotage

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 22 gennaio 2015 by Michele Nigro

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Si attende il virgulto ereditante

agognato sospiro di tesi parenti

sospettosi, insinuanti

in astinenza da gioie altrui.

Sciocca salvezza genetica

rispettata tradizione da mostrare

su balconi annuncianti e gloriosi

di familiari dittature, bassa cultura

dello sperma arruolato da morenti zie

per secolari guerre di posizione.

Alberi genealogici bruciati

dal fuoco di un’indifferente

attesa goliardica,

osservi ciondolare i tuoi piedi

da un ponte sul Bosforo, eterno fanciullo curioso

ti unisci in matrimonio con il mondo.

La discendenza sarà un puzzle ribelle

di esperienze e parole

senza copie casuali da allattare,

diventerai l’improduttivo sabot

tra gli ingranaggi di un sorridente sistemarsi

che detta leggi e tempi.

Testamento a te stesso,

ti allontani lento da maschere sociali

assetate di finta stabilità, premessa di una morte in vita

non ascolti dicerie

non assecondi profezie.

Libera e consapevole riproduzione di idee

eredità pensata, lontana dal clamore

nella rassegnata dimenticanza

degli etichettatori di quantità sessuali.

Morirete con me

inutili aratri, storici solchi abusati

nel dolce tramonto dell’esistenza.

“Interstellar” vs “2001: A Space Odyssey”

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 novembre 2014 by Michele Nigro

bowman vs cooper

Le ultime ore dell’isolatra Kiro

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 gennaio 2014 by Michele Nigro

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Hikikomori (1): anno 2032

 

Le ultime ore dell’isolatra Kiro

e le temute gesta della “Polizia Risocializzante”

  

“Siamo quelli che escono di rado,

sospesi tra la vita del mondo virtuale

e la realtà esterna percorsa dall’eco remota del passato”

(tratto dal Primo Manifesto del Connettivismo)

Sebbene fossero trascorsi tre anni, sette mesi e diciannove giorni da quando aveva chiuso dietro di sé la porta della propria camera, dimenticandosi in essa, il giovane Kiro non sentiva affatto la mancanza del caos di Tokyo e delle innumerevoli e stressanti relazioni sociali che avevano caratterizzato la sua poco rampante giovinezza, finita sul nascere.

In realtà “avvertire la mancanza di qualcosa” sarebbe stato già un segno di vitale, anche se dolorosa, consapevolezza; ma Kiro, prima di ogni altra cosa, aveva ormai perduto il senso del tempo e dello spazio.

I “ritirati sociali” rappresentavano, in un Giappone post bellico teso in una spasmodica ricostruzione, cominciata da molti decenni e partita dalle ceneri radioattive di Hiroshima e Nagasaki, la corposa schiera dimenticata di coloro i quali, non sapendo sostenere l’opprimente richiesta di uno spirito competitivo in una società tecnologicamente agguerrita, avevano scelto un solitario suicidio mentale da commettere comodamente a casa tra le lenzuola sporche, i videogames e una televisione vomitante programmi trash. Perdendo qualsiasi occasione di relazione con gli altri.

Kiro era uno di loro: aveva “deciso” di essere un hikikomori; non usciva mai di casa, temeva il confronto diretto e il trovarsi faccia a faccia con l’altro. E la sua salute mentale, prevedibilmente, era da tempo appesa a un esile filo. Avrebbe potuto anche lui cercare un posto nella vita e ribellarsi ai padri spaccando vetrine, organizzando sit-in contro il Primo Ministro, suonando musica rock e fumando erba come era già successo in altre parti del mondo e in altre epoche; o come stavano già facendo da tempo molti suoi coetanei in Giappone. Nella peggiore delle ipotesi avrebbe potuto partecipare su Skype, utilizzando il tantō [2] del nonno, ad una sorta di harakiri [3] collettivo organizzato via internet insieme ad altri aspiranti suicidi… No, lui aveva scelto di essere “semplicemente” un hikikomori. Il fattore scatenante del suo “ritiro”, frettolosamente catalogato come pigrizia, non era stato individuato con precisione: forse un’infelice infanzia a base di juku [4] o una pressante carriera scolastica condita con un insopportabile bullismo; la competitività fin dall’asilo e la prospettiva poco allettante di diventare un operaio-schiavo; forse l’assenza fisica e affettiva dei genitori sempre impegnati nei turni in fabbrica o la pressione delle aspettative da loro esercitata; come pure l’esasperante mito dell’auto-realizzazione professionale che mieteva “vittime” e che, inculcato fin dall’età prescolare, tarlava inesorabilmente la psiche dei più deboli. Non ultimo, lo sviluppo economico come priorità dell’affascinante “alveare nipponico” e il conseguente sacrificio dei valori umani.

Forse anche la schizofrenica condizione di un paese incapace di riconoscersi nei valori tradizionali e sempre più condizionato da un’onnipresenza tecnologia fatta di smartphone e aggeggi vari imposti dalla moda, o da una distanza umana causata da fredde videochat e ipermercati aperti anche di notte per chi volesse evitare la gente

O, chissà, l’insieme di tutto questo.

I pochi metri quadrati della stanza in cui Kiro stava pian piano ammuffendo tra la rassegnata indignazione dei genitori e l’educata indifferenza dei vicini, rappresentavano gli angusti ma protettivi confini del suo personale impero del sol morente. Finalmente niente più ijime [5] nell’insopportabile scuola che aveva frequentato prima del ritiro e soprattutto nessuna relazione umana da sopportare nel difficile e crudele mondo del lavoro: solo un masturbatorio e distruttivo autismo tecnologico capace di camuffare la depressione di chi ha deciso di gettare la spugna sul ring dell’esistenza.

Il materasso piantato al centro della stanza conservava l’impronta di un corpo, quello di Kiro, e la federa del cuscino, raramente pulita, odorava di cibo. Ai piedi del materasso la discreta presenza di una consolle per videogiochi collegata a un televisore eternamente acceso su un canale qualsiasi, quando non impegnato in battaglie cosmiche e lotte sanguinose tra energumeni virtuali, denunciava l’attività principale dell’abitante, durante le numerose elettriche notti bianche.

Nella parete opposta a quella della finestra, quasi sempre serrata per timore che la luce solare potesse causare la resurrezione di nascosti e scomodi ormoni collegati al ritmo circadiano, un’ampia scrivania, residuo di sofferti studi infantili, ricoperta di libri ignorati, gadget dei supereroi in voga e una parte della sua scorta industriale di manga: il pane quotidiano degli otaku [6]. Su una sedia, quasi a mò di bibbie pronte per l’uso, le versioni in lingua giapponese dell’“Elogio della fuga” di Henri Laborit e l’insuperabile “Viaggio intorno alla mia stanza” del francese Xavier de Maistre (“… com’è lontana la Francia da questa angusta stanza, eppure così vicina su internet…!”).

Dallo stereo le parole di una canzone di Ayumi Hamasaki scivolavano languide sui cumuli di panni sporchi sorti un po’ ovunque negli angoli della stanza-parcheggio: “… pur sentendo un pensiero da esprimere, non sempre riesco a dirlo…” cantava la pop star dall’alto dei suoi ipervitaminici ventitré anni, interpretando le gioie e soprattutto i turbamenti dell’inquieta gioventù nipponica.

Vassoi con scatole di cibo aperte da tempo e in parte consumate; cellulari di ogni forma e marca per comunicare con gli “amici” e per allontanare l’ipotesi insostenibile di rimanere isolati – anche dal punto di vista tecnologico, al di là del già evidente naufragio esistenziale nel mondo reale – con il rischio di ritrovarsi pericolosamente in compagnia di se stesso ed essere costretto a riflettere seriamente sulla propria vita. Immancabile un sicuro e velocissimo collegamento a internet per essere sempre connessi con le chat più frequentate del web in cui incrociare altre vite inconsistenti di persone sconosciute.

Dalla televisione, intanto, come in un leitmotiv ipnopedico, i consigli inascoltati e le ottimistiche recensioni di chi propone facili soluzioni: <<… è in edicola il nuovo libro testimonianza del dott. Tamaki Saito – direttore del Sofukai Sasaki Hospital – intitolato “Come tirare fuori vostro figlio dal limbo degli hikikomori”>> o una dotta indicazione per i palati più esigenti: <<… è imminente l’uscita del saggio “Analisi psicologica dell’uomo cellulare”, l’ultima fatica letteraria dello psicologo Okonogi Keigo…!>>

Il giovane Kiro certo non immaginava che la sua tranquilla e inutile vita da hikikomori sarebbe stata da lì a poco sconvolta per sempre dalla prepotente incursione, nella sua stanza, di una delle componenti più temibili del Ministero della Salute Mentale dell’Impero giapponese – il famigerato Dipartimento di Polizia Risocializzante – istituito nel lontano 2012, in seguito alle preoccupanti statistiche riguardanti il dilagante fenomeno degli hikikomori che già a quei tempi aveva acceso non poche spie d’allarme nella frenetica società giapponese, con il suo ragguardevole mezzo milione di disadattati distribuiti in tutto l’arcipelago ma con punte alte nelle città più affollate. Ora che si contavano più di un milione di autoisolati, le sortite della Polizia Risocializzante erano all’ordine del giorno e interessavano non solo il moderno, nevrotico e insospettabile centro della città di Tokyo dove tutto sembrava efficiente e attivo, scartando a priori la vergognosa presenza di qualche latitante hikikomori, ma anche l’indefinibile e illimitata periferia della capitale giapponese, oramai divenuta ricettacolo ottimale di tutti quei soggetti borderline che non volevano e non potevano conservare un posto dignitoso nel centro degli affari cittadini. Figli naturali dei pachinko [7].

Nemmeno il violento bussare alla porta di casa e la concitata richiesta di inutili spiegazioni da parte della madre, riuscirono a risvegliare la curiosità di Kiro nei confronti del mondo, mentre era tutto preso dal decimo e ultimo livello – il più difficile e quello che richiedeva il massimo della concentrazione – del videogame comprato qualche settimana prima durante un’escursione notturna nel konbini [8] dall’altro lato della strada.

Non parlava faccia a faccia con un essere umano da… Non se lo ricordava più. E non prendeva minimamente in considerazione l’ipotesi terribile che i vari rumori e il parlare esagitato provenienti da lì, dall’ingresso, fossero per lui.

L’ipotesi si materializzò catastroficamente quando capì che la porta della sua stanza, eternamente chiusa a chiave, stava per essere sfondata da una serie di spallate di chissà quale strano animale umano venuto a disturbare il suo sonno sociale. In quell’istante avrebbe voluto solo cambiare la pagina web di quel sito spiacevole e noioso chiamato “realtà”. Ma una parte nascosta di sé sapeva che ciò non sarebbe stato possibile.

Un gruppo di tre poliziotti con la tipica divisa verde cobalto della Polizia Risocializzante e un quarto uomo in borghese con il fazzoletto davanti alla bocca a causa dello spettacolo nauseabondo offerto dalla stanza di Kiro, che ai suoi occhi di impomatato funzionario in giacca e cravatta doveva apparire come un angolo dimenticato di mondo ricolmo di sporcizia ed inettitudine, fecero la loro comparsa nella vita sospesa di chi credeva di essere stato finalmente dimenticato dal mondo esterno. Ma così, evidentemente, non era.

Riponendo il fazzoletto in una delle tasche della giacca il funzionario pretese con voce risoluta: <<in piedi!>>.

Kiro, visibilmente confuso e non sapendo sostenere lo sguardo di ben quattro esseri umani nella sua stanza, lasciò cadere il joystick sul materasso e si alzò in piedi tremante e con lo sguardo perso nel pavimento. Non partecipava a un discorso articolato con altri umani, almeno dal vivo, da tanto tempo e aveva dimenticato quanto potesse essere complesso un dialogo e quanto stressante fosse il dover cercare la risposta giusta alla domanda che veniva posta dall’interlocutore. Quindi attese fiducioso e lasciò, in questo era bravo, che la vita facesse il suo corso anche durante questa esperienza dura e imbarazzante che aveva interrotto il suo decimo livello, messo in pausa.

<<Lei è Kawakami Kiro, di anni 21, nato a Tokyo il 4 Giugno del 2011?>>

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Legge della Disappartenenza Cosmica del Nigro

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , on 30 dicembre 2012 by Michele Nigro

<<premessa la costante K di elasticità sociale universale, senza considerare l’attrito causato dall’autoconvincimento e dalle sovrastrutture culturali pubblicitarie, l’aumento della velocità di fuga (F) del Nigro (N) dal centro del divertimento D deciso dagli altri è direttamente proporzionale al quadrato dell’insistenza (I) delle masse parentali P e amicali A, ed inversamente proporzionale all’aumento della distanza fisica r tra N e le masse P e A>>

Segue la formula:

legge nigrodove F è la velocità di fuga del Nigro
K la costante di elasticità sociale universale
I è l’insistenza di parenti e amici
r è la distanza tra il Nigro (N) e i parenti e amici (P, A)

Dredd – La legge sono io

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 12 agosto 2012 by Michele Nigro

<<Un afroamericano è stato ucciso in pieno centro a New York dai poliziotti dopo un inseguimento a Times Square. L’uomo, che gli agenti volevano fermare per un controllo avendolo scovato con uno spinello, non ha rispettato l’alt e ha brandito un grosso coltello contro i poliziotti. Che prima hanno usato spray urticante. Poi hanno sparato. (vedi foto e video)>> Così il web descrive brevemente una triste vicenda su cui dover riflettere in maniera seria. La società tecnologicamente avanzata del mondo occidentale sta vivendo un’evoluzione preoccupante: mentre ci agitiamo per la mancanza di diritti civili in Iran, Siria, Libia, Cina, non ci accorgiamo dei segnali di decadenza provenienti da paesi, compresa l’Italia, che forse con troppa facilità definiamo “civili”.

L’ordine pubblico e la stessa giustizia sembrano aver subito una pericolosa diluizione; i freni inibitori di un “giustizialismo da strada” stanno andando incontro, ormai da anni, a un progressivo allentamento. I luoghi della quotidianità diventano set cinematografici in cui recitare l’approssimazione di un sistema confuso: il poliziotto da garante della legge e custode dell’incolumità del malvivente, diventa “spazzino” efficiente e rapido (vedi in Italia, ad esempio, i casi di Stefano Cucchi e di Federico Aldrovandi). Nessuno può alterare l’atmosfera da shopping o la serenità dei turisti. L’insegna dei Nasdaq fa da sfondo alla follia di una società in piena crisi valoriale.

La realtà ancora una volta raggiunge e supera la fantasia e più precisamente la fantascienza: nel film “Dredd – La legge sono io” nella città di Megacity (megalopoli che, guarda caso, è la continuazione postapocalittica dell’antica città di New York) la giustizia viene amministrata dai cosiddetti Giudici, una sorta di poliziotti-giudici-giustizieri in grado di snellire in maniera draconiana i procedimenti giudiziari nei confronti dei criminali. Il momento dell’arresto coincide (senza bisogno di tribunali, lungaggini processuali, avvocati della difesa… ecc.) con quello del giudizio: la sentenza viene emessa sul posto e il malvivente condannato conosce il proprio destino giudiziario a distanza di pochi minuti dall’arresto. Qualcuno potrebbe affermare ironicamente che in Italia un simile sistema, visti i tempi biblici della giustizia italiana e l’inumano sovraffollamento delle nostre carceri, risolverebbe una serie di problemi di natura economico-politica. Ma è proprio durante questi periodi di forte pressione sociale e culturale che prendono il sopravvento sistemi discutibili e appoggiamo soluzioni facili.

L’episodio di New York, amplificato dalla presenza di numerosi passanti muniti di videofonini collegati con i social network, è il simbolo di una contraddizione esistente nella società americana e più in generale in quella occidentale: il benessere materiale convive con una evidente svalutazione del senso della vita. Quando la patina colorata della società dei consumi si sarà assottigliata sotto i colpi della crisi economica e della conseguente povertà, si ri-manifesterà la vera natura – quella originale – di un essere umano solo all’apparenza civilizzato e temporaneamente anestetizzato dai suoi stessi prodotti: la brutalità diventerà il linguaggio quotidiano degli abitanti delle metropoli; tornerà in voga la legge del taglione; la giustizia si adeguerà alle nevrosi dei tempi e allo stato psicologico medio della società. Gli scenari fantascientifici si stanno realizzando uno dopo l’altro. Inesorabilmente.

Il futuro postapocalittico – senza l’apocalisse – è già cominciato.

Emma Saponaro

"Cancella spesso, se vuoi scrivere cose che siano degne d'essere lette." (Orazio)

il giardino dei poeti

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