Archivio per tristezza
Teomondo Scrofalo
Posted in nigrologia with tags agricoltura, bene, conforto, contadino, dimenticanza, dio, divino, dolore, energia, esistenza, fede, interiorità, lotta, medicina, morte, natura umana, pace, piacere, poesia, preghiera, psicologia, religione, resilienza, resistenza, risorgere, sensazione, spirito, storia, tramonto, tristezza, vino, vita, web poetry on 21 dicembre 2018 by Michele NigroLettera, non ancora spedita, al marito della donna che amo…
Posted in nigrologia with tags adulterio, amore, attesa, attimo, attrazione, bene, cambiamento, casa, comportamento, comunicazione, conoscenza, consapevolezza, contenuti, controllo, corpo, crisi, cultura, dolore, donna, dubbio, emozione, epilogo, eros, erotico, esistenza, essenza, evoluzione, famiglia, fatto, femminicidio, figlio, futuro, interiorità, ipocrisia, lettera, liberazione, libero arbitrio, libertà, libri, lotta, malinconia, matrimonio, mente, messaggio, morte, narrativa, nostalgia, padroni, parole, passione, piacere, poesia, psicologia, qualità della vita, racconto, realtà, ricerca, ricordi, scelta, schema, scrittura, sentimento, sentire, sesso, sessualità, società, storia, suicidio, tempo, tradimento, tristezza, vendetta, verità, vita on 11 luglio 2017 by Michele Nigroversione pdf: Lettera, non ancora spedita, al marito della donna che amo…
“Le mie afflizioni non possono ricevere lenimento,
e il ricordo dei miei piaceri mi colma di disperazione.
Io mi illudo di avervi ridotto a non avere senza me
che piaceri imperfetti.”
Ivano Fossati – L’amante
…
Palermo, 11 marzo 2015
Lucio,
lei mi ha detto che ti chiami così, che questo è il tuo nome, anche se nella nostra corrispondenza, riferendosi a te, usa sempre la “L” puntata, forse per una sorta di pudore reverenziale nell’incompletezza o perverso affetto fraterno tendente al protettivo che ancora conserva nei tuoi confronti: lo stesso che non le permette di liberarsi definitivamente di te e della scenografia in cui pensi di vivere al sicuro dalla vita.
Da tre anni amo tua moglie e, cosa apparentemente scontata da sottolineare ma ti assicuro che così non è, lei – la “lei” a cui facevo riferimento sopra – ama me. Mi ama in maniera, volendo usare un termine in voga nel mio mondo, inedita.
Perdona questo incipit a bruciapelo che sicuramente ti starà gettando nel più acuto sgomento, che presto diventerà risentimento e forse anche insanabile rabbia omicida, ma un caporedattore, anni fa, mi insegnò che quando si imposta un articolo di cronaca bisogna cominciare dai fatti crudi intorno ai quali costruire, in seguito e con tutta calma, le descrizioni del caso e le conclusioni dell’articolo stesso. Il dato è questo: da tre anni amo, nel corpo e nella mente, la donna con cui la sera giaci tranquillo e ignorante, la stessa con cui la mattina prendi il caffè e parli del più e del meno riguardanti la giornata che vi attende. E delle cose da fare insieme, per crescere i frutti nati da quello che un tempo avete pensato fosse amore. O forse l’hai pensato solo tu, o l’avete pensato entrambi per un certo periodo e poi ti sei lasciato cullare da ciò che credevi immutabile dinanzi ai tuoi occhi aperti a metà, gli stessi che hanno smesso di fare domande nonostante l’evidenza. Che non hanno più fatto la domanda fondamentale per paura di una risposta che in cuor tuo conosci già.
Non so cosa sia successo tra di voi in questi anni, cosa si sia frantumato o, peggio ancora, cosa non ci sia mai stato; forse tu pian piano sei diventato un’istituzione, colui che c’è sempre e comunque, il figlio acquisito dei genitori di lei, un compagno discreto al di là dei difetti caratteriali, dell’indiscussa bellezza, del crescente disinteresse e del disamore celato; forse semplicemente hai dimenticato di leggerle delle poesie, nonostante lei te lo avesse chiesto con amore. I crolli spesso sono preannunciati da piccole crepe nei muri che rendono possibile una pacifica convivenza fino al momento del disastro silenzioso e privato. Quando certi cammini di coppia cominciano troppo presto, spinti da entusiasmi acerbi e da pressioni familiari e culturali esterne difficili da dominare, accade che nel corso del tempo l’evoluzione interiore di uno dei due lasci indietro l’altro, è naturale, anche se l’affetto e gli obblighi nei confronti di chi abbiamo intorno e che amiamo ci costringono a fornire una facciata apparentemente stabile e costante nel tempo. Non tutte, non tutti, hanno la forza o l’incoscienza di abbandonare il contesto familiare in cui vivono per ricrearne uno nuovo altrove e con altre persone. Quando uno dei due, all’interno della coppia, cresce interiormente e capisce chi è e cosa vuole dall’amore, allora per l’altro cominciano i guai; anche se tu, “caro” Lucio, questi guai non li conoscerai mai: vivi sereno nel tuo schema esistenziale tamponato con morbido cotone per non farti male, perché lei non vuole farti male, e solo di tanto in tanto ti sfiora un timido dubbio, una inconscia sfumatura fornita dal caso – un incidente! -, che non giunge mai alla piena verità, che ti stroncherebbe, a quella consapevolezza esplosiva che io e lei, tua moglie, immaginiamo come se fosse un esercizio della mente e su cui spesso facciamo pronostici – un Totocalcio mai giocato fino in fondo – a volte scherzando cinicamente, altre volte tremando per gli scenari catastrofici che ne conseguirebbero. Catastrofici per lei, per le persone che amate e, potrai non crederci, anche per te. Nonostante il nostro amore sia vivo e palpitante, unico e travolgente, lei continua a difendere la tua serenità, perché da essa dipende tutto l’equilibrio – in stile famiglia del Mulino Bianco – di un edificio che agli occhi degli altri deve apparire solido e incrollabile. Prigionieri in casa propria.
Io invece sono libero, o così credo, o almeno provo ad esserlo; libero di non spedirti questa lettera: se la spedissi entrerei anch’io a far parte della scenografia da cui vorrei liberare tua moglie, che sicuramente subito dopo mi odierebbe e la perderei, diventerei una pedina incattivita – complice di un femminicidio morale – sullo scacchiere di un “gioco” che non mi appartiene, un gioco che avete cominciato voi due, da soli o quasi, molti anni prima della mia entrata in scena. E certe partite possono concluderle solo gli iniziatori. Lo scopo della presente, infatti, non è quello di allestire una vendetta distruttiva nei tuoi confronti, nei confronti della tua esistenza tranquilla e ordinata: la vita amorosa segreta e parallela, vissuta a pochi metri dalla tua cecità, quella parentesi di vita vera che non conosci e che mai conoscerai, si è già vendicata abbastanza. E anche se tu non lo sai, lo so io… Lo sappiamo io e lei, e mi basta. Ci basta: abbiamo deciso così.
“Amore e Morte” di Calcedonio Reina
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versione pdf: “Amore e Morte” di Calcedonio Reina
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Non ho ancora avuto l’opportunità di vedere dal vivo questo dipinto straordinario del pittore catanese Calcedonio Reina intitolato “Amore e morte” (1881) custodito presso il museo civico di Catania, e che ho conosciuto casualmente tempo fa, tramite il web, mentre cercavo un’immagine adatta alla mia poesia “Segnalibri”. Ad influenzare positivamente il mio giudizio nei confronti di questa opera non è solo il fatto di essere stato realmente nel luogo in cui è ambientata la scena di “Amore e morte”, ovvero le suggestive Catacombe del Convento dei Cappuccini a Palermo, ma è soprattutto l’originalità del suo realismo e il forte potere simbolico nascosto dietro l’apparente normalità della scena: un uomo e una donna si baciano tra le bare e le mummie esposte nelle catacombe. Sembrerebbe che l’artista abbia voluto semplicemente immortalare la breve storia di un bacio rubato, di un atto goliardico tipicamente giovanile consumato in maniera “eversiva” in un luogo sacro, lì dove sarebbe vietato occuparsi di gioie terrene, carnali e sarebbe, invece, più opportuno riflettere sull’insegnamento escatologico offerto dall’ambiente. Ma c’è di più, molto di più…
Al centro dell’opera ci sono loro, un uomo e una donna che mentre si abbracciano dolcemente, si scambiano un bacio appassionato: lei, con molta probabilità di famiglia benestante come denunciano i suoi merletti, bionda, giovane e bella, vestita di bianco (bianco crema) – la luce che emana dal suo abito è un inno alla vita! – a contrastare il grigiore della morte (anche se non vi è traccia di monotonia cromatica nella descrizione pittorica del sepolcro da parte di Reina; al contrario, le bare, le nicchie e i corpi mummificati sono caratterizzati da una sobria “vitalità” dei particolari, pur trattandosi di un dipinto in cui la tonalità non esaltata di colori non contrastanti tra di loro, tende a uniformare il tutto accogliendo la luminosità dei soli esseri viventi); quel corpo lucente – l’unico del dipinto – è il simbolo della gioia di vivere, dell’amore di donna, della passione devota della moglie che sarà, promessa splendente della vita che custodirà.
Lui, elegante gentiluomo, capigliatura nera, dall’aspetto promettente, sembrerebbe provvisto di baffi nonostante l’area della bocca sia occupata dal bacio, amante premuroso, le sue braccia ricoperte dal tessuto scuro della giacca cingono, una la vita di lei come se fosse una cintura che spicca sul bianco del vestito della donna (a voler dire: “tu sei mia, appartieni alla mia vita e non alla morte che ci circonda!”), la mano dell’altro braccio, invece, accompagna la nuca della fanciulla verso il “dolce pasto”.
O, forse, l’uomo e la donna sono i protagonisti di un amore clandestino, di un amore impossibile, senza futuro: quel bacio rubato è un’occasione irripetibile, unica, da non perdere. Confidando nella “forzata discrezione” dei presenti, i due amanti si abbandonano a un gesto apparentemente irriverente, vista la sacralità del luogo, e con la tragedia nel cuore sanno che quello potrebbe essere il loro ultimo bacio se non addirittura il primo e già ultimo: fuori dalle catacombe torneranno a essere due estranei; forse entrambi sono sposati con altre persone e la loro conoscenza furtiva nel mondo dei vivi non aveva avuto lo sviluppo desiderato. Solo in un luogo di morte e di silenzio il loro amore “di superficie”, fatto di sguardi e di fantasie, ha trovato la forza per realizzare il contatto adulterino. Il tutto vissuto sotto gli occhi ormai spenti delle mummie esposte in fila, vestite come lo erano in vita ed etichettate, che sembrano “discutere” tra di loro dell’insolito accadimento amoroso.
Eppure, al di là della storia dei due amanti creati dal pennello e dall’immaginazione di Reina, non si comprende definitivamente se siano i due giovani a lanciare un segnale indiretto ai muti testimoni del loro bacio o se siano, al contrario, i corpi mummificati dei morti a insegnare qualcosa di inesorabile e drammaticamente reale all’uomo e alla donna. È l’amore che vince su tutto (l’omnia vincit amor di virgiliana memoria), persino sulla morte in quel luogo presente in maniera inequivocabile, o è la Morte che ricorda ai due amanti, attraverso i suoi “associati” messi in bella mostra nelle catacombe a sfidare l’eternità, senza proferire parola alcuna, che qualunque sarà la natura del loro amore e la forza della loro passione per la vita, alla fine diverranno comunque materia per imbalsamatori o cibo per vermi? Infatti dalla luce del lato del dipinto che sta alla nostra sinistra (e del vestito della donna) si passa gradualmente, in prospettiva, verso la lontana oscurità a destra in fondo alla catacomba: vivete, credete nell’esistenza, baciatevi appassionatamente, illudetevi per un attimo di essere immortali, ma – memento mori! – non dimenticate di appartenere alla morte, al destino oscuro che vi attende in fondo alla galleria della vita.
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