Elogio dell’inutilità della letteratura

Riesaminando col senno di poi certe avventure editorial-letterarie, quanta fede cartacea percepisco al di sotto di quella cenere mnemonica, quanta ingenua leggerezza e quanta passione impiegata nei pomeriggi invernali di qualche anno fa, in cerca di visibilità e di immortalità… E’ tutto sprecato? Gli archivi dell’esperienza conservano gesti, idee, volontà, desideri, che un giorno ritorneranno utili. Forse…

Elogio dell’inutilità della letteratura.

A che “serve” una rivista letteraria? Probabilmente… a niente!
Facciamo due conti insieme: una rivista, soprattutto quando è letteraria, non sfama e non disseta; una rivista se bruciata nel caminetto produce una fiammata veloce che riscalda poco; non è l’ideale per incartare i regali perché generalmente le riviste letterarie sono in bianco e nero; dal punto di vista politico, tra una poesia ermetica e un saggio sul pessimismo leopardiano, non è proprio il luogo adatto su cui presentare i candidati di qualche elezione imminente con le loro ipocrite promesse falsamente positive sul futuro dei giovani e altre romantiche amenità pre-elettorali… Vediamo, ancora: una rivista letteraria dal punto di vista commerciale, soprattutto quando è trimestrale o quadrimestrale, non va assolutamente bene per le pubblicità di chi deve suggerire quotidianamente un prodotto da acquistare; non è adatta nemmeno per polemizzare in tempo reale o per preparare una rivoluzione a breve scadenza… Insomma: dal punto di vista pratico e realistico una rivista letteraria è proprio l’ultimo posto su cui consiglierei a un amico di depositare le esigenze più urgenti che lo affliggono in qualità di essere umano bisognoso di risposte veloci e sostanziose.
La rivista letteraria, in poche parole, è un luogo sperduto, senza tempo e dimenticato dall’homo faber che percorre – bontà sua! – le strade di una solare produttività tesa al benessere proprio e della società. E’ un luogo sì fisico, in quanto fatto di carta che può essere toccata, ma al tempo stesso immateriale, dietrologico, arrovellante, immaginifico, retrovisivo e quindi pericoloso; un simposio della parola da frequentare con parsimonia se non si vogliono perdere i contatti con quella realtà che ci educa alla sopravvivenza in uno stato materiale fatto di regole e ci omologa impedendoci di formulare a noi stessi alcune domande tramite il testo letterario (sia esso narrativo, poetico…).

E già, perché la rivista letteraria in genere ha questo effetto: pur essendo lontana dalle conseguenze socio-politicamente devastanti del cosiddetto “giornalismo d’assalto” che mette in piazza le negligenze dei politici (ir)responsabili e utilizzando alcuni “ingenui” scritti editi o inediti, ci induce a pensare e, se la rivista è buona, a renderci sensibili nei confronti di alcuni argomenti umani e umanizzanti, solo apparentemente lontani dalla letteratura e dalla scrittura creativa. Pensare, ho detto, ma addirittura andando a volte al di là del pensiero stesso ci permette di solcare i mari inesplorati dell’inconscio e della storia ufficiosa che emerge dal testo.
La rivista letteraria, come un buon libro o una musica che ascoltiamo con una certa partecipazione, consente al lettore di isolarsi per un attimo dal trambusto della vita quotidiana e, seguendo le angolazioni inusuali proposte dagli autori di turno, di penetrare l’intima trama dell’esistenza di certi personaggi irreali e, tramite loro, di indagare su noi stessi e sul nostro interagire sociale condizionato da passioni ideologiche, esperienze passate, speranze future…
La scrittura è fatta così: non assicura solidità materiale e non promette posti di lavoro. Ma annulla quelle incrostate connessioni con l’immanente dando a ognuno di noi la possibilità di volare!
E scusate se è poco.

Michele Nigro



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