La vita secondo Victor Velasco
“… una volta al mese io cerco sempre
di rendere nervosa una bella ragazza,
tanto per impedire al mio ego di avvilirsi…”
“… i vecchi sporcaccioni
riescono a farla franca molto meglio…”
“… agli albori di una nuova amicizia!”
(Victor Velasco,
citazioni dal film “A piedi nudi nel parco”)
Chi è Victor Velasco? Un filosofo epicureo? Un flâneur newyorkese? Un “uomo di mondo”? L’ultimo dei bohémien? Un aristocratico senza soldi? Un gentiluomo d’altri tempi? Un imboscato? Un romantico buongustaio? Un signore attempato che ha paura di invecchiare? Uno spiantato che approfitta del prossimo e in cambio dona la propria energia vitale? Un esistenzialista assetato di esperienze? Un single che è sempre in buona compagnia?… Tutte queste definizioni unite insieme? Già, forse le cose stanno proprio così: Victor Velasco è tutto questo in un’unica persona! Quindi è un essere inesistente, un ideale umano, un personaggio troppo variegato e intrigante per sopravvivere in questo mondo, fuori dalla pellicola. Soprattutto non è uno di quelli che sta a guardare mentre gli altri fanno, ma è uno che fa anche se gli altri stanno a guardare! Confusi? Niente paura: per comprendere le mie farneticazioni vi basterà visionare (o rivedere nel caso siate dei nostalgici recidivi) un film del 1967 intitolato “A piedi nudi nel parco” (Barefoot in the Park) e diretto da Gene Saks. Una commedia romantica tutto sommato scemotta se non fosse, appunto, per il personaggio di Victor Velasco che inocula in maniera provvidenziale nella “trama” un fattore di sana instabilità intorno alla quale ruota la (breve) “crisi matrimoniale” dei giovani protagonisti (Jane Fonda e Robert Redford): vivere pienamente gettandosi a capofitto nell’esistenza senza fare troppi calcoli oppure condurre una vita ponderata, sobria, abitudinaria? Victor Velasco non può esistere nella vita di tutti i giorni perché rappresenta la necessaria alternativa che sonnecchia in stato di quiescenza all’interno di quella “bolla idealistica” grazie alla quale sopravviviamo a noi stessi. Se esistesse veramente, a lungo andare diventerebbe noioso e inflazionerebbe l’ideale alternativo che incarna.
Chi o cos’è, dunque, Victor Velasco? È l’esistenza che riprende quota prepotentemente; è camminare lungo il cornicione di un palazzo per rientrare in casa; è l’arte di arrangiarsi ed essere felici; è non preoccuparsi di restare in piena notte senza mezzi pubblici perché tanto c’è già una nuova esperienza che ci aiuterà a occupare il tempo in attesa del mattino; è possedere un pezzettino di mondo dentro di sé e donarlo agli altri con gioia, senza farlo pesare; è non dire mai “basta!” oppure “per oggi sto bene così!” o altre frasi tipiche di chi ha paura di vivere fino in fondo; è sperimentare per sentirsi parte integrante del mondo e non come osservatori asettici dall’alto di un castello fortificato… Victor Velasco è un buongustaio che preferirebbe morire piuttosto che prendere pillole contro l’ulcera e rinunciare a certe esotiche prelibatezze gastronomiche; è un uomo di “cultura” non nel senso libresco del termine ma esperienziale. Essere Victor Velasco significa “provare tutto almeno una volta”; significa diversità e integrazione; significa autoinvitarsi a cena senza farsi troppi problemi o portare un gruppo di amici in un fumoso ristorante albanese senza licenza (“I quattro venti”) per gustare piatti provenienti dagli antipodi del gusto ordinario; significa sfidare il freddo e le convenzioni, e cantare “Shama Shama” (canzone popolare albanese) a New York tra una zuppa di fagioli greci e una bottiglia di ouzo con cui allentare i freni inibitori… “Andare a piedi nudi nel parco non è sensato, ma è divertente!” – dice la giovane sposina. Vivere senza compromessi, perché vivere è un’esperienza meravigliosa.
Darsi totalmente! Questo significa essere Victor Velasco, essere simili o tentare di essere simili a Victor Velasco. E sì, perché non è facile diventare come Victor Velasco: non dall’oggi al domani. Ci vuole allenamento, occorrono anni. E poi bisogna almeno una volta nella vita sentire il desiderio di essere Victor Velasco: altrimenti inganniamo noi stessi solo per fare colpo sugli altri, calandoci in personaggi che non ci appartengono interiormente.
I viaggi, gli eventi affrontati nel corso della vita, le storie da raccontare, le persone incontrate, le esperienze, le vite intrecciate, le tracce indelebili sulla pelle e nell’anima, i sapori, gli odori, i colori, le facce, i luoghi, le lingue, le usanze: tutto questo e molto altro ancora converge miracolosamente in un’unica persona eccezionale e rara che masticando e metabolizzando gli anni vissuti pienamente ripropone al prossimo la propria incommensurabile (non da tutti apprezzata, anzi per alcuni fastidiosa) joie de vivre. Istintivamente mi ritornano alla mente i versi della poesia “Non vorrei crepare” di Boris Vian:
“… Non vorrei crepare
Nossignore nossignora
Prima di aver assaggiato
Il gusto che tormenta
Il gusto più intenso
Non vorrei crepare
Prima di aver gustato
Il sapore della morte…”
E Charles Boyer, l’attore che interpretò il personaggio di Victor Velasco nel film del ’67, ebbe modo di assaggiare realmente (e non per copione) il gusto che tormenta… il sapore della morte. Esattamente come avrebbe fatto l’immaginario Velasco, anche Boyer non scende a compromessi con la non-vita: nel 1978, due giorni dopo la morte della moglie e con alle spalle l’oscuro suicidio del suo unico figlio (avvenuto nel ’65: due anni prima di interpretare la parte dello “spensierato” Velasco), Boyer decide di togliersi la vita con una overdose di barbiturici.
Una simile scelta può apparirci in netto contrasto con la gioiosa “filosofia di vita velaschiana” sopra descritta, eppure riflettendo con attenzione siamo addirittura in grado di rintracciare l’impeto vitale di Velasco nell’atto estremo di Boyer, perché come ci ricorda Martha Medeiros nella poesia, erroneamente attribuita a Pablo Neruda, “Lentamente muore”:
<<Lentamente muore chi non capovolge il tavolo…>>
Il Velasco che sopravvive in Charles Boyer decide di non voler morire lentamente e di voler capovolgere il tavolo della vita: paradossalmente in onore della Vita stessa! Come canta Franco Battiato nel brano “Breve invito a rinviare il suicidio”:
“… Questa parvenza di vita
ha reso antiquato il suicidio.
Questa parvenza di vita, signore,
non lo merita…
solo una migliore.“
Chi ha conosciuto la bellezza, chi ha amato, chi ha sperimentato la passione, chi ha gustato i sapori della vita, chi ha avuto il coraggio di trasformare la propria esistenza in un immenso banco di prova, non può accontentarsi di attendere il giorno successivo, quello che viene dopo e così via… fino alla fine.
1 agosto 2019 a 13:47
L’ha ripubblicato su Pomeriggi perdutie ha commentato:
Un personaggio intramontabile…
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1 luglio 2014 a 17:30
“Impeto vitale di Velasco nell’atto estremo di Boyer”? Un suicidio che non è un lento morire perché si è vissuti in un certo modo? Chiedo, non sto dicendo che è così, ma sono dell’idea che proprio..
“Chi ha conosciuto la bellezza, chi ha amato, chi ha sperimentato la passione, chi ha gustato i sapori della vita, chi ha avuto il coraggio di trasformare la propria esistenza in un immenso banco di prova..” non possa avere una fretta, una premura così impellente da decidere di “chiudere” così un’esistenza tanto piena.
Sarà sfuggito qualcosa in tutto ciò? Sarà sfuggito l’idea del DOLORE da affrontare, con il quale convivere, da anestetizzare? Sarà sfuggito che vivere significa anche soffrire? E non perché uno vuole essere negativo, masochista o altro. Si può essere molto positivi anche perché si è passati attraverso certi dolori, certe esperienze e si è stati capaci di superarle, di comprenderle e di capire che fanno parte della vita stessa, ma che si può dar loro un’importanza che non sia l’unica a determinare il nostro “essere ogni giorno positivi”.
Per spiegarmi meglio dovrei dire ciò che penso del “suicidio” e non va bene.. perché il tuo articolo è un inno alla vita!
Allora facciamo così.. mettiamo da parte dolori, esperienze negative ecc.. e afferriamo il messaggio positivo delle tue parole, perché c’è un bel messaggio tra le righe. 🙂
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1 luglio 2014 a 23:46
il mio era un approccio “epico” al suicidio sulla scia del personaggio Velasco… fortunatamente la maggior parte delle nostre vite è storia di “compromesso” tra l’ideale e il vero dolore quotidiano che metabolizziamo trasformandolo in oro… grazie per aver letto! 🙂
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2 luglio 2014 a 11:26
Grazie a te! 😉
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10 giugno 2013 a 05:24
è che sempre più spesso mi trovo a domandarmi quanto la” joie de vivre” di un individuo non intacchi quella di un altro essere che ne viene in contatto?
Quanto più l’altro conduca un’ esistenza fuori dai canoni, dalle righe, borderline ad una vita dissoluta e quanto, chi ha l’onore e l’onere di essergli affianco lentamente ad ogni suo bagliore : muoia?
Quanto la “joie de vivre” di una persona è meglio, per essere apprezzata, che ci stia lontana?
Nella normalità spesso confusa con la banalità c’è il grande vantaggio di non fare poi tanto male a chi ci sta vicino. Certo, forse non sono emozioni da montagne russe, forse non sono enormi salite e successive e vorticose discese da cuore in gola e adrenalina a mille.
Ma sono mille notti di cielo sereno, di mani nelle mani, di tempi lenti dove le parole buttate con faciloneria si ha il tempo perché vengano raccolte, corrette e riproposte in chiave diversa.
Una “joie de vivre” di fondo, che spesso non ci accorgiamo di avere perché meno apparente, meno forte, meno lampante, con_divisa con gli altri e non totalmente nostra.
Oserei dire la “joie di vivre” di chi “semplicemente”vive, lì dove vivere non diventa un accontentarsi del giorno che viene ma una prova quotidiana e coraggiosa di costruzione e ricostruzione di noi stessi con uno sguardo rivolto a chi ci sta vicino.
Sono le 05.20 nel mio pc: un felice risveglio 🙂
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10 giugno 2013 a 10:15
La notte porta commento… ops… consiglio. Riflessioni, le tue, che rappresentano sempre una sfida aggiuntiva… grazie! 😉
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25 giugno 2010 a 21:45
Una poesia in sintonia con lo spirito del post!
Grazie Rosa… 🙂
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13 giugno 2010 a 22:59
Ho buttato via quella cosa ridicola che chiamano “io”
e sono diventato l’universo.
*
L’erba paziente
accoglie
le foglie morte
*
Questo mondo
non e’un’altro
che quel piccolo
fior di gielso
*
Perche’ volere
la Luna
se hai dentro
tutta la luce
che emana
l’infinito?
*
Il cipresso
alza verso l’alto
il rumore
del silenzio
*
Prima di strapparti
i capelli
senti!
sotto il tuo cucino
canta un grillo
*
Rumore
fumo
cenere
noia
vacuita’
notte
maschera
trucco
piu’ rumore
ammarezza
follia
Cosa ne pensano le viole
nel dolce buco
della vera saggezza?
*
Ho buttato via
il peso inutile
che chiamano “io”
Ora posso godere
veramente
cosa sia ESSERE
fluire nel profumo
di mezzanotte
come in quello
del mezzoggiorno
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