
“Se si ritornasse veramente a se stessi,
nel senso auspicato da Agostino,
nel senso del reditus in se ipsum,
sparendo il mondo esterno,
sparendo la natura, spariremmo noi stessi.
Dobbiamo riversarci interamente fuori di noi, per essere“
(dal Primo Atto)
Si legge nel Manifesto del Connettivismo: <<Noi crediamo che il mistero dell’universo sia codificato in una chiave inafferrabile e indistruttibile: l’ologramma. Il principio olografico, il modello olonomico della mente e l’olomovimento: dalla struttura della realtà ai nostri schemi di senso la percezione conosce un solo paradigma, che racchiude le istanze della relatività e dell’indeterminazione.>> Il poliedrico musicista siciliano Franco Battiato grazie al suo Telesio, opera lirica in due atti e un epilogo dal libretto originale del filosofo Manlio Sgalambro, dimostra di aver rielaborato in forma teatrale un paradigma non più confinato in ambito teorico e scientifico ma fruibile a livello pratico, adattandolo a una ben precisa esigenza artistica. L’assenza fisica degli attori sulla scena, sostituiti da proiezioni olografiche preregistrate, realizza la relatività della percezione, sorprendendo i puristi dell’unicità del momento recitativo incarnato dalla presenza, ogni sera diversa e irripetibile, di persone reali.
Ma che cosa significa essere reali? Battiato non sceglie a caso l’olografia per rappresentare scenicamente la vita e il pensiero
del filosofo cosentino Bernardino Telesio, XVI secolo, che, criticando la fisica aristotelica basata su principi universali come materia, forma, sostanza, tentò di far capire ai suoi coevi la funzione principale svolta dalla percezione sensoriale nella spiegazione dei principi primi che sono alla base degli eventi naturali.
Telesio non conosceva l’olografia e non aveva a disposizione la meccanica quantistica. I sensi possono essere più importanti di una spiegazione metafisica: e quindi via dalle tavole attori e pesanti scenografie da trasportare di teatro in teatro. Battiato abdica alla materia e affida tutto all’illusione dei sensi. La scelta tecnica di questa particolare esperienza artistica si lega in maniera indissolubile ai contenuti del pensiero filosofico rappresentato. L’illusione della tridimensionalità offerta dall’olografia vince sulla falsa autorevolezza della materia. Grazie alla memorizzazione dell’informazione visiva, in seguito proiettata per mezzo di una luce laser, lo spiritus degli attori – per dirla alla Telesio! -, o meglio la loro passione recitativa, il movimento teatrale, il canto, unitamente agli allestimenti scenici, sopravvivono all’assenza fisica dei corpi e delle scenografie. Non si tratta di una semplice videoregistrazione di cui siamo consapevoli: l’ologramma sfida la coscienza disinformata sulla vera natura del visto. Come a voler dire: non è importante se sei a conoscenza della reale esistenza di quello che vedi, perché conta innanzitutto la percezione (o sarebbe meglio dire l’intuizione) dei contenuti.
Solo il suono, e quindi la musica, è un fattore cosmico primordiale: pur essendo soggetto alle stesse regole della fisica quantistica, grazie alla sua preesistenza (lo sciamanesimo druidico, e non solo, ritiene che la musica sia un elemento inscindibile dalle origini dell’universo e collegabile al biblico “In principio era il Verbo” ovvero il suono iniziale che spiega la cosmogonia) ha un posto privilegiato nell’economia scenica. Uniche presenze dotate di consistenza fisica durante la prima, infatti, sono i musicisti dell’orchestra diretti dal Maestro Carlo Boccadoro: legame sopravvissuto tra sogno e realtà, l’immaterialità del suono prodotto dal vivo fa da trait d’union tra l’ologramma e la materia umana pagante presente in sala sotto forma di spettatori ben vestiti. Il concetto di truffa viene in tal modo sostituito dal bisogno di evoluzione: il fatto di aver acquistato un biglietto per vedere ologrammi invece di attori impegnati a sudare sotto i riflettori, a cantare e a ricordare battute, deve essere accolto come una sfida filosofica lanciata alle proprie abitudini sensoriali.
Viviamo in un universo strettamente interconnesso: nessun individuo è totalmente indipendente (anzi non lo è per niente), tutto è collegato a un ordine implicito invisibile. Superare la materialità dell’attore è solo il primo passo verso la scoperta di una nuova dimensione in cui siamo, olisticamente parlando, immersi. La fisica quantistica annulla l’importanza di un io organizzato ma illusorio; la soggettività (e quindi il malsano desiderio d’interazione tra attore e spettatore) è il residuo di una presunzione meccanicistica destinata, con il tempo e con l’umiltà derivante dall’esercizio di un altro tipo di osservazione, a estinguersi. La natura, c’insegna il pensiero di Telesio, va studiata attraverso i sensi e contemporaneamente per mezzo della negazione di questi: allo stesso modo l’esperienza sensoriale dell’ologramma minaccia il dominio della materia, perché quello che conta è la connessione delle parti tra di loro e con il tutto, e non la loro presunta autonomia.
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