Archivio per scientifica

Nostra Signora degli Alieni

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 ottobre 2017 by Michele Nigro

È in uscita l’antologia Nostra Signora degli Alieni contenente, tra gli altri, un mio vecchio racconto – “The Padre P.I.O. Show” – scritto durante il periodo in cui leggevo e a volte tentavo di scrivere fantascienza (o, come in questo caso, fantareligione da me ribattezzata all’epoca “rel-fi” ovvero religion fiction) e che sottotitolai ironicamente “un caso di malasantità”. Oggi non mi appartiene più questo tipo di sperimentalismo scritturale legato al genere fantascientifico, perché nel frattempo sono mutate le passioni letterarie, le ricerche e gli esperimenti che ne conseguono, ma è sempre divertente assistere a questi rigurgiti editoriali “postumi”.

La presentazione dell’antologia curata da Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo è ufficialmente confermata per DOMENICA 12 NOVEMBRE alle ore 13 alla sala Blu del Pisa Book Festival.

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“Nostra Signora degli Alieni”

Racconti di fantareligione

a cura di

Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo

 

Santi e santità, libri sacri e profani,

miracoli ultraterreni e misteri della fede.

A opera di alcuni fra i più noti autori italiani di fantascienza.

 

Il Paradiso, l’Inferno e altre ipotesi sull’Aldilà. La Chiesa come Potere Temporale che estende il suo dominio oltre la Terra e oltre il Tempo, ma anche la Chiesa come Potere Spirituale che colonizza altri pianeti affrontando nuovi problemi esistenziali. Nuove scoperte scientifiche che mettono in crisi la Fede.

Questo e altro in una antologia che coniuga fantasia, teologia, religione, riflessioni sul futuro, senza tuttavia dimenticare la giusta dose di azione e avventura.

Testi di Donato Altomare, Vincenzo Bosica, Denise Bresci, Andrea Carlo Cappi, Stefano Carducci e Alessandro Fambrini, Vittorio Catani, Francesco Grasso, Roberto Guarnieri, Lukha B. Kremo, Alessandro Morbidelli, Michele Nigro, Pierfrancesco Prosperi, Franco Ricciardiello, Michele Tetro.

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The Zoological Song

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 7 aprile 2017 by Michele Nigro

Temevo il silenzio

secolare e stantio

di quei vuoti corridoi,

budelli sapienti, austeri

odore di incunaboli e fossili

nei dipartimenti

di zoologia. Gloriosi teschi

donati alla scienza o

rubati post mortem,

teorie ereditate per fede

laica

busti di nobili baroni

scheletri di passioni

estinte, come antiche specie

in disuso

espulse dalla storia naturale

e dai piani di Dio.

 

Con un torpore riverente

lasciai riposare la tradizione

e nomi di scienziati dinosauri

in vecchi giacigli

di formaldeide.

 

I Ragazzi di via Panisperna

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 aprile 2017 by Michele Nigro

versione pdf: I Ragazzi di via Panisperna

Film lunghissimo, mai noioso. Nell’incipit viene descritto lo “scherzo” in stile futurista da parte di un gruppo di studenti di Fisica ai danni del “vecchio” Guglielmo Marconi, visto ormai come la personificazione di una forma di “passatismo scientifico” che non lascia spazio alle nuove scienze, alle nuove idee appena sognate e non ancora dimostrate, ai suoi giovani e scalpitanti protagonisti. Siamo in piena era fascista, il sapere e le scoperte scientifiche devono assecondare i sogni di gloria dell’uomo solo al comando e del suo impero, non c’è spazio per le farneticazioni teoriche. Eppure, invece di essere puniti dal preside Corbino, gli irriverenti goliardi vengono incoraggiati a proseguire sulla nuova strada e coordinati nelle ricerche dal professore Enrico Fermi firmeranno importanti scoperte nel campo della fisica nucleare. Accanto a Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo, Edoardo Amaldi, si distingue per genialità e sensibilità (scambiata dalla maggior parte dei conoscenti per fragilità) la figura “misteriosa e unica” di Ettore Majorana. Due tipologie umane, due caratteri scientifici, due linee parallele che, contrariamente a quanto stabilito dall’assioma geometrico, s’incontrano spesso per poi separarsi, ma è un avvicinarsi asintotico: Majorana, pur contribuendo alle scoperte e spesso anticipandole senza tuttavia renderle pubbliche, non si integrerà mai del tutto all’entusiasmo scientifico del gruppo, ne resterà sempre ai margini.

Dal film, che segue giustamente la trama storica dei traguardi scientifici caratterizzanti un’epoca gloriosa della ricerca scientifica italiana (passando dalla radio di Marconi alla radioattività di Fermi!), emerge soprattutto la particolarità psicologica di Ettore Majorana, e non solo per il misterioso epilogo della sua storia personale quanto piuttosto perché rappresentò uno scomodo “mezzo di contrasto” scientifico e di pensiero non solo all’interno del gruppo di scienziati di via Panisperna ma anche nei confronti di un intero periodo storico delicato.

Nel film di Gianni Amelio bene è evidenziato il disagio esistenziale di Majorana che convive e spesso si scontra con il pragmatismo di Fermi e gli altri ricercatori: ma non si tratta di un disagio invalidante, anzi; l’essere un tipo silenzioso, la voglia di solitudine, le oscillazioni caratteriali, il suo schermirsi dai sentimenti, distraggono l’interlocutore dal suo essere invece un intelligente anticipatore. Un’anticipazione che non si manifesta solo attraverso una straordinaria velocità di calcolo matematico ma anche per mezzo di una visione del mondo che lo rende inevitabilmente un emarginato. Un'”emarginazione geniale” che, nonostante tutto, lo condurrà in Germania al fianco di Heisenberg… Il suo essere un critico anticipatore ebbe per alcuni il sapore dello sberleffo: i traguardi di Fermi e dei ragazzi di via Panisperna – la scoperta sbandierata degli elementi Ausonio ed Esperio, fin dalla scelta dei nomi, denunciava un’autoreferenzialità tipica del regime fascista e un entusiasmo scientista non supportato da una visione d’insieme lungimirante – furono in un certo qual modo tenuti a debita distanza dallo stesso Majorana, forse perché lo scienziato siciliano aveva già preconizzato il loro maldestro utilizzo per scopi bellici (come a breve distanza di tempo sarebbe avvenuto!).

Se fossero stati gli americani a realizzare il film, sicuramente avrebbero aggiunto qualche effetto speciale mirabolante per meglio sottolineare gli argomenti di fisica atomica: invece vi è una scena importante, nella sua estrema semplicità, che vale l’intera pellicola anche senza il supporto di effetti; quella in cui un Majorana sconvolto e paranoico spiega a uno studente impaurito, sorpreso a mettere ordine nell’aula del dipartimento di Fisica, che nel nucleo non vi sono protoni ed elettroni – come affermato dallo stesso Fermi – bensì protoni e delle non ancora definite “particelle fantasma” (ovvero i “protoni neutri”)… E poi, mostrando allo studente la punta di una matita, afferma che se la punta è il nucleo dell’atomo, bisogna immaginarsi l’intera aula occupata dagli elettroni orbitanti e non più relegati all’interno del nucleo. Le capacità visionarie di Majorana, corroborate dal calcolo matematico, sembrerebbero non voler contribuire al successo di Fermi ma sono volutamente tenute a freno: più volte nel film il personaggio di Ettore Majorana dà fuoco ai propri preziosi appunti contenenti formule matematiche in grado di dimostrare in anticipo teorie fisiche importanti a cui i suoi amici di via Panisperna giungeranno col solito distacco temporale; come a voler tacere pur sapendo, per paura di dare forma concreta alla propria consapevolezza matematica.

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Storia naturale del nerd

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 30 agosto 2016 by Michele Nigro

omaggio indiretto a Gene Wilder

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Colgo la triste occasione della dipartita del mitico Gene Wilder (“Frankenstein Junior”) per parlarvi di un libro letto non molto tempo fa – “Storia naturale del nerd” di Benjamin Nugent (Isbn Edizioni) – e in particolare per soffermarmi sul capitolo intitolato Contro gli scienziati nelle torri, che a mio avviso rappresenta il punto nevralgico (o uno dei punti) della tesi di Nugent sull’eziologia del nerdismo. E per farlo l’autore attinge a piene mani dalla letteratura gotico-fantascientifica e precisamente scomoda il noto “romanzo nero” Frankenstein, o il moderno Prometeo della scrittrice britannica Mary Shelley.

frankensteinSecondo Nugent, Victor Frankenstein è un proto-nerd; e infatti scrive: “… l’antieroe è uno scienziato genialoide che finisce per sottrarsi completamente all’affetto dei suoi cari… […] rappresentando così la sua sete di conoscenza come un surrogato di un più urgente bisogno virile (‘penetrare’ i segreti della natura, n.d.b.). […] Ma al contrario del desiderio amoroso, il desiderio di progresso scientifico finisce per corrompere lentamente il corpo. […] La bellezza e la salute, qualità importanti per un giovane uomo che vuol essere marito e padre, vengono sacrificate alle esigenze della scienza.”

È più comodo, e per certi versi più facile, generare (e quindi vivere) una vita fatta con i pezzi di altre vite, che responsabilmente generarne una originale e personale partendo dal nulla, ovvero dal materiale genetico messo a nostra disposizione da Madre Natura. Ma l'”immaturo” Victor Frankenstein della Shelley, troppo concentrato sul “si può fare!” gridato in seguito dal discendente inventato da Mel Brooks, non riesce a sostenere lo sguardo mostruoso della sua creatura e scappa via. E a questo punto potrebbe starci bene anche un applauso bioetico, perché come dice un altro scienziato, il Dr. Ian Malcolm, il matematico del film Jurassic Park, criticando le strabilianti conquiste paleogenetiche del miliardario Hammond: “… erano così preoccupati di poterlo fare che non hanno pensato se lo dovevano fare…”.unk45_zps4cde2625[1]

Incalza Nugent: “Il fallimento di Victor consiste nel non riuscire a rapportarsi con l’altro a un livello emotivo, un fallimento sul piano dell’empatia. […] La radice del male in Frankenstein è il genio scientifico unito all’incapacità di entrare emotivamente in contatto con gli altri.” Lo scienziato della Shelley non riesce a immedesimarsi in tempo, prima del disastro, nelle probabili sofferenze del mostro, non pone a se stesso le giuste domande ovvero non chiede alla propria coscienza come potrebbe sentirsi un essere ri-creato per capriccio e che si ritrova in un corpo inguardabile, rifiutato dalla società, e senza una famiglia che lo ami. Un mostro che, a differenza del suo creatore, istintivamente vorrebbe vivere, amare, provare passioni, entrare in contatto con gli altri, con un corpo da toccare, lasciarsi trasportare dalle forti emozioni, dall’ira (e lo farà in maniera orrenda), essere libero e non prigioniero della torre. Il moderno nerd descritto da Nugent possiede di default la medesima struttura psicologica del dottor Frankenstein: genialità ed (auto-) emarginazione, creatività e disempatia mista ad anaffettività, intelligenza ossessiva (quasi autistica) e asensualità che con il tempo può diventare un’aperta anti-sensualità, rigore scientifico che sconfina in una “dimensione accademica della realtà”…

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Rimani nella luce

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 15 ottobre 2015 by Michele Nigro

Remain in light

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Con occhi sbarrati, saturi di buio

e quella paura di illogiche cecità, agguati nel sonno

restavi sveglio come un’insonne sentinella

cercando punti luminosi, coordinate per vedenti

astronomia da camera

nell’oscuro silenzio di notti orfane.

Rimani nella luce

piccola anima insicura!

In soccorso a riposi spezzati

l’oftalmologia di Morfeo,

ninna nanna scientifica

cantata al tramonto

d’infantili ossessioni.

Moto circolare uniformemente accelerato

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 29 aprile 2014 by Michele Nigro

Accelerazione e morte

lamiere unite alla giovane carne

velocità di fuga dall’esistenza,

l’agguato inatteso, invisibile

nella curva sorprendente della vita.

La spiegazione scientifica e lucida

smorzò il pianto della classe

durante l’ora di metafisica,

formule e gesso

ritto sulla cattedra come un dio dimostrabile

la voce ferma di chi ama il sapere

una risposta laica al dolore.

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Il “Telesio” olografico di Franco Battiato e la teoria dell’universo ologramma

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 aprile 2014 by Michele Nigro

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Se si ritornasse veramente a se stessi,

nel senso auspicato da Agostino,

nel senso del reditus in se ipsum,

sparendo il mondo esterno,

sparendo la natura, spariremmo noi stessi.

Dobbiamo riversarci interamente fuori di noi, per essere

(dal Primo Atto)

Si legge nel Manifesto del Connettivismo: <<Noi crediamo che il mistero dell’universo sia codificato in una chiave inafferrabile e indistruttibile: l’ologramma. Il principio olografico, il modello olonomico della mente e l’olomovimento: dalla struttura della realtà ai nostri schemi di senso la percezione conosce un solo paradigma, che racchiude le istanze della relatività e dell’indeterminazione.>> Il poliedrico musicista siciliano Franco Battiato grazie al suo Telesio, opera lirica in due atti e un epilogo dal libretto originale del filosofo Manlio Sgalambro, dimostra di aver rielaborato in forma teatrale un paradigma non più confinato in ambito teorico e scientifico ma fruibile a livello pratico, adattandolo a una ben precisa esigenza artistica. L’assenza fisica degli attori sulla scena, sostituiti da proiezioni olografiche preregistrate, realizza la relatività della percezione, sorprendendo i puristi dell’unicità del momento recitativo incarnato dalla presenza, ogni sera diversa e irripetibile, di persone reali.

Ma che cosa significa essere reali? Battiato non sceglie a caso l’olografia per rappresentare scenicamente la vita e il pensiero Bernardino_Telesiodel filosofo cosentino Bernardino Telesio, XVI secolo, che, criticando la fisica aristotelica basata su principi universali come materia, forma, sostanza, tentò di far capire ai suoi coevi la funzione principale svolta dalla percezione sensoriale nella spiegazione dei principi primi che sono alla base degli eventi naturali.

Telesio non conosceva l’olografia e non aveva a disposizione la meccanica quantistica. I sensi possono essere più importanti di una spiegazione metafisica: e quindi via dalle tavole attori e pesanti scenografie da trasportare di teatro in teatro. Battiato abdica alla materia e affida tutto all’illusione dei sensi. La scelta tecnica di questa particolare esperienza artistica si lega in maniera indissolubile ai contenuti del pensiero filosofico rappresentato. L’illusione della tridimensionalità offerta dall’olografia vince sulla falsa autorevolezza della materia. Grazie alla memorizzazione dell’informazione visiva, in seguito proiettata per mezzo di una luce laser, lo spiritus degli attori – per dirla alla Telesio! -, o meglio la loro passione recitativa, il movimento teatrale, il canto, unitamente agli allestimenti scenici, sopravvivono all’assenza fisica dei corpi e delle scenografie. Non si tratta di una semplice videoregistrazione di cui siamo consapevoli: l’ologramma sfida la coscienza disinformata sulla vera natura del visto. Come a voler dire: non è importante se sei a conoscenza della reale esistenza di quello che vedi, perché conta innanzitutto la percezione (o sarebbe meglio dire l’intuizione) dei contenuti.Battiato_Sgalambro

Solo il suono, e quindi la musica, è un fattore cosmico primordiale: pur essendo soggetto alle stesse regole della fisica quantistica, grazie alla sua preesistenza (lo sciamanesimo druidico, e non solo, ritiene che la musica sia un elemento inscindibile dalle origini dell’universo e collegabile al biblico “In principio era il Verbo” ovvero il suono iniziale che spiega la cosmogonia) ha un posto privilegiato nell’economia scenica. Uniche presenze dotate di consistenza fisica durante la prima, infatti, sono i musicisti dell’orchestra diretti dal Maestro Carlo Boccadoro: legame sopravvissuto tra sogno e realtà, l’immaterialità del suono prodotto dal vivo fa da trait d’union tra l’ologramma e la materia umana pagante presente in sala sotto forma di spettatori ben vestiti. Il concetto di truffa viene in tal modo sostituito dal bisogno di evoluzione: il fatto di aver acquistato un biglietto per vedere ologrammi invece di attori impegnati a sudare sotto i riflettori, a cantare e a ricordare battute, deve essere accolto come una sfida filosofica lanciata alle proprie abitudini sensoriali.

Viviamo in un universo strettamente interconnesso: nessun individuo è totalmente indipendente (anzi non lo è per niente), tutto è collegato a un ordine implicito invisibile. Superare la materialità dell’attore è solo il primo passo verso la scoperta di una nuova dimensione in cui siamo, olisticamente parlando, immersi. La fisica quantistica annulla l’importanza di un io organizzato ma illusorio; la soggettività (e quindi il malsano desiderio d’interazione tra attore e spettatore) è il residuo di una presunzione meccanicistica destinata, con il tempo e con l’umiltà derivante dall’esercizio di un altro tipo di osservazione, a estinguersi. La natura, c’insegna il pensiero di Telesio, va studiata attraverso i sensi e contemporaneamente per mezzo della negazione di questi: allo stesso modo l’esperienza sensoriale dell’ologramma minaccia il dominio della materia, perché quello che conta è la connessione delle parti tra di loro e con il tutto, e non la loro presunta autonomia.

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A proposito del Mind Uploading…

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 22 dicembre 2011 by Michele Nigro

Che cos’è il Mind Uploading? In poche parole è il trasferimento della mente di un individuo dal cervello a un supporto non biologico. Direte voi: “ma è fantascienza!” In parte è così – per ora – ma la ‘discussione’ intorno alla realizzazione del M. U., almeno dal punto di vista filosofico e teorico, è più vecchia di quanto si possa immaginare. Siamo giunti a un punto, però, in cui il progresso tecnologico e le conoscenze riguardanti la struttura anatomica e la fisiologia del cervello, avvicinano gradualmente il sogno fantascientifico alla realtà. Che significa ‘trasferire’ una mente? Per cogliere il significato del trasferimento mentale bisogna partire dal presupposto che il pensiero è un prodotto meccanicistico: un meraviglioso e stupefacente prodotto, ma pur sempre il risultato di un’evoluzione anatomica ed elettrochimica… Certo, è stato più facile ricostruire la fisiologia dello stomaco che quella del cervello, ma il fatto che ci sia ancora tanto da fare sul versante della conoscenza del funzionamento del sistema nervoso, non significa che non si farà.

Il tema del doppio

Realizzare il Mind Uploading significa sostanzialmente creare una copia (o più copie) della nostra mente. Maggiore sarà la precisione con cui avverrà la scansione (“scanning”) e la conseguente mappatura sinaptica del cervello, maggiore sarà il grado di emulazione raggiunto. Anche se la mappatura da sola, senza l’introduzione di variabili fisiologiche (ormoni, influenze chimiche interne…), servirà a ben poco: il cervello è un organo estremamente complesso. L’intima conoscenza della neurofisiologia unita al progresso esponenziale raggiunto in campo informatico renderanno possibile l’abbattimento delle ultime barriere tra l’originale e la copia.

Il tema del doppio è un tema non nuovo per la fantascienza: racconti, film, telefilm, fumetti c’insegnano che i doppi in un modo o nell’altro, prima o poi, creano solo problemi. All’inizio della storia il doppio rappresenta la novità, la comodità, il progresso – vuoi mettere il piacere di mandare la tua copia a un duello o a raccogliere campioni di lava su un vulcano che minaccia di esplodere? – ma a un certo punto la narrazione devia verso i cosiddetti ‘imprevisti’. È già così difficile gestire la nostra complicata unicità!

Per ora il M. U. è solo teoria (la ricerca ha compiuto finora piccoli passi su modelli non umani) ed è troppo presto per parlare di menti innestate su robot umanoidi che prendono coscienza della propria individualità e se ne vanno in giro a combinare guai a nome nostro e con i nostri ricordi! Quindi preoccupiamoci dei profili clonati sui social network o dei cosiddetti furti di identità, espedienti molto in voga attualmente per spillare soldi ai malcapitati, perché quando il tema del doppio derivante dal M. U. diverrà un tema caldo sarà molto difficile dimostrare anche da un punto di vista legale che a compiere il crimine è stata la nostra copia e non noi stessi. Sarà difficile perché in fin dei conti le copie saranno noi, come in una sorta di vita parallela: come dimostreremo che, nelle condizioni in cui si è venuto a trovare il nostro doppio, non avremmo fatto lo stesso? Il suo crimine sarà il nostro crimine a meno che il codice penale non distingua la copia dall’originale fornendo piena dignità e autonomia giuridica al nostro doppio. Ma rendere autonoma la nostra copia, e quindi affidarle responsabilità civili e penali, significherà non considerarla più come la nostra copia e questo, lo capite da soli, sarebbe una contraddizione in quanto il nostro doppio sarebbe effettivamente una copia identica del nostro io e non solo una sua reinterpretazione.

Una questione spinosa non risolvibile nemmeno recuperando l’esperienza dei gemelli omozigoti: due gemelli nati da uno stesso zigote pur essendo identici e pur condividendo – anche a distanza – pensieri e in qualche caso azioni, hanno fin dalla nascita due menti ben distinte, ognuna delle quali segue una propria strada fatta di esperienze, di ricordi, di azioni e reazioni separate. La copia ricavata dalla mente di un uploadato di trentacinque anni, invece, avrebbe l’esperienza dei primi trentacinque anni dell’originale e in più le esperienze vissute autonomamente in qualità di copia, ma che sarebbero comunque condizionate dal vissuto dell’originale: la nostra copia potrebbe incontrare una nostra vecchia fiamma del liceo e riuscire a realizzare un rapporto sentimentale che l’originale non era stato in grado di realizzare. Oppure potrebbe decidere di vendicarsi di qualcuno… In entrambi i casi, sposare un’amica del liceo o uccidere una persona odiata, su chi ricadrebbe la colpa? Sull’originale che conteneva le premesse di quei gesti o su chi le ha realizzate? Bloccare penalmente la copia che commette un atto criminoso non sarebbe un’ipocrisia dal momento che l’originale da cui ha tratto ispirazione la copia rimarrebbe a piede libero?

Copie interattive

Una volta copiata e trasferita, quale sarebbe il destino della mente? Poiché il cervello da cui si trasferisce la mente è dotato di capacità cognitive, si presume che anche la sua copia avrà le stesse capacità che non si limiteranno alla sola consapevolezza o alla condivisione nella rete informatica dei propri pensieri. Quale sarà il grado di interazione tra il computer che ospiterà i risultati della scansione e la realtà esterna? Dal momento che la mente di una persona non è solo il risultato di pensieri generati in maniera solitaria ma soprattutto di informazioni sensoriali ricavate dall’esperienza relazionale e dal mondo esterno che ‘nutre’ la mente, il computer sarà corredato di sensori capaci di simulare i recettori che nel corpo fisico rappresentano le terminazioni nervose appartenenti ai cinque sensi?

Una mente non è solo il risultato di ricordi: integrare in tempo reale le esperienze con i dati (sensoriali e culturali) provenienti dall’esterno sarà il passo successivo di questa evoluzione. Ricordate il dottor Simon Wright, denominato anche Il Cervello Vivente, dell’anime Capitan Futuro? L’encefalo del vecchio scienziato, amico di Curtis Newton (Capitan Futuro), viene trasferito in un contenitore artificiale fluttuante. Anche se non si tratta di un trasferimento avvenuto grazie alla tecnica dello scanning, come previsto dai protocolli finora elaborati per il M. U., ma di un vero e proprio ‘spostamento’ di organo dalla sede cranica a un supporto meccanico, quello del cervello fluttuante del dottor Wright è un esempio perfetto di interazione post mortem tra cervello (e quindi la mente) di un soggetto e la realtà esterna.

L’obiettivo postumano di una mente uploadata in grado di comunicare con l’esterno rappresenta il senso di uno sforzo transumanista che non è solo fantascienza: non servirebbe a niente fare il backup della propria mente senza fornirle l’opportunità di continuare a interagire con le persone, i luoghi, gli oggetti, le emozioni che hanno contribuito nel corso di una vita alla costruzione dell’io.

La perdita dell’aura

Nel saggio intitolato L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, il filosofo Walter Benjamin afferma che la riproduzione di un’opera d’arte in vista di una sua diffusione (basti pensare alle stampe di un quadro vendute negli store dei musei) causerebbe la cosiddetta “perdita dell’aura”. L’aura è costituita dalla sensazione derivante dall’incontro tra l’originale e l’osservatore: una via di comunicazione ‘mistica’ e unica che la cultura di massa ha definitivamente demolito. Effettuando un parallelismo forzato e considerando la mente umana come un’opera d’arte potremmo dire lo stesso anche per quanto riguarda le copie ottenute con il M. U.? I transumanisti, negando ogni forma di misticismo, non sembrano porsi il problema: l’unica perdita preoccupante per loro è la perdita di dati fondamentali durante la fase di trasferimento della mente. Al di là dell’aura, resta il problema filosofico (e anche pratico) dell’originalità dell’individuo: se il nostro doppio agisse mentre noi siamo in vita, quindi in caso di copia ricavata da un Mind Uploading di tipo non distruttivo, non si andrebbe a invalidare l’unicità dell’individuo? Per valutare l’esistenza di una persona bisognerebbe ‘fare la media aritmetica’ tra il vissuto dell’originale e quello delle sue copie?

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Gli “Amabili resti” di Elisa Claps

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 5 giugno 2010 by Michele Nigro

È sorprendente scoprire certe analogie esistenti tra narrativa e cronaca: somiglianze tenute ben separate dalla geografia, dalla differente cronologia, da diversità linguistiche, sociali e culturali, eppure così vicine nei contenuti e per questo motivo “universali”. La brutalità, la morte, il destino di ciò che usiamo chiamare “anima”: esistono punti di contatto tra le varie umanità abitanti questo pianeta che nel bene o nel male travalicano il tempo e lo spazio. Recentemente una di queste “lampadine analogiche” si è accesa nel mio povero cervello mentre guardavo comodamente seduto sul divano di casa un film diretto dal “tolkieniano” Peter Jackson e intitolato “Amabili resti” (The lovely bones) tratto dall’omonimo romanzo (in parte autobiografico) della scrittrice statunitense Alice Sebold. Non starò qui a snocciolarvi trame o a riesaminare in maniera incompetente casi di cronaca giudiziaria (italiana) ancora tremendamente aperti: ognuno di voi potrà, se vorrà, leggere autonomamente il romanzo della Sebold, vedere la trasposizione cinematografica di Jackson e rileggere alcuni articoli (o rivedere alcune utili trasmissioni come “Chi l’ha visto?” della Rai) riguardanti la scomparsa e la terribile morte di Elisa Claps (nella foto). Interessanti, tuttavia, sono i parallelismi che è possibile effettuare in modo quasi istintivo tra la storia di Susie Salmon (la protagonista del romanzo “Amabili resti”) e quella della ragazza di Potenza, Elisa Claps, il cui cadavere è stato ritrovato dopo diciassette anni in una chiesa del capoluogo lucano: la giovane età delle due vittime (quasi la stessa: 14 anni Susie, 16 anni Elisa); l’approccio sessuale come premessa dell’omicidio (l’uccisione avviene subito dopo il puntuale rifiuto da parte della vittima, come a voler sublimare in maniera sanguinosa il mancato atto sessuale/consensuale); la conoscenza diretta dell’omicida da parte delle vittime (il fattore “fiducia” rende la “preda” più vulnerabile); il macabro rituale del taglio di una ciocca di capelli dal corpo delle ragazze (Danilo Restivo, il presunto assassino di Elisa Claps, è addirittura già “famoso” a Potenza e in altre città italiane per il suo “feticismo ritualistico di natura ossessiva”; George Harvey, che nel romanzo stupra e uccide Susie, conserva una ciocca di capelli della ragazzina nel “diario” in cui pianifica i suoi misfatti fin nei minimi particolari); l’iniziale impunità degli assassini che cercano di continuare a vivere una vita noiosa per non destare sospetti (Danilo Restivo, però, sceglie a un certo punto di trasferirsi in Inghilterra per paura – dice lui – di essere linciato dai familiari e amici di Elisa Claps; George Harvey rimane fino all’ultimo al suo posto, anche dopo i sospetti del padre di Susie, interpretando la parte del vicino di casa “buono e gentile”); l’ossessione che spinge i carnefici a cercare nuove vittime con cui soddisfare un recalcitrante bisogno malato (un’ossessione che nel tempo indebolisce la preparazione maniacale del serial killer, facendogli commettere errori); entrambe le ragazzine sono sorprese dalla morte agli esordi di una vita acerba e normale (Susie ha appena scoperto l’amore anche se per poco mancherà l’appuntamento con il suo primo bacio; Elisa è addirittura in procinto di andare a messa!); il mancato ritrovamento del corpo dopo la scomparsa/uccisione: nel caso di Susie il corpo non verrà mai più ritrovato, ingoiato da una discarica; il ritrovamento del cadavere di Elisa nel sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità di Potenza ha scatenato una serie di ipotesi attualmente al vaglio degli inquirenti. Ipotesi che non possono non stuzzicare la fantasia di chi, scrittore o non, è incapace di soffermarsi sul “semplice” movente a sfondo sessuale.Che ruolo ha avuto il parroco dell’epoca? Cosa sa l’attuale vescovo di Potenza? Chi è il padre di Danilo Restivo e che ruolo avrebbe avuto nel caso Claps? Elisa è stata la vittima di un folle feticista incapace di avere un normale rapporto sentimentale con una ragazza oppure l’omertà che c’è intorno al ritrovamento del suo corpo nasconde il malsano operato di un ampio gruppo di persone conniventi? Danilo Restivo è il capro espiatorio di un delitto magico-ritualistico commissionato da insospettabili della “Potenza bene”? Lo scopriremo solo seguendo le indagini, le indiscrezioni giornalistiche e il futuro processo… Per ora Restivo è gentilmente “ospitato” in uno dei penitenziari di Sua Maestà per fare finalmente luce sull’efferato omicidio di Heather Barnett).

L’assassino di Susie è ordinato, meticoloso, pulito, educato, progetta e costruisce rifugi sotterranei e trappole per anatre giganti; il carnefice di Elisa sembra agire in preda a un raptus seguito da momenti di lucidità in vista dell’occultamento del corpo e che non escluderebbero l’aiuto da parte di “altri” (anche se le indagini per ora si stanno concentrando su un solo personaggio: Restivo). La famiglia di Susie sembra per un attimo essere vicina alla soluzione ma non riesce a far convergere gli elementi raccolti in direzione di George Harvey (lo farà solo verso la fine e lo farà in maniera errata e rocambolesca, causando la fuga dell’omicida e l’irreversibile occultamento del corpo di Susie); anche nel caso di Elisa le indagini sono lente, strabiche, grossolane, affette da lassismo cronico, e gli inquirenti sembrano essere incapaci di puntare il dito verso l’ovvio (come per Susie, solo i familiari di Elisa si avvicinano incredibilmente alle verità che contornano la scomparsa del proprio caro, senza sortire alcun effetto sullo spirito d’iniziativa degli inquirenti, troppo spesso imbrigliati in reti burocratiche, legislative e garantiste).

E dal punto di vista escatologico?

In “Amabili resti” l’anima di Susie rimane sospesa in un paradiso intermedio (nel film Peter Jackson, già esperto di “Terre di Mezzo”, non ha alcuna difficoltà a rappresentare l’anticamera del Paradiso, un meraviglioso, fantasioso e coloratissimo “Cielo di Mezzo” per le anime indecise e bisognose di un aiutino per “passare dall’altra parte”) e osserva, senza essere vista e quindi senza poter comunicare, la vita dei familiari e dell’assassino successivamente alla propria morte. Indipendentemente dal fatto se si crede o meno in una vita oltre la morte e se si crede nell’esistenza di una certa energia mentale residua (“spirito”?, “anima”?) capace di sopravvivere al disfacimento del corpo, mi piacerebbe poter pensare ad una sorta di “limbo” anche nel caso di Elisa Claps: un punto situato in un non-luogo da cui osservare le umane ricerche all’indomani della scomparsa, gli affanni dei propri cari, il vorticoso movimento spensierato di via Pretoria, a Potenza… A due passi dalla chiesa-tomba. A due passi dalla verità!

Prima di una definitiva salita in Cielo.

La muta alleanza

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 29 aprile 2010 by Michele Nigro

Prequel n.1

“La muta alleanza”

Agli albori della FutureProg.

Roma – Città del Vaticano.

Su uno dei lati dell’obelisco pagano ricollocato, grazie a un interessante trasformismo secolare, al centro della cristianità mondiale, era stata incisa la seguente frase: “Ecco la Croce del Signore. Fuggite, o parti avverse. Vince il Leone di Giuda. Cristo regna. Cristo impera. E Cristo, contro ogni male, il popolo suo difenda”. L’ultima parte della frase, scelta secoli addietro da Papa Sisto V, possedeva una sinistra e quasi impercettibile somiglianza con un altro stralcio altrettanto celebre ma appartenente al ben più frivolo mondo della letteratura e dell’umana fantasia: “Un Anello per domarli, un Anello per trovarli, un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli. Nella terra di Mordor, dove l’ombra cupa scende.”

Il pensiero dell’anziano cardinale non riandava certamente alla cosmogonia di Tolkien mentre osservava, per l’ennesima volta in maniera estasiata, l’imperturbabile obelisco di Piazza San Pietro dalla finestra del suo appartamento privato su Via della Conciliazione. Si trattava, tutt’al più, di un necessario ripasso interiore prima di affrontare quella fase cruciale e irreversibile della storia.

– Eminenza, mi scusi se la disturbo, il Signor Von Rauff è arrivato – annunciò con voce flebile la fedele perpetua affacciandosi sull’uscio dello studio tappezzato di libri e antichi ornamenti liturgici. Il cardinale, risvegliandosi dalla sua trance mistica, spostò quasi a forza gli occhi dal verticale testimone di pietra e lentamente li diresse verso quella esile figura terrena in devota attesa di istruzioni: – Lo faccia accomodare!

La sagoma mingherlina di Von Rauff, come il tronco di un giovane pioppo tormentato dal vento freddo e impetuoso del nord, oscillò freneticamente tra la porta dello studio e l’anello cardinalizio davanti al quale s’inginocchiò con la chiara e rispettosa intenzione di baciarlo: – Eminenza, grazie per avermi ricevuto! – proseguì con le frasi di rito.

– Siamo noi che dobbiamo ringraziare Lei e i suoi collaboratori per l’eccellente lavoro scientifico finora svolto, anche se si tratta di un lavoro prettamente teorico e, se me lo consente, ancora un tantino acerbo nella sua applicabilità – lo interruppe sorridendo il cardinale invitandolo a rialzarsi. – La stiamo osservando e seguendo con vivo interesse da molto, molto tempo… Lo sa? – aggiunse subito per incoraggiare il giovane ricercatore appena giunto da Berlino con un volo per Roma e ancora palesemente impacciato a causa del recente coinvolgimento del Vaticano nel progetto. Un progetto che durante quegli anni preliminari aveva ricevuto soltanto il silenzioso beneplacito di alcuni arteriosclerotici nostalgici nazionalsocialisti e nella migliore delle ipotesi qualche sostanzioso assegno staccato dal carnet di facoltosi industriali sfuggiti alla farsa giustizialista di Norimberga e capaci di riciclarsi nella ricostruzione di una Germania sconfitta, sì, ma ancora forte e orgogliosa. Molti, all’epoca dei processi di Norimberga, credettero ingenuamente di aver debellato il nazismo tramite quelle ridicole condanne capitali che ebbero solo la duplice funzione di far credere ai tedeschi di aver voltato pagina nel grande libro della storia e al mondo intero che gli americani, da quel momento in poi, avrebbero svolto, anche in Europa, un’attività di “polizia planetaria”.

– Ebbi modo di conoscere suo padre, Herbert Von Rauff, quando era di stanza qui a Roma, durante la Seconda Guerra Mondiale – il cardinale ricominciò dal passato, mentre passeggiava lentamente insieme al suo nuovo discepolo berlinese nel soleggiato corridoio che dallo studio portava alla cappella personale dell’alto prelato – e all’indomani della capitolazione dell’esercito tedesco lo aiutai a, diciamo così, trovare una nuova patria in cui poter vivere tranquillamente il resto della propria vita.

Il giovane Von Rauff ascoltava, mostrando un’aria apparentemente stupita, una storia che in realtà conosceva alla perfezione perché il tenente colonnello Von Rauff, suo padre, l’aveva raccontata e raccontata decine di volte ai suoi figli durante gli anni del dorato e tranquillo autoesilio uruguaiano, in America latina. – Fu grazie al mio personale interessamento e ad alcuni documenti falsi – continuava imperterrito il cardinale – se riuscì, una volta dismessi i panni di una divisa ormai divenuta scomoda, a riparare in un luogo sicuro. Riconobbi subito in suo padre una vivida fiamma di genialità non sanguinaria, una logica scientificamente applicabile: seppe distinguersi dai macellai del suo “gruppo”. Una genialità, tuttavia, non individuata in tempo e purtroppo non sfruttata quando serviva.

– Anche a causa dell’immaturità scientifica e tecnologica di quei tempi, aggiungerei, – il giovane Von Rauff ruppe finalmente il proprio silenzio con un entusiasmo che piacque al vegliardo – che non offrì alcuna possibilità di sviluppo alle idee lungimiranti di mio padre. Poi la guerra finì come finì… E quindi.

– Ma ho riconosciuto in Lei, leggendo i suoi studi sulla Trasmigrazione genica intergenerazionale, quella stessa fiamma. Solo che questa volta non rifaremo lo stesso errore sottovalutandola, con il rischio di farla definitivamente spegnere, mio giovane padawan.- il cardinale riprese con maggior fervore il suo paterno sopravvento – Come sta procedendo al riguardo?

– Come Sua Eminenza certamente saprà, sto cercando di creare a Berlino una società informatica assolutamente insospettabile e molto benvista dalla comunità scientifica e industriale del mio paese. Una società ancora in fase embrionale ma già potenzialmente impegnata in progetti avveniristici nel campo dei più sofisticati software biomedici – spiegò con un certo orgoglio teutonico il giovane Von Rauff mentre il cardinale gongolava interiormente e tradendo la sua gioia infantile sgranando nervosamente tra le mani un rosario fatto di pietre preziose: – Bene, bene… Molto bene! La sua neonata società riceverà in gran segreto dalle banche vaticane e dalle società scientifiche legate al nostro Stato, tutto l’appoggio logistico ed economico di cui necessita in questa delicata fase embrionale, non si preoccupi. – lo incalzò il cardinale.

– Ma il Santo Padre… Sa? – chiese ingenuamente il giovane, forse in un momento di filiale rilassamento.

– Non diciamo eresie! – il tono del cardinale divenne improvvisamente severo e il suo sguardo non aveva più alcuna traccia della precedente complicità – È ancora troppo presto per informare il Sommo Pontefice e non è neanche detto che debba essere proprio questo Papa a essere informato dei nostri piani. Anzi, a essere sinceri io non credo (Dio mi perdoni!) che l’attuale Vicario di Cristo possegga quella fermezza e quella lungimiranza necessarie per la promozione di un simile progetto. Questo è un Papa eccessivamente popolare e troppo impegnato a giocare con i giovani durante i raduni per occuparsi seriamente della questione ebraica. Dovremo attendere altri tempi. – pronunciò quell’ultima frase con uno sguardo lento e infinito, come di chi sa attendere secoli nascondendosi tra le pieghe silenziose e poco illuminate del tempo.

– Ora vada e mi tenga informato sugli sviluppi utilizzando i nostri canali sicuri, rodati dall’esperienza secolare e impenetrabili – congedò il giovane Von Rauff che rispose visibilmente commosso sussurrando: – Got mit uns!

– Sì, mio giovane e valoroso guardiano della purezza, può esserne certo: questa volta Dio sarà veramente con noi! – concluse il cardinale.

Il vecchio prelato, lentamente, guadagnò la porta della cappella mentre l’ora media incombeva sul ruolino di marcia delle preghiere quotidiane con cui sostenere spiritualmente il mondo. Come per miracolo riapparve la figura diafana della perpetua che avrebbe riaccompagnato il giovane berlinese verso il portone della casa del cardinale; non era ancora pronto per immergersi nuovamente nel piacevole caos della romanitas, ma la perpetua si rivelò cortesemente ferrea nel far rispettare gli orari delle visite.

Il giovane Von Rauff non si allontanò immediatamente dalla casa del porporato; ancora non aveva realizzato l’incontro e soprattutto non aveva metabolizzato a dovere il successo di quel proficuo colloquio. Rimase, infatti, per un paio di interminabili minuti dinanzi alla piccola targa marmorea che campeggiava in alto a destra sul citofono in ottone giallo della palazzina, mentre alle sue spalle una schiera corposa di spagnoli in visita guidata tra le vie di Roma armeggiava con ombrellini e cartine turistiche.

Non aveva più dubbi. La targa non mentiva e sotto il sigillo pontificio che l’adornava c’era scritto chiaramente: “S.E. Card. Joseph Ratzinger“.

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