Larghissimo… c’è spazio per tutti, anche per chi non suona. Entrate!
Adagissimo… quasi quasi ordino un caffè al ginseng
Lentissimo… un brano al rallenty
Grave… sì, ma quanto è grave!? Rintraccio i familiari?
Largo o Lento o Largamente o Lentamente… insomma decidetevi!
Larghetto… che fa rima con fighetto. Però nun t’allargà!
Tenuto… non ho detto mantenuto!
Sostenuto… proprio non si regge in piedi, eh?
Adagio… chi va adagio, va sano ed è randagio!
Adagietto… parente del larghetto, ma un po’ più agile… meno chiatto
Andante moderato… come piace a Casini e Berlusconi
Andante… sì, ma “a ‘ndo andi?” chiederebbe Funari/Guzzanti
Vieni avanti Andantino!
Se fosse un Andante grazioso… beh, comincerei a preoccuparmi! (E non vi dico se fosse solenne, con fuoco, dolce, tranquillo, deciso, appassionato, maestoso, marziale, affettuoso, agitato, con brio, amabile. Capitolo a parte!)
Con moto o Mosso… io non uscirei in barca, poi fate voi…
Meno mosso, più mosso, un poco mosso… mari calmi, invece, sul versante adriatico! (La meteomusicologia è una scienza affascinante…)
Marcia moderato… per fascisti che se la prendono con calma
Moderato… non incline al facile litigio, insomma un buon democristiano della Prima Repubblica!
Tempi veloci:
Rapido… Lamezia-Milano (come la canzone di Brunori Sas)
Veloce… ma andate tutti di fretta? Rilassatevi!
Allegretto… hai alzato un po’ il gomito, dimmi la verità!
Allegro moderato… forse solo qualche bicchiere!
Allegro assai… se è di Napoli allora sarà assaje, a’ zeffun’… a’ beverun’… a’ migliara!
Allegro o Allegramente… l’importante è stare bene con se stessi
Vivace… ma intelligente
Ma non troppo… insomma una via di mezzo
Vivo… che è la prima cosa: la salute ha la priorità su tutto!
Vivacissimo… Professò, vi autorizzo a dargli due sganassoni!
Allegrissimo… No però, bere vino a scuola no!
Presto… che è tardi!
Prestissimo… che mi parte il direttore d’orchestra! Lo vorrei almeno salutare…
“Pomeriggi perduti”, è il titolo di una mia recente poesia, dove con il termine “perduti” non si vuole intendere persi, sprecati come i Wasted Years (Anni sprecati) degli Iron Maiden, ma piuttosto come l’Orizzonte perduto (Lost Horizon) di FrankCapra;pomeriggi presentati, forse, in una versione più ottimistica rispetto al Meriggiare pallido e assortodi montaliana memoria: l’isolamento conclamato e la solitudine lasciano spazio a un ascolto speranzoso; l’oltre inaccessibile diventa a tratti addirittura raggiungibile seppure indefinibile.
Perduti ovvero ‘che si perdono nel tempo’, perché senza cronaca, come certi insegnamenti ancestrali, muti, trasportati dal vento o incastonati nella pietra (e a volte liberati e fatti risuonare, come nel caso delle sculture sonore di Pinuccio Sciola); insegnamenti che non legano con le cose del tempo presente ma in un certo qual modo fanno parte del mondo, stanno al mondo per essere appresi da chi li riconosce.
L’elogio dellalontananza (il sottotitolo) – come presa di distanza fisica dal caos ma soprattutto come un distanziarsi cognitivo dai falsi saperi della società civile – diventa così necessario, indispensabile: lontananza dai rumori, dall’elettricità che ha fatto progredire il mondo, è vero, ma lo ha anche reso distratto, nevrotico, iperinformato ma ignorante e perennemente occupato a inseguire una verità creata ad arte.
Così come potrebbero essere perduti, stavolta nel senso di sprecati, per chi questa spina, di tanto in tanto, non riesce proprio a staccarla.
Quando ci mettiamo in ascolto e facciamo vuoto dentro e fuori di noi, allora l’universo ci parla sul serio, insegna cose… anche se non sappiamo quali. “Sentiamo” di aver appreso, ma non chiedeteci di più! Assorbiamo saperi non detti, indefinibili, dinanzi ai quali la parola è impotente, inutile, superflua come certe faccende del mondo. Saperi che, però, ci trasformano lentamente; registriamo una saggezza non umana contenuta negli oggetti naturali, nelle forme antiche persistenti nonostante il progresso, in quelli che Ludovico Einaudi ha definito, musicalmente parlando, Elements.
Solo nella lontananza possiamo compiere questo miracolo laico.
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L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
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