“Lo spirito del terrorismo” di Jean Baudrillard

Scritto in riferimento agli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti, questo saggio di Baudrillard (Raffaello Cortina Editore, 45 pagine) è utile anche all’interpretazione di alcuni aspetti riguardanti i recenti fatti terroristici di Brindisi (la bomba davanti alla scuola Morvillo Falcone) e prima ancora di Genova (la ‘gambizzazione’ di Roberto Adinolfi). Quali meccanismi comunicativi convivono intorno a un atto terroristico? Il terrorismo è un gesto orribile proveniente dall’esterno della società (come se fosse una sorta di azione aliena) o è un gesto ‘allevato’ inconsapevolmente all’interno di essa? (<<… perché il male è qui, è dappertutto, come un oscuro oggetto di desiderio…>> pag. 10). Il terrorismo, che piaccia o meno, è un sottoprodotto aberrante di questa società: non proviene da mondi lontanissimi; anche le istituzioni che s’impegnano a combatterlo, coloro che s’indignano e indignandosi diffondono le notizie relative all’atto terroristico, lo tengono indirettamente a battesimo.

<<… Siamo or­mai molto al di là dell’ideologia e del po­litico. Dell’energia che alimenta il terrore, nessuna ideologia, nessuna causa, neppure quella islamica, può rendere conto. È una cosa che non mira neppure più a trasformare il mondo, che mira (come le eresie nei tempi antichi) a radi­calizzarlo attraverso il sacrificio, mentre il sistema mira a realizzarlo con la forza. Il terrorismo, come i virus, è dapper­tutto. C’è una perfusione mondiale del terrorismo, che è come l’ombra portata di ogni sistema di dominio, pronto dap­pertutto a uscire dal sonno, come un agente doppio. Non si ha più linea di de­marcazione che permetta di circoscri­verlo, il terrorismo è nel cuore stesso della cultura che lo combatte, e la frattu­ra visibile (e l’odio) che oppone sul piano mondiale gli sfruttati e i sottosvilup­pati al mondo occidentale si congiunge segretamente alla frattura interna al si­stema dominante…>> (pag. 14-15)

L’atto terroristico nasce dal bisogno ‘moderno’ di essere ovunque grazie a un gesto eclatante, di comparire nella realtà di tutti noi per veicolare un messaggio globale e prepotente. Parlo di ‘gesto moderno’ in relazione al suo svuotamento ideologico che è direttamente proporzionale al progresso dei mezzi di comunicazione gestiti da quel sistema che s’intende sconfiggere con l’atto terroristico. Usare i media per colpire il sistema che li ha creati e per restituire al sistema una parte dell’energia negativa: <<… La tattica del modello terroristico consiste nel provocare un eccesso di realtà e nel far crollare il sistema sotto tale eccesso. Tutto il ridicolo della situazione e insieme tutta la violenza mobili­tata dal potere gli si ritorcono contro, perché gli atti terroristici sono insieme lo specchio esorbitante della sua stessa violenza e il modello di una violenza simbolica che gli è vietata, della sola violenza che non possa esercitare: quella della propria morte…>> (pag. 25)

(nella foto: il presunto attentatore di Brindisi ripreso da una telecamera)

I terroristi, ancor prima di accendere la miccia o di schiacciare il telecomando per la detonazione, sanno che in pochi secondi balzeranno agli onori della cronaca e utilizzano le immagini orribili diffuse dai media per raggiungere i propri obiettivi ‘comunicativi’; al tempo stesso il sistema riutilizza altre immagini per identificare gli autori di quei gesti condannati dall’opinione pubblica. L’immagine diventa così fattore patogeno e terapia, mezzo di offesa e di difesa, oggetto terrorizzante e contributo alla giustizia: <<… Di tutte queste peripezie a noi resta soprattutto la visione delle immagini. Dobbiamo conservare questa pregnanza delle immagini, e la loro fascinazione, perché le immagini sono, lo si voglia o no, la nostra scena primaria…>> (pag. 35) E ancora, insiste Baudrillard: <<… Tra le altre armi del sistema che gli hanno ritorto contro, i terroristi hanno sfruttato il tempo reale delle immagini, la diffusione mondiale istantanea di esse. […] Il ruolo dell’immagine è fortemente ambiguo. Perché nell’atto stesso in cui lo esalta, prende l’evento in ostaggio. L’immagine gioca come moltiplicazione all’infinito e, simultaneamente, come diversione e neutralizzazione… L’immagine consuma l’evento, nel senso che lo assorbe e lo dà a consumare.>>

Delegare l’interpretazione della realtà all’immagine significa deresponsabilizzare il pensiero: <<Che ne è allora dell’evento reale, se dappertutto l’immagine, la finzione, il virtuale entrano per perfusione nella realtà? […] Ma la realtà supera veramente la finzione? Se sembra farIo, è perché ne ha assorbito l’energia, di­venendo essa stessa finzione. Si potreb­be quasi dire che la realtà sia gelosa della finzione, che il reale sia geloso dell’im­magine… È una specie di duello tra loro, a chi sarà il più inimmaginabile. […] Perché la realtà è un principio, ed è questo principio che è andato perduto. Realtà e finzione sono inestricabili e il fa­scino dell’attentato è innanzitutto quel­lo dell’immagine. […] In questo caso, quindi, il reale si ag­giunge all’immagine come un premio di terrore, come un brivido in più. […] Questa violenza terroristica non è “reale”. È qualcosa di peggio, in un certo senso: è simbolica. La violenza in sé può essere perfettamente banale e inoffensiva. Solo la vio­lenza simbolica è generatrice di singola­rità. […] Lo spettacolo del terrorismo impone il terrorismo dello spettacolo. E contro questa fascinazione immorale l’ordine politico non può nulla.>> (pag. 36/40)

Eppure l’immagine non è la realtà: ne rappresenta solo il riverbero, l’eco. L’immagine è la traccia più affidabile della realtà, la più vicina, a volte l’unica a disposizione di chi si occupa di memoria e di ricerca della verità, ma è pur sempre un artificio, un’adulterazione della stessa. In base alle immagini separiamo il Bene dal Male, scegliamo da che parte stare, decidiamo contro chi combattere, ma questo non significa che possediamo la verità. E soprattutto: il terrorismo è sempre il risultato di un’azione contro il sistema o è un evento usato dallo stesso sistema per deviare e controllare l’opinione pubblica?

L’attentatore (o gli attentatori) di Brindisi realizza un meccanismo sofisticato per causare dolore e morte, e trascura la presenza di telecamere in grado di identificarlo. Si parla, spesso a sproposito, di “Grande Fratello” e di “deriva orwelliana” ovvero di un abuso della presenza tecnologica capace di effettuare un controllo asfissiante sui membri della società. Quando, in seguito, ci accorgiamo che quella stessa tecnologia può rappresentare un valido aiuto per la giustizia o addirittura un mezzo per salvare le nostre vite, dimentichiamo gli abusi, le proiezioni distopiche, le prepotenze del sistema, le visioni fantascientifiche. Forse il problema non è il controllo in quanto tale, che può risultare paradossalmente ‘utile’: la vera deriva orwelliana è contenuta nell’interpretazione delle immagini affidata ai gestori del sistema, nella loro capacità di disinnescare la realtà e di potenziare l’impatto di determinati atti terroristici per finalità che ignoriamo: <<… Qualsiasi violenza sarebbe loro perdonata se non fosse ripresa e amplifi­cata dai media (“il terrorismo non sareb­be nulla senza i media”). Ma tutto questo è illusorio. Non esiste uso buono dei media, i media fanno parte dell’evento, fanno parte del terrore, e giocano in un senso o nell’altro.>> (pag. 40-41)

2 Risposte to ““Lo spirito del terrorismo” di Jean Baudrillard”

  1. L’ha ripubblicato su Pomeriggi perdutie ha commentato:

    L’atto terroristico nasce dal bisogno ‘moderno’ di essere ovunque grazie a un gesto eclatante, di comparire nella realtà di tutti noi per veicolare un messaggio globale e prepotente.

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  2. pasric Says:

    un testo da leggere e diffondere.
    Onore a te che ne parli. Bravo.

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