Qual è o quale dovrebbe essere, secondo te, la funzione della poesia nella società attuale? Chi fa poesia oggi, come si muove nel contesto socio-culturale o come dovrebbe muoversi?
Ritengo poeta colui che ha funzione di medium per una visione essenziale e sintetizzata del vivere, sia esso espressione del quotidiano o di mondi non percepibili ai sensi comuni. Per questo motivo, una possibile funzione del poeta è di fare da tramite e segnalare impressioni non comuni, portare ispirazione a chi è in grado di riceverla.
Come nasce la tua poesia? Potresti “illustrarci” la tua poetica e dirci quali sono le caratteristiche peculiari del tuo linguaggio poetico? Quali poeti ti hanno ispirato?
I miei scritti nascono sempre dall’esigenza di manifestare stati di percezione alternativa. Scrivo affinché le impressioni che ricevo non vengano portate via e cancellate dal vento della necessità alla quale siamo sottoposti. Molte volte scrivo per registrare le impressioni che nascono in me ascoltando certi generi di musica. Ho letto poesia primariamente nella mia adolescenza, e di quel periodo devo citare tutti i cosiddetti “poeti maledetti”. Invece dopo i vent’anni mi innamorai delle poesie e gli inni di Aleister Crowley e Austin Osman Spare. Poi certamente devo molto a Neruda! Tra gli scrittori italiani invece, Massimo Scaligero ed Arturo Onofri. Sicuramente molti praticanti Zen orientali hanno avuto un influsso determinante in questi versi.
Quale è stato il criterio con cui hai scelto le dieci poesie inserite nell’antologia “Archetipi Poetici”? Quale tra esse ti rappresenta di più?
Le poesie scelte rappresentano degli stati animici, distillati nello scritto. Ho scelto quelle che rispecchiano più fedelmente le sfaccettature del mio essere, che ritengo maggiormente salienti e degne di trasmissione.
Il concerto di Angelo Branduardi, ieri sera nella piazzetta centrale di Satriano di Lucania, un gradevole paesino della mia amata Basilicata, è cominciato con una doverosa premessa, condivisa quasi sottovoce dall’Artista e in maniera ieratica come se fosse un segreto da maestro a discepolo: un suggerimento su come predisporsi all’ascolto del suo live partendo da lontano, da un incipit evangelico, da una teoria al limite dell’esoterico. A Branduardi non interessano più di tanto le “canzoni”: la sua esperienza cantautorale affonda le radici in una ricerca sonora primordiale, in quel confine sottile, poco visibile e quasi impercettibile che separa la scienza del suono da una “spiritualità che non va confusa con la religione”, ci tiene a precisare il grande menestrello, autore di pagine importanti della storia musicale italiana e internazionale.
“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio…” leggiamo nella Bibbia e precisamente nel Vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 1-18). Siamo stati educati – ricorda Branduardi – a interpretare il termine Verbo come “parola”, ma altre traduzioni e tradizioni (più antiche e non meno importanti di quella cristiana) ci rivelano che il Verbo usato nel Prologo dall’evangelista Giovanni in realtà coinciderebbe con il Suono, non in senso “musicale”. Dio nel momento della creazione non si è espresso, non ha parlato, non ha pronunciato parola alcuna (Dio non è un essere superiore che blatera, non è parola ma azione; il Verbo che è presso Dio, al punto da coincidere con Dio stesso, indica l’agire, il fare che crea, il pensiero che dà vita al mondo), ma ha delegato al Suono, quale strumento del fare, alla vibrazione sonora, la responsabilità di mettere in moto e in ordine i componenti inerti dell’universo in vista della costruzione del Creato. Una verità esoterica tenuta per definizione nascosta, o volutamente male interpretata, dalla religiosità occidentale “ufficiale” forse perché troppo meccanicistica, naturale; o forse perché in occidente siamo stati educati a un Dio padre “antropomorfizzato” che, nonostante il libero arbitrio, dall’alto muove i fili del teatrino e una teoria del genere sarebbe terribilmente vicina a una spiegazione fisica e quindi scientifica e non divina e misteriosa. Anche se la teoria del suono all’origine dell’universo non spiega tutto e rimane essa stessa un affascinante mistero che trova alcune timide spiegazioni in antichissimi insegnamenti e tracce religiose che si perdono nel tempo.
Dal Suono deriverebbe il tutto visibile e invisibile, e lo sciamano rappresenta l’esempio più autentico e antico di “ingegnere del suono” prestato alla spiritualità: i suoni prodotti dallo sciamano nel corso dei suoi riti inducono a una ricerca interiore e l’alterazione dello stato di coscienza che ne consegue è l’unica strada per la visualizzazione di un mondo spirituale altrimenti inaccessibile e per ritornare a quel Suono originario a cui si fa riferimento nel Vangelo di Giovanni.
Branduardi prima di cominciare lo spettacolo ha invitato il pubblico a ritrovare una concentrazione interiore che non deve coinvolgere solo i musicisti bensì tutti, e che non prevede il delirio insensato per la canzonetta: anche il suono prodotto su un palco durante uno spensierato festival estivo deriva da quel Suono primordiale e creatore, senza soluzione di continuità. Quindi la musica è uno strumento mistico, è spiritualità, è consapevolezza di non essere creatori ma semplici sub-creatori, mediatori e prosecutori di un Suono antichissimo. Lo sciamano Branduardi, oltre alla riproposizione d’ufficio dei brani popolari appartenenti al suo repertorio, ha saputo emozionare e catturare l’attenzione più intima del pubblico, trasportandolo verso uno sperimentalismo apparentemente improvvisato, come nel caso della registrazione dal vivo di alcune tracce sonore eseguite con il proprio violino e utilizzate come base musicale per un successivo brano. Si tratta di momenti unici, irriproducibili, personalizzati, che vanno oltre il “brano famoso” o il coro da stadio. La vera ricerca musicale che “guarisce” è questa.
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L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
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