Archivio per scrittore

Giuseppe Lippi, intervista per “Nugae” n.19

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 16 dicembre 2018 by Michele Nigro

Giuseppe Lippi

La triste notizia riguardante la dipartita del grande Giuseppe Lippi, mi induce a riproporre su questo blog un’intervista che rilasciò nel 2009 per la rivista letteraria “Nugae” n.19, l’ultimo del periodico da me diretto: un numero monotematico dedicato a “H. P. Lovecraft e la letteratura dell’orrore”.

Segue uno stralcio:

<<N. I detrattori di Lovecraft accusano lo scrittore americano di razzismo e di scarsa considerazione del mondo femminile. Accuse che trovano riscontro nei racconti del Solitario di Providence. E’ possibile giustificarlo in un certo qual modo, reinterpretarlo o preparare una difesa in suo favore?

L. Non credo ci sia bisogno di alcuna giustificazione, men che meno di difese. Quando avviciniamo gli scrittori di altre epoche storiche (comprese le più recenti) dobbiamo avere la cortesia di misurarli con il metro dei tempi in cui vissero, non il nostro. Nel caso di Lovecraft bisogna riconoscere che è stato anche scrittore razzista, o per meglio dire xenofobo: aveva paura degli stranieri. I suoi personaggi femminili sono evanescenti o negativi, è facilmente dimostrabile, ma una volta detto questo bisogna ricordare che i pregiudizi erano così diffusi nella società del suo tempo che l’atteggiamento di Lovecraft appare del tutto in linea con il sentire comune della cittadinanza bianca. Dopotutto, quello che a lui interessava era l’altro mondo, mentre di questo aveva una concezione essenzialmente letteraria. Certo, come molti autori imbevuti di teorie popolari ha trasmesso idee preconcette quando non infondate, tra cui la supremazia del sangue nordico sulle altre stirpi. Ragionando in questo modo mistico e un po’ fumoso, che gli serviva essenzialmente da difesa, può aver fatto qualche danno: a livello personale, per esempio, ritengo che sia stato Lovecraft a risvegliare il mio timore del diverso (facendomi sentire un alien a mia volta); ma la fascinazione che provo per le sue tematiche “proibite” non ne è scalfita perché la riflessione di Lovecraft sulla paura è più importante dei suoi sgradevoli effetti collaterali. Infine, per saldare il mio debito preciserò che a un lettore giovane la lettura dei suoi racconti migliori non offre solo un conforto in negativo, ma numerosi appigli positivi. Innanzi tutto nel permetterci di trovare in Lovecraft un amico, un confratello spirituale; in secondo luogo, nell’indicarci che nonostante i suoi orrori ― che forse sono semplicemente necessari ― il mondo può essere riconosciuto, esplorato e, in definitiva, apprezzato. Probabilmente non verremo mai a capo del suo mistero, eppure il tentativo va fatto ed è tanto più significativo sul piano umano quanto più l’impresa risulta difficile. Lovecraft è stato un uomo spaventato che ha svolto una ricerca nei meandri della paura: si è immerso nel terrore ed ha osato andare oltre, nel tentativo di superarlo.>>

Per leggere l’intera intervista:

intervista a GIUSEPPE LIPPI (da Nugae n.19)

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Jurij Živago, la morte e il vento…

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 1 novembre 2018 by Michele Nigro

versione pdf: Jurij Živago, la morte e il vento…

Omar Sharif e suo figlio Tarek Sharif

Può un’unica sequenza contenere il “dna” di un intero film (e addirittura del romanzo da cui trae origine)? Presuntuosamente rispondo di . Le inquadrature volute dal regista, la colonna sonora che rinforza la drammaticità speranzosa del momento, le scene che narrano senza l’ausilio di dialoghi il processo evolutivo di un’anima acerba: si ha la fortuna di assistere all’incipit di una nuova poetica…

La scena a cui mi riferisco è quella in cui il piccolo Jurij Andrèevič Živago partecipa ai funerali della madre, nel film di David Lean Il dottor Živago (1965).IL-DOTTOR-ZIVAGO

Alte montagne innevate fanno da sfondo al movimento microscopico di un piccolo corteo funebre: come a voler mettere subito in chiaro che la grande Madre Russia è testimone silenziosa e paziente della vita “insignificante” dei suoi figli, dei loro moti esistenziali e politici; la spiritualità naturalistica di Pasternak – anche nel film – prende immediatamente il sopravvento: non importa quali siano le intenzioni sociali, culturali, politiche, religiose dell’essere umano, ci sarà sempre una grande anima taciturna testimone della storia dell’umanità, un’anima superiore alle ideologie, ai sistemi economici, alle rivoluzioni, alle debolezze della carne, ai capricci sentimentali… Solo una sensibilità poetica può percepirla intorno alle cose, ai fatti della vita; solo un poeta può prendere parte alla storia senza lasciarsi intrappolare in essa in maniera definitiva.

Il mondo degli adulti visto dal basso, ad altezza di bambino; l’inesorabilità della morte, una fossa scavata nel terreno, un coro straziante che accompagna la salma e la bellezza intatta di una madre morta: questo è il biglietto da visita che la nuova vita presenta al piccolo Jurij.

Ma quella vita crudele mai prevarrà: mentre la bara ancora scoperta della madre viene adagiata in terra e il prete ortodosso comincia la sua austera predica funebre, già lo sguardo di Jurij segue ben altri sentieri eterei e impercettibili ai presenti. Vita artificiosa, castello di vanità, – ricorda il prete la caducità del passaggio terreno – involucri distrutti e spiriti che abbandonano la materialità, crete che si sfaldano, corpi morti muti e insensibili: tutto quello che con severità il dogma religioso ripete da secoli, Jurij lo avverte nell’aria, lo sa pur essendo solo un bambino. Lo spirito che ha lasciato l’involucro sfaldato è già nel vento che agita le cime degli alberi del cimitero; chi ha bisogno di spiegazioni religiose quando ha in sé tutti gli strumenti poetici per capire ciò che non può essere spiegato? Chi ha bisogno di religioni quando ha la poesia?

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Rispondendo a qualche domanda di Roberta Canu…

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 5 marzo 2018 by Michele Nigro

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Roberta Canu, scrittrice, poetessa e curatrice della pagina Scrittori, mi ha rivolto qualche domanda per una breve intervista sulla scrittura in generale… Ne ho approfittato per parlare anche dell’imminente uscita (in ebook e cartaceo) del mio racconto lungo “Call Center – reloaded”. Per leggere l’intervista completa, qui.

Segue uno stralcio:

… Come nascono le tue opere? Ovvero da dove prendi ispirazione.

Anche quando scrivo “fantasie”, quelle appartenenti alla cosiddetta letteratura non mimetica, la fonte principale d’ispirazione resta sempre “la vita” reale: quella personale, quella degli altri, quella passata e addirittura quella futura. In un racconto è più facile allestire una “struttura” capace di mantenere in piedi i vari elementi esistenziali che poi “spacciamo” per cose capitate ai personaggi. Nel mio ultimo racconto lungo, per esempio, in uscita su StreetLib Stores (sia in ebook che in cartaceo), pubblicato per le “edizioni nugae 2.0” e intitolato “Call Center – reloaded”, attingo a piene mani da passate esperienze lavorative personali anche se alla fine la storia prende una “piega fantasy” con timide sfumature noir. Nel Novecento era definito “realismo magico”…

Con la poesia non si può “barare”: anche se nel verso non scendi nei particolari, non descrivi, non fai nomi e non ti riferisci a fatti riconoscibili, sei genuinamente te stesso, sei più vero e concreto anche se tutto sembra più effimero e impalpabile; sei l’essenza del tuo stare al mondo. In realtà non siamo noi a prendere ispirazione; non decidiamo niente: è l’ispirazione che “sceglie” qual è il momento migliore per realizzarsi in noi. Quando non abbiamo ispirazione non è perché essa non c’è; è solo che in quel momento non teniamo aperti i canali giusti affinché si manifesti. Forzarla produce solo cose mediocri: è inutile stare ore davanti a un foglio o una tela; meglio uscire, fare altro, lasciarsi trovare dalla parola… (continua)

“Intervista a Michele Nigro”, a cura di Roberto Guerra (versione integrale per Ferrara Italia)

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 4 febbraio 2018 by Michele Nigro

ferrara italia

Come preannunciavo qui, ecco la versione integrale dell’intervista di Roberto Guerra al sottoscritto, pubblicata sul sito Ferrara Italia.

Segue uno stralcio:

“R.G. Parole futuribili e sperimentali in senso letterario, la letteratura 2.0?

M.N. Già esiste una “letteratura 2.0”: al di là della webpoetry a cui accennavo nella precedente risposta, oggi molte riviste storicamente cartacee, la stessa critica letteraria, il book-marketing, l’editoria, si sono “trasferiti” sul web o almeno hanno una vita “anfibia”. Ma non credo che la tua domanda si riferisse a questo aspetto. Ci chiediamo sempre se l’utilizzo di internet abbia influenzato o meno (e quanto) il nostro linguaggio, e la risposta è sempre “sì, lo ha influenzato!”; ma non ci domandiamo mai quanto invece il fare letteratura in rete abbia influenzato il web stesso. Da questo gioco di “influencing bidirezionale” è chiaro che possono prendere vita parole nuove, linguaggi quotidiani, più che sperimentali, che si prestano alla creazione letteraria. Il vero “esperimento” non è stravolgere la lingua per sembrare ribelli, ma è usare il linguaggio letterario lì dove gli “esperti” ci consigliano di fabbricare dei post leggeri, lineari e semplici da capire. Il vero sperimentalismo risiede nell’interazione tra la lentezza tipica del pensiero letterario e la velocità dell’informazione in internet. Quali e quante parole futuribili nascono da questa interazione? Molte, e spesso non ne siamo consapevoli.

Il non-sense e la parodia della neoavanguardia a che servirebbero oggi? Molto più sensato (e forse rivoluzionario) è usare linguaggi familiari, anche tecnici, con finalità letterarie; nelle mie poesie non ho avuto paura di introdurre parole come “3D”, “space clearing”, “autodigestione”, “look” ecc., a discapito di un lirismo più tradizionale.

“Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui è fatto il linguaggio dell’epoca a cui apparteniamo” parafrasando Shakespeare. Anche se siamo molto critici nei confronti della consistenza morale, spirituale e intellettuale dell’epoca in cui viviamo, in realtà siamo fortunati e non lo sappiamo: grazie ai mezzi informativi a nostra disposizione, un tempo impensabili, abbiamo l’opportunità di far convivere la tradizione con un certo slancio sperimentale, e verificarne i risultati in tempo reale. Non bisogna temere la diluizione e la contaminazione: noi non saremo mai come l’algoritmo di Zuckerberg, abbiamo un’anima capace di controllare ogni tipo di contaminazione. Se una parola non serve all’economia della nostra ricerca poetica, e soprattutto non rispecchia il nostro stato evolutivo neurolinguistico del momento, state pur certi che non entrerà in nessuna delle nostre poesie.”

Per leggere l’intervista: qui

“Io sono Egea” di Chiara Pilat

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 16 dicembre 2017 by Michele Nigro

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Egea convive da quasi tutta la vita con un cuore malato e con ciò che la sua condizione di salute comporta: visite mediche, medicinali, il timore di non sopravvivere a lungo. È in attesa di un trapianto quando qualcosa si schianta nel bosco che circonda la sua casa. All’inizio penserà a un asteroide ma si troverà davanti a qualcosa di stupefacente: una navicella aliena. Sarà però il suo unico occupante a dare una svolta inaspettata alla vita della ragazza: senza sapere come, Egea si troverà costretta a subire uno scambio di corpo con una aliena dal dono straordinario e devastante, l’imperatrice Thilyshke, ricercata su più pianeti. Sarà proprio un rude cacciatore di taglie all’inseguimento della fuggitiva a catturare subito dopo la malcapitata Egea dando così inizio a un’avventura che porterà la giovane terrestre su un altro pianeta dove lotterà per non perdere se stessa e riavere indietro ciò che le è stato rubato.

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Intervista per LucaniArt Magazine

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 30 novembre 2017 by Michele Nigro

lucaniart

Ho risposto alle domande di Mariano Lizzadro (poeta, saggista, psicologo e psicoterapeuta di professione, e vecchia conoscenza della rivista “Nugae”) per un’intervista su LucaniArt Magazine (Riflessioni. Incontri. Contaminazioni.) blog/progetto culturale ideato e curato da Maria Pina Ciancio.

Segue uno stralcio:

“… Una seconda cosa che mi incuriosisce è la mutazione nello stile, nel modo di scrivere e nelle tematiche affrontate. Ossia il tuo linguaggio si è fatto più scarno, senza tanti orpelli. Si è affilato come una lancia pronta a colpire. Chi vorresti colpire e come mai?

Sì, hai ragione e ti assicuro che vorrei scarnificarlo ancora di più, ma per ora va bene così. Come accennavo nella precedente risposta, e come tu m’insegni, il poeta non è un essere fortunato raggiunto sulla terra da un raggio di luce miracolistico in conseguenza del quale comincia a verseggiare, ma è il protagonista (nella maggior parte dei casi inconsapevole) della propria evoluzione neurolinguistica, frutto del tempo, delle esperienze, delle continue sollecitazioni genetiche e fenomeniche, delle letture, dell’addensarsi della conoscenza o, meglio, della non conoscenza… Protagonista umano, biologico, mortale, anche se nel fare poesia rivela il suo lato laicamente “divino”. Non so se ho trovato uno stile mio, o se un domani sarà lo stile a trovare me: di sicuro so che non cerco nulla, non desidero niente, non aderisco a un manifesto, non costringo la materia a una scuola o a una forma, non c’è uno sforzo logico (almeno nella fase preliminare, “sporca”, del poetare) ma aspetto, ascolto, soprattutto mi ascolto, annoto nel silenzio tutto quello che l’anima mi suggerisce di conservare perché sa che ne vale la pena. Quando il verso funziona e soddisfa il tuo ritmo interiore, lo senti; anche se in seguito non piacerà al lettore. Sono contento che si noti questa “affilatura” ma ti assicuro che, volendo fare un paragone tra le poesie della raccolta e quelle pubblicate successivamente sul mio blog “Nigricante”, trovo queste ultime molto più scarne e affilate, più aderenti al mio status neurolinguistico attuale: segno che l’evoluzione, verso un’affilatura che si assesti intorno a uno stile tutto mio, è in atto. Ma la strada è lunga…

Le tematiche sono quelle tipiche dell’esistenza: l’amore, la morte, la solitudine, la condizione sociale, la sensualità, il passato che spinge per farsi ricordare, la spiritualità, la natura, la musica… Come dice Brunori Sas in un suo brano: “… Canzoni che parlano d’amore / perché alla fine, dai, di che altro vuoi parlare?…” E si parla d’amore anche quando non lo si nomina e sembra che il tema della poesia sia un altro. Amore in senso lato, sotto varie forme. Chi voglio colpire? Nessuno, te l’assicuro: spesso dietro un j’accuse o una sentenza disperata si nasconde l’esigenza di ricordare a se stessi le cose che contano e di confermare quella piccola sapienza privata creata da eventi non storici. Non pretendo di trascinare anime, di convincere, perché sono troppo occupato a salvare me stesso; però se un lettore si mette a riflettere dopo aver letto un mio verso, e me lo confessa, non posso non essere soddisfatto…”

Per leggere l’intera intervista: qui

L’eredità

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 15 novembre 2017 by Michele Nigro

Ora che so di questa

eredità di parole sparse

più dolce m’appare

all’orizzonte la morte

che non attendo.

 

Non temo l’oblio della carne,

compagno di strada

mi è il verso forte e ignoto

ai salotti laureati

nato da quel vivere

che per altri vita non è.

Un’intervista per RecensioneLibro.it

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 13 novembre 2017 by Michele Nigro

intervista recensione libro

Le interviste rappresentano sempre un’occasione per esporre in maniera ordinata tutto quello che disordinatamente circola in noi da tempo. Fissare idee e piccole verità, rispondere per conoscersi e farsi conoscere…

Lo è stato anche in questo caso, rispondendo alle domande del sito RecensioneLibro.it, che già alcune settimane fa ha recensito la mia raccolta “Nessuno nasce pulito”.

Per leggere l’intervista: qui

Segue uno stralcio prelevato dalla stessa:

… Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?

Purtroppo, leggendo alcune recensioni, ho notato che stanno passando soprattutto le idee di un disagio critico nei confronti della società e di una malinconica revisione del passato personale da parte di un autore per certi versi “sconfitto”, e che non può fare altro che registrare le varie forme sotto cui si manifesta tale sconfitta. Evidentemente, a una lettura superficiale, questo è il mood prevalente che ne esce fuori, creato dalle parole che ho scelto di usare, e me ne assumo tutta la responsabilità. In realtà “Nessuno nasce pulito” vuole essere una dichiarazione di guerra, un voler fissare dei confini assertivi, oltre i quali poter urlare al mondo: “Da qui non mi muovo! Queste sono le mie conquiste umane, le mie esperienze e queste parole sono la mia terra!”. Non pretendo di lasciare segni: se un solo verso di una mia poesia induce alla riflessione e trasporta il lettore, anche per pochi istanti, in una dimensione altra, ho già raggiunto il mio obiettivo. Come ho scritto in Aspirazione, una poesia che non fa parte della raccolta, vorrei che i miei versi fossero: “… parentesi tra gli orrori del mondo / oasi di riflessione per cuore di donna / silenzio pulsante di senso…”…

Intervistando Michele Nigro, a cura di Davide Morelli

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 2 novembre 2017 by Michele Nigro

intervista a Michele Nigro by Davide Morelli

Ho risposto con molto piacere alle domande di Davide Morelli, che mi ha voluto intervistare per il suo blog Also Sprach.

Per leggere l’intervista su Also Sprach: qui

Per leggere l’intervista su La Recherche.it: qui

Per leggere l’intervista su Medium: qui

PDF dell’intervista: Intervistando Michele Nigro, a cura di Davide Morelli

Segue uno stralcio dell’intervista:

“… Cosa ne pensi della neoavanguardia? Secondo te ha esaurito la sua funzione o a tuo avviso ha ancora modo di esistere?

Credo che ci sia ancora tantissimo bisogno di una ricerca neoavanguardista, senza per questo ricadere nella parodia e nel non-senso: certi sperimentalismi esagerati furono necessari in quelle epoche in cui si avvertiva l’esigenza di rompere determinati schemi linguistici; schemi evidentemente riconducibili anche a livello sociale, culturale, politico, religioso. Oggi che si fa un gran parlare di “analfabetismo funzionale” forse sarebbe neo-neoavanguardista la riscoperta della normalità; gli schemi linguistici non solo sono stati dissacrati, di più, sono stati annullati, rasi al suolo da un’ipertrofia di dati – a cui tutti contribuiamo – che ha disarmato il significante (e di conseguenza ha impoverito il significato delle parole). Bisognerebbe ricominciare dai fonemi, dalla scrittura a penna, dalla lettura, dal gusto delle parole. Dal silenzio. La non scrittura potrebbe essere il titolo provocatorio del punto primo di un ipotetico manifesto neo-neoavanguardista del XXI secolo.

Sempre più artisti scrivono prosa poetica. Cosa ne pensi?

Credo che molti elementi tipici della poesia possano riscontrarsi anche in un testo in prosa. La faccenda dell’ “andare a capo” per considerarsi poeti, credo sia stata inventata proprio per prendere un po’ in giro chi crede che basti spezzare una frase per fare versi. Sarebbe molto più onesto scrivere direttamente prosa poetica. Quanta musicalità si riscontra in certa narrativa; non sempre la prosa assicura una distinzione netta tra significante e significato, e quando accade il risultato è piacevole come quello prodotto da… una poesia. Possiamo noi discriminare tali scritture solo perché non assicurano il rispetto di una tradizione metrica? Così come la struttura metrica dei versi non va controllata con il metronomo. È vero, qualcuno ha scambiato il “verso libero” con il “verso libertino”, ma chi può determinare quale sia (e dove sia) il confine tra la forma testuale e la sua poeticità? Tempo fa, leggendo una recensione alla mia raccolta di poesie Nessuno nasce pulito, il recensore scriveva: “Peccato che abbia abbandonato (riferendosi al sottoscritto, n.d.a) del tutto le forme della tradizione poetica, con la sua sapienza lessicale e con l’intelligente utilizzo delle figure retoriche, avrebbe anche lì capacità espressive di livello.” Una mia possibile risposta potrebbe essere: “Le forme scelte, al netto della loro poeticità, rappresentano sempre l’esigenza neurolinguistica dell’individuo storico, che vive in una determinata epoca, che si esprime in un certo modo e in un dato mondo; esigenza che non guarda in faccia ad alcuna tradizione. In parole povere: al ‘busto stretto’ del sonetto, seppur grazioso all’orecchio, prediligerò sempre il verso ‘sfigurato’ da un enjambement.”

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Bones

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 30 giugno 2017 by Michele Nigro

Immortalarsi, conservare parole in vetri opachi

segnare su carta le impressioni, non tutte

solo quelle valide per l’eternità

e poi seppellirle in baratri elettrici

come di un cane alfabetico

sapiente e affamato

di futuro cibo per l’anima

le ossa nel terreno.

“The Doors in direzione del prossimo whiskey bar” di Giuseppe Calogiuri

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 gennaio 2017 by Michele Nigro

Comunicato stampa

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Il 4 gennaio diventerà ufficialmente il “Day Of The Doors” a Los Angeles e iQdB Edizioni di Stefano Donno è pronta a festeggiarlo con “The Doors in direzione del prossimo whiskey bar” di Giuseppe Calogiuri

Sono trascorsi 50 anni dall’esordio dei The Doors: era il 4 gennaio 1967 e l’omonino debut album usciva per Elektra Records. Per festeggiare il 50esimo anniversario, il “Day Of The Doors”, anche iQdB Edizioni di Stefano Donno è pronta con “The Doors in direzione del prossimo whiskey bar” di Giuseppe Calogiuri.

“Ci vuole coraggio. Sì, ci vuole molto coraggio nel chiedermi di scrivere una prefazione a un libro su di una band degli anni ’60. Perché, anche a voi che leggete, qual è il primo pensiero che vi viene in mente? Sicuramente uno di quegli insopportabili gruppi frikkettoni, hippie, pacifisti, lenti e insulsi sul modello di Mamas&Papas o Jefferson Airplane (ne sono certo). Per fortuna, anche in quegli anni terribili dal punto di vista musicale qualche luce affiorava nel buio. E, forse, una luce più di tutte, quella di The Doors! Ed è di questa luce che questo libro vi parla. Meglio, ve la racconta. E Giuseppe Calogiuri, conoscendo questa mia debolezza, ha saputo trovare lo strumento e il coraggio giusto. Ma, forse, è necessario andare per ordine… Il 4 gennaio 1967 The Doors pubblicano il loro primo album omonimo. Non siamo in un anno qualsiasi, quel 1967 segnerà la storia degli Stati Uniti, prima, e dell’intero mondo occidentale, poi. Già da qualche anno le forze armate di Washington combattono lontano da casa una guerra non ufficiale. Dall’inizio del suo mandato presidenziale, il “progressista” John F. Kennedy ha cominciato a prendere i ragazzi del suo paese per scaraventarli dall’altra parte del mondo. The Golden One (citando The Human League), figlio di una famiglia arricchitasi spropositatamente grazie al commercio illegale di alcol, ha precipitato gli Stati Uniti nel fango del Vietnam. Il suo successore, Lyndon B. Johnson, ha continuato il lavoro. Anzi, lo ha portato alle estreme conseguenze. Il 7 agosto 1964, il Congresso americano – approvando la H.J. Res. 1145 (conosciuta come la “Risoluzione del Tonchino”) – ha consegnato al Presidente un assegno in bianco per portare le truppe ovunque ritenesse necessario. È l’inizio della presidenza imperiale. E’ anche l’inizio, in pratica, della coscrizione obbligatoria per i giovani americani. Quella carne fresca serve. È indispensabile per combattere nelle paludi e nelle giungle del sud-est asiatico. Nel 1968, saranno ben 500.000 i soldati impiegati in Vietnam (con infiltrazioni anche in Cambogia e Laos per inseguire i charlie). In questo clima, le Università sono le istituzioni che, più di altre, risentono della guerra. I ragazzi che “vincono” alla perfida lotteria della coscrizione hanno solo tre scelte: 1) accettare l’arruolamento; 2) scappare, magari in Canada (come Jack Nicholson); oppure 3) scegliere la strada dell’obiezione di coscienza. La terza è una scelta difficile, ti mette fuori dalla società e, per questo, ci vuole un coraggio enorme. Un campione sportivo all’apice della carriera rifiuterà più volte l’arruolamento e il 20 giugno del 1967 sarà giudicato colpevole di tradimento. Quell’uomo era Muhammad Ali! Una nuova strada doveva essere trovata. E qui la musica sarà fondamentale come mezzo di aggregazione per tutti coloro i quali volevano fare qualcosa. Il 1967 regalerà alla costa occidentale degli Stati Uniti la Summer of Love e al Vecchio Continente la spinta alla rivolta studentesca, che in Europa inizierà nel maggio dell’anno dopo. La scintilla partita dall’Università di Berkeley, in California, diventerà fiamma viva in altri atenei, per trasformarsi in incendio a Parigi. Il Monterey Pop Festival del giugno 1967 sarà il pretesto che permetterà agli studenti di unirsi, confrontarsi e cogliere tutti i segnali che artisti come Jimi Hendrix o The Who sputavano dal palco. Segnali che, in un modo o in un altro, volevano dire rabbia. Beh, The Doors sono figli e, insieme, strumento di quella rabbia e di quella società americana che è confusa e terrorizzata dai suoi stessi leader. Una società che ha visto cadere i propri miti politici con l’assassinio di Kennedy, o quelli sportivi, con l’arresto di Ali, e che vede, continuamente, partire i propri ragazzi verso luoghi lontani e impronunziabili per tornare, poi, in casse avvolte dalla bandiera a stelle e strisce. Una generazione di giovani e adolescenti che si rifugia sempre più nelle droghe. Magari nuove droghe come l’LSD, che aprono nuove porte. E queste porte sono quelle già narrate da William Blake e che Jim Morrison, Ray Manzarek, Robby Krieger e John Densmore faranno proprie e attraverseranno con l’arroganza, l’incoscienza e la rabbia dell’età. Arroganza, incoscienza e rabbia che non si possono non condividere e abbracciare. Abbracciare anche da parte di chi, come me, è cresciuto con e nel punk, prima, e nella new wave, dopo.

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