Archivio per lettera

Dive e non

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 14 aprile 2017 by Michele Nigro

Osservo una foto di giovani donne, poco più che bambine, in gruppo, quasi tutte sorridenti, complici tra di loro, con sguardi furbetti d’intesa, in procinto di combinare qualcosa di spettacolare. Non è una delle immagini usate in questo post, ma una foto privata proveniente dalla vita reale. E che insegna cose sul futuro.

Tra di loro ci sei anche tu, mescolata al gruppetto, affiancata fisicamente alle altre, ma non del tutto partecipe come se un velo di tristezza ti impedisse il tuffo definitivo nelle acque della vita sociale, non ancora convinta e diluita nell’euforia instillata da chi detiene il comando emotivo della comitiva: nel tuo modo, quasi sospettoso e guardingo, di osservare le altre – le dive – c’è tutta l’inadeguatezza della tua età, del tuo carattere amorfo, all’apparenza insicuro, il non sapere ancora chi o cosa sei, la voglia di emulare la sicurezza delle compagne più smorfiose o quella che sembrerebbe essere sicurezza e forse è qualcos’altro. Questo tuo approccio silenzioso al mondo, non esuberante, timido, riflessivo, introverso, sulla difensiva – voglio che tu lo sappia, anche se le mie parole oggi ti attraverserebbero senza insegnarti nulla ed è per questo che non le leggerai ora, ma le deposito qui per te in attesa di età adeguate – è e sarà motivo di scherno nei tuoi confronti: le finte persone sicure di sé ti insulteranno per sentirsi più alte, non possedendo una propria altezza interiore, scambiando il tuo silenzio per debolezza. Ma tu continua a osservare il mondo come stai facendo, se deciderai che questo è il tuo modo, registra tutto con dolorosa dovizia di particolari, lasciati colpire senza reagire come loro desidererebbero che tu reagissi, ma con dignità e stile, senza prestare il fianco a valutazioni effimere, basate su un tuo momento di stanchezza, di rabbia legittima, di sproporzionato amor proprio che diventa offesa e di errata ribellione senza eleganza. Se non riuscirai sempre a essere elegante, e per questo perderai amicizie, non preoccuparti.

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Lettera a una donna amata, persa e ritrovata…

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 30 novembre 2016 by Michele Nigro

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Napoli, 10 febbraio 2009

Cara Sibilla,

la mia partenza un po’ precipitosa da Firenze e il tuo comprensibile umore nero causato dalla brutta notizia giunta via telefono Domenica mattina, sorprendendoti durante il nostro primo caffè, non mi hanno permesso di lasciarti in eredità le parole che meriti.

La mia non è retorica diplomatica ma pura comunicazione amichevole e spontanea… Seppur ritardataria.

Noi “intellettuali” siamo così: viviamo in “differita”! Soprattutto quando si tratta di parlare di sentimenti, cerchiamo le parole giuste come se ci trovassimo al cospetto di una poesia o di un saggio.

Recuperare un’amicizia, un affetto dopo tanti anni è sempre motivo di grande gioia: passare dal silenzio alla comunicazione e addirittura – oddio, ancora devo realizzare la cosa! – all’incontro ravvicinato, corrisponde, almeno dal mio umile punto di vista, a un grande traguardo umano. Indipendentemente dall’esito finale.

Diciamoci grazie, l’uno all’altra! Siamo stati bravi per questo atto di coraggio nel recuperarsi… Credo.

Spero solo che non si sia trattato di uno di quei confronti a tempo, come tra compagni di scuola, per sottolineare superiorità e successi, dettati da meschine esigenze di rivalsa. Da parte mia non è stato così e sentendoti al telefono prima del nostro incontro non ho percepito un tale spirito nel tono della tua voce, o forse nel momento in cui t’ho vista sei stata brava a camuffarlo.

Pensiamo di poter sopravvivere anche senza valorizzare determinati rapporti (e infatti durante questi tredici anni ognuno di noi ha compiuto il proprio cammino, vivendo le proprie esperienze di vita e lasciandosi trasformare da esse, come è giusto che sia) ma non consideriamo il fatto che quando due persone si conoscono, fosse anche per pochi giorni o poche ore, hanno già “alterato” inesorabilmente le proprie esistenze. I legami più o meno flebili che si creano tra noi e le persone che conosciamo sono indissolubili nel tempo: nel bene o nel male le persone continuano ad appartenersi in eterno. Pezzetti di noi continuano a resistere ed esistere nelle altrui esistenze, immagazzinati tra le pieghe del possibile, anche se ci impegniamo con tutte le nostre forze per dimenticare e farci dimenticare. E nonostante le varie opere di rimozione portate a termine con successo.

Ma è giusto che sia così, anche se è un po’ triste: le cose superflue, che sono dovute diventare superflue per continuare a vivere o sopravvivere, vanno sempre a finire in garage o in soffitta. In basso o in alto, l’importante è che siano lontane dalla vista quotidiana. Non si parla mai, però, di una loro definitiva distruzione: non per una questione di spazi mentali in grado di conservare i ricordi, quanto piuttosto per un inconsapevole salvataggio compiuto dal nostro inconscio. Esso sa cosa conservare e cosa no; come se fosse in grado di valutare in maniera autonoma l’importanza delle esperienze da ricordare e di gestire la loro collocazione stratigrafica nella geologia della memoria.

Ti starai certamente chiedendo mentre leggi, tra una telefonata in ufficio e una lettera da scrivere per il capo, dove questo rincitrullito di un Dino voglia andare ad apparare! Arrivo, quasi, “ai vari dunque”…

Sei stata carinissima con me durante questo nostro clandestino weekend di “recupero” e non dimenticherò le tue attenzioni gastronomiche, casalinghe e di altra natura… Un’ospitalità greca condita, a un certo punto, da venature di freddezza teutonica forse derivanti dalla tua formazione scientifica o dalla rivalsa malcelata a cui accennavo prima. Non lo saprò mai: da questo punto di vista, non ti sei sbottonata.

La serata di Sabato, poi, è stata “epica”: birrozza compresa.

Mi piaci (l’avevo dimenticato) quando ti scoli la birra fredda con la dimestichezza di un camionista rumeno, per poi emettere suoni infantili e irriproducibili come a voler richiedere coccole seduta stante, in pubblico.

Riesci a gestire bene, a quanto pare, la tua presunta misantropia miscelandola adeguatamente con una buona dose di accoglienza calibrata e fine… Sei una cuoca rifinita e una vera donna da valorizzare: noi stupidi che t’abbiamo persa saremo costretti a vagare in eterno nel limbo dei dannati distratti e minchioni. Ci tocca!

Sei stata accogliente e premurosa: mi hai reso di nuovo partecipe della tua vita quotidiana fatta di commissioni da sbrigare e piccoli gesti dolci intercalati nel tran-tran, come ad esempio comprare le “frappe” di Carnevale o il pesce fresco non risciacquato in Arno ma proveniente dalla costiera grazie a una veloce catena del freddo, che poi m’hai cucinato amorevolmente “al cartoccio” nel forno della tua piccola cucina, lassù nella mansarda a forma di nido di cicogna dove ti sei rifugiata in questi anni tra una rinuncia sentimentale a causa del tuo orgoglio e una ricercata solitudine di stampo masochistico. Il tutto innaffiato con vino appositamente messo in valigia prima di raggiungerti.

E ti ringrazio per questo! Per aver aperto il tuo rifugio “alla stampa”, anche se, sarò sincero, ho avvertito odore di trappola, di schiaffo morale postumo ovvero di lezione di vita da impartire in ritardo – cara professoressa mancata! -, forte di un’assertività conquistata nel tempo e in cui sono caduto, indossando scarpe inadeguate, come si cade in una pozzanghera dopo un forte temporale. Lezione suggerita da una voglia di matematica vendetta da servire fredda e travestita da amichevole accoglienza. Cascato, come un fesso, nella rete della regina di cuori che senza parlare vuole dispensare morali delle favole a destra e a manca, vendicandosi di tutto e tutti a distanza di tempo.

Non fa niente! Sono stato al tuo “gioco”…

Inoltre sento il bisogno di chiederti scusa per alcuni miei gesti, parole o richieste morbose e discutibili che contrastavano apertamente con l’importanza di un momento umano già perfetto per come era stato concepito in partenza. A volte esagero e non rispetto la sensibilità altrui. Anzi a volte non rispetto nemmeno la mia sensibilità.

Scusami se forse sono stato arrogante e se mi sono mosso tra i nostri tredici anni di silenzio con la “leggiadria” di un elefante miope intento a bighellonare egoisticamente in un campo di fiori che non gli appartengono più. Sono riapparso quasi dal nulla armato di pretese e di false sicurezze: credo che l’audacia mal calibrata sia molto dannosa e che ci sia molto più coraggio in una lettera di scuse, come nel caso della presente, che in una prova di forza, soprattutto lì dove la forza non è necessaria ma a contare è l’amore. Anche se questo non spetta solo a me stabilirlo.

Forse hai sentito il bisogno di dimostrarmi che in questi tredici anni avevi avuto la tua vita e che io sono solo un povero “corso e ricorso storico” di vichiana memoria: non ce n’era bisogno, comunque… Di ribadire, intendo dire, il concetto di non indispensabilità di un essere umano nella vita di un’altra persona.

Solo quelli che “riposano” distesi in una bara a tre metri di profondità sotto terra, non possono più avere esperienze. O almeno non esperienze terrene, se si crede nell’aldilà.

La vita è mobile; l’amore continua a cercare, superata la fase della delusione, nuovi materiali edili con cui riempire i vuoti esistenziali creati da un appassito entusiasmo sentimentale e sessuale. È la natura a chiederlo, andando prima o poi contro l’immobilismo dettato dalla tristezza e il disincanto derivante dal lato cinico della vita.

La vita è cinica, Sibilla, e l’amore serve ad addolcire questa cruda verità. Come scriveva un poeta campano, di cui in questo momento non ricordo il nome:

“… All’orizzonte, fedele

la morte attende il respiro eccitato

e i sorrisi illusi sulla scena presente,

si finge distratta da momenti di gloria,

dall’eco amorosa

di un’apparente eternità.”

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“Il momento della partenza…” su Nuove Lettere dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 11 giugno 2015 by Michele Nigro

Il saggio su Tolkien e Manzoni “Il momento della partenza. Analogie e differenze tra gli illustri esempi di Manzoni e Tolkien” è stato pubblicato su Nuove Lettere dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli. Per leggerlo, cliccare qui.

E nel post che trovate qui invece ho tentato, tempo fa, di spiegarmi il perché (o i perché) di questo scritto.

tolkien manzoni NLE

Quella telefonata di Inìsero Cremaschi

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , on 24 Maggio 2011 by Michele Nigro

Inìsero Cremaschi

Nel 2006, rispondendo a una telefonata sul mio cellulare, sentii dall’altra parte dell’etere la voce di un uomo che diceva di essere nientepopodimeno che Inìsero Cremaschi. Dopo qualche secondo di comprensibile imbarazzo causato dall’inatteso ma gradito contatto, cercai di ricostruire nella mia mente il possibile percorso fatto da Cremaschi, percorso che lo aveva portato a digitare proprio il mio numero di telefono: all’epoca mi dilettavo nella direzione della rivista “Nugae” e avevo pubblicato sul n.5 una mia intervista a Flavio Casella in cui citavo il neofantastico di Inìsero Cremaschi. Non so se fu quella la ‘causa’ della telefonata o un’altra: forse la mia ‘apparizione’ sulla rivista “Future Shock” di Antonio Scacco, molto conosciuta nel nord Italia, oppure l’incontro fortuito di Cremaschi con un lettore di “Nugae”… Chissà!

Non ricordo più con esattezza cosa ci dicemmo in quell’occasione ma ad ogni modo fu una conversazione cordiale, serena, amichevole, costruttiva che diede vita a una serie di passaggi interessanti: incoraggiato dalla telefonata, dapprima inviai a Cremaschi una copia del n.10 di “Nugae”; in seguito ricevetti da lui il suo ultimo libro di poesie (“Poesie pubbliche e private” – Starrylink Editrice – 2006; prefazione di Luigi Picchi. Recensito sul n.12 di “Nugae”) accompagnato da una simpatica lettera che ho deciso, dopo un lustro, di inserire in questo blog perché ormai fa parte della mia storia e di quella di una rivista letteraria amatoriale – “Nugae” – che dal 2009 è andata, per così dire, in standby.

Questo breve ma significativo contatto tra me e Cremaschi coincise con il ‘terzo atto’ (altre due raccolte erano state già pubblicate nel 2004 e nel 2005) del suo ritorno alla poesia dopo più di quarant’anni dall’ultima pubblicazione in versi. Forse l’appassionato di fantascienza che è in me avrebbe preferito istintivamente un contatto in stile sci-fi con tanto di recensione a un nuovo romanzo di fantascienza scritto dal mite ribelle, ovvero dal marito della compianta Gilda Musa. Ma anche nelle poesie di Cremaschi esistono e persistono ‘tracce fantascientifiche’ saggiamente criptate e diluite in discorsi ricchi di quotidianità. Come scrive giustamente Luigi Picchi nella prefazione a “Poesie pubbliche e private”: <<… Questo è il merito peculiare di Cremaschi: rendere semplici e terrestri i vertici dei massimi sistemi. Il sublime vive con il minimalismo, creando simboli e allegorie.>> O come spiega sempre Picchi un attimo prima: <<Ecco, allora, scene e situazioni della vita privata e pubblica a Palazzolo andare a braccetto con ipotesi o interrogativi filosofici, i fiori dei giardini con il marasma di una civiltà in crisi, la gioia della musica con la chimica alimentare, un gatto e un bambino con le prospettive stellari e con la cronaca, la spesa di tutti i giorni con la biologia millenaria, i ricordi del passato con le ipotesi sul futuro…>>. Un modo di ‘fare poesia’ che potremmo definire trasversale: solo una mente caleidoscopica allenata alla sospensione dell’incredulità è in grado di creare simili connessioni, unendo nel verso poetico spazi e tempi apparentemente eterogenei ma uniti da fili invisibili e meravigliosi.

(VIDEO CORRELATO. Inìsero Cremaschi sceneggiatore di “A come Andromeda” compare in veste di attore, interpretando la parte di Jan Olboyd, a 28:22)

84 Charing Cross Road

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , on 19 dicembre 2010 by Michele Nigro

Elenco (forse incompleto) dei libri citati in un film del 1987 intitolato “84 Charing Cross Road”, diretto dal regista David Hugh Jones, e tratto dall’omonima raccolta epistolare di Helene Hanff. Un bel film che tutti i bibliofili dovrebbero vedere. A colpire di questa pellicola è l’intenso rapporto a distanza che si viene a instaurare nel corso degli anni tra una esigente lettrice-scrittrice statunitense (Anne Bancroft) e un libraio inglese (Anthony Hopkins). Protagonisti muti di questa mediazione sono ovviamente i libri: la capacità tipica dei libri di connettere mondi e tempi separati, viene utilizzata nella realtà da un’amicizia tenera ed epistolare che supera l’oceano e le epoche. Un’amicizia che in alcuni punti sembra sfiorare l’amore platonico.

Non è importante il “conoscersi” di persona (la scrittrice e il libraio non s’incontreranno mai);  ciò che conta è l’intesa mediata dalle parole, dalle lettere. Non importa se conosciamo l’autore di un libro (cosa significa, in fin dei conti, ‘conoscere’?): anche a distanza di secoli le idee e i segni contenuti nei libri possono far vibrare le corde più intime del lettore. Un film contenente un messaggio etico: in una società dove imperano l’immagine e la presenza costante e non richiesta di certi individui discutibili, la ricostruzione di una mappa interiore dell’altro tramite le parole sembra quasi una sfida anacronistica.

– Saggi di Anthony Ashley Cooper

– “Virginibus puerisque” di Robert L. Stevenson

– Saggi di James Henry Leigh Hunt

– “Conversazioni immaginarie” di Walter Savage Landor

– Oxford Book of English Verse, antologia dei poeti inglesi

– “L’idea di Università” di John Henry Newman

– “The Elizabethan Lyrists And Their Poetry” di Amy Cruse

– “Il diario” di Samuel Pepys

– Vulgata (traduzione della Bibbia in latino dall’antica versione greca ed ebraica, realizzata all’inizio del V secolo da Sofronio Eusebio Girolamo)

– Le biografie di Izaak Walton

– “Dentro la balena” di George Orwell

– Tutte le poesie e i brani scelti degli scritti di John Donne e tutte le poesie di William Blake (?)

– “I Racconti di Canterbury” di Geoffrey Chaucer

– “Racconti da Shakespeare” di Charles e Mary Lamb

– “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen

L’intervista mancata a Teddy Kaczynski!

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 18 settembre 2010 by Michele Nigro

Alcuni mesi fa, interessandomi di Singolarità Tecnologica e dei “rimedi” proposti da chi vede nel fenomeno una seria minaccia per l’umanità, ebbi l’istintiva e per certi versi incauta idea di scrivere una lettera-intervista al detenuto Theodore John Kaczynski, tristemente noto anche come Unabomber, rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Florence (Colorado – U.S.A.) dove sta scontando l’ergastolo senza alcuna possibilità di sconti di pena o altre agevolazioni riservate a quei prigionieri capaci di avere nel corso degli anni una cosiddetta “buona condotta”.

Lo scopo della mia lettera-intervista (Ted Kaczynski in questi anni di detenzione ne ha ricevute migliaia di lettere, certamente non tutte approdate nella sua cella) era quello di approfondire le tematiche decisamente interessanti, nonostante i metodi illogici e disumani adottati dal nostro ecoterrorista, contenute nel Manifesto di Unabomber (titolo originale: La Società Industriale ed il Suo Futuro). Un “saggio” costituito da 232 punti in cui è riassunto, a volte in maniera lucida, geniale e convincente, altre volte scadendo in passaggi ingenuamente farneticanti, l’intero pensiero socio-ecologico, tecnologico e rivoluzionario dell’ex matematico di Harvard e Berkeley.

Allegata alla lettera-intervista una copia del mio breve saggio “La bistecca di Matrix”: una specie di piccolo “dono” o, se preferite, uno “scambio di opinioni” su questioni di interesse umanistico affrontate in maniera diametralmente opposta a quella di Kaczynski: boicottare… scegliendo! Dopo alcune settimane ecco arrivare la tanto agognata risposta ma non da parte di Kaczynski, bensì da parte dell’istituto penitenziario:


Ora, anche una persona dotata di intelligenza media (come nel caso del sottoscritto) capirebbe che dietro il rifiuto “ufficiale” di far pervenire il mio semplice e innocuo (per non dire insignificante!) saggio nelle mani di Kaczynski si nasconde la volontà ufficiosa ma piuttosto evidente di bloccare una serie di domande, contenute nella mia lettera-intervista, che secondo gli amministratori carcerari di Unabomber potrebbero incentivare una discussione che – non so se lo sanno i carcerieri di Kaczynski! – è già abbastanza accesa in tutto il mondo da anni e riguarda la situazione sociale, economica, tecnologica, ecologica dell’intera umanità.

La parte più, diciamo così, “divertente” della risposta da parte dell’amministrazione carceraria di Florence è quella in cui si afferma, riferendosi al mio saggio “La bistecca di Matrix”, che certe pubblicazioni – in base al Regolamento del carcere parzialmente citato nella lettera di risposta (inviata per conoscenza anche a Kaczynski come si evince dal primo rigo) – possono essere rigettate al mittente nel caso in cui costituiscano “…detrimental to the security, good order, or discipline of the institution…” e – ciliegina sulla torta! – “…or if it might facilitate criminal activity.”

Immaginatevi, a questo punto, Ted Kaczynski che dopo aver letto il mio saggio – in cui tra l’altro affermo buonisticamente che l’umanità potrà migliorare solo se presterà attenzione agli insegnamenti silenziosi provenienti dai libri e non certamente confezionando bombe! – posa l’opuscolo sul letto e comincia a dar di matto gridando e sbattendo la testa contro le sbarre della propria cella o che s’inventa, stimolato dal mio scritto, un nuovo modo per fabbricare e spedire ordigni esplosivi in tutto il mondo usando il servizio postale del penitenziario statunitense…

Capisco che Kaczynski abbia tentato il suicidio in passato (quindi è meglio non stuzzicarlo con certe letture) e che non sia una star hollywoodiana da adulare ed esaltare (dopo quello che ha combinato con i suoi pacchi-bomba!) come se si trattasse di George Clooney che passa sul red carpet degli Oscar, ed ammetto anche che nel mio piccolo saggio ci siano elementi che potremmo forzatamente definire “eversivi” (il carattere rivoluzionario di tali elementi si esprime sempre ed esclusivamente in ambito culturale, senza mai proporre rimedi pratici drastici capaci di ledere la sicurezza e la dignità del lettore o degli esseri umani che il lettore incontra lungo il suo cammino quotidiano), ma questo tentativo di “seppellire vivo” Ted Kaczynski nella propria cella, è solo un modo maldestro e ingenuo di bloccare una discussione doverosa e pacifica sul destino forse non troppo roseo della nostra colorata e ipervitaminica “civiltà tecnologica”. Come afferma provocatoriamente il titolo della prefazione di Antonio Troiano a “Il manifesto di Unabomber” pubblicato da Stampa Alternativa: “C’E’ UN PO’ DI UNABOMBER IN CIASCUNO DI NOI”; e con questo titolo non si vuole certamente sottolineare la presunta capacità di ognuno di noi di confezionare una bomba da spedire a Tizio o a Caio perché rappresentano dei simboli da abbattere nell’ambito di una rivoluzione dinamitarda, febbricitante e sconsiderata, bensì l’Unabomber che c’è in tutti noi deve essere capace di “far esplodere” una serie di domande scomode in grado di mettere in crisi un Sistema imperante e che quotidianamente assecondiamo senza battere ciglio!

Alla cortese attenzione del

Signor Theodore John Kaczynski

Florence, Co (U.S.A.)

Gentile Signor Theodore John Kaczynski,

pur conoscendo la sua storia personale da molto tempo, solo recentemente ho avuto la concreta possibilità di leggere attentamente il suo Manifesto intitolato “La società industriale e il suo futuro”: un saggio molto interessante e ricco di verità incontestabili soprattutto nei punti riguardanti “la psicologia della moderna sinistra”, “la sovrasocializzazione”, “il processo del potere” e “le attività sostitutive” che sono alla base del successo di quel potere che il sistema industriale esercita su tutti noi da molto tempo. Condivido gran parte delle sue idee anche se non credo in una realizzazione dell’ideale luddista su questo pianeta e durante questa era: siamo troppo imbrigliati in ciò che abbiamo costruito nel corso degli ultimi secoli e siamo troppo pigri per una rivoluzione radicale. E il suo esempio, soprattutto nella sua triste fase violenta, non ha certamente agevolato un seppur timido tentativo di “rivoluzione anti-tecnologica” su base ambientalista e pacifista. Credo, invece, nell’iniziativa individuale e costante nel tempo (da non sottovalutare) e nell’applicazione personalizzata e pacifica di alcune delle sue sagge indicazioni. Alcuni punti del suo Manifesto, invece, sono semplicemente incompleti e frettolosi (come Lei stesso ha ammesso in uno dei punti finali) e altri ancora decisamente ingenui!

Sono giunto alla lettura del suo Manifesto grazie al mio interesse nei confronti della cosiddetta Singolarità Tecnologica (ovvero un punto critico del progresso tecnologico accelerato che oltrepasserà la capacità di comprensione e prevenzione dell’umanità) descritta principalmente da Vernor Vinge (“Singolarità Tecnologica” – 1993) e Ray Kurzweil (“The Law of Accelerating Returns”)…

Vorrei farle alcune domande a titolo personale, se è possibile.

– A distanza di anni dalla prima stesura del suo Manifesto “La società industriale e il suo futuro” e alla luce della recente crisi mondiale che sta mettendo a dura prova i sistemi economici dei maggiori paesi industrializzati (causando disoccupazione, precariato e crolli finanziari), quali aspetti della sua analisi e della “strategia” proposte nel Manifesto vorrebbe cancellare, modificare o evidenziare con maggior forza? Crede che il suo Manifesto sia ancora attuale?

– Cosa ne pensa dell’esperienza del “bioregionalismo” che in America e in altre zone del mondo sta cercando di rivalutare l’importanza delle piccole comunità autonome e del contatto diretto con il territorio e la natura? Potrebbe, questa esperienza, costituire un esempio di “rivoluzione” pacifica anche se in scala ridotta e senza causare la totale eliminazione della tecnologia?

– Lei pensa che durante gli anni trascorsi dalla pubblicazione del suo Manifesto il controllo del comportamento umano da parte del Sistema sia aumentato oppure c’è una maggiore consapevolezza da parte dell’umanità e quindi una più raffinata possibilità di scelta? E quali nuove forme di controllo intravede nell’immediato futuro della società?

– Esistono, secondo Lei, nuove forme dittatoriali (sociali ed economiche) difficilmente intercettabili? E che tipo di lavoro può fare l’essere umano su sé stesso per affinare la propria capacità di evidenziarle?

– Ora che di fatto, a causa di una certa “diluizione ideologica”, non esiste più una vera forza politica di sinistra, se confrontata con quella originale, crede che la strategia contenuta nel suo Manifesto sia realizzabile oppure intravede altri ostacoli?

– Cosa ne pensa delle previsioni contenute nelle opere della fantascienza distopica passata e recente? Quali sono le sue letture preferite in questo periodo della sua vita?

P.S.: prima di leggere il suo Manifesto, alcuni anni fa, ho scritto un breve saggio intitolato “La bistecca di Matrix” (“La bistecca di Matrix”, vedi libretto allegato). Si tratta di uno scritto in cui descrivo alcuni aspetti coercitivi caratteristici della società moderna e la soluzione culturale che propongo per evitarli: solo la libertà offerta dalla cultura può spezzare le catene del Sistema; solo grazie alla vivida consapevolezza derivante dal sapere variegato e autentico potremo scegliere e interrompere la corsa tecnologica voluta dal Sistema economico imperante e accelerante.

Forse è presuntuoso da parte mia pensarlo, ma ho intravisto alcune analogie tra il mio breve scritto e il suo Manifesto!

Spero in una sua lettura del mio piccolo libro: non so se Lei conosce la lingua italiana, ma spero che la traduzione in inglese allegata possa almeno trasmetterle il senso generale del mio pensiero.

Sarei molto contento di poter ricevere un suo parere: sarebbe per me davvero importante!

Cordiali saluti.

Michele Nigro


DOMANDE CHE NON HANNO OTTENUTO RISPOSTA!

Forse un giorno ci riproverò…


Per scrivere a Teddy Kaczynski:

Theodore John Kaczynski

04475 – 046

U.S. PENITENTIARY MAX

P.O. BOX 8500

FLORENCE  CO  81226 – 8500

U.S.A.

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