Raffaele Rago è stato un appassionato revisionista storico filo-borbonico fino a un attimo prima di essere prematuramente additato dalla grande mietitrice che passa e falcia senza considerare i nostri progetti, i nostri interessi culturali, i sentimenti vissuti e l’esperienza accumulata durante l’esistenza. A testimonianza di questa costante ricerca storica e umana, che solo la morte poteva interrompere e non certamente la mancanza di fervore o di argomenti, vi è l’ultima pubblicazione di Raffaele intitolata “Dal regno dei fiori al regno della miseria” e realizzata con l’amico Francesco Innella (edita da ilmiolibro.it e curata da Pasquale Giuliani). Anche dal letto d’ospedale, raccontano parenti e amici, Raffaele Rago ha fornito fino all’ultimo indicazioni su come migliorare un’opera che in cuor suo forse rappresentava una sorta di testamento o di invito a proseguire un discorso inesauribile su un periodo storico sovrastato da ombre e omissioni.
Le reali condizioni di vita nel tanto vituperato Regno delle Due Sicilie; le motivazioni più affaristiche che patriottiche alla base della cosiddetta “unità d’Italia” (unità che oggi, paradossalmente, viene messa in discussione da una formazione politica pseudo-federalista nata nella stessa area geografica in cui durante il Risorgimento prese vita l’idea impellente di unificare la penisola italica!); la figura sopravvalutata ed eroicizzata di Garibaldi; le bugie inventate sul fenomeno del “brigantaggio” catalogato frettolosamente come evento delinquenziale e terroristico, e mai interpretato dagli storici di stato come un legittimo (e partigiano) tentativo di ripristinare una condizione politica antecedente all’unificazione (non a caso nella suddetta pubblicazione di Rago e Innella viene evidenziata la figura del “brigante-politico” Giuseppe Tardio, nato a Piaggine); i campi di concentramento ideati dai Piemontesi in cui furono internati migliaia di meridionali; l’emigrazione post-unitaria quale sintomo della debolezza economica di una nazione acerba: questi e tanti altri argomenti rappresentavano (dati alla mano!) le “munizioni” culturali utilizzate da Raffaele Rago nel corso delle sue pacifiche battaglie revisionistiche.
Raffaele aveva insegnato nelle scuole: senza mai mettersi in cattedra, anzi scendendo da questa proprio per dialogare più comodamente e in maniera diretta con i propri studenti, cercava (uno su mille!) di insegnare quella che egli amava definire “l’altra storia”, andando al di là dei programmi ufficiali e dei testi consigliati dal ministero e scritti dai vincitori. Scrive Rago nella pubblicazione sopra citata: <<… Di certo i Piemontesi mai e poi mai diranno di aver arrecato danni e causato la nostra miseria, basta leggere un qualsiasi libro di storia in uso nelle nostre scuole… […] Quando parlavo nelle mie classi del brigantaggio, i ragazzi mi guardavano con stupore (e non solo loro!): mai avevano sentito favellare sui Borbone e sui briganti…>>
Raffaele Rago era un ricercatore meticoloso ma al momento giusto sapeva essere anche un “revisionista di pancia”, un infuocato difensore, perché è difficile rimanere freddi e scientifici quando a essere infangata non è la storia di un posto qualsiasi del mondo, bensì la storia e la dignità della terra su cui hanno vissuto e sperato i tuoi genitori e i tuoi avi, e che è fonte d’ispirazione poetica oltre che storiografica. Scrive Rago in un articolo pubblicato sulla rivista elettronica Eleaml e intitolato “La calunnia è come un venticello”: <<… Quando gli studiosi di regime si scagliano in modo selvaggio contro i Borbone, non posso che prendere la penna e cercare di difendere il mio Sud, le mie tradizioni e la mia Storia, quella che mi è stata insegnata, fin dalla tenera età, quando nonno Antonino, vicino al focone, mi parlava dei briganti, che si riunivano sul monte Polveracchio, dei Borbone, che amavano le nostre zone e che cercavano di rendere la vita nel loro regno il più vivibile possibile…>>
La ricerca storica di Raffaele Rago non era dettata solo da motivazioni nostalgiche ma soprattutto da solide ragioni economiche e politiche. La dignità di un popolo conquistato e annesso (annessione che, imitata dall’Anschlussnazista del 1938 ai danni dell’Austria, ebbe a compimento dell’opera una becera farsa referendaria pilotata al fine di evitare la probabile deriva consultiva!) non viene minata dal fatto di imporre una nuova bandiera o un nuovo inno, ma dalla pessima qualità economica nazionale che si determina all’indomani della conquista e che inesorabilmente ricade sull’esistenza della parte debole di una popolazione. Scrive ancora Rago nel succitato articolo: <<… Dopo la parentesi predatoria napoleonica, con i Borbone si iniziò a schiudere non solo un periodo di pace, ma anche di prosperità. Si potenziò la rete stradale, infatti dalle 1505 miglia (1828) si passò alle 4587 (1855); si incrementò la marina a vapore che, dopo quella inglese, era la seconda nel Mediterraneo; si creò la prima ferrovia d’Europa; si diede la possibilità di sviluppare le fabbriche del Meridione: quella dei damaschi a Catanzaro; di S. Leucio; delle officine di Mongiana, che venivano collegate allo Ionio con una ferrovia che, tranne il tracciato, non è più visibile. Non sono da dimenticare le fabbriche di armi di Serra S. Bruno, le filande di Bagnara e tanti altri opifici sparsi in tutto il Sud e tutti funzionanti. Chi perpetrò lo scempio e la completa distruzione di tutto questo? Chi costrinse a chiudere i vari stabilimenti? Chi stroncò l’interessante esperimento produttivo di S. Leucio? Chi eliminò gli alti forni di Mongiana? Chi eliminò i binari della prima ferrovia industriale calabrese? Chi rubò i 500 milioni di ducati (più di quattromila miliardi di oggi) dalle casse Borboniche per portarli (allegramente) verso il Piemonte per pagare i debiti di guerra dei Savoiardi? Non si può nascondere che il Sud, il nostro Sud, fu trattato solamente come terra di conquista, cioè una colonia da sfruttare. I Savoia, con l’avallo di deputati meridionali approfittatori e corrotti, imposero tasse assurde; fusero, solamente per il loro utile, i due debiti pubblici, quello del Sud (500 milioni di lire su 9 milioni di abitanti) e quello del Regno sabaudo (1 miliardo di lire su quattro milioni di abitanti)…>>
Domande che nel corso degli anni hanno trovato risposte serene e non più condizionate da anacronistiche posizioni politiche o da “questioni di principio” affievolite dal tempo: forse l’appiattimento ideologico a cui stiamo assistendo e il menefreghismo culturale imperante, per assurdo che possa sembrare, stanno rendendo possibile un’operazione di ricerca della verità storica fino a qualche decennio fa impensabile. Nonostante la solita commozione istituzionale del presidente della repubblica di turno in occasione dei festeggiamenti per l’anniversario dell’unità d’Italia, nonostante la passione revisionistica dei neoborbonici, la verità nuda e cruda riesce ad emergere proprio perché a nessuno o a pochissimi importa qualcosa del Risorgimento! Quando il fisiologico decadimento emotivo dei fatti storici incombe, quando la maggioranza è distratta: quello è il momento giusto per agire, per scavare, per sapere con serenità.
Chissà se Raffaele ha avuto modo di apprezzare la decostruzione degli eroi e dei patrioti risorgimentali operata dal regista Mario Martone nel film “Noi credevamo”, raro esempio di interesse storico-risorgimentale da parte di un cinema italiano stanco e in crisi d’identità; chissà se ha valutato positivamente il giudizio equidistante del regista nei confronti delle barbarie borboniche e piemontesi; se ha condiviso il disincanto dei personaggi causato da un’idea unitaria che si è rivelata fallimentare fin dai primi vagiti; se ha colto il collegamento realizzato da Martone tra quei fatti storici e il nostro presente… Non lo sapremo mai. Anche se, avendolo conosciuto, potremmo immaginare una sua reazione.
Ricercare e rinforzare la verità a volte è più faticoso che seguire romanticamente le favole idealistiche propinate da un sistema che ci governa fin nell’intimo. Raffaele Rago l’aveva capito e coltivava questa sua necessaria “fissazione” non per se stesso, per andare inutilmente controcorrente o perché s’illudesse di essere seguito e ascoltato dalle odierne masse ipnotizzate dai reality show, ma semplicemente per amore dell’oggettività, per onorare la memoria di uomini e donne vissuti 150 anni fa, che non aveva mai conosciuto e che nonostante tutto sentiva vicinissimi: fratelli nella storia più che per consanguineità; un modo per ricordare che le decisioni scellerate del passato lasciano tracce inesorabili anche nel nostro presente. Ed è per questo che leggeva e studiava, scriveva e testimoniava partecipando a incontri e seminari dedicati all’“altra storia”: un’altra storia che fa male conoscere e ricordare, ma che ha una funzione catartica, che fa rinsavire e rende politicamente e mentalmente autonomi.
<<La trattazione della figura storica di Hitler spesso suscita polemiche accese: mi riferisco alla proiezionedel film “La caduta”, riguardante gli ultimi giornidi Hitler nel bunker di Berlino e da molti considerato come un’opera che umanizza il Führer, e alla più recente‘discussione’ suscitata dalla professoressa Angela Pellicciariche ha scelto di adottare il testo scritto daHitler – “Idee sul destino del mondo” – nel liceo romanoLucrezio Caro. Lei non crede che, per agevolarela crescita di una coscienza storica matura econsapevole da affiancare alla Memoria, si debbanoconsentire anche la lettura e la visione di tale materiale?
Anche io da ragazzo ho sentito il bisogno di leggere il “Mein kampf” di Hitler. Però io possedevo già gli strumenti per capire quel libro, gli stessi strumenti utilizzati per leggere, in seguito, i “Protocolli dei Savi di Sion”. Ciò che mi lascia perplesso di questa “professoressa” è la mancanza, da parte sua, della necessaria cultura scientifica nel valutare il testo. Chi insegna sa benissimo che un libro così pericoloso, senza un apparato critico, dato in mano a degli innocenti, a persone non consapevoli e non dotate di una cultura tale da poter affrontare la drammaticità di quel testo, può causare grossi danni. Non solo la mancanza di scientificità, mi preoccupa, ma addirittura questa professoressa ha scelto una versione con l’introduzione di un noto neofascista di Ordine Nuovo, implicato nelle famigerate stragi dell’Italia degli anni ’70: Franco Freda.
Oltretutto la scuola presso cui insegna aveva invitato il mio amico deportato Piero Terracina e la professoressa non si è presentata, giustificandosi dicendo che soffre molto quando sente le testimonianze della Shoah e quindi, per non soffrire, ha preferito non esserci. La vicenda si commenta da sé.>>
Franco Battiato ha affermato in un’intervista con Carlo Silvestro per “King” nel 1991: “Incontrare la meditazione per me ha voluto dire incontrare la mia realtà interiore (…). È una specie di morte, anche se solo per un attimo: vedi morire la tua personalità e al tempo stesso vedi apparire la tua individualità, il tuo essere eterno e immortale. Questo ha aperto uno spiraglio totalmente nuovo nella mia esistenza.”
Una ‘morte’ necessaria che permette di raggiungere la vera modestia, l’umiltà liberatrice, il disprezzo di sé (da non confondere con l’autolesionismo e la disistima), il distacco dalle presunte conquiste, dai falsi traguardi, dai successi effimeri che ingannano. La propria individualità come uno strumento con cui esercitarsi quotidianamente, per essere in uno stato di miglioramento perenne. Uno strumento dinamico da contrapporre alla staticità della ‘personalità’. Battiato, da sempre vicino al mondo interiore dei mistici sufi, sottolinea questo bisogno di ‘annullamento’ anche nel simpatico incipit del brano in inglese “Up patriots to arms” dell’album “Echoes of sufi dances”: una donna parla al telefono con un interlocutore che non sentiamo, ma dal dialogo emerge la frase “nothing especial” – “niente di speciale” – in riferimento al brano “Up patriots to arms” che è già in sottofondo. La “armi” a cui sembrerebbe riferirsi Battiato – e al cui uso sprona i veri ‘patrioti’, non quelli che fanno barricate per conto della borghesia: migliorare il proprio ‘interiore’ significa migliorare l’intera patria – sono proprio queste: la distruzione dell’Io superbo, lo sviluppo dell’occhio interiore, la vera umiltà, il silenzio da contrapporre alla gloria, la modestia per combattere l’autoreferenzialità, il ‘non prendersi troppo sul serio’ per sopravvivere a se stessi e per riuscire a ridere con serenità dei potenti…
Ma questi sono solo “echi” di un lavoro infinito e affascinante.
“Yeeess? Hello, yeah this is Carola, who are you?… [l’altro tipo dice il suo nome, ma si sente solo la donna] Ah, sure I remember, uh Johnie! How are you?… What are you doing in New York?… Ahh, just passing through eh… California?! Oh Jesus! I was up there last year, it rained every day, yeah… it was terrible… [l’altro chiede a lei cosa sta facendo, ma non si sente] Oh, nothing but… listening to a record… Nothing especial. Just an Italian singer like you. Do you wanna hear it? Wait just a minute… I go and turn up the volume!”
”Siiì? Pronto, sono Carola, chi è?… [l’altro tipo dice il suo nome, ma si sente solo la donna] Ah sì che mi ricordo, Johnie! Come stai? Cosa fai a New York?… Ah, sei solo di passaggio… [l’altro presumo che dica dove è diretto] California?! Oddio, ci sono stato lo scorso anno, ha piovuto ogni giorno, sì… è stato terribile… [l’altro chiede a lei cosa sta facendo, ma non si sente] Oh, nulla in particolare. Sto ascoltando una canzone… Nulla di speciale. Solo un cantante italiano come te. Vuoi ascoltarlo? Aspetta solo un minuto… Vado e alzo il volume!”
Mentre leghisti e patrioti unitari si scannano in vista dei ‘festeggiamenti’ del 150° anniversario dell’unità d’Italia – se sia più importante ‘lavorare per il paese’ o colorare di rosso il 17 marzo sul calendario e andarsene a spasso con gli amici – io m’interrogo sul significato del termine italianità. Afferma il vocabolario aperto sulla mia scrivania: “italianità: s.f. Indole, natura, carattere, d’italiano.” Una spiegazione che non mi ‘disseta’…
Lo scenario socio-politico che dovrebbe ‘nutrire’ questa definizione è deprimente: la situazione economica dell’Italia è stagnante, la classe dirigente è inqualificabile, lo stato culturale dell’italiano medio è a dir poco allarmante (e quando utilizzo la parola ‘culturale’ non la intendo riferita solo al numero di libri letti in un anno o le poesie imparate a memoria durante il periodo scolastico, ma a un approccio interdisciplinare e ‘mentalmente aperto’ con i problemi che l’italiano nella maggior parte dei casi non ha)… È vero, abbiamo i ‘monumenti’ e le gloriose testimonianze provenienti dal passato: ma anche queste risorse spesso vengono ignorate dall’anestetizzato popolo videocratico del “Grande Fratello”. O nella peggiore delle ipotesi crollano (nel senso strutturale del termine) dopo un acquazzone e grazie all’incuria di un governicchio che taglia i fondi per la cultura… Cosa ci rimane per festeggiare? Un tricolore sbiadito e incautamente lavato in lavatrice a novanta gradi dopo l’ultimo mondiale di calcio.
Mi aggrappo nuovamente al dizionario, ma ripeto un errore madornale. Indole: sull’italica indole sarebbe meglio soprassedere; troppe pubblicità comiche, troppi film, troppi luoghi comuni che a lungo andare sono diventati ‘dati di fatto’, troppi comportamenti disdicevoli riabilitati e fatti passare come ‘qualità’… Fino a diventare ‘istituzione’, politica…
Ecco perché, secondo me, l’italianità dovrebbe nutrirsi di segni non istituzionali, di storie con la “s” minuscola, di scenari familiari, di paesaggi epici ancora intatti, di ‘bolle di quotidianità’ a volte sottovalutate… L’italianità diventa così un concetto intimo, non condivisibile, impossibile da istituzionalizzare e assolutamente soggettivo: un ‘processo di personalizzazione’ che è tipico degli italiani e che deriva dalla loro capacità, affinata nei secoli e dalla disunità, di ‘salvare il salvabile’ durante i periodi storici caotici. O forse anche questa qualità è un luogo comune.
È sorprendente la varietà di luoghi e di momenti in cui gli abitanti di questa meravigliosa penisola scoprono la propria italianità: c’è chi la scopre in un museo del Risorgimento, chi a Maranello, altri mangiando un panino sotto una statua di Garibaldi… C’è chi la scopre solo a tavola perché tutto il resto è deludente e quindi è meglio bere un bicchiere di vino in compagnia e dimenticare Roma; c’è chi è italiano solo durante i mondiali di calcio e poi basta, o chi si sente veramente italiano perché è iscritto a qualche Società di Storia Patria e su come andarono veramente i ‘fatti’ nel 1861, ne sa più degli altri…
Io scoprii la mia italianità, pensate un po’, su un treno lentissimo tra Brindisi e Taranto, il 29 agosto del 1994. Ero reduce da un viaggio in Medio Oriente, ed ero da poche ore sbarcato nel porto di Brindisi:
<<… Sono in Italia: mi trovo esattamente sul treno Brindisi-Taranto […] Da Taranto proseguirò per Potenza. Dal finestrino vedo gli uliveti e i vigneti della Puglia; la lentezza del convoglio mi permette di osservare i gesti arcaici e familiari di una contadina mentre nella sua terra con la zappa smuove piccole dighe di terra, dirigendo così la preziosa acqua nei labirintici corsi d’irrigazione… I rami contorti degli ulivi secolari mi riconducono tortuosamente verso i valori della mia terra: il valore del buon vino, dell’olio genuino, del pane ineguagliabile, del cielo osservato dai miei antenati, dell’acqua e dell’aria… Radici, valori, ideali antichi che mai moriranno: questi sono i motivi che spingono un italiano a ritornare a casa. […]
Ore 19:22. Sto partendo da Taranto per Potenza. Ma prima dovrò cambiare a Metaponto (se non voglio ritrovarmi a Sibari). Arriverò alle 22 a Potenza.[…]
È sera quando finalmente giungo a Metaponto e mentre riprendo voracemente a scrivere sul mio diario le ultime pagine riguardanti questo viaggio sono già pronto sul treno diretto a Potenza. Le piccole stazioni di periferia mi sono sempre piaciute per la tranquillità in cui sono avvolte. Sono un punto romantico dei viaggi… Rappresentano, per me, luoghi di meditazione e di transizione. I grilli nelle sere d’estate, le fontanelle delle stazioni con cui stemperare le calde attese estive, il capostazione che da solo svolge mille funzioni, il caratteristico suono di un passaggio a livello… Simboli di un’Italia forse ‘arretrata’, lenta, che resiste all’efficiente caos del progresso […]. Quante volte ho giocato in queste stazioni e quante volte sono partito o arrivato…
Dopo tanti anni, finalmente, il tratto ferroviario Battipaglia-Baragiano è stato riattivato dopo il disastroso terremoto dell’80 e così potrò (forse già domani) ripercorrere non solo un pezzo di strada ferrata, che in Italia in pochi conoscono e percorrono, a parte gli abitanti ‘locali’, ma qualcosa di più: un pezzo della mia storia, del mio passato. È strano come proprio ora, ritornando da Israele, riscopro tutti questi aspetti del mio essere italiano. Italiano del cosiddetto Meridione. È vero che si riscopre il valore del proprio paese quando si ritorna da ‘fuori’… Da poche ore, da quando sono sbarcato a Brindisi, sto riscoprendo lentamente il valore delle ‘cose italiane’. Cose di tutti i giorni, cose che altri italiani distratti non prendono più in considerazione… E se cerchi di metterle in evidenza, queste ‘cose’, ti prendono pure per pazzo o per uno stupido nostalgico che non ha senso pratico… Purtroppo chi è del posto non apprezza le cose che ha sotto il naso e solo ‘uscendo’ dalle dimensioni familiari possiamo fare i confronti e rivalorizzare il ‘solito’…
Mille pensieri albergano in me durante questo ritorno… Pensieri che forse domani mi sembreranno assurdi e che sarà meglio fissare su carta prima di ritornare alla routine, approfittando dell’andamento lento di questo treno…
… Metaponto-Bernalda-Pisticci-Ferrandina-Salandra-Grassano-Tricarico-Calciano-Campomaggiore-Albano di Lucania-Trivigno-Brindisi di montagna-Potenza.>>
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L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
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