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Contro i (recenti) film sulla Lucania

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 13 ottobre 2017 by Michele Nigro

versione pdf: Contro i (recenti) film sulla Lucania

un paese quasi perfetto

Ormai sembra essere diventata una moda che rende bene al botteghino: rappresentare la Lucania (Basilicata per politici e navigatori satellitari) dal punto di vista cinematografico è l’idea del momento. Almeno un tipo di idea, perché la “terra di mezzo” lucana – come location e fonte d’ispirazione – non è per niente estranea alle attenzioni della settima arte.

Certo, qualche dubbio nasce quando si passa da Pasolini e Rosi a Rocco Papaleo e Massimo Gaudioso, ma non essendo un critico cinematografico (e soprattutto uno storico della critica cinematografica) mi limiterò a un lieve spetteguless goliardico da spettatore in poltrona.

Capisco che “Matera 2019” incombe (e di infrastrutture serie – nonostante l’ok dal Cipe per far arrivare la ferrovia a Matera – manco l’ombra!) e bisogna ‘pompare’ con la pubblicità offerta da film-spot; capisco che regione, province, comunità montane puntino sulla facile promozione turistica “per mezzo pellicola” per attirare, nella migliore delle ipotesi, visitatori appassionati di antropologia, etnologia e paesologia; capisco che dopo l’uscita di filmetti come “Basilicata coast to coast”, “Un paese quasi perfetto” (infilandoci in mezzo anche “Benvenuti al Sud”, pur trattandosi di una location non lucana, da cui sono state scopiazzate alcune idee!) ci abbiano preso gusto nel rappresentare la Lucania in un certo modo, ma in tutta sincerità, a me personalmente, certi luoghi comuni e certe generalizzazioni da cultura di massa di bassa lega, proprio non vanno giù! Neanche sorseggiando un ottimo Aglianico del Vulture… Parlo di “cultura di massa di bassa lega” perché determinati contenuti, se sono di qualità, possono essere veicolati anche sfruttando i grandi numeri (la casalinga di Voghera sembra stupida, ma se uno le cose gliele presenta come si deve…): dipende sempre da chi gestisce la comunicazione di massa, se una “capra” (sgarbianamente parlando) incapace di distinguere Potenza da Matera (o peggio, Potenza da Napoli) o una mente un po’ più consistente che non ha paura di comunicare concetti importanti alla massa televisiva della prima serata generalista.

Se l’intento era quello di mescolare la denuncia sociale alla commedia, allora mi dispiace annunciarvi che il risultato è deludente: è meglio fare una scelta di campo (o commedia, o denuncia sociale) perché così facendo si rischia di disperdere il potere espressivo di una storia, in tanti rivoli insignificanti.

Perché sono così pesante? Perché se ironizzi su una frana che blocca da anni una strada importante che dovrebbe mettere in comunicazione un paese con il mondo esterno (invece di mettere al muro e “fucilare” i politici che non si danno una mossa per ripristinare la viabilità), si finirà col pensare che in fin dei conti siamo pur sempre al Sud dove tutti i guai si superano con l’ironia, la pazienza e il mandolino, che è andata sempre così, da quando mondo è mondo, che le lungaggini burocratiche e il lassismo amministrativo è inutile combatterli perché fanno parte del folklore locale, che è meglio passarci sopra mangiando tarallucci e bevendo vino, anzi è meglio passarci sopra con la vecchia teleferica della miniera, che nell’epilogo del film (“Un paese quasi perfetto”) si trasforma in un’idea imprenditoriale, perché tanto è meglio mettersi l’anima in pace e rimboccarsi le maniche: di sviluppo industriale, di progresso, di occupazione proveniente dall’alto, manco a parlarne. Embè, siamo al Sud: l’avevate dimenticato?

Per non parlare delle numerose zone industriali create nel deserto, funzionanti per qualche anno (giusto il tempo di qualche ciclo elettorale) o addirittura mai entrate in funzione, che potrebbero dare lavoro a tantissimi lucani e che invece stanno a marcire sotto il sole dopo aver preso il posto di alvei fluviali e aver spianato vallate stupende per fare spazio a un “progresso industriale” inattivo. Veramente abbiamo ridotto la nostra critica sociale e politica alla critica verso le “pale eoliche”? Veramente crediamo che uno dei problemi maggiori della Lucania siano le pale eoliche e non le “palle” propinateci da politici e imbonitori che hanno tentato di trasformare la Basilicata in una discarica nucleare non molti anni fa? Per non parlare dei danni ambientali causati da un certo “avventurismo petrolifero” che ha favorito i soliti pochi.

Che poi, se proprio vogliamo dirla tutta, l’idea di far divertire la gente appendendola a un cavo d’acciaio non è nemmeno lucana ma è stata intelligentemente importata dalla Francia: non ce l’ho con il Volo (figuriamoci, mi piace e l’ho fatto già due volte!) ma le “idee lucane”, quelle ereditate dalla storia e dalla tradizione (e non importate da fuori), sono altre e ovviamente tenute nascoste, sottovalutate e trascurate perché sono meno turistiche, meno impattanti dal punto di vista pubblicitario, meno divertenti, più impegnative culturalmente. E soprattutto è più difficile farci dei filmetti sopra! Voi ce lo vedreste uno di questi registi da “pro loco” a girare un lungometraggio su una storia ambientata nel medioevo lucano in stile Ermanno Olmi? E chi lo andrebbe a vedere? Ah, non sapevate che anche la Lucania ha avuto il medioevo? È chiaro che è molto più semplice (e redditizio) girare un filmetto basandolo su luoghi comuni, piatti locali, scemenze varie e finte denunce sociali tanto per darsi uno spessore etico…!

Passino l’elegia del viaggio a piedi nella “Basilicata…” di Papaleo e il potere introspettivo della strada (sono d’accordo con lui: la Lucania, i paesaggi naturalistici in genere, possono essere gustati solo grazie all’andatura lenta del camminatore. Duccio Demetrio, autore del saggio Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea, sarebbe orgoglioso di Papaleo!); passino le inquadrature mozzafiato che rendono solo in parte la bellezza (a volte arida ma affascinante) di certi luoghi lucani; passi l’elogio di una riscoperta provincia a discapito di una città sempre più difficile da vivere (invertendo il processo che portò negli anni ’50 e ’60 all’abbandono delle campagne per inseguire il sogno industriale nel Nord Italia o in altri paesi – oggi l’abbandono è ancora in atto, avviene in direzione “estero” su un livello professionale più alto, e molti comuni per rimpolpare la popolazione sono ricorsi ai tanto vituperati migranti -, anche se per invertire il processo in maniera convincente occorrono idee e denari, e la sola passione per il borgo, ahimè, non è sufficiente!). Passi il messaggio della valorizzazione delle risorse di zona in vista di un rafforzamento delle economie locali (sottotitolo non dichiarato: non fate i soliti meridionali imbroglioni, spioni, scoraggiati e pigri, e datevi da fare!). Passi l’idea sana che le cose che all’esterno (o, in maniera eccessivamente autocritica, da noi stessi) sono considerate “segnali di arretratezza”, in realtà, se viste con occhi diversi e lungimiranti, diventano tesori della tradizione e potenzialità non da convertire o sostituire ma da proteggere ed esaltare. Non avere vergogna della propria “povertà” e semplicità, ma farle diventare fonti di ricchezza. Come già accade, anche senza suggerimenti cinematografici.

benvenuti_al_sud

Passino queste ed altre cose interessanti che ho intenzione di salvare anche se non le citerò, ma non riesco a comprendere la facilità con cui vengono applicati certi stereotipi. Non riesco a capire perché i cassintegrati lucani dovrebbero essere dei semi-alcolizzati: vedi il personaggio di Silvio Orlando che nel film “Un paese quasi perfetto” ogni sera se ne torna alticcio e barcollante verso casa (conosco tanti amici in Lucania che, pur non lavorando più, sono ottimi ebanisti, suonano nella banda, fanno jogging e non toccano la bottiglia!) o che non ha voglia di cercare lavoro fuori dal paese quando invece conosciamo bene la storia dell’emigrazione italiana interna e quella dei lucani nel mondo. Non riesco a capire perché, sempre nel suddetto film, l’unico capace di utilizzare internet nel paese (come se compiesse una magia in un villaggio africano!) sia un tipo “racchio”, quasi un “subumano” di lombrosiana memoria (non me ne voglia l’attore se lo hanno fatto apparire così!), quando invece nella zona della Lucania da me frequentata – nonostante si parli tanto di digital divide – tutta la gioventù, bella, fresca e sveglia, è connessa in maniera disinvolta e anzi, a detta di alcuni, sarebbe connessa anche in maniera eccessiva, forse perché bisognosa di cercare in rete opportunità e confronti.

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Il viaggio, tra localismo ed esotismo

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 1 Maggio 2017 by Michele Nigro

versione pdf: Il viaggio, tra localismo ed esotismo

Intorno al viaggiare vi è in atto da tempo una guerra non dichiarata: quella tra visione localistica ed esotica del movimento conoscitivo compiuto dal viaggiatore. I localisti, cugini non troppo lontani dei selecercatisti, tendono a concentrarsi solo ed esclusivamente sulle bellezze locali, a frequentare luoghi dove non è richiesto alcuno sforzo linguistico per farsi comprendere dalle popolazioni “indigene”, a sviluppare in maniera anacronistica lo slogan di fascistissima memoria “Preferite il prodotto italiano” anche in ambito turistico. Gli esotisti, dal canto loro, prediligono una fuga dalla realtà, una letteratura d’evasione in movimento, sono affetti da un’esterofilia curata male e che ha origini antiche: la frammentazione linguistica pre- (e direi anche post-) unitaria; la disomogeneità geopolitica che ha reso difficile la vita ai “fratelli d’Italia”; i tanti, troppi secoli vissuti in qualità di colonizzati da chiunque si trovasse a passare per la penisola. Nonostante il tricolore calcistico, estero è bello, estero è meglio: ancora una volta siam pronti alla morte culturale e identitaria.

L’ideale, come sappiamo, sta nel mezzo: occorrerebbe un approccio anarco-individualista per liberarsi dalle catene delle due fazioni. Non appartenere a nessun luogo ma essere ovunque, e al contempo abitare il tutto senza trascurare il particolare, conoscere il locale e il lontano da noi, apprendere “La distinzione / e la lontananza” (cit.), integrarli in un discorso sapienziale a chilometro zero. Evitare il viaggio vissuto come mero spostamento fisico, ma al tempo stesso non trincerarsi dietro a pigrizie culturali anchilosanti. Non concentrarsi né sul dito, né sulla Luna, ma sul gioco di sovrapposizione tra oggetti distanti che mai s’incontreranno, se non nell’immaginazione di chi crea analogie. E si scorge in questa pratica un profondo senso di libertà: l’unica possibile, in grado di sconfiggere la nostra limitatezza, il nostro essere finiti in quanto umani e confinati in un arco temporale insignificante.

Perché vi può essere tanto esotismo anche nelle cose locali, si può andare lontano restando in zona, così come ci può capitare di recuperare il nostro senso di appartenenza viaggiando in luoghi impensati, proprio mentre cerchiamo di dimenticare il punto di partenza e la nostra quotidianità. La filosofia low cost del facile spostamento ha azzerato la lentezza dell’avvicinamento, un tempo prerogativa di camminatori, naviganti e pensatori perdigiorno. Il web, la rete, non ha unito il mondo, lo ha solo omologato e reso l’ingresso a stanze lontane più rapido e facile. Ed è una grande comodità tutto questo! Nulla da eccepire… Le parti che compongono il mondo fisico e quello conoscitivo sono già in connessione da secoli, ma lo abbiamo dimenticato perché nel frattempo la conoscenza analogica è stata sostituita da quella digitale, più veloce ed efficace, che ha appiattito o sotterrato certi percorsi umani divenuti pura archeologia. La rete ha incentivato l’esotismo sì, ma quello errato: ci si illude di essere andati fuori ma in realtà siamo rimasti fermi nella casella iniziale del gioco, perché certe scoperte si compiono sulle lunghe distanze, quelle vere, e a distanza di tempo. Solo in fase di ritorno, come accade in vecchiaia dopo una vita di strade battute, ritornando a essere localisti senza perdere gli odori del mondo acquisiti nel corso di numerosi viaggi, si realizza il confronto che istruisce. Lo sguardo di un localista che è stato esotista e ha viaggiato con saggezza, sarà sempre più ampio e ricco della visione limitata di chi si rinchiude nella roccaforte della valorizzazione dei prodotti tipici locali.

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Arrivando di notte

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 25 ottobre 2015 by Michele Nigro

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Come un amante

sbarcato in porti di lentezza

m’inerpico su quartieri mai vissuti,

con passi nuovi assecondo istinti topografici

tra le pieghe di una storia antica.

Calda città di mare, notturna vagina abusata

l’eccitazione della prima volta

mi spinge a conoscere senza esitare

la tua pelle decadente e i nomi agli angoli,

 residue insegne luminose

e l’atmosfera quieta da eterni abitanti.

Sapore di scoperte al buio

strade deserte di voci e speranza,

domani una nuova luce

e non sarai più vergine

ai miei occhi saturi

di passati viaggi.

Chi non l’ha visto?

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 17 luglio 2015 by Michele Nigro

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Il limite tra vacanza

e un definitivo vuoto di tracce

lo conosci solo tu,

organizziamo fughe last minute

non ti appartiene neanche

l’uscita di scena.

Il diritto a sparire

venduto in pacchetti turistici

oscillanti tra alta e bassa

stagione di rientri verso

la ragione del gregge.

Coupon di familiari preoccupati

e battute di caccia in cerca del corpo.

Ritorni coatti dettati

da un buonsenso collettivo

e psicofarmaci di stato

le tue motivazioni rispettano

gli standard europei,

ti lasci riportare a casa

scivolando su follie diluite nel marketing

di un tutto compreso.

(Ciao Alberto! 2/1/2018)

Il viaggio

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 22 aprile 2015 by Michele Nigro

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Eliminare la fretta del ritorno

a casa

tra sicurezze etichettate

e appartenenze

perdersi per il mondo

privo di memoria e lingua natia

immerso nel viaggio

nuova dimora senza tempo.

Del non viaggiare intelligente

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 agosto 2014 by Michele Nigro

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Non visitare luoghi idealizzati

amati solo nella mente, ricreati dall’egoismo.

Viaggiando speranzoso in essi

smetterai di amarli lungo il cammino

ti diventeranno indifferenti

a volte li odierai, deluso.

In altre occasioni, forse,

il tuo occhio interiore avrà ragione

e troverai frammenti casuali di te

lasciati sui marciapiedi della storia.

Il mito si nutre

dell’immobile assenza

di corpi stanchi alla partenza

spiaggiati sulla confortante fantasia

del non raggiunto.

L’ossessione coltivata per cultura o moda capricciosa

richiama il viaggiatore

ingannandolo o premiando la sua visione.

Spostarsi seguendo il volere delle viscere, di tanto in tanto.

Diventi bussola archetipica dell’inconscio

percorrendo d’istinto spazi non meditati.

Ecomuseo Virtuale del Paleolitico di Camerota (SA)

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 1 agosto 2013 by Michele Nigro

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Inaugura l’Ecomuseo Virtuale del Paleolitico di Camerota (SA)

Sulle coste del Cilento nasce un nuovo museo capace di proiettare virtualmente il visitatore in una emozionante e coinvolgente immersione nelle grotte preistoriche di Camerota (SA).

Giovedì 1 agosto 2013, Asteria è lieta di invitarvi all’inaugurazione del MUVIP – Ecomuseo Virtuale del Paleolitico, che avrà luogo a Marina di Camerota, un suggestivo borgo affacciato sul mare.

Grazie all’utilizzo delle più innovative tecnologie di rilievo e di animazione tridimensionali, l’allestimento interattivo, curato da Asteria Multimedia insieme ad Arcella scarl, restituisce a questo territorio un importante tassello della sua millenaria storia, portato alla luce da decenni di scavi archeologici.

Realizzato con i fondi europei, grazie a un piano di Sviluppo Rurale della Regione Campania, il MUVIP costituisce il primo passaggio di un più lungo itinerario di conoscenza e di valorizzazione, promosso dal Comune di Camerota.

Il MUVIP rappresenta una finestra aperta sul territorio: le tecnologie multimediali permettono di viaggiare nel tempo e nello spazio alla scoperta di un paesaggio incantato, sospeso tra il mare e il cielo.

Un plastico del territorio e una postazione interattiva sono gli strumenti per scoprire e valorizzare non solo le attrazioni naturalistiche di quest’area, ma anche le peculiarità storiche, culturali e religiose.

La punta di diamante del nuovo allestimento è la misteriosa camera immersiva, uno spazio esclusivo in cui proiezioni e suoni coinvolgenti consentono al visitatore di accedere virtualmente alle più significative grotte preistoriche di Marina di Camerota.

Le moderne tecnologie di rilievo 3D laser scanning hanno permesso ad Asteria di realizzare per la prima volta una precisa replica digitale, accurata e foto realistica, di questi ambienti, attualmente non visitabili dal pubblico.

Grazie al supporto del comitato scientifico, promosso dalla direttrice del museo Rosanna Mazzeo in collaborazione con l’Università di Siena, sono state ricostruite in computer grafica le più importanti fasi di frequentazione preistorica di ciascuna delle 4 grotte. Tali scansioni potranno inoltre essere utilizzate in futuro da Università e centri ricerca per ulteriori ricerche scientifiche.

Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito sviluppato da Asteria per il museo:

http://www.camerotamuvip.eu/

L’inaugurazione ufficiale del MUVIP è fissata per giovedì 1 agosto alle ore 19, presso la sede del Museo Virtuale Paleolitico, in località Porto a Marina di Camerota. Dopo il taglio del nastro da parte del sindaco Antonio Romano, ci sarà una degustazione di prodotti tipici e sarà possibile visitare il museo. Seguirà uno spettacolo teatrale dal titolo ”Storia d’acqua di fuoco e di sangue”, per la regia di Gaetano Stella.

fonte della notizia:

Asteria Multimedia S.r.l.
Via Perini, 93 | 38122 Trento
Tel. 0461.931844 |  Fax 0461.397196
web: http://www.asteria.it
Forum: http://www.linkedin.com/groups/Allestimento-museale-Sc%C3%A9nographie-dExposition-Museum-3458531

Responsabile P.R.
Dott.ssa Stefania Parrello: stefania.parrello@asteria.it

Magic Shop

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , on 17 aprile 2013 by Michele Nigro

La notizia, appresa da qui, di questo evento – il Festival dell’Oriente – bello da vedere e sicuramente molto interessante, mi ha fatto tornare in mente le parole di una canzone di Franco Battiato, “Magic Shop”, e precisamente quando canta:

<<… E più si cresce e più mestieri nuovi
gli artisti pop, i manifesti ai muri
i Mantra e gli Hare Hare a mille lire
l’Esoterismo di René Guénon.
Una Signora vende corpi astrali
i Budda vanno sopra i comodini… […]

Supermercati coi reparti sacri che vendono
gli incensi di Dior…>>

Pensieri simili, anche se formulati in maniera leggermente diversa e in un contesto religioso differente, sono suscitati dalla visione della cosiddetta cripta d’oro di Padre Pio. Consumismo e religiosità, bisogni umani e messaggi divini: a volte anche occasioni simili, apparentemente “inquinate” dalla presenza immonda del denaro e di un dio commerciale, possono regalare spiragli verso il trascendente oppure bisogna sempre condannare la convivenza tra materialismo e spiritualità?

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Un evento eccezionale al Festival dell’Oriente dal 25 al 28 Aprile: grazie all’Istituto Lama Tsong Khapa di Pomaia (PI), uno dei più grandi centri buddhisti in Europa e grazie alla onlus Yershe Norbu http://www.adozionitibet.it, sarà ospitato il tour delle reliquie sacre del Buddha e di molti altri maestri buddhisti. Il tour ha avuto inizio a Taiwan nel 2001 e sono state esposte in 65 paesi dopo che per anni Lama Zopa Rinpoce ha raccolto varie reliquie di Buddha e di altri maestri buddhisti, alcuni dei quali hanno donato pezzi appartenenti alle proprie collezioni personali, come nel caso dell’attuale Dalai Lama che ha ceduto 8 pezzi appartenuti a Buddha Shakyamuni, quello che noi conosciamo come Siddharta, il Buddha storico. I visitatori possono ricevere la benedizione personale delle relique del Buddha, che vengono gentilmente poste sul loro capo.

Queste reliquie del Santuario del Cuore di Maitreya, che i visitatori possono ammirare dentro alcune teche trasparenti che circondano una statua dorata a grandezza naturale di Buddha Maitreya, il Buddha della gentilezza amorevole, sono costituite tra le altre cose, da delle perle o cristalli, ritrovate tra le ceneri, dopo la consueta cremazione, di un maestro spirituale quando questi muore. Queste perle, chiamate ringsel dai tibetani, sono deliberatamente prodotte dal defunto ed incarnano le qualità spirituali di saggezza e compassione del maestro e spesso influenzano lo spirito e la salute dei visitatori che, non di rado, riportano esperienze chi di guarigione chi di ispirazione a sviluppare la propria saggezza e pace interiore. In presenza delle relique le persone spesso provano ispirazione e sensazioni di guarigione. Qualcuno sente il bisogno di pregare per la pace nel mondo e per sviluppare la propria saggezza interiore, altri sono sopraffatti dall’emozione, dal momento che il potente effetto delle relique favorisce l’apertura del cuore alla compassione e alla gentilezza amorevole.

Anche se queste reliquie sono buddhiste, il Tour non è “settario”: l’esposizione è aperta a tutti indipendentemente dalla fede e cultura personale e nasce per diffondere la pace nel mondo, ispirando ognuno ad accrescere la bontà del proprio cuore perchè stare alla presenza delle relique aiuta ad entrare in contatto con il proprio cuore. I visitatori del Festival possono ricevere una benedizione personale tramite l’apposizione sul capo dello stupa contenente le reliquie di Buddha Shakyamuni, e si è inoltre invitati a fare benedire i propri animali per purificare il karma negativo e riceverne un ulteriore giovamento. Un evento straordinario e imperdibile che fa tappa a Milano, un’occasione unica per entrare in contatto con la spiritualità ed il fascino di una delle principali religioni d’Oriente.

Jetsun Pema, sorella del Dalai Lama al Festival dell’Oriente

Un evento straordinario al Festival dell Oriente. Jetsun Pema la sorella del Dalai Lama soprannominata “AMA LA” che significa Madre del Tibet come riconoscimento del suo impegno in favore dei bambini Tibetani nei giorni della Festival dell Oriente dal 25 al 28 Aprile visiterà l’ESPOSIZIONE DELLE SACRE RELIQUIE DEL BUDDHA E DEI SUOI GRANDI MAESTRI presso l’area del Tibet. Al Festival dell Oriente sarà possibile vivere un’esperienza straordinaria con la mostra delle sacre reliquie del Buddha che dopo un tour di 65 città nel mondo approdano a Milano Novegro. La mostra è un evento a carattere mondiale importantissimo a cui si aggiunge la presenza della sorella del Dalai Lama. E’ un evento aperto a tutte le fedi per sensibilizzare la pace nel mondo. Un’occasione unica per immergersi in una cultura millenaria e vivere un’esperienza indimenticabile e forse irripetibile. Vi aspettiamo tutti a braccia aperte.

Per ogni eventuale informazione non esitate a contattare la segreteria organizzativa ai seguenti recapiti: Tel. 0585 861311Tel e Fax 0585 240660Cell: 339 3766746
Oppure via E-mail: angela@festivaldelloriente.net
All’interno dei nostri uffici troverete sempre qualcuno del nostro Staff pronto a fornirvi ogni informazione necessaria.

“Mamma… li turchi!”

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 novembre 2011 by Michele Nigro

Angolazioni storiche ed elogio del viaggio.

L’esistenza che viviamo si basa su una serie, collaudata nei secoli, di ‘punti di vista’ ovvero di porzioni complementari di verità: la verità risultante, fotografata dall’alto, è pari alla somma vettoriale delle singole verità messe a disposizione dalle piccole e grandi comunità etniche che ci illudiamo di omologare in nome della cosiddetta new economy. Non c’è web capace di annullare le differenze mentali e culturali che rappresentano il sale dell’interazione umana.

Viaggiare significa ricercare e registrare queste differenze: non per creare divisioni xenofobe ma al contrario per accrescere la conoscenza personale (diversa da quella ufficiale approvata dai poteri istituzionali civili e religiosi della propria civiltà di origine) e di conseguenza il rispetto di quelle diversità che devono continuare a esistere tra i popoli. Conoscere i punti di vista storici è fondamentale per abbattere la presunzione derivante dalla convinzione errata di possedere una verità assoluta. E per compiere quest’opera di laicizzazione della cultura storica dominante a volte i libri da soli non bastano: occorre andare sul posto per vedere, toccare, sentire gli entusiasmi ‘faziosi’ e i timori della gente nata e cresciuta in un humus culturale diverso dal nostro, per sondare le convinzioni dell’altro provenienti dalla tradizione, per condividere le sue angolazioni storiche consolidate nel tempo. Senza giudicare.

Passare dal Museo Panorama 1453 di Istanbul alla Colonna di Orlando (raffigurante il paladino Rolando) nella piazza principale del centro storico di Dubrovnik (Croazia) nel giro di poche settimane significa valutare, in maniera trasversale e a dispetto dei secoli trascorsi, l’epopea riguardante l’espansione dei Turchi Ottomani verso Occidente (e in particolare nei Balcani) da due osservatori diametralmente opposti: i termini “conquista” e “invasione” convivono ai lati di una stessa verità storica oggettiva. Il tentativo di formare un grande impero musulmano da parte dei turchi ottomani e la cristianità cavalleresca come ultimo baluardo per difendersi da un nemico proveniente da Levante, s’incontrano per dare vita a una visione eterogenea ma completa della realtà storica. Contrapporre le imprese del sultano Maometto II alla Chanson de Roland significa in fin dei conti raccontare quasi la stessa storia, ma da angolazioni diverse: pur trattandosi di epoche e geografie differenti, di istigazioni religiose diverse ma complanari, di protagonisti non coincidenti (e a volte anche inventati per entusiasmare il popolo) che si muovono in scenari storici paralleli ma intercomunicanti.

Assistere all’ammirazione di giovani musulmani dinanzi all’immagine eroica di Maometto II mi ha fatto tornare in mente l’equivalente ammirazione provata da alcuni giovani cristiani posti davanti alla statua di San Giorgio in procinto di uccidere il drago. Non esiste un unico centro e tutto è relativo. Questa consapevolezza mi ha reso più libero e forte, ma anche più solo. Il senso d’appartenenza si nutre di simboli partigiani da venerare.

“Mamma… li turchi!”

Il museo storico PANORAMA 1453 di Istanbul

e alcune paure occidentali.

Durante l’ultimo giorno di permanenza a Istanbul, qualche ora prima di assistere alla Cerimonia Semà dei Dervisci nella vicina Yenikapı Mevlevihanesi, ho trascorso un bel momento presso il Museo storico “Panorama 1453”. Situato fuori le Mura terrestri di Teodosio II, all’altezza della porta Topkapi (facilmente raggiungibile prendendo il tram in direzione Zeytinburnu e scendendo alla fermata “Topkapi”; la struttura museale di forma circolare è individuabile senza difficoltà) appartiene a un modo di “fare museo” relativamente recente per cui il visitatore non subisce più il classico tragitto, a volte noioso, fatto di oggetti e didascalie da leggere pedissequamente (volendo c’è anche quello per integrare le proprie conoscenze) ma viene proiettato in un “evento visivo” (panoramico!) che diventa informazione storica integrata. In un’epoca come la nostra in cui le informazioni sono sempre più veicolate tramite le immagini, riducendo di fatto i tempi di apprendimento e di rielaborazione delle informazioni acquisite in maniera classica, il museo PANORAMA 1453 rappresenta un modo simpatico e moderno di gestire la Grande Storia: vi troverete, grazie a un gioco di immagini statiche artisticamente raffinate – in realtà l’immagine è unica e senza interruzioni, “spalmata” a 360° tutt’intorno al visitatore – e di suoni realistici sconvolgenti, nel bel mezzo (è proprio il caso di dire) dell’assedio da parte delle truppe di Maometto II detto il Conquistatore (Fatih) e della battaglia che ne scaturì per la Conquista di Costantinopoli.

Inutile descriverlo ulteriormente: bisogna visitarlo per capire…

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L’afa di Eilat

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , on 23 agosto 2011 by Michele Nigro

Dedicata a questi giorni di afa in Italia. Incredibilmente la pagina di diario che segue mi è tornata in mente la scorsa notte, non riuscendo a dormire a causa del caldo, tra il 22 e il 23 agosto del 2011: esattamente diciassette anni dopo l’esperienza dell’afa di Eilat. Gli orologi della memoria scattano silenziosamente ma con decisione insonne; seguendo scadenze e anniversari inconsci ci risvegliano dalla monotonia. L’afa israeliana, i corsi e ricorsi della storia personale, la riproposizione dei contenuti e l’inganno delle forme che cambiano, il contrasto tra il turismo stanziale e l’esperienza “di passaggio”, la solitudine alberghiera su uno sfondo paradisiaco, l’osservazione quasi scientifica e morbosa contro la rilassatezza delle comitive di amici, l’inadeguatezza dell’anima e il sentirsi “fuori dal tunnel del divertimento”, la contrapposizione tra deserto e mare, tra la ricerca superiore e il divertimentificio, tra la voglia di essere soli e l’obbligo allo svago… Il capitare quasi per caso in un luogo vivo e la strana gioia provata nel ripartire.

<<… La mia parte assente s’identificava con l’umidità…>> cantava Franco Battiato in Arabian Song. Un’umidità deprimente, asfissiante, capace di aggravare la dissociazione tra mente e corpo, di evidenziare il divario tra l’obiettivo interiore e il caos esterno. Ma come recita un adagio: “Non si va mai tanto lontano come quando ci si perde.”

22-08-1994

Lascio il Youth Hostel di Mizpè Ramon e con l’autobus 392 mi dirigo alla volta di Eilat.

Lungo la strada incontro solo “il deserto dei padri” e basi militari a testimoniare la vicinanza con i confini di quei paesi arabi che anni fa diedero del filo da torcere a Israele: Egitto e Giordania. Scendendo sempre più a sud Israele assume una forma curiosa, come si può apprezzare dalla cartina: diventa triangolare, a imbuto, con la punta rivolta verso il Golfo di Aqaba. E proprio alla punta di questo “imbuto geografico” c’è Eilat, ultima località dello stato d’Israele. Fiorella Mannoia in Italia ha dedicato anche una canzone a questo luogo – “Sorvolando Eilat” – e in una strofa la cantante dai capelli rossi fa riferimento alle caratteristiche “montagne rosse” che si vedono poco prima di giungere a Eilat. Una volta superate le montagne rubiconde appare la “Rimini del Mar Rosso”.

Caotica, viva, calda (più calda di tutti i posti in cui sono stato da quando sono sbarcato in Israele), troppo turistica per i miei gusti e sicuramente dedicata a chi ama il caldo tropicale e  vuole fare una vacanza solo ed esclusivamente per divertirsi, senza obiettivi culturali. Eilat è un “divertimentificio”, la classica città di mare con forte vocazione turistica in cui io personalmente non passerei mai per intero le mie vacanze estive. Un giorno, due giorni… E via. Comunque ho voglia di conoscerla e quindi mi dirigo alla ricerca di un posto per la notte. All’Ufficio Turistico mi propinano una guida commerciale che non serve a niente e mi dicono di tentare all’ostello. Niente da fare: tutto pieno. Allora “agguanto” una stanza in un hotel di media categoria e mi libero dagli zaini che diventano ogni giorno più pesanti. E’ una stanza singola tutta per me con un comodissimo lettone e l’aria condizionata che prontamente accendo “a palla”. Approfitto dell’ampio bagno per fare… “il bucato”: lavo le magliette e il resto del vestiario sporco, che in seguito appendo sulla mia provvidenziale cordicella già protagonista di altri bucati raminghi. I panni si asciugano in un batter d’occhio. Eilat: 42°C. Un vero inferno! […]

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Psicogeografia agostana

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 15 agosto 2011 by Michele Nigro

“Tutta mia la città!”

La crisi economica avrebbe determinato le nuove scelte turistiche degli italiani, ma io non ci credo. È sempre esistito uno zoccolo duro di ‘custodi della città’ durante il periodo estivo. Essere insensibili al richiamo nevrotico dell’uscita turistica a tutti i costi rappresenta la scelta cinica e anticonformista dell’uomo metropolitano: una presa di posizione filosofica ed esistenziale che va oltre la mera disponibilità economica. Una filosofia del recupero che non interessa solo gli oggetti, ma anche i luoghi e certi stati d’animo dimenticati, ad essi legati. Si sceglie l’immobilità come se fosse un pacchetto turistico acquistato in agenzia. Un’immobilità che diventa l’occasione per un’esplorazione accurata (e rivalutazione) del proprio ecosistema inflazionato; una non-partenza che paradossalmente è motivo di scoperta. Il contrasto tra immobilità e vitalismo isterico, magistralmente rappresentato nel film cult di Dino Risi “Il sorpasso”, esiste dal momento in cui è esistito il dualismo tra il “consumare per essere” e “l’essere per consumare”; tra il non fare senza pentimenti e il disperato presenzialismo.

Ma quando si ha la fortuna di poter sperimentare la dolce solitudine metropolitana, allora succedono cose interessanti: il quotidiano diventa insolito; l’ovvio acquista un fascino non calcolato;  le strade abituali e semi-deserte usate come assolati laboratori psicogeografici, forniscono elementi di studio in altri momenti dell’anno difficili da captare. Svuotata dalla gente che di solito anima i negozi aperti e le vie di comunicazione, la città effettua in maniera inesorabile la sua autodiagnosi di ‘claustrofobia architettonica’: capiamo finalmente come un meccanismo feroce di palazzi e lingue asfaltate e trafficate possa influenzare nell’intimo il pensiero (e le azioni) dell’uomo inconsapevole. Solo grazie allo svuotamento atipico possiamo valutare quelle forme urbane che a lungo andare fanno male (o bene) all’animo di chi vi abita. Siamo ciò che mangiamo. Scriviamo, pensiamo come ciò che abitiamo: un livello superiore del discorso che ci porterebbe verso quella che io definisco “psicogeografia della scrittura”

La vacanza spesa in città si trasforma in senso del possesso di spazi pubblici: “La piazza è mia! La piazza è mia!” – ci teneva a far sapere ‘lo scemo del villaggio’ del film di Giuseppe Tornatore “Nuovo Cinema Paradiso”. Che, forse, non era del tutto scemo. O come cantava il disperato in amore nella canzone “Tutta mia la città” degli Equipe 84, rivisitata alcuni anni fa da Giuliano Palma: “… Tutta mia la città, un deserto che conosco…!” Conoscere il proprio deserto significa essere padroni del proprio spazio e del proprio tempo senza cadere nell’isterismo di massa: saper stare anche da soli per riscoprire l’immagine scarificata dei luoghi che frequentiamo distrattamente e in maniera automatica, spinti dalle pressioni del vivere civile, dai pericoli urbani che ci distraggono dal dettaglio, suggestionati dagli sguardi sospettosi delle persone ‘normali’ che non si pongono domande.

Approfittando del deserto urbano imposto da una certa pseudocultura e dal marketing del movimento stagionale, viene naturale concedersi un esperimento di “psicogeografia” su due ruote: una videocamera fissata sul manubrio di una bicicletta, una città quasi deserta a Ferragosto, la ricerca di una deriva psicogeografica estiva, l’elogio dell’anti-turismo… Le immagini affidate al caso e all’estro del ciclista svelano la “città nuda”. Come colonna sonora i rumori stradali di una cittadina di provincia e di una pedalata tranquilla e costante, interrotta da qualche stridente frenata d’ufficio.

È severamente vietato NON toccare i monumenti!

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 9 luglio 2011 by Michele Nigro

Guide turistiche, manuali, mappe, percorsi didattici, audioguide multilingue, nuove tecnologie… Innumerevoli sono i modi per conoscere ciò che si osserva, per sapere tutto ciò che c’è da sapere sul monumento che trovi lungo il tuo cammino, per ‘imparare’ (ammesso che si conosca il vero significato del termine: imparare come per dire ‘nozionismo preconfezionato da altri’ oppure imparare dall’esperienza diretta?). Quante delle informazioni acquisite in maniera confusa e veloce, nel corso di una vacanza, rimarranno per sempre impresse nei nostri banchi mnemonici? Pochissime, quasi nessuna: nella migliore delle ipotesi un’immagine, un nome, qualche aneddoto particolarmente stuzzicante, anche se storicamente irrilevante. Ci affanniamo a leggere cartelli informativi per giustificare il costo del biglietto d’ingresso – vivendo nell’illusione di acculturarci – e dimentichiamo l’oggetto che è lì, davanti ai nostri occhi, presente da secoli e che ci parla con un linguaggio afono universale che abbiamo dimenticato ma non del tutto rimosso dai nostri circuiti conoscitivi primordiali.

Smettiamola di camminare sotto il sole come tanti invasati; smettiamola di fotografare stupidamente migliaia di cose inutili: sembriamo ladri di immagini sull’orlo di una crisi di nervi, archeo-consumisti del terzo millennio, nevrotici cittadini in vacanza sempre a caccia di ‘saldi’ tra i negozi della storia. Mettiamo da parte le guide cartacee e quelle interattive e riconquistiamo la ‘conoscenza tattile’ e istintuale (“vissuta e incosciente”), il contatto diretto, non enciclopedico, tra noi e il monumento. Personalizziamo la conoscenza. Riscopriamo gesti primordiali, semplici nella loro arcaicità ma efficaci per ottenere informazioni irrazionali, non predigerite, dirette e sensoriali.

Toccare un monumento, una porzione raggiungibile, una piccola parte di esso: percepirne la temperatura con il palmo della mano; sentire al tatto la sua superficie liscia o ruvida; sentirne la consistenza; rendersi conto dello spessore materiale grazie al quale ha potuto sfidare (e superare) la storia umana e naturale; capire il perché della sua resistenza muta nel tempo. Chiudere gli occhi e realizzare una sorta di fusione spazio-temporale tra noi e l’oggetto millenario; una fusione mentale tra l’ennesimo visitatore del presente e i costruttori impermanenti ormai divenuti polvere, ma resi immortali dalla propria opera. Avvertire il peso del jet lag storico. L’oggetto invecchia più lentamente ed è testimone del passaggio terreno degli effimeri e geniali abitanti di questo pianeta, delle loro passioni sociali, politiche, delle loro guerre, della loro scelleratezza.

Toccare una colonna, sfiorare un marmo, sostare su una scala antica, abbracciare un pilastro, distendersi su un pavimento, appoggiare la guancia su una scultura rupestre, sentire il corpo inorganico ma vivo e farne parte, meditare a lungo sul tappeto di una antica moschea pur non essendo musulmani, convivere con i silenzi che circondano l’oggetto senza preoccuparsi di riempirli, sedersi in una zona d’ombra dimenticata dal flusso turistico: il contatto fisico ci assicura un passaggio di energia conoscitiva spazio-temporale lasciataci in eredità; un contatto efficace più di mille libri, più di tante parole inutili che andranno perse nel mare della distrazione sensoriale. Lasciarsi riempire passivamente da una volontà storica più forte di noi. Dimenticare gli affanni e gli orari; dimenticare il proprio corpo e creare una parentela indissolubile tra noi e il manufatto.

L’energia cosmica assorbita nel tempo dal monumento ritorna al suo creatore umano che diviene inconsapevolmente testimone della storia e custode di una quota esistenziale che attendeva da secoli un curioso erede di passaggio. Il principio termodinamico adattato all’energia monumentale: così avvengono trasferimenti sapienziali tra l’oggetto antico e l’essere recente e vergine. Rimanere a casa in modalità asettica, vivere indirettamente gli spazi, vedere la storia in televisione, non interagire con la realtà: tutto questo equivale a una dispersione di energia, equivale a morire interiormente. Non si tratta di ‘divertimento’, di ‘vacanza’ (nel senso di ‘vacante’) ma al contrario di nuovi ‘riempimenti’, di riequilibri energetici tra noi e gli oggetti storici. Ci sono cose che non possono essere raccontate a parole; ci sono energie che non possono essere masterizzate, impacchettate o vendute.

Ed è per questo che all’ingresso di ogni area archeologica dovrebbe esserci un cartello con su scritto: “È severamente vietato NON toccare i monumenti”.

Emma Saponaro

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