Archivio per viaggi spaziali

Non andammo mai su Plutone

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 16 luglio 2015 by Michele Nigro

pluton600

La fede laica nell’immagine

ritardato tocco telemetrico

paziente dialogo con il mortale creatore.

Ceneri sparse su un dio lontano

nuovi orizzonti della fantasia

che abita luoghi impossibili.

Lunghi viaggi, oltre la morte

per catturare l’origine del tutto.

Hüzün

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 1 febbraio 2015 by Michele Nigro

 

The Looking Glass

Un’insperata luce lunare

irrompe da uno squarcio tra le nuvole

illuminando

lembi familiari di solitudine.

Il cielo libero, stellato

ebbro d’aria ventosa

graziato da tempeste in fuga ad est,

celesti luminarie

giungono in ritardo

sulla rassegnata soglia dell’uomo televisivo

ambasciatrici di folli speranze notturne.

Gli occhi d’istinto

abbandonano la terra cara e meschina

gli atavici affanni

seguendo quel tenue richiamo dal cosmo

silenziosa traccia di padri non umani

divini antenati viaggiatori dell’universo.

Senti di non appartenere a questo mondo

inconsapevole tortura è il vivere

di chi vuole tornare a casa.

Nostalgici senza memoria

cercano nell’oscurità del tempo

l’origine di una mancanza.

Hüzün: “… Nel Corano questa parola sta ad indicare lo stato d’animo determinato da una grave perdita spirituale e dal distacco irreversibile da una persona amata. Il concetto è stato ripreso nella filosofia sufi per indicare l’emozione generata dalla consapevolezza dell’incolmabile distanza tra l’uomo e Dio. Tale sentimento è tuttavia estremamente positivo, poiché è visto come una condizione esistenziale necessaria per intraprendere il cammino mistico di riavvicinamento alla divinità…” (fonte)

“Interstellar” vs “2001: A Space Odyssey”

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 novembre 2014 by Michele Nigro

bowman vs cooper

Space irony

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 Maggio 2014 by Michele Nigro

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L’ironia dei viaggi spaziali

rielabora la struttura culturale,

porti con te quello che sei, verso confronti inediti

oltre i confini gravitazionali della tradizione terrestre.

Le conquiste evolutive della specie

e la classifica individuale delle priorità,

avanzi nel cosmo retrocedendo, ricominciando dal nulla.

Cambia la forma del corpo e del pensiero,

il bagaglio essenziale diluito in mari alieni

segna l’anno zero di una nuova storia.

Insinuazioni bibliche su “Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma”

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 13 Maggio 2014 by Michele Nigro

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Insinuazioni bibliche su

“Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma”

(le misteriose nascite di Gesù il Nazareno e Anakin Skywalker)

La saga fantascientifica di “Guerre Stellari” possiede una struttura eterogenea e attinge elementi da varie fonti; in particolare è disseminata di riferimenti biblici velati o palesi: le frequenti ambientazioni desertiche in ricordo del “deserto dei padri” di origine veterotestamentaria e il deserto come luogo di ricerca spirituale silenziosa, di isolamento e di espiazione, di passaggio, di sospensione storica e di attesa (ad es. il vecchio “Ben”, Obi-Wan Kenobi, in “Star Wars Episodio IV – Una nuova speranza”); l’aridità del pianeta Tatooine, e le sue abitazioni povere, ricordano alcune zone della Palestina ai tempi di Gesù il Nazareno; l’Impero Galattico di Darth Sidious è molto simile all’Impero romano di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto; Coruscant è come Roma caput mundi, o sarebbe meglio dire caput universi, con tanto di Senatus Populusque Romanus in versione galattica… Numerosi anche i riferimenti alla cultura religiosa cristiana: ad esempio l’organizzazione dei Cavalieri Jedi ricalca in molti punti quella monastico-spirituale di certi ordini religiosi cavallereschi (o religioso-militari) appartenenti alla nostra cristianità medievale (anche se le spade laser dei Jedi ricordano di più le katana, le tradizionali spade giapponesi utilizzate dai samurai). L’obiettivo di George Lucas non è stato certamente quello di riproporre in chiave science fantasy la storia contenuta nella Bibbia (lo dimostra il fatto che nella saga convergono, come già ricordato, più elementi eterogenei, non solo di natura biblica, provenienti da culture e tempi differenti, e da fonti letterarie e cinematografiche differenti), ma di sicuro ha, per così dire, “preso in prestito” alcuni elementi di origine biblica. Il più importante dei quali è contenuto nel primo film della trilogia prequel intitolato “Star Wars Episodio I – La minaccia fantasma” che, come gli estimatori della saga sanno, affronta in maniera approfondita, a distanza di circa vent’anni dalla proiezione nei cinema degli episodi IV, V e VI, i fatti “storici” e le vicissitudini personali dei protagonisti che sono alla base delle avventure descritte di seguito nella cosiddetta “trilogia originale”.AnakinShmi
In “Star Wars Episodio I” la madre del piccolo Anakin Skywalker, Shmi Skywalker, confida al maestro Jedi Qui-Gon Jinn che Anakin non ha un padre, che il suo concepimento è stato un inspiegabile miracolo, frutto presumibilmente della cosiddetta Forza, un’energia onnipresente che pervade e sostiene l’intero universo, e ad opera dei midi-chlorian di cui si dirà tra breve. La scienza ha fornito un nome poco romantico a questo fenomeno presente in natura tra alcune piante e animali: partenogenesi, ovvero riproduzione verginale, quando lo sviluppo dell’uovo avviene senza che questo sia stato fecondato.
Dice Shmi:

<<Non c’è stato un padre.
Io l’ho portato in grembo, l’ho fatto nascere, l’ho cresciuto.
Non so spiegare cos’è successo…>>

Questo evento straordinario non può non richiamare alla mente il dogma religioso, citato nella Bibbia, riguardante il cosiddetto concepimento verginale di Gesù da parte di sua madre Maria, scelta da Dio per mettere al mondo il proprio tumblr_m50xvc0XXf1rpl92qfiglio. Le differenze tra i due concepimenti, a ben vedere, sono irrilevanti (i recenti avvicinamenti, confermati più dalla scienza che dalla religione, tra spiritualità e meccanica quantistica ci suggeriscono un’interessante indistinguibilità tra il concetto di “divinità” tipicamente intesa e quello di energia “intelligente”): in entrambi i casi le cause del concepimento, in un certo modo, sono “conosciute”. Il Dio degli Ebrei e la Forza nella saga di “Star Wars” sono punti di riferimento insostituibili nella concezione dell’universo e comunemente accettati. Nel caso della Forza, però, interviene anche una sorta di spiegazione scientifica a supporto della struttura mistica che caratterizza la fede dei Cavalieri Jedi: i midi-chlorian, forme di vita microscopica che vivono intumblr_inline_mzm5ltF1sj1r2ai2c simbiosi all’interno delle cellule di tutti gli esseri viventi e che permettono la percezione della Forza, come se fossero una specie di ponte tra gli esseri viventi dell’universo e la Forza stessa, la connessione tra la mente di un individuo e la Forza. I mistici di tutte le religioni del nostro mondo, non possedendo i midi-chlorian inventati per la saga di “Star Wars”, hanno dovuto affidarsi ad altri “ponti”, sviluppando altre facoltà spirituali meno fantasiose ma altrettanto portentose. In comune tra i Cavalieri Jedi e i nostri mistici vi è l’annullamento del pensiero in favore della percezione. Come insegna il maestro Qui-Gon Jinn ad Anakin:

<<Senza i midi-chlorian non esisterebbe la vita, e noi non saremmo consapevoli della Forza. In ogni istante essi ci parlano, comunicandoci il volere della Forza. Quando imparerai a placare la mente, sentirai che ti parlano.>>

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Il Prometheus di Ridley “Scottex”

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 19 settembre 2012 by Michele Nigro

Il Prometheus di Ridley “Scottex”

(10 piani di morbidezza fantascientifica)

Gridava Nanni Moretti nel film “Aprile”: <<Osate! Levate la macchina da presa dal cavalletto e osiamo stilisticamente: vai con la macchina a mano tra i manifestanti…>>. Mentre esco dalla sala 1 del cinema dove hanno appena finito di proiettare in 3D il tanto atteso “Prometheus”, giungo drasticamente alla conclusione che il blasonato regista questa volta non ha osato. Ridley Scott verrà ricordato per altre cose, ne sono certo. Così come avviene in letteratura, anche nel mondo del cinema le vere idee rivoluzionarie capitano una volta ogni quindici o addirittura trent’anni: tutto quello che viene prodotto nell’intervallo temporale tra due idee rivoluzionarie non è nient’altro che il riverbero consumistico della penultima idea. Risultato di un sapiente lavoro di copincolla che può stupire solo chi è, riferendomi al film di cui sopra, fantascientificamente vergine.

Già negli anni ottanta in una diffusa pubblicità riguardante una marca di televisori l’attore affermava: “Noi siamo scienza, non fantascienza!” Come a voler dire che nella fantascienza i contenuti non valgono, l’importante è stupire con effetti speciali per soddisfare il bisogno di evasione del telespettatore medio. Evadere per non pensare, facendo leva sulla mancanza di memoria degli appassionati del genere. O almeno così credono in tanti.

Un po’ di Alien, un po’ di Visitors… Un po’ di Stargate, un po’ di Contact… Se Ridley Scott fosse vissuto nel medioevo, probabilmente lo avrebbero messo a costruire mosaici in qualche cattedrale. “Meglio essere morbidi e accontentare tutti i palati” si sarà detto il regista britannico. Voglio essere onesto: il film mi è piaciuto, non è stato sgradevole. Ma tornando a casa non mi sono attaccato al computer, come durante una notte insonne a causa dell’entusiasmo innescato dalla visione di un grande film, per cercare notizie e approfondimenti su una storia che è già stata scritta e disseminata in precedenti opere cinematografiche.

Inflazionato è l’accostamento tra la scoperta archeologica e la conseguente missione in angoli sperduti dell’universo come è già accaduto in Stargate o addirittura in 2001: Odissea nello spazio; abusata è l’idea dell’invito alieno (o presunto tale) a raggiungere altri mondi o della difficile convivenza, a volte, tra fede religiosa e scienza: vedi Contact di Zemeckis; unte e bisunte le scene di esseri mostruosi che spuntano fuori dalla pancia dei malcapitati, in stile Alien (il vero capolavoro del nostro regista che, come si dice in questi casi, fece epoca); riciclata la presenza dell’androide David che ricorda in maniera spudorata i meno attraenti Ash e Bishop di Alien. Peter Weyland, l’anziano presidente della Weyland Corporation, ricorda per certi versi l’eccentrico finanziatore, il signor Hadden, del film Contact.

[SPOILER] Abbiamo le scatole piene del sacrificio estremo e doveroso da parte di un singolo o addirittura di un intero equipaggio eroico e altruista (vedi Armageddon e molti altri film con “sacrificio finale” per salvare questa cazzo di Terra che non so fino a che punto meriti di essere salvata!); non offre niente di nuovo il mostricciattolo simile all’Alien di Carlo Rambaldi dell’ultimissima scena, anche se giustificato dal fatto che inizialmente s’era pensato di fare con Prometheus un prequel di Alien. Ricorda troppo la scelta finale del Jim McConnell di Mission to Mars la partenza della dottoressa Elizabeth Shaw a bordo di un’astronave aliena, non più alla ricerca della verità sulle origini dell’umanità ma sul perché dell’odio degli Ingegneri nei confronti del genere umano (è un po’ come se un gay andasse da solo a chiedere in una tana di naziskin il perché del loro odio nei confronti dei diversi). Lasciando così intravedere la possibilità di un sequel. [fine SPOILER]

I personaggi sono dotati di scarso spessore: quasi insignificante, direi passivo, quello di Meredith Vickers, pur essendo interpretato dalla bellissima Charlize Theron; mentre è assolutamente improponibile un paragone tra la “tosta” Sigourney Weaver e la “dolce” Noomi Rapace. Alla fine il personaggio più interessante è sicuramente l’androide David, anche se il suo comportamento ambiguo, oscillante tra l’obbedienza all’uomo, suo “creatore”, e il rispetto di ordini impartiti dal vero proprietario dei suoi circuiti, ricorda troppo quello del computer HAL 9000 del 2001 di Kubrick.

Insomma dove sono le idee nuove? Forse sono rimaste seppellite sotto tonnellate di effetti speciali e nessuno ha più la forza e l’energia mentale di scavare, per cercarle.

Un paio di consigli: evitate gli “ingegneri”, soprattutto quelli terrestri, e smettetela di interpretare tutti i “disegnini” che trovate nelle caverne! Può darsi che vi vengano nuove idee…

Saluti da Marte!

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 14 agosto 2012 by Michele Nigro

Sorseggiando un caffè, comodamente seduto davanti allo schermo del mio pc, osservo le prime foto inviate dal rover “Curiosity” e provenienti dalla superficie del lontano pianeta rosso, meglio conosciuto come Marte. Le immagini del quarto pianeta del sistema solare non sono una novità: già altre sonde e altri robot, durante passate missioni, hanno inviato scatti suggestivi. A dir poco commovente e trasudante romanticismo è, ad esempio, la foto di un tramonto marziano inviata dal rover Spirit nel 2005.

L’immagine (non importa se a bassa o ad alta risoluzione), più di ogni altro freddo dato strumentale di tipo numerico, è in grado di creare un contatto reale e immediato tra ciò che sembra impossibile e lontano, e la nostra quotidianità apparentemente scontata e conosciuta. L’immagine non ha bisogno quasi mai di interpretazioni: un tramonto è un tramonto, una roccia è una roccia, la polvere è polvere anche su altri mondi. Un tempo, quando le cartoline spedite dai luoghi di vacanza, prima dell’avvento dei videofonini e degli mms, andavano ancora di moda, i parenti costretti a rimanere a casa ricevevano, con tanto di firma e di eventuale post scriptum, la prova tangibile e inconfutabile della nostra presenza nel luogo desiderato e raggiunto. Come a voler dire “Eccomi arrivato!”, “Sto bene!”, “Vedi in che posto mi trovo?”, “Il viaggio è andato liscio!”…

Prima dell’era delle esplorazioni spaziali l’immaginario collettivo si nutriva di descrizioni fantasiose ed esagerate partorite dalla penna di alcuni audaci scrittori di genere: fu anche grazie a questi voli pindarici se la scienza riuscì in certi casi a trovare la forza e le soluzioni giuste per superare determinati punti oscuri. La fantasia spesso ha suggerito forme, sistemi, idee: la tecnologia ha creduto di saper trovare una serie di risposte dal nulla, ma anche l’immaginario di inventori e costruttori era già stato precedentemente inseminato dai fotogrammi mentali di pochi folli visionari dediti alla scrittura e all’arte del disegno. Tutto ciò è durato fino a quando la scienza non ha cominciato ad accumulare dati e tra questi una serie corposa di immagini provenienti dai nuovi mondi scoperti ed esplorati. Da questo punto in poi è stata la realtà visiva, corroborata dai dati strumentali, che ha cominciato a nutrire (e a correggere) la fantasia. C’è stata come una sorta di scambio di favori tra la realtà oggettiva e la fantasia.

Nelle foto inviate dal rover “Curiosity” non troviamo traccia del pianeta Marte descritto da Ray Bradbury nella sue “Cronache marziane” o nel film “Atto di forza” di Paul Verhoeven. Il pianeta immortalato dai robot della NASA è un pianeta “nudo”, deprivato della fantasia popolare e delle sovrastrutture immaginifiche di cui avevamo bisogno negli anni ’50 e ’60 dello scorso secolo. La realtà è questa: prendere o lasciare! E noi prendiamo. E nell’accettare questa realtà “resettiamo” la nostra fantasia per ricalibrarla in base a nuove esigenze scientifiche, per assecondare nuovi parametri di ricerca: non più marziani verdi con gli occhi sulle antenne ma “semplici” molecole organiche; non più città sotterranee appartenenti a civiltà estinte ma gas e acqua… L’esperienza di “Curiosity” continuerà a ridisegnare un nuovo metodo induttivo da applicare alla planetologia: l’umiltà dei particolari fisico-chimici quasi impercettibili contro l’illusione letteraria di popolazioni extraterrestri già belle e pronte per il primo contatto. La cultura d’evasione si trasforma in fantasia controllata e scientificamente coerente.

Eppure lo scrittore, a differenza dello scienziato che analizza dati in maniera rigorosa e su di essi basa ogni tipo di conclusione, si accontenta di poco per ripartire: la sua “subcreazione da scrittoio”, facendo leva sulla visione di una catena di montagne marziane o di una landa sassosa priva di vegetazione, ridona vitalità a una fantasia apparentemente sottomessa e silenziosa. E a quel punto gli basterà poco. Basterà la notizia della presenza di acqua su Marte per ritornare a immaginare oceani, per riabitare foreste e ridiscendere fiumi, per concepire forme di vita senzienti nascoste tra le colline, per trasformare il semplice silenzio inorganico in un complesso rumore biologico; sarà sufficiente il rilevamento di un composto organico nel suolo per reinventare esistenze scomparse e per ritornare finalmente a raccontare storie.

Buon lavoro “Curiosity”!

L’addio

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 18 marzo 2012 by Michele Nigro

Al di là del campo di forza usato in sostituzione dell’antico materiale chiamato vetro, Giove appariva enorme, paterno, costante come un pensiero silenzioso ma prepotente. Testimone gassoso e muto di migliaia di vite sospese nel vuoto. I colori crema e marrone della sua atmosfera, impegnata in bizzarre formazioni cicloniche e anticicloniche, inducevano alla meditazione.

Il “Belvedere”, come era stato ribattezzato il ponte di osservazione della stazione orbitante adoperando un termine d’antan ripescato dagli archivi linguistici, era il luogo preferito dagli abitanti della Jupiter IV, frequentato dai civili e dall’equipaggio in libera uscita.

Ilia e Decker, seduti su una plexi-panchina attendevano, come erano soliti fare durante i momenti di pausa dai loro rispettivi lavori, la comparsa della Grande Macchia Rossa sull’orizzonte gioviano. Senza dire una parola e rispettando le esigenze rotatorie del grande pianeta, fissavano fiduciosi lo spazio siderale.

“Eccola!” – Ilia interruppe il silenzio con l’entusiasmo di chi osserva per la prima volta un nuovo fenomeno. La Grande Macchia Rossa apparve lentamente: una tempesta di metano e ammoniaca nell’atmosfera di Giove che in passato aveva fatto da leit motiv afono ai baci appassionati dei due giovani amanti, nonostante i divieti di prossimità in luogo pubblico vigenti nella stazione. Ma non in quella occasione. Quella volta non c’era spazio per l’intimità, ma solo per una controllata disperazione.

“Sei proprio decisa?” – domandò per l’ennesima volta Decker continuando a far finta di osservare la Grande Macchia Rossa che intanto era completamente riemersa dall’orizzonte.

“Sì. Conosci le mie intenzioni… E vorrei sentirti vicino in questo momento, anche se si tratta di una prova dolorosa per te.”

“Ilia, non puoi chiedermi di approvare la tua partenza! Lo sai che già mi manchi?”

“Decker, è una grande prova anche per me.”

“Allora resta!”

Ilia non rispose ma alzandosi dalla plexi-panchina si avvicinò al campo di forza che la separava dal baratro siderale, come se quei pochi metri le permettessero di vedere meglio la Grande Macchia Rossa distante milioni di chilometri. Decker, poggiando i gomiti sulle ginocchia, aveva imprigionato la testa tra le mani come a voler impedire che esplodesse.

Una folta scolaresca del primo stadio educativo, accompagnata da un androide insegnante della serie alfa-3, transitava in una fila ordinata per due, proprio alle spalle di Ilia che continuava imperterrita a cercare tra le nubi vermiglie del dio pianeta una valida risposta al suo dolore.

“… Giove possiede una vasta atmosfera e un mantello di idrogeno metallico che esercitano altissime pressioni sul nucleo di natura rocciosa…” – spiegava la voce innaturale dell’androide.

Ilia era una ragazza forte ma in quel momento il pesante silenzio di Decker opprimeva in maniera impietosa il suo animo determinato. Si girò di scatto, ripercorse il breve tragitto che la separava da Decker e utilizzando una riscoperta freddezza disse: “Devo andare Decker! È quello che desidero… Hanno bisogno di me”.

Decker liberò la testa dalla morsa organizzata dalle sue stesse mani e si mise in piedi come se un manovratore occulto avesse tirato dei fili invisibili collegati al suo corpo.

“Anche qui c’è bisogno di te.”

“Lo sai che non è la stessa cosa.”

“Questa città orbitante ha bisogno di gente come te e me. Puoi assistere le migliaia di abitanti di questo mondo artificiale con la stessa competenza che regaleresti laggiù…”

“Non è lo stesso…”

“… le tue conoscenze sarebbero sprecate in quei posti…”

“… non sarebbero sprecate…”

“… gli androidi farebbero il tuo lavoro senza sacrificare amore, affetti, progetti condivisi… Senza stancarsi, senza il bisogno di alimentarsi o di dormire, senza soffrire… Senza il rischio di morire.”

“Gli androidi sono efficienti ma non possono riprodurre e offrire alla gente di quei mondi una cosa che ho imparato anche grazie a te, Decker.”

“Cosa?”

“L’amore.”

Ilia aveva scelto un amore più grande: voleva essere una missionaria nelle colonie umane sui Pianeti Esterni scoperti nel ventitreesimo secolo, durante la Grande Era dell’Esplorazione Extrasolare. Un tipo di amore che richiedeva abnegazione e lunghi viaggi in sospensione criogenica, e dall’esito incerto.

Decker tentò di prendere le mani di Ilia ma lei si ritrasse con delicatezza e diede il colpo di grazia a un legame ormai dissolto: “Ieri ho depositato il mio atto di castità nell’elaboratore della Grande Anima”.

Decker si lasciò cadere sulla plexi-panchina come se si fosse arreso dinanzi a una forza invincibile di natura superiore. Era davvero finita.

Non aveva capito niente: aveva pensato o forse aveva costretto la propria mente a pensare che quello di Ilia fosse solo un passeggero interesse umanitario, esplorativo e scientifico. Nei giorni precedenti aveva rifiutato l’idea inconscia ma reale che Ilia potesse concedersi totalmente alla Grande Anima. Per sempre.

Tutta la passione, la vita condivisa, le intense emozioni provate insieme a quella ragazza che non riconosceva più e i sentimenti coltivati per anni, si volatilizzavano su quel ponte di osservazione come gas industriali liberati in un giorno di vento forte sulla Terra. Per un istante aveva desiderato che un’avaria del sistema di mantenimento vitale della stazione disattivasse i campi di forza, facendo risucchiare nel vuoto cosmico quella realtà artificiale divenuta insopportabile, insieme ai suoi pazienti attori inquadrati e felici.

“Questa sera prima della partenza ci sarà la cerimonia della vestizione.” – aggiunse Ilia, infierendo sul corpo e sulla mente di Decker. “Vorrei che tu partecipassi: sarebbe importante per me.”

“Ci sarò. Se è questo che vuoi.” – rispose con rassegnazione Decker.

La città orbitante Jupiter IV proseguiva il suo cammino gravitazionale intorno al quinto pianeta del Sistema Solare e la Grande Macchia Rossa era ormai quasi del tutto scomparsa dietro l’ennesimo orizzonte. Tra qualche giorno sarebbe riapparsa.

Ilia, invece, no.

Crionica

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , on 3 marzo 2011 by Michele Nigro

<<… Nel buio silenzioso della capsula, quel corpo gelido provvisto di una flebile vita possedeva ancora le chiavi chimiche della memoria e le proiezioni elaborate dall’inconscio non furono rallentate dal freddo.

L’uomo sognò il corpo caldo della sua donna bella e profumata; sentì le voci divertite della gita al lago in cui lui le chiese di sposarlo… E poi altri sogni assurdi: sveglie giganti che suonavano motivetti rock e gente con la faccia a forma di libro che lo salutava mentre camminava in un parco pieno di fiori di carta… Ghiaccioli alla menta, grandi come un albero, che lo rincorrevano sudando cubetti di ghiaccio e ragazze hawaiane completamente nude che conservavano enormi quantità di frutta esotica in un frigo… Sognò la dacia di Borìs Pasternàk ricoperta di neve e la sua vecchia nonna con un punch bollente tra le mani… Sognò i ghiacciai islandesi e gli iceberg nello stretto di Bering… Le foche del pack e i pinguini… Si ritrovò con la mente sognante nella tana di un orso in letargo e dopo pochi secondi il suo sogno si spostò nella tana di una famiglia di marmotte in pieno inverno… Sognò di essere un ghiro e calandosi nella cavità di un tronco d’albero, si riscoprì scoiattolo su un letto di ghiande e noci… Piumoni soffici e cuscini morbidissimi attraversavano la sua mente… Letti a baldacchino e carillon si alternavano a pigiami di lana e lenzuola di flanella… Che bello il letargo!>>

(tratto da Crionica)

“Spazio: 1999” e il distacco dai padri

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , on 30 aprile 2010 by Michele Nigro

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dedicato a Martin Landau

Il mio esordio con la fantascienza, in qualità di fruitore, lo si può far risalire alla fine degli anni settanta quando sulla Rai cominciarono a trasmettere uno dei telefilm di genere più belli che siano mai stati realizzati: “SPAZIO: 1999”, una produzione italo-britannica ideata nel 1973 dalla coppia GerrySylvia Anderson. A quell’epoca il 1999 (così come il tanto atteso anno 2000!) sembrava lontano e la colonizzazione della Luna conservava ancora un certo fascino scientifico e fantascientifico. Tutti credevano che il 1999 sarebbe stato l’anno della svolta, il punto di non ritorno, il numero magico a partire dal quale sarebbe avvenuto un conto alla rovescia inimmaginabile, e invece… Nel ‘99 non successe nulla di positivamente eccezionale o di straordinariamente anomalo: il tanto temuto “Millennium Bug” che avrebbe dovuto mandare in tilt i computer del pianeta per nostra fortuna non si verificò e la cosa più eclatante e bella da vedere fu l’eclissi di sole nel mese di Agosto; eclissi che filmai con la mia cinepresa dall’alto di un campanile e che in seguito avrei utilizzato nel mio racconto intitolato “Ėkleipsis” per descrivere le “eclissi” interiori dell’essere umano e per realizzare un provvidenziale “elogio dell’errore” applicabile non solo a livello astronomico ma soprattutto umano.

“Spazio: 1999” era un telefilm particolare e sufficientemente avveniristico (pur essendo un prodotto europeo e non hollywoodiano): oltre alla tecnologia che possedeva una certa verosimile precisione e le architetture interne che mostravano una predilezione per il “design” dell’epoca, ricordo l’ovvia presenza di un’impronta della moda degli anni ’70 nell’abbigliamento dei personaggi e nello stile in senso lato.

Gli abitanti della Base Lunare Alfa sembravano dei “figli dei fiori” laureati al MIT e capii dopo molti anni che in realtà gli Autori, forse, volevano ricreare in versione fantascientifica una di quelle comunità naturalistiche che sorsero durante il mitico ’68 in alcune parti del mondo: una “comune” lunare.

E poi l’inverosimile storia cosmologica utilizzata nel telefilm per denunciare gli abusi dell’uomo sulla natura, anche su quella extraterrestre: la Luna che si distacca dall’orbita terrestre a causa di esplosioni nucleari che innescano una reazione a catena e altre forzature simili. Al di là della credibilità scientifica o meno di un tale “destino lunare”, in questo distacco cosmico (la fantascienza esige un certo rigore, è vero, ma non dimentichiamo che è anche metafora letteraria e quindi ha bisogno di una certa sospensione dell’incredulità) vi ho sempre letto la realizzazione di un “gap generazionale”: i figli (dei fiori) che si distaccano dalla Terra dei padri per vivere una vita autonoma e senza radici. La libertà dell’autogestione, la ricerca delle “differenze” interplanetarie, il confronto con i “diversi” incontrati lungo il cammino. Una ricerca obbligata e vagabonda non sempre coronata da incontri pacifici ma supportata da una speranza inesauribile.

Peace & Love… in the Space!

Emma Saponaro

"Cancella spesso, se vuoi scrivere cose che siano degne d'essere lette." (Orazio)

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la poesia è la fioritura del pensiero - il miosotide non fa ombra alla rosa, ciascuno la sua bellezza

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