omaggio indiretto a Gene Wilder
Colgo la triste occasione della dipartita del mitico Gene Wilder (“Frankenstein Junior”) per parlarvi di un libro letto non molto tempo fa – “Storia naturale del nerd” di Benjamin Nugent (Isbn Edizioni) – e in particolare per soffermarmi sul capitolo intitolato Contro gli scienziati nelle torri, che a mio avviso rappresenta il punto nevralgico (o uno dei punti) della tesi di Nugent sull’eziologia del nerdismo. E per farlo l’autore attinge a piene mani dalla letteratura gotico-fantascientifica e precisamente scomoda il noto “romanzo nero” Frankenstein, o il moderno Prometeo della scrittrice britannica Mary Shelley.
Secondo Nugent, Victor Frankenstein è un proto-nerd; e infatti scrive: “… l’antieroe è uno scienziato genialoide che finisce per sottrarsi completamente all’affetto dei suoi cari… […] rappresentando così la sua sete di conoscenza come un surrogato di un più urgente bisogno virile (‘penetrare’ i segreti della natura, n.d.b.). […] Ma al contrario del desiderio amoroso, il desiderio di progresso scientifico finisce per corrompere lentamente il corpo. […] La bellezza e la salute, qualità importanti per un giovane uomo che vuol essere marito e padre, vengono sacrificate alle esigenze della scienza.”
È più comodo, e per certi versi più facile, generare (e quindi vivere) una vita fatta con i pezzi di altre vite, che responsabilmente generarne una originale e personale partendo dal nulla, ovvero dal materiale genetico messo a nostra disposizione da Madre Natura. Ma l'”immaturo” Victor Frankenstein della Shelley, troppo concentrato sul “si può fare!” gridato in seguito dal discendente inventato da Mel Brooks, non riesce a sostenere lo sguardo mostruoso della sua creatura e scappa via. E a questo punto potrebbe starci bene anche un applauso bioetico, perché come dice un altro scienziato, il Dr. Ian Malcolm, il matematico del film Jurassic Park, criticando le strabilianti conquiste paleogenetiche del miliardario Hammond: “… erano così preoccupati di poterlo fare che non hanno pensato se lo dovevano fare…”.
Incalza Nugent: “Il fallimento di Victor consiste nel non riuscire a rapportarsi con l’altro a un livello emotivo, un fallimento sul piano dell’empatia. […] La radice del male in Frankenstein è il genio scientifico unito all’incapacità di entrare emotivamente in contatto con gli altri.” Lo scienziato della Shelley non riesce a immedesimarsi in tempo, prima del disastro, nelle probabili sofferenze del mostro, non pone a se stesso le giuste domande ovvero non chiede alla propria coscienza come potrebbe sentirsi un essere ri-creato per capriccio e che si ritrova in un corpo inguardabile, rifiutato dalla società, e senza una famiglia che lo ami. Un mostro che, a differenza del suo creatore, istintivamente vorrebbe vivere, amare, provare passioni, entrare in contatto con gli altri, con un corpo da toccare, lasciarsi trasportare dalle forti emozioni, dall’ira (e lo farà in maniera orrenda), essere libero e non prigioniero della torre. Il moderno nerd descritto da Nugent possiede di default la medesima struttura psicologica del dottor Frankenstein: genialità ed (auto-) emarginazione, creatività e disempatia mista ad anaffettività, intelligenza ossessiva (quasi autistica) e asensualità che con il tempo può diventare un’aperta anti-sensualità, rigore scientifico che sconfina in una “dimensione accademica della realtà”…
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