La triste notizia riguardante la dipartita del grande Giuseppe Lippi, mi induce a riproporre su questo blog un’intervista che rilasciò nel 2009 per la rivista letteraria “Nugae” n.19, l’ultimo del periodico da me diretto: un numero monotematico dedicato a “H. P. Lovecraft e la letteratura dell’orrore”.
Segue uno stralcio:
<<N.I detrattori di Lovecraft accusano lo scrittore americano di razzismo e di scarsa considerazione del mondo femminile. Accuse che trovano riscontro nei racconti del Solitario di Providence. E’ possibile giustificarlo in un certo qual modo, reinterpretarlo o preparare una difesa in suo favore?
L. Non credo ci sia bisogno di alcuna giustificazione, men che meno di difese. Quando avviciniamo gli scrittori di altre epoche storiche (comprese le più recenti) dobbiamo avere la cortesia di misurarli con il metro dei tempi in cui vissero, non il nostro. Nel caso di Lovecraft bisogna riconoscere che è stato anche scrittore razzista, o per meglio dire xenofobo: aveva paura degli stranieri. I suoi personaggi femminili sono evanescenti o negativi, è facilmente dimostrabile, ma una volta detto questo bisogna ricordare che i pregiudizi erano così diffusi nella società del suo tempo che l’atteggiamento di Lovecraft appare del tutto in linea con il sentire comune della cittadinanza bianca. Dopotutto, quello che a lui interessava era l’altro mondo, mentre di questo aveva una concezione essenzialmente letteraria. Certo, come molti autori imbevuti di teorie popolari ha trasmesso idee preconcette quando non infondate, tra cui la supremazia del sangue nordico sulle altre stirpi. Ragionando in questo modo mistico e un po’ fumoso, che gli serviva essenzialmente da difesa, può aver fatto qualche danno: a livello personale, per esempio, ritengo che sia stato Lovecraft a risvegliare il mio timore del diverso (facendomi sentire un alien a mia volta); ma la fascinazione che provo per le sue tematiche “proibite” non ne è scalfita perché la riflessione di Lovecraft sulla paura è più importante dei suoi sgradevoli effetti collaterali. Infine, per saldare il mio debito preciserò che a un lettore giovane la lettura dei suoi racconti migliori non offre solo un conforto in negativo, ma numerosi appigli positivi. Innanzi tutto nel permetterci di trovare in Lovecraft un amico, un confratello spirituale; in secondo luogo, nell’indicarci che nonostante i suoi orrori ― che forse sono semplicemente necessari ― il mondo può essere riconosciuto, esplorato e, in definitiva, apprezzato. Probabilmente non verremo mai a capo del suo mistero, eppure il tentativo va fatto ed è tanto più significativo sul piano umano quanto più l’impresa risulta difficile. Lovecraft è stato un uomo spaventato che ha svolto una ricerca nei meandri della paura: si è immerso nel terrore ed ha osato andare oltre, nel tentativo di superarlo.>>
Dopo un relativamente lungo, di sicuro interessante e proficuo periodo di selezione, di editing, di silenziosa ricerca interiore e di lenta e paziente costruzione delle varie componenti sia testuali che paratestuali, è finalmente disponibile su Amazon la mia silloge intitolata “Nessuno nasce pulito”, sottotitolo poesie esperienziali (edizioni nugae 2.0), in formato elettronico e cartaceo (adoperando rispettivamente Kindle Direct Publishing per l’ebook e CreateSpace per il libro “in carte e ossa” di 400 pagine in formato 5″ × 8″ ovvero 12,7 × 20,32 cm).
Questo su Amazon è solo il primo di una serie di passaggi attraverso il variegato e intrigante mondo dell’autoedizione: nelle prossime settimane/mesi, infatti, la stessa raccolta che sto qui a presentarvi, approderà anche su altre piattaforme di self-publishing (cercando di proporre, lì dove sarà tecnicamente possibile, entrambi i formati elettronico e cartaceo). Restate sintonizzati!
Segue l’elenco completo dei bookstore…
Scegli la tua edizione, la tua piattaforma, il tuo formato, il tuo prezzo…!
Choose your edition, your platform, your format, your price…!
“NESSUNO NASCE PULITO”
autore: Michele Nigro
anno pubblicazione: 2016
edizioni nugae 2.0
La raccolta intitolata “Nessuno nasce pulito” contiene poesie esperienziali. La singolare titolazione prende spunto dalla condizione embrionale, “sporca”, di ogni lirica nascente che con lentezza, dopo un lavoro di analisi interiore da parte dell’autore e di limatura del testo, giunge al lettore nella versione pubblica, “pulita”: egli, il lettore, può solo intuire il percorso intrapreso dal poeta, farlo proprio senza l’urgenza dell’interpretazione.
Si tratta di una “raccolta di formazione”: elencate in ordine alfabetico, per interrompere la consequenzialità cronologica tra i vari componimenti, le poesie selezionate rappresentano folgorazioni e intermittenze della mente con cui il poeta registra stati mentali, impressioni, epifanie appartenenti al suo vissuto. Sono un “manifesto esistenziale” in cui riconoscersi e farsi riconoscere. È una poesia urbana, quotidiana, che non ricerca una lingua pura, panica e arcaica; non insegue la tradizione. La parola utilizzata in questa raccolta non è una mimesi della realtà né del parlato. È una voce autentica, che adopera slittamenti di senso e si pone contro la linearità sia geometrica (la posizione della scrittura nello spazio del foglio) che di pensiero. [n.d.c.]
DOVE ACQUISTARLO?
cartaceo in vendita su ilmiolibro (Gruppo L’Espresso):
<<… La presente raccolta contiene poesie esperienziali… […] È una poesia fatta di folgorazioni e intermittenze della mente. Il poeta registra stati mentali, impressioni, epifanie. È una poesia urbana, che non ricerca una lingua pura, panica e arcaica. La sua parola non è una mimesi della realtà né del parlato. È una voce autentica, che adopera slittamenti di senso e si pone contro la linearità…>> (dalla Postfazione di Davide Morelli)
<<… lo stile di Michele Nigro è unico, personalissimo, con chiari riferimenti alla sua variegata formazione, cosa che ne fa un autore completo. Padroneggia il linguaggio, alquanto ricercato, tanto che le sue poesie sono ricche di minuzie che creano nel lettore vere e proprie immagini. Ottime le costruzioni sintattiche (diverse dislocazioni), utilizza ossimori (prigionieriliberi, presente assente), scomoda l’antropologo Marc Augé e i suoi “non luoghi”. Mentre l’opera è pregnante di scienza e filosofia, la religione viene sfiorata, vorrebbe quasi accantonarla, ma il palese laicismo deve necessariamente confrontarsi con la filosofia e la religione. La sua opera è un viaggio sulle ali dell’incertezza, con continui attacchi al presente, un ciclico tornare indietro per la preoccupazione di aver vissuto male, o quantomeno di non aver vissuto fino in fondo la propria vita. Non c’è paura, però, né del buio né dell’avventura…>> (dalla Prefazione di Antonio Scarpone)
<<… E a voi, a me, reduci da tante, troppe docce al giorno, riparati dietro occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero, riabilitati da profumi complessi e dentifrici sbiancanti, dico: “nessuno nasce pulito”…>> (dalla Premessa dell’Autore)
<<… Il 40° anniversario della Summer of love del 1967 – a San Francisco – è, in realtà, solo un pretesto utilizzato da noi per parlare d’altro: i fermenti culturali beat erano già cominciati da un bel po’ di tempo. Dalla fine della seconda guerra mondiale (affondando le lunghe radici in Walt Whitman, William Blake, Henry David Thoreau, Edgar Allan Poe, Aldous Huxley…) fino alla metà degli anni 60, furono realizzate le premesse da cui scaturirono gli eventi successivi, quelli – tanto per intenderci – che culminarono nel “mitico” e cinematografico 1968, e che ormai fa parte prepotentemente dell’immaginario collettivo (riassunto nel famigerato e riduttivo “sesso, droga e rock’n’roll”) solo grazie ai luoghi comuni diffusi nel mondo dall’industria filmica di Hollywood e ad alcune notizie di cronaca ormai passate alla Storia.
Sulla beat generation, alla quale appartenne un gruppo ristretto ma combattivo di scrittori e poeti (rappresentarono la vera spina dorsale del movimento), è stato detto tutto e il contrario di tutto: ed è per questo che ancora oggi si è indecisi su quale sia il significato definitivo della parola “beat”: per alcuni deriva da beatitude (beatitudine) ovvero quello “stato di grazia” che scaturisce da un’intensa ricerca spirituale (spesso coadiuvata da droghe allucinogene, alcool e misticismo catto-buddista); per altri, primo fra tutti lo stesso Kerouac che coniò il termine nel 1947 (anche se aveva già scritto all’età di 11 anni il suo primo racconto intitolato “The Cop on the Beat”), beat è sinonimo di “battuto” dalla società (o battuto nel senso di ritmato come il jazz di “Frisco“), “sconfitto” dalle regole, “incompreso” dalla famiglia, “perdente” sugli inflessibili scenari economici e per questo “ribelle” nei confronti del Sistema: lo stato d’animo, insomma, di una “gioventù bruciata” americana che pur provenendo (o proprio per questo) da un “vittorioso” secondo conflitto mondiale, sentì il bisogno di cercare freneticamente il vero significato della vita (la metafisica delle cose quotidiane da contrapporre alle esperienze intellettuali e positiviste degli scrittori europei) non nel successo, nell’esasperante efficientismo di un’America puritana e maccartista, nella carriera e nella stabilità di una vita regolare (scrive Ginsberg in America: “… Lascerai che la tua vita emotiva sia guidata dalla rivista Time?”), addirittura negli allignati valori estetici della letteratura ufficiale, ma nella libertà di un attimo fuggente, seppur estremo. A me piace pensare che beat sia la fusione di tutti questi significati: il disincanto del perdente non deve essere vissuto come una forma di debolezza e di chiusura in un mondo ipervitaminico e produttivistico, ma come punto di forza per una ricerca impopolare ma vera; per distaccarsi dagli schemi imposti; per raggiungere una nuova visione delle cose… Cosa è sopravvissuto di quel movimento? (continua)…>>
Alcune copie del numero speciale di “Nugae” (n.14 – Luglio/Settembre ’07), dedicato ai poeti della Beat Generation e al 40° anniversario della “Summer of Love” di San Francisco, furono spedite alla Libreria “City Lights” e in particolare verso le mani esperte di Lawrence Ferlinghetti e Jack Hirschman…
… la risposta:
Dear Michele:
Lawrence Ferlinghetti asked me to send you a note on his behalf thanking you for sending him the copies of Nugae, which he is enjoying looking through. He is always happy to hear from Italy!(…) But again, Lawrence is most appreciative of your magazine.
<<Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare… Redazioni in fiamme e decimate da un’assurda guerra per il dominio della poesia al largo dei bastioni del monte Parnaso; e ho visto Roma di notte sotto la pioggia battente per arrivare in tempo e poter scrivere due righe su una mostra disabitata; ho visto “professori” che alla fine di una conferenza, lanciandomi dei fogliettini, mi hanno concesso il lusso di pubblicarli… E ho visto ribelli poeti americani che credevo morti, risuscitare da oscuri boschi alle porte del Maine.
Ho visto larve umane trasformate in poeti, mentre macchiavano col dopobarba le pagine scritte come se fossero le guance di una donna… E rigurgiti briganteschi misti a reminiscenze e scoppiettii vernacolari… Ho visto le contorsioni esegetiche di antichi topi di biblioteca e le patetiche poesiole di chi ha scambiato il dolore per un business editoriale; ho visto eroi puniti fisicamente da una vita vigliacca librarsi in volo tra i canti di poeti folli e viaggiatori; ho visto Napoli, i corvi di Poe e gli ulivi dello Yad Vashem…
Ho visto le tremanti mani della vecchiaia descrivere i miraggi di una inconsapevole età perduta. Ho visto i sopravvissuti dei lager nazisti aggirarsi, verseggiando, tra le pagine di una rivista nata per scherzo… E ho visto storie antiche intrecciarsi a speranze moderne, mentre in pochi ricordavano il poeta salernitano morto con la testa schiacciata… Ho visto recensioni accomodanti alternarsi a perle di verità; sviolinate d’ufficio cedere il passo a poesie piene di parolacce da fare invidia a Giuseppe Gioachino Belli…
Ho visto gli umidi garage dell’indipendenza e i certosini salvadanai della libertà. Ho visto giornaletti locali ricolmi di madonne, chiese, preti morti e rispettose poesie religiose… Ho visto monarchici anacronistici affilare le baionette prima di infilzare gli storici di regime… Ho visto buddisti napoletani proporre ricette per la felicità alle Rampe Petraio sul Vomero… Ho visto i colli lunghi di Modigliani e “croste” vendute a caro prezzo per sentirsi artisti.
Ho visto dei caserecci Wordsworth sfornare sillogi come rutti; e purtroppo ho visto molte “serate letterarie” pacchiane e politicizzate dove alla fine ti rifilano il libretto di poesiucole … i cui proventi sono destinati alla lotta contro qualcosa…; ho visto premiazioni letterarie artificiali e Presidenti di Giuria sguainare un sorriso patinato e d’occasione; ho visto “promotori culturali” allergici alle novità, come i cani lo sono al morso delle pulci…
Ho visto i supermercati dell’anima con il banco delle poesie fresche vendute a prezzi concorrenziali. Ho visto volare miliardi di lettere verso indirizzi sconosciuti… Ho visto le vie elettroniche della nuova comunicazione rubare terreno ai padri della lingua… Ho visto la Musica, il Cinema ed il Teatro rimboccare le coperte alla Scrittura… Ho visto l’altisonante cultura del nulla avanzare in compagnia della Noia. Ho visto poesie sgozzate in pubblico e il loro sangue nero bevuto durante i riti tribali dei Sabati letterari organizzati dai partiti.
Ho visto Gandalf e Isaac Asimov giocare a poker fino a tardi in compagnia di Machiavelli e Jung; e ho visto libri dimenticati, macchiati di caffè, riemergere dalla polvere dell’oblio. Ho visto Giurie fantasma e manifestazioni culturali organizzate da vecchie zitelle in avanzato stato di decomposizione; e ho visto liberi scrittori saperla più lunga di sgobboni lacché e assistenti universitari sull’orlo di una crisi di nervi.
Ho visto eserciti di coppe, targhe e pergamene avanzare minacciosi verso le biblioteche dimenticate dell’Io. Ho visto Genova sbadigliare tra le nebbie del porto e le terre di Silone e D’Annunzio al tramonto; ho visto schegge di storia ficcarsi nella pelle vergine della narrativa acerba e recensioni rubate scoprendo libri non letti. Ho visto milioni di contatti perdersi nel mare dell’indifferenza. Ho visto gli sfruttatori mentre venivano sfruttati…
Ho visto assurde gelosie culturali e territori marcati con l’urina di certi intellettuali… Ho visto maestrine frustrate e ipocondriache difendersi dalle nuove idee… Ho visto e sopportato prelati mummificati reduci da conclavi, annoiati carabinieri in alta uniforme svenire in pubblico, bigotti fotofobici obesi e dal cristo facile andare a caccia di libri di Dan Brown da bruciare, comunisti indottrinati e perdenti, burattini in giacca e cravatta, presentatori ubriachi, poetesse in pelliccia dall’alito pesante e tutte le anime grasse della cultura ufficiale.
Ho visto le frazionate speranze dei romanzi infiniti ricoprire le distese temporali dell’inedito; ho visto valanghe di riviste e libri inondarmi l’anima e la redazione di speranza mentre approdavano sulle infinite spiagge della dimenticanza editoriale… Ho visto ebrei dell’ultim’ora mercificare sulla shoah dei propri genitori…
Ho visto il salvifico disincanto tracciare le vie della silenziosa lettura notturna e le luci del palco trasformarsi in fioche candele di riflessione privata… Ho visto il sole della fiaba eterna sorgere sui sentieri della fantasia; ho visto orde di “nosferatu”, folletti e fiumi di saggi alimentati da infinite note affluenti; personaggi non ancora nati e rinchiusi in penne insonni flirtare timidamente con i desideri e gli autoerotismi intellettuali di “giovani di bella scrittura”; ho visto le riscoperte tombe dei poeti e i versi onirici della mitologia; ho visto angeli con ali macchiate di verde muschio nei sepolcri foscoliani dei cimiteri di paese…
Ho visto, ho viaggiato, ho vissuto, ho sperato scrivendo… E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire…>>
Sprazzi mnemonici dell’anno redazionale 2006 sotto forma di litania mantrica, tratta dall’editoriale del n.11 della rivista “Nugae”.
Un breve stralcio di una mia intervista al Rav Alberto Funaro della comunità ebraica romana sul dialogo tra ebrei e cristiani, risalente a qualche anno fa e pubblicata sul n.10 della rivista “Nugae”…
<<…La letteratura e la poesia possono influire sul dialogo tra cristiani ed ebrei? Quale lettura consiglierebbe a chi non è ebreo per avvicinarlo al mondo ebraico…?
A costo di essere banale, direi la Bibbia… Perché la Bibbia non la si conosce: il libro dei Salmi, il libro dell’Ecclesiaste, il libro dei Proverbi… La conoscenza della Bibbia, purtroppo, è relegata a certi ambienti ed anche nelle scuole si dà poco spazio alla Bibbia come “libro”… E’ molto sottovalutato il potenziale poetico della Bibbia… La Torah, che è una parte della Bibbia, per gli ebrei è la vita! Perché è anche vita pratica e insegna come ci si relaziona con gli altri. Prima di qualsiasi altra opera letteraria direi che la Bibbia dovrebbe trovare il giusto spazio tra le nostre letture. Un altro esempio contenuto nella Bibbia è il Cantico dei cantici che oltre a rappresentare una delle pagine più belle riguardanti il rapporto tra uomo e donna, allegoricamente rappresenta in maniera originale il rapporto tra Dio ed il popolo ebraico, vissuto come un rapporto amoroso! Vi sono numerosi aspetti letterari e poetici nella Bibbia che, se approfonditi, possono sicuramente aiutare il dialogo.
Io non sono pessimista per ciò che riguarda il dialogo perché se pensiamo alla condizione quasi medioevale antecedente alla Dichiarazione “Nostra Aetate”, credo che abbiamo fatto grandi passi in avanti! Si svolgono, con cadenza semestrale o annuale, degli incontri tra autorità rabbiniche d’Israele e rappresentanti del Vaticano, fino a qualche anno fa impensabili!…>>
Sono ancora disponibili copie cartacee dei numeri 11, 13, 14, 15, 16 della rivista letteraria trimestrale “Nugae – scritti autografi”, per soddisfare la curiosità e l’interesse letterario di feticisti, collezionisti, studiosi, archeologi editoriali, ricercatori, autori collaboratori coinvolti all’epoca, semplici simpatizzanti…
Sul n.9 (Agosto 2012) de “Il Battipagliese”, quindicinale del Comune di Battipaglia a distribuzione gratuita (in uscita online e nelle edicole) condiretto da Alfonso Amato, Pietro Rocco e Luigi Viscido, e precisamente a pag. 2, è stato pubblicato un mio “pezzo” sulla scomparsa del Prof. Rago intitolato “Raffaele Rago, si raccolgano gli scritti”. Invece a pag. 6, nell’articolo “Rago, un cordiale poeta”, il giornalista Oreste Mottola cita più volte il sottoscritto, questo blog e la versione cartacea della rivista letteraria “Nugae” che ospitò anni fa alcuni scritti di Rago.
(Il presente articolo, a firma del sottoscritto, e pubblicato su “Il Battipagliese”, testata giornalistica donata al Comune di Battipaglia da FARINV srl, non è stato, fino a oggi, regolarmente retribuito come da accordo preliminare tra l’Autore e la Condirezione della suddetta testata. Il sottoscritto sa che la richiesta di retribuzione è stata regolarmente protocollata dalla Condirezione presso il Comune – Condirezione che non è assolutamente responsabile della mancata retribuzione degli articoli dei collaboratori – e attribuisce, ovviamente, la mancata retribuzione ai fatti di cronaca giudiziaria che hanno interessato l’ex Sindaco di Battipaglia Giovanni Santomauro e che hanno determinato lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni camorristiche, con conseguente interruzione di tutte le attività, comprese quelle giornalistiche, legate all’Amministrazione interessata: va da sé che anche i pagamenti degli articoli sono passati tragicamente in secondo piano! Il sottoscritto è consapevole del fatto che la mancata retribuzione di alcuni articoli giornalistici, se confrontata con lo “tsunami” di capi d’accusa formulati contro l’Amministrazione Santomauro, e che hanno determinato il successivo insediamento di ben tre commissari prefettizi, è sicuramente poca cosa. Invita tuttavia gli ex lettori de “Il Battipagliese” e i cittadini di Battipaglia a considerare questo singolo e insignificante fatto come l’ennesima occasione – se mai ce ne fosse bisogno – per inquadrare un periodo, i suoi personaggi, la provenienza politica degli stessi, i meccanismi poco chiari che hanno caratterizzato quella Amministrazione e a trarre le conclusioni che l’intelligenza suggerirà loro. Anche in vista di future scelte elettorali che riguarderanno il Comune di Battipaglia. Michele Nigro)
Questa del 2012 sembra essere un’inesorabile estate di dipartite. A pochi giorni dalla scomparsa del Prof. Raffaele Rago, un altro “vecchio battipagliese” termina la sua parentesi terrena per entrare finalmente, dopo un periodo di sofferenza, in quel pantheon locale e familiare abitato da uomini semplici e laboriosi. Si tratta dell’Insegnante Adolfo Ricci, classe 1927, figlio di Michele Ricci e Clementina Cera: un uomo di scuola, un paziente pedagogo ricordato da diverse generazioni di battipagliesi, un padre di famiglia. Era mio zio e lo conoscevo, è proprio il caso di dire, da una vita: ci sarebbero un milione di cose da ricordare, ma rischierei inevitabilmente di passare dalla cronaca necrologica all’amarcord sentimentalistico. Dai suoi ricordi riguardanti la seconda guerra mondiale al periodo formativo presso il Convitto di Campagna; dal suo grande impegno nel mondo della Scuola alla sua silenziosa passione religiosa per il francescanesimo. Dal suo impegno politico e civile per Battipaglia alla sua tenera fede e alla sua preghiera; dalla sua presenza dotta e discreta al ricordo dei suoi ultimi anni dolorosi e senza luce a causa di una vista traditrice… Ricordi personali e familiari che s’intrecciano con quelli comunitari. È sempre molto difficile tentare di riassumere un’esistenza in poche frasi.
Affido invece alla Grande Rete, come se fosse un elettronico fiume Gange in cui immergere le spoglie di chi lascia questa vita, i suoi brevi “Appunti di storia” pubblicati nel 2006, sul n.9 di “Nugae”.
<<… Ed ecco che alla fine del Settembre 1941, su di un calesse (a quel tempo le automobili erano pochissime perché requisite a causa degli eventi bellici o perché mancava il permesso per circolare) (2), giunsi nel cortile del Convitto “Olindo Guerrieri” di Campagna ove fui subito accolto e accompagnato, con il relativo equipaggiamento, al posto assegnatomi, e aiutato da un paio di baldi giovani che si esprimevano con un linguaggio a me ignoto (3). Ma non tardai molto a conoscere la storia di quei giovani, e degli altri loro amici lì presenti, quasi tutti laureati o universitari: li rividi la sera nel refettorio quando, indossando un camice bianco, cominciarono a servirci la non lauta cena…(4) E così venni a sapere che quei giovani, il più adulto dei quali si chiamava Abramo, erano ebrei ed erano stati “sistemati” in quel collegio con la funzione di inservienti di tavola e non solo, perché addetti anche alle varie incombenze che richiedevano le camerate e gli altri annessi dell’edificio.(5) In seguito capii che quei giovani ebrei si trovavano lì, tra i collegiali di Campagna, per sfuggire alle leggi razziali promulgate dal Fascismo (6) e col pieno assenso e consenso del proprietario del collegio, nonché Podestà (7) di Campagna, il sig. Carlino D’Ambrosio, e di altre autorità politiche ed eminenze religiose del luogo, visto che il convitto era diretto ufficialmente da un ottimo sacerdote – Mons. Alberto Gibboni – facente parte della Curia e parroco della cattedrale…>> (tratto da Campagna e gli ebrei di Monsignor Palatucci. Brevi note di un giovane studente. Nugae n.9)
Ho incontrato l’ultima volta Raffaele Rago per strada alcune settimane fa: cordiale come sempre, scherzoso, disponibile, umano e fraterno. Qualcuno potrebbe dire che le mie sono le classiche parole diplomatiche da utilizzare in pubblico quando viene a mancare una persona conosciuta o un amico. Ma Raffaele Rago era proprio così! Punto.
Lo conobbi anni fa grazie all’attività redazionale della versione cartacea di “Nugae” e dall’alto della sua esperienza giornalistica non lesinò consigli, proposte, critiche, incoraggiamenti… In seguito contribuì personalmente al miglioramento della rivista anche con alcuni suoi scritti (vedi “Nugae” n.8 pag. 7 e 21; n.9 pag. 15 e 37). Era uno studioso appassionato e un combattivo revisionista storico: posso dire senza ombra di dubbio che è stato grazie a lui se ho conosciuto il revisionismo risorgimentale e meridionalista. Raffaele era generoso: tra un caffè al chiosco di Piazza della Repubblica a Battipaglia e una passeggiata in centro, tra una conversazione dotta e un aneddoto divertente, non dimenticava mai di regalarmi una pubblicazione storica interessante, la copia di qualche periodico, degli appunti preziosi riguardanti la storia di Battipaglia o del Meridione, o semplicemente una risata allegra. Raffaele era un tipo giocoso. “Voi italiani…!” mi diceva spesso con piglio brigantesco, per sottolineare in maniera scherzosa ma convinta la sua disappartenenza ad un’Italia postunitaria frutto dell’avventura garibaldina – a suo dire scellerata! – e per riproporre le sue documentate nostalgie borboniche, punti fermi dei suoi numerosi articoli pubblicati su varie riviste e quindicinali. Raffaele era conosciutissimo e benvoluto: passeggiare con lui significava interrompere la conversazione ogni dieci secondi per un saluto a cui rispondere o per una calorosa stretta di mano a qualche amico di vecchia data. Indimenticabili le sue telefonate: quando ci lasciavamo in strada con qualche dubbio dopo una discussione su argomenti storici e culturali, era solito andare a casa, controllare immediatamente una data, l’etimologia di un termine, un fatto storico, e telefonarmi per continuare la conversazione e per confermare la sua meticolosità di studioso. Aveva insegnato, senza mai smettere di farlo!
Raffaele era un poeta; come ci ricorda Angelo Magliano nella sua recensione alla raccolta “Parole in fila” – vol.2 – di Rago (pubblicata sul n.9 di “Nugae” a pag. 37): <<L’autore ha saputo cogliere ed isolare, nella vasta trama delle esperienze comuni, le sensazioni e le impressioni più fuggevoli e quelle che più facilmente sfuggono ai più. Le ha fissate in parole con una sensibilità acuta e fresca. La poesia di Rago, fatta di piccole cose, esalta la visione del particolare rifiutando sia le vaste e complesse architetture sia la ricerca di un tono alto e di un linguaggio indeterminato e stilizzato. La forza della sua poesia sta tutta nell’intensità con cui è vissuto l’attimo contemplativo e non nel processo intellettuale per cui si ordinano e si compongono le intuizioni originarie. A costruire il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione che il modo col quale agli altri trasmette l’uno e l’altra.>>
Battipaglia, e oserei dire l’intero Meridione, ha perduto una grande anima. Ci mancheranno il tuo amore per Campagna, la tua passione per il Sud e i suoi “briganti”, la tua ricerca storica, la tua sensibilità poetica e il tuo sapere. La tua simpatia.
Addio Raffaele! E grazie…
<<Dopo l’unità d’Italia e precisamente dal 1876 al 1901, si calcola che in tutto il “regno” ci furono 5.792.546 emigrati, nella sola Calabria 310.363 così suddivisi: Cosenza 166.815; Catanzaro 108.721; Reggio Calabria 34.827 (da Emilio Franzina, “La grande emigrazione” Ed. Marsilio – Venezia 1976). Milioni di “cafoni” parteciparono, in modo attivo, allo sviluppo delle Americhe, dell’Argentina, del Brasile, del Venezuela e dei paesi del Nord Europa (Belgio, Germania, Francia, Svizzera) ed ovviamente dell’Italia Padana. Primeggiano gli U.S.A. Il 90-95% degli italo-americani sono di origine meridionale. Non bisogna dimenticare che dei 5 milioni e più di emigrati, 3 milioni e più erano meridionali. E’ da tener presente che gli emigrati non dimenticarono mai la loro terra, infatti, dopo essersi “sistemati”, inviarono soldi (tanti!) per rendere sempre più belli i loro paesi…>> tratto da “Emigrazione” di Raffaele Rago (Nugae n.8 – n.9 / 2006)
<<La trattazione della figura storica di Hitler spesso suscita polemiche accese: mi riferisco alla proiezionedel film “La caduta”, riguardante gli ultimi giornidi Hitler nel bunker di Berlino e da molti considerato come un’opera che umanizza il Führer, e alla più recente‘discussione’ suscitata dalla professoressa Angela Pellicciariche ha scelto di adottare il testo scritto daHitler – “Idee sul destino del mondo” – nel liceo romanoLucrezio Caro. Lei non crede che, per agevolarela crescita di una coscienza storica matura econsapevole da affiancare alla Memoria, si debbanoconsentire anche la lettura e la visione di tale materiale?
Anche io da ragazzo ho sentito il bisogno di leggere il “Mein kampf” di Hitler. Però io possedevo già gli strumenti per capire quel libro, gli stessi strumenti utilizzati per leggere, in seguito, i “Protocolli dei Savi di Sion”. Ciò che mi lascia perplesso di questa “professoressa” è la mancanza, da parte sua, della necessaria cultura scientifica nel valutare il testo. Chi insegna sa benissimo che un libro così pericoloso, senza un apparato critico, dato in mano a degli innocenti, a persone non consapevoli e non dotate di una cultura tale da poter affrontare la drammaticità di quel testo, può causare grossi danni. Non solo la mancanza di scientificità, mi preoccupa, ma addirittura questa professoressa ha scelto una versione con l’introduzione di un noto neofascista di Ordine Nuovo, implicato nelle famigerate stragi dell’Italia degli anni ’70: Franco Freda.
Oltretutto la scuola presso cui insegna aveva invitato il mio amico deportato Piero Terracina e la professoressa non si è presentata, giustificandosi dicendo che soffre molto quando sente le testimonianze della Shoah e quindi, per non soffrire, ha preferito non esserci. La vicenda si commenta da sé.>>
<<L’insoddisfazione delle proprie vite, il dolore, la solitudine, sono dei fattori predisponenti necessari per una scrittura che vada a fondo nell’animo umano o si può scrivere in modo frivolo anche solo per soddisfare esigenze estetiche… per pura descrizione?
Alle volte uno stato d’animo angosciato, a causa delle cose della vita che uno non può realizzare, a causa anche di una “attesa tradita”, ti dà la possibilità di ottenere un’alternativa altrove, di coglierla altrove e di riscattare il vissuto altrove…
Ci sono altre scuole di pensiero che vedono la poesia come una finzione e non come sofferenza; come un rebus da risolvere; la poesia come capacità nel saper realizzare delle cose. La sofferenza è una finzione, in quanto il poeta non fa nient’altro che utilizzare delle forme. IL POETA È UN CINICO. Non è detto che il poeta debba essere per forza un sofferente, un’anima in pena, ma è un “grande cinico” che sfrutta le situazioni. Un funerale? Ci fa una poesia. Chernobyl, le Twin Towers…? Ogni occasione è buona per fare una poesia. Il poeta è uno che sfrutta per un proprio tornaconto; lucido, freddo, anche nelle situazioni negative lui scrive una poesia. Quindi non ci vedrei una grande sofferenza in questo atteggiamento.
Io personalmente ho scritto poesie “rubando” immagini alla gente; ho sentito parlare di sogni, di esperienze che ho ascoltato e rubato e su cui ho costruito poesie…>>
Nel 2006, rispondendo a una telefonata sul mio cellulare, sentii dall’altra parte dell’etere la voce di un uomo che diceva di essere nientepopodimeno che Inìsero Cremaschi. Dopo qualche secondo di comprensibile imbarazzo causato dall’inatteso ma gradito contatto, cercai di ricostruire nella mia mente il possibile percorso fatto da Cremaschi, percorso che lo aveva portato a digitare proprio il mio numero di telefono: all’epoca mi dilettavo nella direzione della rivista “Nugae” e avevo pubblicato sul n.5 una mia intervista a Flavio Casella in cui citavo il neofantastico di Inìsero Cremaschi. Non so se fu quella la ‘causa’ della telefonata o un’altra: forse la mia ‘apparizione’ sulla rivista “Future Shock” di Antonio Scacco, molto conosciuta nel nord Italia, oppure l’incontro fortuito di Cremaschi con un lettore di “Nugae”… Chissà!
Non ricordo più con esattezza cosa ci dicemmo in quell’occasione ma ad ogni modo fu una conversazione cordiale, serena, amichevole, costruttiva che diede vita a una serie di passaggi interessanti: incoraggiato dalla telefonata, dapprima inviai a Cremaschi una copia del n.10 di “Nugae”; in seguito ricevetti da lui il suo ultimo libro di poesie (“Poesie pubbliche e private” – Starrylink Editrice – 2006; prefazione di Luigi Picchi. Recensito sul n.12 di “Nugae”) accompagnato da una simpatica lettera che ho deciso, dopo un lustro, di inserire in questo blog perché ormai fa parte della mia storia e di quella di una rivista letteraria amatoriale – “Nugae” – che dal 2009 è andata, per così dire, in standby.
Questo breve ma significativo contatto tra me e Cremaschi coincise con il ‘terzo atto’ (altre due raccolte erano state già pubblicate nel 2004 e nel 2005) del suo ritorno alla poesia dopo più di quarant’anni dall’ultima pubblicazione in versi. Forse l’appassionato di fantascienza che è in me avrebbe preferito istintivamente un contatto in stile sci-fi con tanto di recensione a un nuovo romanzo di fantascienza scritto dal mite ribelle, ovvero dal marito della compianta Gilda Musa. Ma anche nelle poesie di Cremaschi esistono e persistono ‘tracce fantascientifiche’ saggiamente criptate e diluite in discorsi ricchi di quotidianità. Come scrive giustamente Luigi Picchi nella prefazione a “Poesie pubbliche e private”: <<… Questo è il merito peculiare di Cremaschi: rendere semplici e terrestri i vertici dei massimi sistemi. Il sublime vive con il minimalismo, creando simboli e allegorie.>> O come spiega sempre Picchi un attimo prima: <<Ecco, allora, scene e situazioni della vita privata e pubblica a Palazzolo andare a braccetto con ipotesi o interrogativi filosofici, i fiori dei giardini con il marasma di una civiltà in crisi, la gioia della musica con la chimica alimentare, un gatto e un bambino con le prospettive stellari e con la cronaca, la spesa di tutti i giorni con la biologia millenaria, i ricordi del passato con le ipotesi sul futuro…>>. Un modo di ‘fare poesia’ che potremmo definire trasversale: solo una mente caleidoscopica allenata alla sospensione dell’incredulità è in grado di creare simili connessioni, unendo nel verso poetico spazi e tempi apparentemente eterogenei ma uniti da fili invisibili e meravigliosi.
(VIDEO CORRELATO. Inìsero Cremaschi sceneggiatore di “A come Andromeda” compare in veste di attore, interpretando la parte di Jan Olboyd, a 28:22)
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L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
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