Mentre lavoravano di gran lena sui cadaveri dei due ex bravi cercando di far sparire accuratamente, con qualche colpo di raggio laser aggiuntivo, le prove più dure del duplice omicidio tipo cerniere lampo, gemelli in pietra, ossa lunghe e otturazioni dentali, Nebbia non poté fare a meno di appuntare mentalmente un nuovo nome nella sua personale lista nera: quello del pusher. Era certo. Non avrebbe mai più rifilato roba scaduta in giro.
Tuttavia non trattenne un sorrisetto, subito intercettato da Schiuma: – Che c’avrai da ridere? – gli domandò nervoso, proferendo le sue prime parole dopo il fattaccio serale che l’aveva ammutolito, costringendolo a un macabro fuoriprogramma nel sotterraneo del Roxy.
– Niente, Schiù! Pensavo che tutto sommato m’è andata di lusso stasera.
– Mi fa piacere che tu riesca a essere ottimista in mezzo a questo schifo. – rispose Schiuma mentre termizzava* con precisione certosina il ponte dentale dello scagnozzo grasso e muto, e cercando in giro con lo sguardo altri pezzettini ostinati da disintegrare.
– Immagina se avessi beccato una dose di neurammina-inversa. Altro che effetto ritardato…
Schiuma fece una pausa e ricostruendo con la sua lenta immaginazione il possibile e tragicomico scenario appena prospettatogli da Nebbia, non poté fare a meno di offrire finalmente al suo socio un tanto atteso sorriso di ilare complicità.
– Sai che casino? – continuò Nebbia – A quest’ora la Rossa sarebbe cotta a puntino come uno sformato di patate e io starei flirtando con gli scagnozzi, di sopra, seduto a un tavolo con davanti una doppio malto e sfoggiando un sorriso a trentadue denti…
– Che schifo! – sentenziò Schiuma.
– Puoi dirlo forte! – incalzò l’altro sospirando.
Fuori, intanto, la santa notte della vigilia di Natale offriva al mondo credente e in fedele attesa per l’ennesima volta le sue temperature rigide e qualche timido fiocco di neve sfuggito chissà a quale cima montagnosa già innevata e spazzata dal forte vento di un incasinato dicembre fatto di errati omicidi e droghe fallaci.
Tra un lampo termico e l’altro, la mezzanotte era già scoccata.
Nebbia si fermò un istante, lesse le lancette del suo orologio e forse sempre a causa dei postumi chimici causati dalla schifezza con cui s’era punto, si lasciò sfuggire tra la sua incredulità e quella del compagno di merende:
– Buon Natale Schiuma!
– Nebbia!
– Sì, Schiù?
– Ma vaffanculo!
* termizzare: in questo contesto, verbo utilizzato per indicare la disintegrazione di un tessuto organico o di un materiale inorganico ad opera di una pistola laser.
“Non dovevo accettarlo… accettarlo… non dovevo… non… accettarlo… dovevo… perché… perché… ho accettato questo incarico maledetto?” – biascicava ad alta voce, come se viaggiasse in compagnia, durante il tragitto in auto da casa fino al parcheggio davanti al Roxy, mentre la cenere della sigaretta che aveva in bocca gli cadeva tra le cosce, sporcando il sedile. Ormai era completamente andato.
Aveva bisogno di soldi, è vero; le crisi d’astinenza da neurammina sono indescrivibili: fuori potresti sembrare tutto carino, pulito e rilassato; dentro, invece, i tuoi neuroni sembrano dei deflettori malfunzionanti dopo un temporale. Quando sei in crisi non riesci a distinguere tua madre da un quarto di bovino appeso. Ma la Rossa… la Rossa, no. Non poteva.
“Che mi scoppi pure il cervello; chi se ne fotte? La Rossa non la tocco!”
Schiuma era stato tassativo: “La tizia deve scomparire… sennò Babbo Natale non arriva e puoi dire addio ai tuoi 10.000 eurocrediti!” Stavolta la ricompensa era più elevata: si trattava di una faccenda grossa. E lo era. Pur essendo ricchi, i nuovi “datori di lavoro” di Nebbia non avevano certo bisogno di un lavoretto civile e delicato da avvocati con la borsa in pelle e il dopobarba costoso comprato da Hemmond’s. Nell’ambiente, nonostante il suo viziaccio con la neurammina, Nebbia godeva ancora di una certa credibilità professionale; non per gioco lo chiamavano “stermina e pulisci”… Altro che gli eliminatori dei vecchi film di Luc Besson. Ma la Rossa, Cristo!
“Perché hai dovuto rubare quel cavolo di programma alla FutureProg? Perché proprio a loro? Non lo sai che quella società è legata alla TecnoMafia berlinese come una slitta a una muta di cani?” – queste domande le avrebbe dovute fare direttamente alla Rossa quando era a portata di labbra, prima, lassù, nella stanza. Non ora, mentre si apprestava a incontrare il proprio destino.
Aprì la porta del Roxy e Schiuma dal bancone, mentre con una spatola toglieva se stesso, cioè della schiuma, dal bordo superiore di un boccale di birra appena riempito, lanciò a Nebbia uno sguardo talmente affilato che al confronto cadere in una vasca piena di lamette sarebbe stato come rotolarsi in un prato fiorito. La Rossa, evidentemente, era passata di lì per bere qualcosa. Ancora viva. Fottutamente, fastidiosamente e inesorabilmente viva.
Seduti a un tavolo, con ancora i cappotti addosso e le facce gialle, due scagnozzi della FutureProg.
Se fosse stato credente il killer più quotato del Roxy avrebbe cominciato a pregare.
Puntualmente, come ogni anno, la nevrosi natalizia miete più vittime del virus influenzale: vittime psicologiche. Il meccanismo “Capodanno-SanValentino-Pasqua-Pasquetta-Compleanno-VacanzeEstive-Ferragosto-RitornoaScuola-Onomastico-TuttiiSanti-2Novembre-Immacolata-Vigilia” giunge al suo ciclico completamento annuale grazie alla festa del Natale che di festoso non ha più nulla. La nevrosi commerciale ha fagocitato il significato degli eventi e i parametri della vera felicità sono stati cancellati dalla Pubblicità.
—
“Ipermercati”
Cattedrali colorate e sferraglianti di carrelli che sorgono nei deserti della solitudine umana: gli ipermercati.
Presenza costante nei pomeriggi mesti di famigliole con stipendi fissi e solitari esploratori delle abitudini umane. Interminabili file di bottiglie uguali, come i metameri di un lungo mostro strisciante, accerchiano la mente di orde moderne travestite da cittadini civili del terzo millennio. Come personaggi di una ancestrale scena di caccia senza sangue e senza foreste antiche.
I gironi dell’insoddisfazione offrono di tutto: pacchi famiglia di inutilità e offerte speciali sull’impossibile.
E come gli ingranaggi di un orologio, giriamo sincronizzati alla ricerca del nulla.
Arrotondamenti speciali ci convincono della convenienza e noi intenti a riempire i nostri marsupi di ferro al suono di una musica sottopelle che copre l’urlo della verità.
Ipermercati: oasi di luci psicotrope e di scenografie hollywoodiane pensate da architetti che fanno la spesa nei mercati rionali.
Una sensuale voce femminile annuncia l’apertura del nuovo reparto dedicato all’esoterismo e per attirare la gente, una signorina presa in prestito da Salsomaggiore distribuisce gratuitamente e cordialmente bustine di incenso satanico per messe vudù.
<<… Supermercati coi reparti sacri
che vendono gli incensi di Dior…>> [1]
“C’è di tutto!” – afferma istericamente una di quelle donne sessualmente inappagate e insoddisfatte del proprio matrimonio, che per sfogarsi passano la cera sul pavimento di casa alle cinque del mattino.
E un pensionato: “… è una vita che la cerco!…”- senza riferirsi a un amore di gioventù, mostra a un “collega” una chiave per bulloni numero 31 nel reparto “fai da te”.
In queste città di traffico e di immondizie spirituali, ognuno cerca la propria dimensione di apparente perfezione. E le ore passano, passano, passano…E siamo inebriati dalla possibilità di avere tutto anche se è di niente che abbiamo bisogno. Un proverbio buddista afferma: “una stanza non è mai veramente vuota se la tua mente è piena”. Negli ipermercati accade il contrario: “se la tua mente è vuota, gli ipermercati la riempiono”. La riempiono, sì… Ma di cose sbagliate!
Intanto nel “reparto pane e affini” un Beethoven in sottofondo attira squadroni di carrelli alla ricerca di carboidrati dalle forme strane che presto diventerà duro e immangiabile. Immemori di ciò che abbiamo già a casa, compriamo l’inimmaginabile. Mentre sensuali diavolesse in divisa ci sorridono dalle loro postazioni in difesa dei gironi danteschi a cui sono state assegnate. E noi giriamo, giriamo, giriamo: fino a quando non scontiamo le nostre colpe su questa terra di consumatori. Vittime legalizzate della Terza Rivoluzione Industriale.
Bambini ipnotizzati corrono eccitati alla ricerca dei genitori per convincerli a comprare l’ultimo gioco quadridimensionale della playstation: l’illusione nell’illusione. E i genitori sempre più stanchi li accontentano sperando di sedare per le prossime ore l’energia incontenibile dei loro rampolli.
Qualcuno mangia una pizzetta e beve una coca nell’area di sosta prima di accendere la freccia e immettersi nuovamente sull’autostrada che porta verso altri reparti inesplorati della “galassia consumo”. Un nuovo sport si affaccia sulle nostre vite di quartiere: lo “shop trekking”. Chilometri percorsi a piedi come in una processione laica e confusa che porta in giro la fede nel bisogno.
Se vi dovesse capitare di sbirciare nei depositi degli ipermercati, notereste pattuglie di commessi indaffarati che scaricano lotti inscatolati di prodotti appena rigurgitati dalla madre-industria. Come gli operai che lavoravano nelle caldaie del Titanic, questi commessi alimentano la macchina delle nostre voglie inutili.
La nuova piazza italiana è l’ipermercato.
La gente si incontra felice, discutendo sulle esigenze gastronomiche delle loro famiglie e qualcuno tenta un approccio nel reparto biancheria intima con una bionda mozzafiato. Una coppia di anziani cerca pezzi teneri nel reparto carni per fare un bollito e una madre confusa mi chiede che differenza c’è tra un cd da 700 Mb e uno da 80 minuti.
Se potessi vedermi dall’alto, mi immaginerei come il personaggio del film “Matrix” alla ricerca di un perché che giustifichi tutto questo. Siamo veramente noi che ora giriamo tra le muraglie cinesi di questo ipermercato o siamo burattini collocati nella scenografia di un programma di cui non siamo consapevoli? O meglio: io volevo venire realmente in questo ipermercato oppure mi è stato ordinato da un operatore invisibile? Anche mentre faccio la spesa si ripropone irriverente il tema del “Re del mondo”… E mentre fantastico su queste domande da esoterismo casereccio, mi accorgo che un padre di famiglia sta ponendo nel proprio carrello un “sacchetto di terra”. È la fine! Una volta la terra era di tutti e per averla bastava aprire la porta di casa. Spesso nel corso della storia si è dovuto combattere per ottenere un pezzo di terra e ora con una carta di credito te ne porti un sacchetto a casa.
Il colpo di grazia lo ricevo nel reparto libri: come un’oasi in un deserto, mi appaiono gli scaffali pieni di libri… Ma mi accorgo subito che è un bluff. Anche i libri sono prigionieri tra i surgelati e i detersivi, tra colluttori alla stracciatella e preservativi fosforescenti. Cerco di aprirne qualcuno, ma il contrasto con la voce che annuncia i polli allo spiedo fa cadere le letterine dalle pagine e così i libri diventano pezzi di carta bianca chiusi nelle bottiglie di un pomeriggio naufragato.
Fuori piove! Si sente ancor di più l’esigenza di restare tutti uniti in questo posto caldo e confortevole. Uniti nell’inconsapevolezza di un’alienazione strisciante. Una cosa è certa: nessuno di noi morirà di fame stasera!
E intanto le casse risucchiano fiumi di carrelli ripieni. Signorine stanche e automatiche chiedono la stessa cosa milioni di volte: “… busta?…” Ormai per loro ogni volto è uguale a quello di prima e a quelli di ieri. Siamo esseri amorfi destinati a pagare queste ore di “felicità” e forse nemmeno un rapinatore che urli – “fermi, questa è una rapina!” – riuscirebbe a smuovere l’inesorabilità di questo momento.
Sul perimetro del mio ipermercato ci sono anche negozi di gioielli e un’agenzia di viaggi… C’è veramente tutto! Vorrei entrare nell’agenzia di viaggi per comprare un biglietto e fuggire lontano da questo inferno glassato. Ma mi accorgo che anche la mia fuga farebbe parte di un’enorme operazione commerciale. E allora? Allora dobbiamo ridimensionare il concetto di “bisogno” ed essere come monaci buddisti in questo Tibet occidentale invaso dalle truppe rosse dell’impero commerciale. Sviluppare un autocontrollo per non cadere nel vortice di gesti che non ci appartengono. Allenarsi alla respirazione yoga tra gli scaffali dei vari reparti e divenire “illuminati” mentre centinaia di carrelli ci sfrecciano accanto alla ricerca del superfluo. Rivedere la propria vita al rallentatore.
Il vero potere è non comprare nulla nell’impero del tutto.
La vera forza è questa.
——————————
[1] Tratto da “Magic Shop” di Franco Battiato – album “L’era del cinghiale bianco”; EMI 1979
"Poesie minori Pensieri minimi"
sottotitolo: "materiali di risulta"
raccolta di Michele Nigro
(edizioni nugae 2.0 - 2018)
LEGGILA GRATIS, ORA!
FREE DOWNLOAD!
(per leggere e/o scaricare il PDF pronto per la stampa: cliccare sull'immagine di copertina)
...
Dimensioni formato PDF: 12,7×20,32cm – 5”×8”
ATTENZIONE: i formati MOBI-KINDLE, EPUB, AZW3, LIT,
utili per i fruitori di ebook reader, potranno essere richiesti
via e-mail direttamente all'Autore:
mikevelox@alice.it
"CALL CENTER - reloaded"
racconto social fantasy
di Michele Nigro
su STREETLIB STORES
(per l'acquisto cliccare sull'immagine)
DISCLAIMER
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. Il curatore, inoltre, non ha alcuna responsabilità per quanto riguarda i siti ai quali è possibile accedere tramite i collegamenti posti all'interno del blog stesso, forniti come semplice servizio agli utenti della rete. Il fatto che il blog fornisca questi collegamenti non implica l'approvazione dei siti stessi, sulla cui qualità, contenuti e grafica è declinata ogni responsabilità. Il curatore del sito non ha alcuna responsabilità per le segnalazioni riportate nei commenti e per i loro contenuti. Ciascun commento inserito vincola l'autore dello stesso ad ogni eventuale responsabilità civile e penale. Le immagini pubblicate sono state trovate sul web e giudicate di pubblico dominio. Chiunque, potendo vantare diritti su di esse, volesse chiederne la rimozione può scrivere all'indirizzo di posta elettronica del curatore: mikevelox@alice.it
L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.