Archivio per Palestina

Generation

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 13 luglio 2014 by Michele Nigro

Ru486

Non morirete di pacifica noia

figli e nipoti del futuro!

Nuove leve per un ciclico terrore

concepite all’ora di cena tra dolori

oscurati sulle tv dell’impero sensibile

nasceranno puntuali e cieche

scivolando fuori da placente rabbiose

di allignate ingiustizie occidentali.

Insinuazioni bibliche su “Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma”

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 13 Maggio 2014 by Michele Nigro

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Insinuazioni bibliche su

“Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma”

(le misteriose nascite di Gesù il Nazareno e Anakin Skywalker)

La saga fantascientifica di “Guerre Stellari” possiede una struttura eterogenea e attinge elementi da varie fonti; in particolare è disseminata di riferimenti biblici velati o palesi: le frequenti ambientazioni desertiche in ricordo del “deserto dei padri” di origine veterotestamentaria e il deserto come luogo di ricerca spirituale silenziosa, di isolamento e di espiazione, di passaggio, di sospensione storica e di attesa (ad es. il vecchio “Ben”, Obi-Wan Kenobi, in “Star Wars Episodio IV – Una nuova speranza”); l’aridità del pianeta Tatooine, e le sue abitazioni povere, ricordano alcune zone della Palestina ai tempi di Gesù il Nazareno; l’Impero Galattico di Darth Sidious è molto simile all’Impero romano di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto; Coruscant è come Roma caput mundi, o sarebbe meglio dire caput universi, con tanto di Senatus Populusque Romanus in versione galattica… Numerosi anche i riferimenti alla cultura religiosa cristiana: ad esempio l’organizzazione dei Cavalieri Jedi ricalca in molti punti quella monastico-spirituale di certi ordini religiosi cavallereschi (o religioso-militari) appartenenti alla nostra cristianità medievale (anche se le spade laser dei Jedi ricordano di più le katana, le tradizionali spade giapponesi utilizzate dai samurai). L’obiettivo di George Lucas non è stato certamente quello di riproporre in chiave science fantasy la storia contenuta nella Bibbia (lo dimostra il fatto che nella saga convergono, come già ricordato, più elementi eterogenei, non solo di natura biblica, provenienti da culture e tempi differenti, e da fonti letterarie e cinematografiche differenti), ma di sicuro ha, per così dire, “preso in prestito” alcuni elementi di origine biblica. Il più importante dei quali è contenuto nel primo film della trilogia prequel intitolato “Star Wars Episodio I – La minaccia fantasma” che, come gli estimatori della saga sanno, affronta in maniera approfondita, a distanza di circa vent’anni dalla proiezione nei cinema degli episodi IV, V e VI, i fatti “storici” e le vicissitudini personali dei protagonisti che sono alla base delle avventure descritte di seguito nella cosiddetta “trilogia originale”.AnakinShmi
In “Star Wars Episodio I” la madre del piccolo Anakin Skywalker, Shmi Skywalker, confida al maestro Jedi Qui-Gon Jinn che Anakin non ha un padre, che il suo concepimento è stato un inspiegabile miracolo, frutto presumibilmente della cosiddetta Forza, un’energia onnipresente che pervade e sostiene l’intero universo, e ad opera dei midi-chlorian di cui si dirà tra breve. La scienza ha fornito un nome poco romantico a questo fenomeno presente in natura tra alcune piante e animali: partenogenesi, ovvero riproduzione verginale, quando lo sviluppo dell’uovo avviene senza che questo sia stato fecondato.
Dice Shmi:

<<Non c’è stato un padre.
Io l’ho portato in grembo, l’ho fatto nascere, l’ho cresciuto.
Non so spiegare cos’è successo…>>

Questo evento straordinario non può non richiamare alla mente il dogma religioso, citato nella Bibbia, riguardante il cosiddetto concepimento verginale di Gesù da parte di sua madre Maria, scelta da Dio per mettere al mondo il proprio tumblr_m50xvc0XXf1rpl92qfiglio. Le differenze tra i due concepimenti, a ben vedere, sono irrilevanti (i recenti avvicinamenti, confermati più dalla scienza che dalla religione, tra spiritualità e meccanica quantistica ci suggeriscono un’interessante indistinguibilità tra il concetto di “divinità” tipicamente intesa e quello di energia “intelligente”): in entrambi i casi le cause del concepimento, in un certo modo, sono “conosciute”. Il Dio degli Ebrei e la Forza nella saga di “Star Wars” sono punti di riferimento insostituibili nella concezione dell’universo e comunemente accettati. Nel caso della Forza, però, interviene anche una sorta di spiegazione scientifica a supporto della struttura mistica che caratterizza la fede dei Cavalieri Jedi: i midi-chlorian, forme di vita microscopica che vivono intumblr_inline_mzm5ltF1sj1r2ai2c simbiosi all’interno delle cellule di tutti gli esseri viventi e che permettono la percezione della Forza, come se fossero una specie di ponte tra gli esseri viventi dell’universo e la Forza stessa, la connessione tra la mente di un individuo e la Forza. I mistici di tutte le religioni del nostro mondo, non possedendo i midi-chlorian inventati per la saga di “Star Wars”, hanno dovuto affidarsi ad altri “ponti”, sviluppando altre facoltà spirituali meno fantasiose ma altrettanto portentose. In comune tra i Cavalieri Jedi e i nostri mistici vi è l’annullamento del pensiero in favore della percezione. Come insegna il maestro Qui-Gon Jinn ad Anakin:

<<Senza i midi-chlorian non esisterebbe la vita, e noi non saremmo consapevoli della Forza. In ogni istante essi ci parlano, comunicandoci il volere della Forza. Quando imparerai a placare la mente, sentirai che ti parlano.>>

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Baini ubaink ya hallail! (“Tra me e te, oh notte!”)

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , on 3 luglio 2011 by Michele Nigro

“Baini ubaink ya hallail”
canzone della tradizione mediorientale

(pronuncia)

Baini ubaink ya hallail
Fi h’ob ukènneieh
Ala bab’ btokod ya lail
Umenshar laileieh

Baini wbainak fi asrar
Wbteàref ahzani
Btebà mreàli a hak eldar
Wtek’olon ma yensuni

Rit. Bait elsaa’d elatik
Kafi ala eltarik wkafi haddu’ elzaman
Yemken bokra elhabib
Yomrok methl elkarib w’ma yuzkur ellikan

Bayni wbainak dakket ab
Kamzet aw wsada hob
Zekra helwe wsharket shams
Welnada byektor alkalb

Bayni wbainak sahret kamr
Helm twil blailet sahr
Lelmatar kalbi atshan
Kalbi wkalbak habbet matr.

***************************

(traduzione)

“Tra me e te, oh notte!”

Tra me e te, oh notte mia
C’è un amore e una canzone
Stai vicino alla mia porta
E passiamo il tempo insieme.

Tra me e te ci son segreti
Tu conosci la mia tristezza
Passa vicino alla sua porta
E dille “non dimenticarlo!”

Rit. Quella casa felice
Che stava sulla strada
Nasconde i miei ricordi.
Il mio amore passerà
Come un estraneo poi
Niente ricorderà!

Tra me e te un cuore palpita
C’è un intenso eco d’amore
Dolce sole che risorgi
La rugiada sul mio cuore.

Tra me e te notte romantica
C’è un dolce e lungo sogno
Nostalgia per il mio cuore
Nostalgia di un vecchio amore”.

AUDIO CORRELATO

Registrazione su audiocassetta del 7.6.1995 a Torre del Greco (Napoli)

Traduzione e adattamento dall’arabo all’italiano della canzone “Baini ubaink ya hallail” a cura di Marjyia Yusuf (Nazareth – Israele) e Michele Nigro.

Alle chitarre: Yusuf Marjyia (classica); Michele Nigro (acustica)

Voce e fischio, versione n.1: Yusuf Marjyia

Versione n.2 (dal minuto 3:36): fischio (1° fischio: Y. Marjyia/2° fischio: M. Nigro) e canto (voce: Y. Marjyia)

Dedicato a Vittorio “Vik” Arrigoni

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , on 18 aprile 2011 by Michele Nigro

16-08-1994

Il muezzin di Betlemme è già a lavoro…

La camera 305 dello Star Hotel è bellissima. Forse il mio entusiasmo è eccessivo, ma dopo aver dormito su ponti di navi e letti di fortuna, questa stanza (al di là della sobria e comodissima stanza al ‘Casanova’ di Gerusalemme) mi appare come una reggia. Ci sono molti piani in questo albergo e ad una prima occhiata sembrerebbe “disabitato”: non ho visto altri turisti nell’atrio o sui piani come dovrebbe essere in un normale albergo. Forse sono tutti turisti che si svegliano con il canto del gallo oppure non è un albergo ‘gettonato’ a causa del territorio ‘difficile’ in cui sorge. Andiamo nella sala da pranzo che offre, grazie ad un’ampia vetrata, uno spettacolare panorama su Betlemme. E’ bello fare colazione guardando dall’alto ciò che ti aspetta. Facciamo colazione e nella sala siamo in tre. In un tavolo non molto lontano c’è (quando dici il destino) un italiano: un tecnico di Torino in viaggio di affari abituato a fare colazione con la valigetta del lavoro affianco al tavolo. Il sole attraverso la vetrata ci riscalda e ci invoglia ad abbandonare la colazione per scendere, finalmente, tra le strade di Betlemme. Dopo aver trascorso delle serate per così dire “mondane” tra i pub di Jaffa Road e della Gerusalemme “pagana”, è un po’ difficile, ma sicuramente educativo, vedere la situazione di Betlemme. Sottolineo “vedere” perché è diverso dal “sentito dire” come spesso succede a chi, come me, vive in Europa o altrove.

La piazza centrale di Betlemme è caratterizzata dalla presenza di un ampio portico dove ci sono numerosi negozi per turisti; su un lato c’è una moschea con un bel minareto che domina la piazza e su un altro lato ancora c’è una stazione della Polizia israeliana tutta circondata da reti metalliche e con una torretta d’avvistamento per le guardie armate. I mezzi blindati sono parcheggiati nel cortile ricavato dal recinto di rete e in attesa di momenti “caldi”… […] Dopo aver visitato e fotografato i luoghi della cristianità, ci siamo lanciati all’esplorazione di posti che mai nessun soldato israeliano o tour operator sano di mente vorrebbe esplorare. Ci sono vie (o cose che sono simili a vie) in cui si sente (e si vede, e si tocca) la povertà, l’abbandono, il degrado, l’indifferenza dello stato israeliano, la libertà autogestita del popolo palestinese… Ci sono vicoli il cui odore è insopportabile perché deriva da un misto di feci di animali e marciume vario… Nella zona del mercato non si riesce a distinguere dove sia il fondo di quella che dovrebbe essere una strada perché completamente ricoperta di terriccio, feci di galline portate a vendere, piume e penne di vari volatili commestibili… Il tutto mischiato a formare una melma miasmatica che stimola il vomito anche in chi come me è abituato a sezionare ascessi purulenti e animali in via di putrefazione… In moltissimi angoli delle strade cumuli di rottami arrugginiti di quelli che sarebbero potuti essere macchine o motori, dominano il paesaggio indisturbati chissà da quanto tempo. La gente del posto, abituata a tutto questo, ti ferma solo per venderti cartoline, per cambiare denaro in nero, per proporti un affare con il proprio taxi sgangherato… Se non ti fermano, si accontentano di dirti “hello!” con la speranza di attaccare discorso e di riuscire a guadagnare qualche schekel accompagnandoti in qualche posto nei dintorni. I bambini, dalle scale e dai muri, un po’ timidamente e un po’ con la voglia di entrare in contatto con qualcosa di nuovo, ti gridano un audace “what’s your name?”…

E mentre il tramonto di Betlemme si trasforma in una dolce coperta di color arancio posandosi lievemente sui margini delle montagne vicine, e mentre i miei panni lavati ondeggiano sulla finestra ampia dell’albergo (grazie alla provvidenziale “cordicella” per i panni che fa parte del mio bagaglio di buon italiano in viaggio), con la musica degli U2 nelle orecchie sto scrivendo queste memorie.

Gli sguardi dei palestinesi che incontro per strada sono sguardi che penetrano ogni cosa… Sono sguardi curiosi che fissano la mia macchina fotografica (forse perché non è un granché e allora pensano “poveraccio”: in realtà la mia macchina sembra uscita in regalo da una busta di patatine, anche se devo ad essa le uniche foto che testimoniano questo viaggio), fissano le mie scarpe, la mia maglietta, i miei occhiali da sole… Sono una mosca bianca tra i vicoli di un mondo difficile?

Tutto ciò che dalla Piazza della Mangiatoia (dove sta la Basilica della Natività) si muove oltre i luoghi sacri dove i palestinesi sono abituati a vedere gli europei, viene visto come un oggetto strano che invade luoghi appartenenti ad una dimensione prettamente palestinese.

La polizia israeliana ha la sua caserma vicino alla Basilica della Natività ed è completamente circondata (come ho già scritto) da una gabbia di ferro… Quella caserma è come un pezzo di Israele che si trova per sbaglio nel mondo palestinese! Gli israeliani pensano che questo sia territorio occupato solo perché i soldati armati fino ai denti camminano tra le strade con il rischio di essere colpiti da bottiglie o pietre… Stamattina nel mercato c’è stata una “mini intifada” durata pochi secondi tra alcuni ragazzini che lanciavano pietre e i soldati israeliani che pattugliavano il mercato. Secondo il taxista che sosta vicino alla moschea in attesa di clienti, queste sono cose che succedono tutti i giorni e lo dice con la faccia rassegnata di chi ci vive in mezzo…

Qui a Betlemme (molto più che a Nazareth) si sente che la presenza israeliana è come un punto nero disegnato sul foglio bianco del popolo palestinese. I giovani arabi e i bambini si avvicinano con spontaneità: qualcuno per chiedere soldi, altri una penna, altri semplicemente per conoscere, per sapere, per toccare qualcuno di nuovo. Ieri sera quando siamo arrivati ci siamo sentiti come gli “americani” mentre entravano vittoriosi nelle città europee appena liberate durante la seconda guerra mondiale… In meno di due secondi, se ti fermi per chiedere informazioni, si forma un primo strato di “scugnizzi palestinesi” e poi se non cambi aria lo strato diventa folla… Una piacevole folla acerba di ‘grilli palestinesi’ trasformati in bambini che pigolano e saltellano intorno alla novità.

Giudicare i palestinesi è difficile perché vivono in condizioni poco felici e molti di loro utilizzano l’Intifada per manifestare la rabbia contro uno stato imposto dalla storia che non assicura né lavoro, né possibilità di movimento, né futuro… Giudicare gli israeliani è altrettanto difficile perché anche loro, alla ricerca di una identità nazionale, si sono trovati dinnanzi all’infelice compito di convivere con un popolo culturalmente diverso e giustamente ‘incazzato’. E’ come far fare un viaggio di migliaia di km in una macchina a due persone che non si vogliono parlare e che addirittura si odiano per rancori lenti a spegnersi o per torti subiti in passato… Bisogna unire le forze positive arabe e israeliane in un discorso non passionale ma pratico e lungimirante: cioè trovare un modo, al di là dell’orgoglio e dell’odio, per stare bene insieme nella stessa terra.

“Non tutti vogliono la pace…!” mi diceva oggi il taxista al centro. Certo, ma non tutti vogliono la guerra.

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