L’uomo multitasking

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Essere multitasking oggi è diventato obbligatorio e sotto certi aspetti direi che rappresenta una necessità auspicabile. Lo stile di vita che c’è stato imposto dal progresso e che pensiamo di aver scelto, caratterizzato da molteplici opportunità e da vari livelli di libertà partecipativa, ci costringe ad esserlo, ma da questa moderna costrizione dettata dai tempi possiamo trarre una lezione filosofica positiva, ricavarne un metodo esistenziale in grado di educare il pensiero, trasformando il ritmo isterico del fare in elasticità culturale.

Prendo in prestito dall’enciclopedia online più famosa al mondo il significato del termine multitasking (traducibile in italiano nel più impegnativo “multiprocessualità”): <<In informatica, un sistema operativo con supporto per il multitasking permette di eseguire più programmi contemporaneamente: se ad esempio viene chiesto al sistema di eseguire contemporaneamente due processi A e B, la CPU eseguirà per qualche istante il processo A, poi per qualche istante il processo B, poi tornerà ad eseguire il processo A e così via. Il passaggio dal processo A al processo B e viceversa viene definito “cambio di contesto” (context switch)…>> Evito di entrare in un campo che non mi appartiene, quello informatico, ma decido di sfruttare questa definizione per parlare di “cose umane”. E precisamente rimango affascinato dalle ultime due parole della definizione citata: context switch. Utilizzare la stessa mente per più “processi” è un modo trasversale per conquistare la vera libertà, per essere ovunque, per evitare la dittatura in se stessi prima di preoccuparsi di quella esterna. Herbert Marcuse temeva un’umanità come quella descritta nel suo saggio intitolato “L’uomo a una dimensione”, ma la nostra attuale condizione multiprocessuale può da sola prevenire la monodimensionalità paventata dal filosofo tedesco? Dipende dalla quantità e soprattutto dalla qualità delle “operazioni”: il semplice fare molte cose o il pensare a molte cose potrebbe non essere sufficiente. Pensare alle faccende da sbrigare, portare l’auto dal meccanico, prendere i figli a scuola, portarli in piscina, dipingere, scrivere poesie, fare la spesa, mettere in ordine l’armadio e cucinare, non significa essere multitasking ma semplicemente “avere molto da fare”. La multiprocessualità è una condizione mentale e spirituale che coinvolge i saperi, il tempo, il sentire trascendentale, le culture lontane e dimenticate, i personaggi conosciuti o solo sognati, i contesti vissuti e non condivisi, e che porteremo con noi nella tomba, i cambi d’epoca all’interno del nostro breve esistere; è un qualcosa che ci permette di riprendere discorsi lasciati in sospeso nel passato per allacciarli a quelli cominciati da poco, di coltivare la solitudine e il senso di appartenenza; che unisce la spiritualità alla meccanica quantistica senza causare scandalo. Senza rinunciare a nulla.

Parola d’ordine di questo salvifico e frequente “cambio di contesto” è il verbo integrare ovvero rendere intero, completo il nostro essere già eterogeneo, senza attuare (quando è possibile) sostituzioni, traslazioni o tagli, bensì avendo il coraggio di aggiungere nuovo materiale da processare insieme a quello vecchio, facendo convivere esperienze e punti di vista considerati inconciliabili dalla maggioranza delle persone “di buon senso” che abbiamo al nostro fianco e che, come afferma lo scrittore Stanisław Jerzy Lec, sono le uniche che impazziscono. L’integrazione allontana i fantasmi legati al cambiamento e spegne le fiamme dei roghi.

L’aumento dei dati da gestire, però, richiederà un calcolo più complesso e causerà un ritardo nelle risposte, ma alla fine il risultato sarà soddisfacente. Come succede per le ombre cinesi, non è il groviglio di mani che conta ma la meravigliosa proiezione sulla parete.

L’essere indaffarati o impegnati in un movimento senza senso non ci salverà, perché come ricorda Franco Battiato nel brano intitolato La polvere del branco: <<Ci crediamo liberi, ma siamo schiavi, milioni di milioni di ombre sperdute, rumorosi andiamo per le strade alzando solo polvere…>> La vera ricchezza, la vera libertà che contrasta l’alienazione deriva dalla nostra capacità di far convivere il presente con il passato, le diverse sensibilità, intersecando gli interessi di ieri con quelli di oggi, i valori ereditati con quelli acquisiti, le ricerche antiche con le attuali, le nuove idee con quelle apparentemente inflazionate e bisognose solo di aria fresca. Utilizzando frequenze diverse a seconda del contesto. La sfida consiste nel vivere su più livelli senza alzare polvere!

11 Risposte to “L’uomo multitasking”

  1. […] passaggio da uno all’altro viene definito “cambio di contesto” (context switch)”. Per qualcuno è qui che il multitasking si può intendere in altro modo: senza frenesie e alternanze rapide, […]

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  2. […] La vita è inevitabilmente “multitasking”; in questa nostra particolare era storica, poi, lo è ancora di più a causa di un progresso del […]

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  3. L’ha ribloggato su Pomeriggi perdutie ha commentato:

    … essere multitasking o affogare!

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  4. […] passaggio da uno all’altro viene definito “cambio di contesto” (context switch)”. Per qualcuno è qui che il multitasking si può intendere in altro modo: senza frenesie e alternanze rapide, […]

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  5. Ho riletto volentieri l’articolo e mi viene da aggiungere un’ulteriore considerazione.
    Nel brano finale parli di “sfida” e continuo a concordare con ogni tua parola, ma aggiungerei che “sfida” è anche riuscire a selezionare, nel tempo, ciò che è solo polvere. “Sfida” è anche la capacità di scartare ciò che si è percepito come superfluo, ormai inutile, o superato.
    Una quantità di pensieri da aggiornare in continuazione, puntando sempre più alla “qualità”… La differenza in mezzo al branco, sempre impegnato e indaffarato, la fa la qualità del pensiero. Questo ci differenzia in mezzo ai vortici di polvere che ci circondano.

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  6. Destino Says:

    Video fantastico.. Questa canzone “mi distrugge”!!! 😉

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  7. Diamanda Says:

    No, non ci salverà affatto, concordo. Mi rendo conto di essere ripetitiva ma non riesco a non pensare e credere fortemente che invece fermarsi, o rallentare i il passo e concentrarsi a sentire il “silenzio” che spesso urla dentro di noi che spesso non è riconoscibile ma non è mai “vuoto”. E se mi permetti, una piccola nota per destino che non scrive mai banalità: hai ragione anche a me viene da dire che se così non fosse sarebbe un vero peccato ed è uno spreco. Una felice sera a voi, anime pensanti. Qui da me il cielo piange da stamattina…

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  8. Grazie a te per aver letto! p.s.: visto che gran video ho scelto? 😉

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  9. Destino Says:

    Concordo con ogni tua parola.
    “L’essere indaffarati o impegnati in un movimento senza senso non ci salverà..”, ma servirà ad allontanarci solo sempre più da “noi stessi”, da ciò che potremmo essere e che, così facendo, non saremo mai.
    E mi viene da pensare: “Che peccato, che spreco”!
    Grande Michele e.. grazie.

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