Archivio per matrix

The Truman Show

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 20 Maggio 2018 by Michele Nigro

versione pdf: The Truman Show

dedicato a tutti quelli che

non hanno una telecamera nella testa

 

Davvero viviamo una vita decisa e organizzata da altri? O meglio, davvero crediamo di vivere la nostra vita, quella scelta da noi, di essere i timonieri delle nostre giornate, di conoscere chi siamo e perché ci troviamo in un determinato posto e non in un altro? Conoscenza e azione sono elementi inscindibili: l’una influenza l’altra; e in mezzo dovrebbe abitarvi un necessario risveglio. Alcuni tirando in ballo, giustamente, il “Mito della Caverna” di Platone, anche se nello show di cui ci apprestiamo a discutere, nessuno è materialmente incatenato. Infatti non c’è peggiore catena di quella mentale. Il libero arbitrio, in realtà, è una leggenda illuministica, basata su un’eccessiva fiducia in ciò che crediamo di sapere. L’autentica libertà si realizza quando giochiamo a carte scoperte, quando prendiamo le nostre decisioni dopo aver conosciuto tutte, o quasi tutte, le amare verità che accompagnano la nostra esistenza, al di là dei sensi e della dimostrazione scientifica. Al di là delle presunte verità religiose che ci vengono impartite fin dalla più tenera età: ci tranquillizziamo sapendo di essere stati creati da una divinità, che tutto è già stato deciso, che la nostra funzione su questa terra è già stata calcolata. Perché preoccuparci dunque? Perché cercare risposte, essere infelici aspirando a qualcos’altro? Ateo è chi non accetta la “sceneggiatura” scritta da un Creatore non televisivo.

The Truman Show, film del 1998 diretto da Peter Weir e interpretato dal bravissimo Jim Carrey, sembrerebbe essere la versione mainstream (e anticipatoria, almeno dal punto di vista della cronologia d’uscita delle pellicole) della Matrix – del 1999 – delle ormai Sorelle Wachowski. Una versione popolare, addolcita dalla implicita comicità di Carrey, ma non priva di implicazioni filosofiche scomode, dolorose, difficili da digerire: noi non conosciamo niente della nostra vita; per anni e anni portiamo avanti un copione che ci fa stare bene, né felici né infelici ma stabili, che rende morbido tutto il nostro andare, un cliché adottato senza battere ciglio. “Noi accettiamo la realtà del mondo così come si presenta, è molto semplice” afferma Christof, il creatore-regista del Truman Show, che con quel suo nome da redentore è in realtà garanzia di artificiosità e inganno.

Facciamo parte di uno spettacolo protettivo che ci accoglie fin dal primo vagito e, se nel frattempo non ci poniamo domande devianti, ci accompagna con dolcezza verso la tomba, lì dove saremo costretti finalmente a essere autentici, immobilmente noi stessi. Uno spettacolo forte di secoli, millenni di esperienza, di sovrastrutture collaudatissime, infallibili. Se Truman è inconsapevole del fatto di essere la star di uno spettacolo mondiale, noi siamo, eccome, coscienti del nostro essere controllati e monitorati: partecipiamo con le nostre “dirette” sui social al grande spettacolo messo in piedi dai vari Christof della new economy, dagli ideatori di un iperrealismo mediatico che sta fagocitando la semplice realtà (si legga, a tal proposito, il post “Cyberfilosofia” di Jean Baudrillard). Se non sei live non sei nessuno, se non rendi partecipi gli altri di ciò che fai e di dove sei (geolocalizzazione), non conti. Sei asocial. Se non sei in diretta, allora non lo stai vivendo! Se non entri anche tu nella Casa, se non ti confessi pubblicamente davanti a una telecamera, non farai mai la differenza. Ci caschiamo tutti prima o poi; tutti danno il proprio contributo, anche quelli che si credono “vergini”, asettici, ribelli, distanti, e si illudono di non fornire materiale al grande show. Persino i neoluddisti

Ma alla fine, contraddicendo il titolo di un romanzo della Mazzantini, “ognuno si salva da solo”: gli altri, questi famigerati altri che tiriamo in ballo ogniqualvolta non siamo in grado di prenderci le nostre responsabilità, possono solo assistere alla nostra esistenza, osservarla con i loro occhi di prigionieri liberi, in quanto essi stessi personaggi dello spettacolo, che ridono di noi perché inconsapevoli di esserlo.

Gli altri, gli ostruzionisti: quelli che ci frenano, ci ostacolano, ci convincono che non ce la possiamo fare, che dicono di conoscerci e noi dietro, come tante pecore, a credere che sia così. Ci fidiamo del loro giudizio. Ma il freno della nostra esistenza risiede davvero negli altri? O è dentro di noi? Il nostro esistere, in realtà, non interessa agli altri: il loro giudizio (o pregiudizio) serve solo a spostare, per un certo periodo di tempo (alcuni ci riescono per una vita intera) il metro di valutazione da sé stessi al mondo esterno, agli altri appunto. Per alleggerirsi l’anima, per non doversi confrontare con sé stessi, per viaggiare più comodi e veloci.

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Non può essere tutto qui!

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 luglio 2016 by Michele Nigro

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Piccole bitte calde di bar e libri

al centro del guardarsi appena

volatili porti sicuri di città

gioie passeggere sul corso

al tramonto del senso.

Brevi sprazzi meccanici

di sensualità metropolitana

al sapore di shopping.

 

Aperimorte e conforti

in fila alla cassa, latita

un vero progetto

la visione dall’alto,

un diverso sentire.

 

Prove di serenità

autunnale

troppo lontana

per salvarci,

costretti a vivere

l’ennesimo agosto

tra briciole di luce

e sotterranei valori.

 

Un’altra verità

palpita

come un panorama orfano

sotto i ciechi asfalti

della solitudine

al semaforo.

(l’immagine è tratta dal film “Matrix”)

Le domande da risveglio

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 11 dicembre 2014 by Michele Nigro

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RQM

(Rapid Question Movement)

Affacciata alla finestra di un nuovo giorno di quella sua strana vita, si poneva le solite, veloci, puntuali domande in attesa del caffè in risalita lenta dal freddo notturno: “che pianeta è questo? in che paese mi trovo? in quale città?”. E ancora: “che lingua userò oggi, la stessa di ieri? quali gesti? sono sicura di essermi svegliata o sto ancora vivendo in un sogno? chi o cosa può darmi la prova che questa sia la realtà? è tutto vero o è solo uno tra i tanti punti di vista imposti dall’abitudine al falso?”. Tutto quello che di crudo e apparentemente presente i suoi nervi ottici trasportavano verso l’area cerebrale deputata alla rielaborazione dei dati, erano sequenze create da un artista del nuovo realismo elettronico e ritrasmesse nella sua, diciamo così, ‘coscienza’ o si trattava di un breve momento reale sfuggito al controllo del programma giornaliero che stava caricandosi nei meandri del sistema nervoso? Non l’avrebbe mai capito perché il margine di differenza, se mai fosse esistito quel margine, era limitato e impercettibile: tutto sembrava lineare, consequenziale, coerente. Maledettamente coerente. L’unica sbavatura era contenuta in quel suo capriccioso dubbio mattutino, un istante, niente di più, fatto di domande bizzarre e gettate nella mischia del risveglio, così per caso, a minare le sicurezze depositate il giorno precedente nella banca del sapere ordinario. Ogni alba una rinascita, una nuova lotta tra verità e apparenza. “Perché tutto è così com’è, e non in un altro modo? Perché proprio così?”. Si sentiva orfana di un’alternativa interiore prima ancora che visiva. Solo pochi interminabili secondi e tutto sarebbe tornato alla normalità: il sangue, fluendo da una modalità orizzontale e onirica ad una verticale e militante, avrebbe ricondotto le domande nell’ordine voluto dal programmatore supremo dell’io. La luce e l’aria fresca, instancabili sentinelle del risveglio, avevano atteso pazienti l’apertura del vetro della finestra ricoperto dalla condensa di una notte senza ricordo, pronte a colpire come sberle mattiniere il volto dubbioso della dormiente in procinto di scrutare e ascoltare la strada e i suoi dintorni. Giovane donna a spasso con cagnolino, operai sul tetto del palazzo in costruzione, ululato del solito canide prigioniero al secondo piano, torre del ripetitore nella stessa posizione da decenni a diffondere presunti cancri elettromagnetici, cane randagio che gironzolando fa la pipì su una ruota scelta in base a precise regole chimiche, flottiglia di colombi in volo, panni stesi mossi dal vento, inutile vociferare dai garage sottostanti, camion della spazzatura in ritardo, auto parcheggiate sotto casa in un ordine somigliante a quello del giorno precedente, montagne con paesini tipo presepe sulla destra e orizzonte marino con traghetto in fase di attracco di fronte, quasi coperto del tutto da un’edificazione costante nel tempo. Le sequenze di quartiere e della visuale concessa in quel punto del mondo erano state rispettate anche quella mattina, salvo alcune variazioni per rendere realistico e originale l’impatto sensoriale, passando da un giorno all’altro, mentre le domande eversive sfumavano lentamente dalla sua mente come le immagini di un sogno vissuto ma non catturato. Per sempre perso ma pronto a ripresentarsi sotto altre forme, con altre effimere domande sospese tra sogno e realtà, tra una ricerca inquieta della verità e l’accettazione rassegnata di una realtà rattoppata e indossata. Forse avrebbe posto a se stessa quegli stessi interrogativi anche affacciandosi dalla finestra di un hotel del quartiere Shibuya di Tokyo. Chissà! Sequenze differenti, medesimi dubbi. E un giorno l’avrebbe sperimentato.

Un odore prepotente di caffè interruppe la ricerca della verità.

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Scegli la pillola rossa! Te lo chiede Michele.

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 4 Maggio 2014 by Michele Nigro

SCEGLI LA PILLOLA ROSSA

“Ghost in the Shell” NIGHT

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 13 febbraio 2014 by Michele Nigro

http://www.nexodigital.it/1/id_348/Ghost-in-the-Shell—NIGHT.asp

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Giuliano Brenna recensisce “Call Center”

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 Maggio 2013 by Michele Nigro

Giuliano Brenna, cofondatore insieme a Roberto Maggiani del sito letterario La Recherche.it, ha recentemente pubblicato una recensione al mio racconto social fantasy “Call Center”.

Segue un breve stralcio:

<<… Il protagonista, in un fitto dialogo fra sé ed un sé più profondo, che in corsivo gli parla sottolineando le brutture del sistema, va all’origine del sistema stesso, scende nel profondo dell’edificio che ospita il famigerato Call Center e nel mentre scende anche nel proprio profondo a trovare la risposta che gli preme. In un crescendo in bilico tra Kafka e Matrix il protagonista giunge alla radice del male, la quale sembra essere solo una delle numerose ramificazioni di una immensa ragnatela che ha inesorabilmente catturato l’uomo…>>

[la recensione qui presentata si riferisce alla prima edizione del racconto pubblicata nel 2013, non più disponibile; per leggere la seconda edizione (2018) “Call Center – reloaded”, andate qui!]

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In copertina: foto di Nigricante©2018; titolo: “Firestarter 2.0”

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“Cyberfilosofia” di Jean Baudrillard

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 17 Maggio 2012 by Michele Nigro

Apparentemente innocuo, composto da 45 pagine, “Cyberfilosofia” è una pubblicazione postuma (ed. Mimesis, collana Minima Volti – 2010) del filosofo “patafisicoJean Baudrillard (1929-2007), interessante, in alcuni punti volutamente ermetica e assiomatica, ricca di nuovi punti di vista stimolanti. Divisa in quattro capitoletti, l’argomentazione di Baudrillard ha il raro dono di utilizzare alcuni elementi tipici dell’immaginario fantascientifico per affrontare temi filosofici riguardanti la vita dell’uomo del terzo millennio: il simulacro e il suo sorpasso reso possibile dal vasto universo della simulazione e dell’iperrealtà; la differenza tra automa e robot (nel secondo capitolo intitolato “L’automa e il robot”); l’esegesi di “Crash” (titolo del romanzo di Ballard e del film diretto da David Cronenberg) nel terzo capitolo intitolato appunto “Crash” in cui Baudrillard, grazie alla sua speciale lente d’ingrandimento iperrealista, evidenzia la commistione esistente tra corpo organico e macchina, tra sessualità e tecnologia, la coincidenza tra l’automobile incidentata (simbolo del romanzo di Ballard) e il godimento puro; e infine il disimpegno definitivo di Baudrillard nei confronti del film “Matrix”: nel quarto e ultimo capitolo – “Decodificare Matrix, Le Nouvel Observateur intervista Jean Baudrillard” – viene spiegata una volta per tutte la distanza esistente tra il pensiero del filosofo francese e il messaggio contenuto nel film dei fratelli Wachowski.

Ma è nel primo capitolo – Tre ordini di simulacri” – che Baudrillard lancia le sfide più interessanti all’indirizzo del mondo fantascientifico. Esiste ancora una relazione tra l’immaginario e le nuove esigenze della science-fiction? Baudrillard non ha dubbi in merito: “… il buon vecchio immaginario della science-fiction è morto, e qualcosa d’altro, che non è più science-fiction, sta nascendo.” Una frase laconica che potrebbe mandare nel panico i puristi del genere e che invece costituisce una traccia affascinante per quei nuovi protagonisti della letteratura fantascientifica che amano indagare andando oltre i confini imposti da una definizione che sembrerebbe non prevedere contaminazioni (fra i pionieri di questo nuovo modo di reinventare la fantascienza, in Italia, sicuramente sono da annoverare i Connettivisti). Baudrillard afferma che in un mondo come quello attuale, in cui il modello, grazie alla simulazione, ha superato il reale diventando esso stesso un’anticipazione del reale, non c’è più spazio per “anticipazioni finzionali” e quindi per una trascendenza immaginaria. Per dirla in parole povere: la fantascienza, se vuole sopravvivere deve “morire”, orientarsi verso nuovi obiettivi, diluendosi in essi.

Superlativo il seguente brano tratto da “Cyberfilosofia”: <<La realtà poteva sorpassare la finzione: era il segno più sicuro del possibile gioco al rialzo dell’immagi­nario. Ma il reale non può sorpassare il modello, di cui non è che l’alibi. L’immaginario era l’alibi del reale, in un mondo dominato dal principio di realtà. Oggi è il reale che è diventato l’alibi del modello, in un universo retto dal principio di simulazione. Ed è paradossalmente il reale che è diventato oggi la nostra vera utopia – ma è un’utopia che non appartiene più all’ordine del possibile, perché non si può che sognarne come un oggetto perduto. Forse la science-fiction dell’era cibernetica e iperreale non può che consumarsi nella resurrezione “artificiale” di mondi “storici”, cercare di ricostruire in vitro, fin nei minimi dettagli, le peripezie di un mon­do anteriore, gli avvenimenti, i personaggi, le ideolo­gie passate, svuotate del loro senso, del loro processo originale, ma allucinanti di verità retrospettiva. Così in Simulacri di Dick, la guerra di Secessione. Gi­gantesco ologramma in tre dimensioni, dove la fin­zione non sarà più uno specchio teso al futuro, ma riallucinazione disperata del passato. Non possiamo più immaginare altri universi: la gra­zia della trascendenza ci è stata negata anche su que­sto terreno. La science-fiction classica è stata quella di un universo in espansione; trovava del resto le sue vie nei racconti di esplorazione spaziale complici del­le forme più terrestri di esplorazione e di colonizza­zione del XIX e XX secolo.>>

E poi, ancora, come a voler concretizzare definitivamente la sua sfida post-moderna: <<Non è più possibile partire dal reale e fabbricare l’irreale, l’immaginario a partire dai dati del reale. Il processo sarà piuttosto l’inverso: si tratterà di realizzare situazioni decentra­te, modelli di simulazione e di ingegnarsi a dar loro i colori del reale, del banale, del vissuto, di reinventare il reale come finzione, proprio perché il reale è scom­parso dalla nostra vita. Allucinazione del reale, del vissuto, del quotidiano, ma ricostruito, talvolta fin nei dettagli di un’inquietante estraneità, ricostruito come una riserva animale o vegetale, esposta alla vista con una precisione trasparente, e tuttavia senza sostanza, derealizzata in anticipo, iperrealizzata. La science-fiction non sarebbe più, in questo sen­so, un romanzesco in espansione con tutta la libertà e il naif che le derivano dal fascino della scoperta, ma piuttosto evolverebbe implosivamente, a immagine della nostra concezione attuale dell’universo, cercando di rivitalizzare, riattualizzare, riquotidianizzare dei frammenti di simulazione, frammenti di quella simulazione universale che è diventato per noi il mondo che si dice “reale”.>>

“Cyberfilosofia” è un libro che ogni scrittore di fantascienza dovrebbe leggere.

Pillola rossa o pillola blu?

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , on 28 settembre 2011 by Michele Nigro

<<… L’alienazione paventata da Marx e successivamente da Adorno e Marcuse, può essere combattuta o prevenuta solo con le armi moderne dell’auto imprenditoria materiale e “spirituale”, e paradossalmente i mezzi per realizzarla provengono proprio dal contesto socio-economico che vorremmo combattere. Un concetto omeopatico della lotta.

Ancora una volta si sente il bisogno di sottolineare che a dover essere corretti non sono gli strumenti bensì le coscienze: Internet è uno dei grandi protagonisti di questa trasformazione/rivoluzione.

Solo la rielaborazione autocosciente delle Regole (o delle abitudini), dunque, e non la loro indiscriminata distruzione (anarchia) o tacita applicazione (pigra disinformazione), libera l’Uomo dal cosiddetto “quieto vivere” e lo colloca in una Prima Linea impegnativa, a volte impopolare ma soddisfacente sulle lunghe distanze.

Accettare il mondo così com’è e senza porsi domande oblique forse è l’unico modo per essere felici: ma si tratta di una felicità geneticamente modificata, che non appartiene alla vera storia dell’Uomo che si mette in gioco sperimentando (“Io so che questa bistecca non è vera, ma accidenti se è buona!” – fanno dire al traditore di turno i registi di “Matrix”, i fratelli Wachowski. Scegliere di vivere tranquillamente nutrendosi delle verità fornite dalla matrice oppure no? Scegliere la desertica realtà o la pubblicità? Pillola rossa o pillola blu? La rivoluzione culturale è un dono facile o una scelta difficile da conquistare tramite l’autoconsapevolezza?).>>

(da “La bistecca di Matrix”, pag. 9-10)

Uccidiamo Babbo Natale!

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 30 novembre 2010 by Michele Nigro

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Puntualmente, come ogni anno, la nevrosi natalizia miete più vittime del virus influenzale: vittime psicologiche. Il meccanismo “Capodanno-SanValentino-Pasqua-Pasquetta-Compleanno-VacanzeEstive-Ferragosto-RitornoaScuola-Onomastico-TuttiiSanti-2Novembre-Immacolata-Vigilia” giunge al suo ciclico completamento annuale grazie alla festa del Natale che di festoso non ha più nulla. La nevrosi commerciale ha fagocitato il significato degli eventi e i parametri della vera felicità sono stati cancellati dalla Pubblicità.

“Ipermercati”

Cattedrali colorate e sferraglianti di carrelli che sorgono nei deserti della solitudine umana: gli ipermercati.

Presenza costante nei pomeriggi mesti di famigliole con stipendi fissi e solitari esploratori delle abitudini umane. Interminabili file di bottiglie uguali, come i metameri di un lungo mostro strisciante, accerchiano la mente di orde moderne travestite da cittadini civili del terzo millennio. Come personaggi di una ancestrale scena di caccia senza sangue e senza foreste antiche.

I gironi dell’insoddisfazione offrono di tutto: pacchi famiglia di inutilità e offerte speciali sull’impossibile.

E come gli ingranaggi di un orologio, giriamo sincronizzati alla ricerca del nulla.

Arrotondamenti speciali ci convincono della convenienza e noi intenti a riempire i nostri marsupi di ferro al suono di una musica sottopelle che copre l’urlo della verità.

Ipermercati: oasi di luci psicotrope e di scenografie hollywoodiane pensate da architetti che fanno la spesa nei mercati rionali.

Una sensuale voce femminile annuncia l’apertura del nuovo reparto dedicato all’esoterismo e per attirare la gente, una signorina presa in prestito da Salsomaggiore distribuisce gratuitamente e cordialmente bustine di incenso satanico per messe vudù.

<<… Supermercati coi reparti sacri

che vendono gli incensi di Dior…>> [1]

“C’è di tutto!” – afferma istericamente una di quelle donne sessualmente inappagate e insoddisfatte del proprio matrimonio, che per sfogarsi passano la cera sul pavimento di casa alle cinque del mattino.

E un pensionato: “… è una vita che la cerco!…”- senza riferirsi a un amore di gioventù, mostra a un “collega” una chiave per bulloni numero 31 nel reparto “fai da te”.

In queste città di traffico e di immondizie spirituali, ognuno cerca la propria dimensione di apparente perfezione. E le ore passano, passano, passano…E siamo inebriati dalla possibilità di avere tutto anche se è di niente che abbiamo bisogno. Un proverbio buddista afferma: “una stanza non è mai veramente vuota se la tua mente è piena”. Negli ipermercati accade il contrario: “se la tua mente è vuota, gli ipermercati la riempiono”. La riempiono, sì… Ma di cose sbagliate!

Intanto nel “reparto pane e affini” un Beethoven in sottofondo attira squadroni di carrelli alla ricerca di carboidrati dalle forme strane che presto diventerà duro e immangiabile. Immemori di ciò che abbiamo già a casa, compriamo l’inimmaginabile. Mentre sensuali diavolesse in divisa ci sorridono dalle loro postazioni in difesa dei gironi danteschi a cui sono state assegnate. E noi giriamo, giriamo, giriamo: fino a quando non scontiamo le nostre colpe su questa terra di consumatori. Vittime legalizzate della Terza Rivoluzione Industriale.

Bambini ipnotizzati corrono eccitati alla ricerca dei genitori per convincerli a comprare l’ultimo gioco quadridimensionale della playstation: l’illusione nell’illusione. E i genitori sempre più stanchi li accontentano sperando di sedare per le prossime ore l’energia incontenibile dei loro rampolli.

Qualcuno mangia una pizzetta e beve una coca nell’area di sosta prima di accendere la freccia e immettersi nuovamente sull’autostrada che porta verso altri reparti inesplorati della “galassia consumo”. Un nuovo sport si affaccia sulle nostre vite di quartiere: lo “shop trekking”. Chilometri percorsi a piedi come in una processione laica e confusa che porta in giro la fede nel bisogno.

Se vi dovesse capitare di sbirciare nei depositi degli ipermercati, notereste pattuglie di commessi indaffarati che scaricano lotti inscatolati di prodotti appena rigurgitati dalla madre-industria. Come gli operai che lavoravano nelle caldaie del Titanic, questi commessi alimentano la macchina delle nostre voglie inutili.

La nuova piazza italiana è l’ipermercato.

La gente si incontra felice, discutendo sulle esigenze gastronomiche delle loro famiglie e qualcuno tenta un approccio nel reparto biancheria intima con una bionda mozzafiato. Una coppia di anziani cerca pezzi teneri nel reparto carni per fare un bollito e una madre confusa mi chiede che differenza c’è tra un cd da 700 Mb e uno da 80 minuti.

Se potessi vedermi dall’alto, mi immaginerei come il personaggio del film “Matrix” alla ricerca di un perché che giustifichi tutto questo. Siamo veramente noi che ora giriamo tra le muraglie cinesi di questo ipermercato o siamo burattini collocati nella scenografia di un programma di cui non siamo consapevoli? O meglio: io volevo venire realmente in questo ipermercato oppure mi è stato ordinato da un operatore invisibile? Anche mentre faccio la spesa si ripropone irriverente il tema del “Re del mondo”… E mentre fantastico su queste domande da esoterismo casereccio, mi accorgo che un padre di famiglia sta ponendo nel proprio carrello un “sacchetto di terra”. È la fine! Una volta la terra era di tutti e per averla bastava aprire la porta di casa. Spesso nel corso della storia si è dovuto combattere per ottenere un pezzo di terra e ora con una carta di credito te ne porti un sacchetto a casa.

Il colpo di grazia lo ricevo nel reparto libri: come un’oasi in un deserto, mi appaiono gli scaffali pieni di libri… Ma mi accorgo subito che è un bluff. Anche i libri sono prigionieri tra i surgelati e i detersivi, tra colluttori alla stracciatella e preservativi fosforescenti. Cerco di aprirne qualcuno, ma il contrasto con la voce che annuncia i polli allo spiedo fa cadere le letterine dalle pagine e così i libri diventano pezzi di carta bianca chiusi nelle bottiglie di un pomeriggio naufragato.

Fuori piove! Si sente ancor di più l’esigenza di restare tutti uniti in questo posto caldo e confortevole. Uniti nell’inconsapevolezza di un’alienazione strisciante. Una cosa è certa: nessuno di noi morirà di fame stasera!

E intanto le casse risucchiano fiumi di carrelli ripieni. Signorine stanche e automatiche chiedono la stessa cosa milioni di volte: “… busta?…” Ormai per loro ogni volto è uguale a quello di prima e a quelli di ieri. Siamo esseri amorfi destinati a pagare queste ore di “felicità” e forse nemmeno un rapinatore che urli – “fermi, questa è una rapina!” – riuscirebbe a smuovere l’inesorabilità di questo momento.

Sul perimetro del mio ipermercato ci sono anche negozi di gioielli e un’agenzia di viaggi… C’è veramente tutto! Vorrei entrare nell’agenzia di viaggi per comprare un biglietto e fuggire lontano da questo inferno glassato. Ma mi accorgo che anche la mia fuga farebbe parte di un’enorme operazione commerciale. E allora? Allora dobbiamo ridimensionare il concetto di “bisogno” ed essere come monaci buddisti in questo Tibet occidentale invaso dalle truppe rosse dell’impero commerciale. Sviluppare un autocontrollo per non cadere nel vortice di gesti che non ci appartengono. Allenarsi alla respirazione yoga tra gli scaffali dei vari reparti e divenire “illuminati” mentre centinaia di carrelli ci sfrecciano accanto alla ricerca del superfluo. Rivedere la propria vita al rallentatore.

Il vero potere è non comprare nulla nell’impero del tutto.

La vera forza è questa.

——————————

[1] Tratto da “Magic Shop” di Franco Battiato – album “L’era del cinghiale bianco”; EMI 1979

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