Archivio per occidente

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Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 22 novembre 2015 by Michele Nigro

Copia di Foto2053

Muro di capricci politici e divisioni studiate

di famiglie separate nella notte, cemento di stato

padre a est, madre a ovest, speranza senza bussola

una mano tra il filo spinato saluta lontano

non lascia tracce sulla sabbia rastrellata,

muro di fredde guerre

da riscaldare al sole mortale dell’atomo.

Muro contro muro

abbattuti da fallimenti ideologici

e da colori ragazzi

mescolati dai fari assassini

di sentinelle devote,

da traballanti economie

e lunghe file per l’aria.

Un tricolore francese

 su vecchie mura nemiche

e un leitmotiv marsigliese

segnano nuovi giorni

di dolore e sangue,

e nuovi mattoni

per moderne paure

a oriente del progresso.

Pensieri ribelli dipinti

e lasciati fiorire sul Muro del potere,

da luogo bizzarro della storia

a meta turistica.

Un filo d’umana follia

unisce le diverse forme

dell’assurdo

tra un selfie e un currywurst.

(immagine: Muro di Berlino – East Side Gallery,

novembre 2015 – foto by M. Nigro)

Fede primitiva

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 1 luglio 2015 by Michele Nigro

ramadam5

Muezzin cattolici al tramonto

gracchiano da microfoni stanchi

devoti richiami a jihad latini.

Medesima è la fanatica matrice

appartenenza viscerale al gruppo pregante,

rintocchi dai campanili minareti d’occidente

comuni vibrazioni antiche

nell’aria calda della sera.

Iconoclastia

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 15 aprile 2015 by Michele Nigro

Dirck_van_Delen_-_Beeldenstorm_in_een_kerk

Finalmente muore nel ridicolo la stirpe coloniale

distratta, persa dietro le patetiche sagome

di statisti beatificati

e comici popolari

seppelliti sotto la compiacente lapide

di nostrane furbizie.

Senza pregare alcun dio

cerco unguenti nocivi e profumati

capaci di rendere più morbida

la mia barba irreligiosa e infedele,

a suon di martellante fanatismo

marionette sbriciolano vestigia assolate

di antiche civiltà.

Non mi sorprendono

questi rigurgiti iconoclastici,

infatti cambio canale, annoiato

ritorno alla mia noia.

Nessun meccanismo dura in eterno,

storie che si ripetono nei secoli

e sullo sfondo apatico

di un tramonto occidentale coperto dal cemento

verranno a chiederci del nostro lusso.

video correlato: “Tramonto Occidentale”, Franco Battiato

Satollite

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 27 dicembre 2014 by Michele Nigro

“Mangia. Mangia piccolo Michel, mangia.

Se non mangi non puoi morire.”

(dal film “La grande abbuffata” di Marco Ferreri)

news_img1_65539_abbuffata

Fuggi lontano in compagnia di un digestivo morale

verso terre anoressiche e senza cibo

mentre un satellite satollo

controllato da forze gastriche inerziali

orbita intorno al pianeta Tavola.

Il corpo saziato dalle feste comandate (ma da chi?)

si aggira in cerca dell’anima sfrattata dal gusto,

armate di trigliceridi in tenuta ischemica

occupano le nude piazze arteriose dell’essenza.

Spiriti non spirituali e leccornie per condannati a morte

annebbiano gli alti propositi dei digiuni falliti.

L’autodigestione dell’Occidente

ricomincia così, come ogni anno

da una grande abbuffata

tra schiamazzi untuosi e finte bollicine

inutili discorsi a nazioni in declino

e colpi di pistola alla tempia del mondo

coperti dai botti colorati della speranza.

Bomba o non bomba, noi arriveremo a Roma!

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 25 settembre 2014 by Michele Nigro

ISIS MILITANT

BOMBA O NON BOMBA, NOI ARRIVEREMO A ROMA!

I temibili guerriglieri dell’Isis provenienti dalla Turchia, dopo aver sconfitto le ultime sacche di resistenza infedele esistenti nei Balcani, giungono indisturbati sulle sponde dell’Adriatico. Decidono, senza esitare e in preda a un’esaltante euforia pseudoreligiosa, di realizzare finalmente le minacce, pronunciate nei mesi precedenti, contro Roma e contro l’occidente cristiano. Così, dopo aver formato una flottiglia di imbarcazioni “prese in prestito” con la forza, attraversano a tutta velocità il mare che li separa dal centro del male, approdando sulla tanto agognata penisola italica, piena di crocifissi da bruciare, di cristiani da sgozzare e di donne da sequestrare.

Appena sbarcati sul suolo italiano, però, li accoglie un forte temporale: un fiume di fango formatosi in maniera repentina travolge e uccide il primo migliaio di jihadisti, abituati ai mari di sabbia dei loro deserti e non ai fiumi di fango di un paese che va in tilt non appena piove. Per nulla sconfortati – perché “Allah è grande!” e vede oltre le disgrazie – proseguono fedeli e giungono nella cosiddetta “terra dei fuochi” dove altre centinaia di soldati votati al martirio trovano la morte, uccisi da tumori fulminanti, raggiungendo le 72 mogli vergini nel paradiso promesso dall’amato profeta Maometto. Mentre si allontanano a gambe levate dalla zona cancerogena, un’autobomba destinata a un noto magistrato anticamorra per errore viene fatta esplodere in anticipo dal dito impulsivo del camorrista latitante Vicienz ‘o Sultan, e uccide sul colpo altre decine di soldati islamici. L’armata dell’Isis, un po’ ridotta di numero ma ancora possente, prosegue imperterrita verso Roma: tuttavia un terremoto del IV grado della scala Mercalli e una conseguente frana decimano ulteriormente le fila del nero esercito. Il capo delle truppe islamiche decide allora di andare per mare, evitando il percorso di terra rivelatosi alquanto sfortunato, ma il capitano della nave dirottata dall’Isis decide di fare un “inchino” davanti all’isola di Ponza. La nave becca uno scoglio e a causa di uno squarcio nello scafo affonda inesorabilmente in pochi minuti: altri santi martiri, morti affogati a causa di quella manovra scellerata, si aggiungono all’elenco.

Giunte finalmente nei pressi di Roma, le poche centinaia di guerriglieri sopravvissuti al naufragio trovano il grande raccordo anulare intasato da un tappo metallico di auto ferme con il motore spento a causa di uno sciopero congiunto dei casellanti e dei benzinai. Decidono così di proseguire a piedi fino a un certo punto e di usare poi un mezzo poco consono allo spirito della missione e all’immagine di un’armata rappresentante un potente califfato: la metropolitana. Ma una “bomba d’acqua” sulla capitale mette fuori uso le centraline elettriche delle linee di Roma Metro. Così, dopo una lunghissima camminata, giunti nei pressi dello Stadio Olimpico, e in coincidenza con il 90° minuto di una partita di calcio terminata con la cocente sconfitta della squadra giallorossa, s’imbattono in un gruppo incazzatissimo di tifosi romanisti, capeggiati dal famigerato curvista Cesare detto “Centosberle” di Centocelle, i quali, vedendoli vestiti di nero, li scambiano per una delegazione di arbitri: pistolettate e coltellate a gogò… Altri morti tra i soldati di Allah. I pochi superstiti, allontanatisi miracolosamente dalla zona dell’Olimpico, incontrano però un nutrito plotone di poliziotti in tenuta antisommossa (e già da diversi giorni di umore pessimo a causa della “spending review” attuata dal governo sulle forze dell’ordine) provenienti da una violenta manifestazione, appena conclusasi, organizzata dai sindacati per protestare contro il Jobs Act di Renzi. Scambiandoli per Black Bloc – sempre per il fatto di essere vestiti di nero – i poliziotti “consumano” i manganelli sulla schiena dei jihadisti e ne spediscono un consistente numero ai vari CTO della capitale. Ridotti a una decina, i poveri soldati dell’Isis arrivano miracolosamente in Vaticano, non più per conquistarlo ormai ma solo per chiedere asilo politico e per rifocillarsi presso la mensa della Caritas in compagnia di Papa Francesco. Ad accoglierli un untuoso cardinale sospettato in passato di essere coinvolto in alcuni casi di pedofilia e di abusi sessuali su seminaristi il quale, rivolgendosi al più giovane dei jihadisti esclama: “Siete così abbronzati e carini ma soprattutto siete tanto stanchi e affamati dopo tutto questo cammino: venite con me, vi ospiterò nella mia canonica!” Amen.

CONQUISTARE ROMA… MA VI CONVIENE?

Generation

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 13 luglio 2014 by Michele Nigro

Ru486

Non morirete di pacifica noia

figli e nipoti del futuro!

Nuove leve per un ciclico terrore

concepite all’ora di cena tra dolori

oscurati sulle tv dell’impero sensibile

nasceranno puntuali e cieche

scivolando fuori da placente rabbiose

di allignate ingiustizie occidentali.

Indagine sulla Via Interiore

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 luglio 2013 by Michele Nigro

In vista della seconda edizione, di prossima pubblicazione, del libro di poesie “La Via Interiore” di Francesco Innella, la cui prima edizione è stata recentemente presentata a Salerno presso la libreria Einaudi, ho avuto il piacere e l’onore di curare una postfazione-intervista all’Autore per meglio evidenziare i suoi percorsi conoscitivi, le sue ricerche, le letture fatte negli anni, e per fornire al Lettore – guardando al di là dei versi – una mappa indispensabile per comprendere il significato più intimo, diciamo pure esoterico, dei componimenti presenti nel volume. Ogni domanda è preceduta, tra parentesi, dal titolo della poesia che ha ispirato il quesito, ma l’autonomia delle domande e delle relative risposte rende piacevole e interessante la lettura di questa intervista indipendentemente da una lettura preliminare delle poesie.

LOcchio-dellUNO

“Indagine sulla Via Interiore”

postfazione/intervista a cura di Michele Nigro

M.N. – (L’anima) Si evince un bisogno di separazione tra anima e corpo. Noi occidentali abbiamo dimenticato come ascoltare l’anima e isolarla dal corpo?

F.I. – Tu cogli un problema importante per me, l’ascolto dell’anima, e che bisogna riuscire a separare dal corpo, cercando ognuno di noi la strada più consona verso questa realtà sottile. Massimo Scaligero (1906 – 1980), un grande seguace dell’antroposofia italiana, nel suo testo “L’uomo interiore” così scrive: <<Trovare in sé il punto in cui si comincia finalmente a essere individui, a superare la psiche, a creare, suscitare con decisione l’elemento immediato dell’azione cosciente, abbandonare le illusorie, anche se dialetticamente smaglianti vie allo Spirituale, pervenire come cercatori alla reale conoscenza di sé per ritrovare il principio della Forza che si cerca fuori di sé…>>

(Il sonno) L’antico druidismo insegna che alla base dell’origine dell’universo ci sarebbe il Suono, la vibrazione primordiale (causa prima). Un’antica conoscenza, non confermata dalla scienza ufficiale, ripresa dalle pratiche dello sciamanesimo druidico in cui viene utilizzata la musica. Dopo la morte torneremo al punto di partenza di quel suono?

Ti rispondo con le parole di un esoterista spagnolo, Francisco Ridondo Segura, dal suo testo intitolato “La luce Adamantina”: <<Il suono sorge dal silenzio. Il silenzio è eterno e permanente. Il suono sorge dall’etere che è un aspetto dell’Akasha. L’Akasha o quinto elemento è un altro nome che si dà per riferirci al memorandum o cornice nascente del suono, dal quale sorge il suono. Il suono creato mediante l’Akasha conduce alla riutilizzazione dei quattro elementi nella cornice del quinto che è l’Akasha. I suoni generano energia per mezzo della ristrutturazione dell’ambiente esistente.>> Se questo che ho riportato sopra è la genesi del suono, d’altra parte non posso dire nulla su queste pratiche sciamaniche druidiche che non conosco e che tu riporti. Ma tu sai, una volta partecipasti anche tu, ad una recita di mantras buddisti e ti posso dire che i mantras influenzano anche l’ambiente che ti circonda, si tratta di pura energia che si condensa in una struttura di suono.

(Rinascita) Credi nei risvegli e nelle rinascite in vitam?

Credo sia nei risvegli che nelle rinascite in vita. Ma il problema è come rinascere e come risvegliarci. Mi sono posto la domanda “esistono discipline che promuovono il risveglio?”. E facendo un’indagine mi sono accorto che tutti i grandi iniziati hanno insegnato che il vero risveglio è consistito nel vincere la nostra natura prettamente meccanica e ripetitiva. Dobbiamo essere in grado di controllare perfettamente il corpo, attraverso una maggiore consapevolezza. Gurdjieff insegnava un esercizio molto difficile ai suoi allievi, qualsiasi cosa facessero nella loro giornata dovevano avere coscienza del loro braccio destro. La semplice consapevolezza, niente di trascendentale.

(Gnosi) Sei stato influenzato dalla lettura del Vangelo di Tommaso? Come conciliare la nostra esistenza nevrotica e a volte insensata con la ricerca della Suprema Dimora e con quello che tu chiami “salire faticoso”?

Lo gnosticismo si diffonde tra il II e il III secolo d.C., e i testi di questo fenomeno di sincretismo religioso si presentano come “segreti”, in quanto provenienti da un insegnamento esoterico di Gesù o degli apostoli riservato ai soli iniziati. Tra questi scritti ricordo il Vangelo degli Egiziani, il Vangelo di Mattia, il Vangelo di Maria Maddalena, l’Apocrifo di Giovanni, la Sophia di Gesù, il Vangelo di Tommaso (copto), il Vangelo di Pietro. La maggior parte dei vangeli citati nasce nel contesto di correnti teologiche giudicate successivamente eretiche dalla Chiesa cristiana, come quelle di stampo ermetico. Non sono stato influenzato dalla dottrina gnostica, ma dalla ricerca del divino effettuata dagli gnostici, che si presenta prima come una discesa in noi stessi e poi in un’ascesa molto faticosa, che dovrebbe portare alla fusione con l’Uno.

(Daimon) Abbiamo l’obbligo o la necessità di cercare di migliorare la nostra esistenza oppure possiamo abbandonarci alla “scelta che ci toccò con la nascita”?

Abbiamo l’obbligo di migliorare la nostra esistenza, oppure possiamo come la maggioranza delle persone abbandonarci alla scelta che ci toccò in vita. Ma il punto è un altro se, come dice Scaligero e tutta la scuola Ermetica, dentro di noi c’è un Uomo Storico, un Uomo Interiore che dobbiamo far venire alla luce, perché è la nostra essenza, è la nostra vera identità, allora c’è l’obbligo per chi intende incamminarsi su questo difficile cammino di trovare la strada interiore che conduce a lui, e che è disseminata negli insegnamenti di tutti i grandi iniziati. Si tratta di una ricerca non facile…

Voglio però chiarire una cosa importante ed aiutare il lettore a capire meglio chi è l’Uomo Interiore. Cito a proposito il testo “L’arte di divenire simili agli Dei” di Elis Eliah: <<L’uomo esteriore fisico racchiude un uomo interiore, il quale sfugge alle analisi dei metodi impiegati per studiare l’uomo esteriore o visibile che è il suo involucro. Se gli uomini volgari avessero la conoscenza di quest’essere invisibile, inafferrabile, che esiste perché esistono le sue opere, arti, invenzioni, scienze, sarebbe risolto il più grande problema dei secoli…>>

(Il ritorno) L’erotismo è una distrazione dalla ricerca verticale o è partecipe del nostro avvicinamento al divino?

Le religioni più associate al misticismo sessuale sono l’induismo e il buddismo (entrambi di origini indiane), nelle loro forme tantriche. Nella cultura dell’Asia orientale, dove si sviluppò lo zen, il misticismo erotico era poco sviluppato. I motivi principali di questa mancata espansione sono da ricercare nell’influenza dell’etica confuciana, che domina tutta la cultura est-asiatica, per cui la relazione fondamentale è quella tra marito e moglie, come in occidente e in India. Mircea Eliade pubblicò nel 1956 un breve saggio dal titolo “Misticismo erotico indiano”. Uno dei momenti più rappresentativi della sua opera è il riflesso di un’esperienza che lo toccò da vicino: la descrizione dell’unione sessuale come rituale mediante il quale l’uomo trascende a entità divina, come previsto dalla tradizione hindu. Le sue osservazioni acquistano un interesse ancora maggiore per chi conosce la vicenda umana di Eliade, la sua intemperanza sessuale (raccontata nei minimi dettagli nei “Diari”) e il ruolo centrale del sesso suggerito nella sua visione storica delle religioni. Nella tradizione tantrica la “beatitudine suprema” non deve mai raggiungersi attraverso l’emissione seminale. Solo questa forma di “controllo” dei propri sensi è capace di permettere l’ingresso nella dimensione assoluta dell’erotismo.

(Karma) Neanche il rimescolamento genetico, durante il “crossing over” cromosomico, ci “salva” dal peso del karma? Come possiamo alleggerire questo peso?

Il peso del Karma è l’interruzione di un percorso che siamo chiamati a realizzare. Il peso del Karma si può alleggerire se conosciamo in profondità il nostro Io Interiore, non c’è altra strada. Non è esatta la visione buddista di un passaggio di “azioni” da un corpo ad un altro con la cancellazione dell’individuo. Noi siamo sempre gli stessi e la nostra natura angelica che continua per l’eternità e non possiamo sottrarci ad una legge inesorabile che vuole la realizzazione del nostro Uomo Interiore. Il peso del Karma è morire, addormentarsi ed essere richiamato di nuovo in vita da un richiamo venereo per continuare la nostra strada verso il divenire noi stessi, ossia la realizzazione della nostra natura angelica.

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“Mamma… li turchi!”

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 novembre 2011 by Michele Nigro

Angolazioni storiche ed elogio del viaggio.

L’esistenza che viviamo si basa su una serie, collaudata nei secoli, di ‘punti di vista’ ovvero di porzioni complementari di verità: la verità risultante, fotografata dall’alto, è pari alla somma vettoriale delle singole verità messe a disposizione dalle piccole e grandi comunità etniche che ci illudiamo di omologare in nome della cosiddetta new economy. Non c’è web capace di annullare le differenze mentali e culturali che rappresentano il sale dell’interazione umana.

Viaggiare significa ricercare e registrare queste differenze: non per creare divisioni xenofobe ma al contrario per accrescere la conoscenza personale (diversa da quella ufficiale approvata dai poteri istituzionali civili e religiosi della propria civiltà di origine) e di conseguenza il rispetto di quelle diversità che devono continuare a esistere tra i popoli. Conoscere i punti di vista storici è fondamentale per abbattere la presunzione derivante dalla convinzione errata di possedere una verità assoluta. E per compiere quest’opera di laicizzazione della cultura storica dominante a volte i libri da soli non bastano: occorre andare sul posto per vedere, toccare, sentire gli entusiasmi ‘faziosi’ e i timori della gente nata e cresciuta in un humus culturale diverso dal nostro, per sondare le convinzioni dell’altro provenienti dalla tradizione, per condividere le sue angolazioni storiche consolidate nel tempo. Senza giudicare.

Passare dal Museo Panorama 1453 di Istanbul alla Colonna di Orlando (raffigurante il paladino Rolando) nella piazza principale del centro storico di Dubrovnik (Croazia) nel giro di poche settimane significa valutare, in maniera trasversale e a dispetto dei secoli trascorsi, l’epopea riguardante l’espansione dei Turchi Ottomani verso Occidente (e in particolare nei Balcani) da due osservatori diametralmente opposti: i termini “conquista” e “invasione” convivono ai lati di una stessa verità storica oggettiva. Il tentativo di formare un grande impero musulmano da parte dei turchi ottomani e la cristianità cavalleresca come ultimo baluardo per difendersi da un nemico proveniente da Levante, s’incontrano per dare vita a una visione eterogenea ma completa della realtà storica. Contrapporre le imprese del sultano Maometto II alla Chanson de Roland significa in fin dei conti raccontare quasi la stessa storia, ma da angolazioni diverse: pur trattandosi di epoche e geografie differenti, di istigazioni religiose diverse ma complanari, di protagonisti non coincidenti (e a volte anche inventati per entusiasmare il popolo) che si muovono in scenari storici paralleli ma intercomunicanti.

Assistere all’ammirazione di giovani musulmani dinanzi all’immagine eroica di Maometto II mi ha fatto tornare in mente l’equivalente ammirazione provata da alcuni giovani cristiani posti davanti alla statua di San Giorgio in procinto di uccidere il drago. Non esiste un unico centro e tutto è relativo. Questa consapevolezza mi ha reso più libero e forte, ma anche più solo. Il senso d’appartenenza si nutre di simboli partigiani da venerare.

“Mamma… li turchi!”

Il museo storico PANORAMA 1453 di Istanbul

e alcune paure occidentali.

Durante l’ultimo giorno di permanenza a Istanbul, qualche ora prima di assistere alla Cerimonia Semà dei Dervisci nella vicina Yenikapı Mevlevihanesi, ho trascorso un bel momento presso il Museo storico “Panorama 1453”. Situato fuori le Mura terrestri di Teodosio II, all’altezza della porta Topkapi (facilmente raggiungibile prendendo il tram in direzione Zeytinburnu e scendendo alla fermata “Topkapi”; la struttura museale di forma circolare è individuabile senza difficoltà) appartiene a un modo di “fare museo” relativamente recente per cui il visitatore non subisce più il classico tragitto, a volte noioso, fatto di oggetti e didascalie da leggere pedissequamente (volendo c’è anche quello per integrare le proprie conoscenze) ma viene proiettato in un “evento visivo” (panoramico!) che diventa informazione storica integrata. In un’epoca come la nostra in cui le informazioni sono sempre più veicolate tramite le immagini, riducendo di fatto i tempi di apprendimento e di rielaborazione delle informazioni acquisite in maniera classica, il museo PANORAMA 1453 rappresenta un modo simpatico e moderno di gestire la Grande Storia: vi troverete, grazie a un gioco di immagini statiche artisticamente raffinate – in realtà l’immagine è unica e senza interruzioni, “spalmata” a 360° tutt’intorno al visitatore – e di suoni realistici sconvolgenti, nel bel mezzo (è proprio il caso di dire) dell’assedio da parte delle truppe di Maometto II detto il Conquistatore (Fatih) e della battaglia che ne scaturì per la Conquista di Costantinopoli.

Inutile descriverlo ulteriormente: bisogna visitarlo per capire…

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11 settembre inflazionato?

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 29 agosto 2011 by Michele Nigro

“… E i funerali di stato a che servono? 
I militari in missione chi servono?…”

(CapaRezza – dal brano “Cose che non capisco”)

Facciamo un piccolo gioco sull’immaginario collettivo?

Chiudete gli occhi, rilassatevi. Trasformate lo schermo nero che avete creato dietro le vostre palpebre chiuse in una sorta di tela su cui proiettare le immagini depositate nella vostra mente. Alzi la mano chi ricorda perfettamente almeno un’immagine riguardante l’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle di New York. Bene, siete in tanti. Complimenti! Potete abbassare le mani… Ora alzi la mano chi, invece, conserva nella propria memoria un’immagine della guerra libano-israeliana del 2006. Uno… Due… Nessun’altro? Come prevedevo. Perfetto: abbassate pure le vostre mani e aprite gli occhi.

In realtà non avevo bisogno di fare questo “esperimento”: sapevo già quale parte della storia il Quinto Potere aveva deciso di sfruttare. O di inflazionare.

Tra qualche giorno cadrà il decimo anniversario (questo post è stato scritto nel 2011, ndb) dell’attentato alle Torri Gemelle di New York e ancora una volta la televisione, i giornali, il web ci bombarderanno senza sosta con le terribili immagini degli aerei dirottati e fatti schiantare sul World Trade Center della “Grande Mela” e sul Pentagono a Washington. Ancora una volta ci stupiremo, c’arrabbieremo, ci commuoveremo, avvertiremo un brivido sinistro e assumeremo senza battere ciglio la nostra brava dose di anestetico sotto forma di immagini. Qualche rete televisiva manderà in onda il solito documentario dedicato a quella maledetta mattina di settembre e in prima serata alcuni film per ricordare giustamente l’eroismo di poliziotti e pompieri morti durante il crollo delle torri. Gli americani in questo, poi, sono bravissimi: una volta il nostro Massimo Troisi disse, ironizzando, che in realtà gli americani avevano fatto la seconda guerra mondiale non per sconfiggere Hitler, Mussolini e i giapponesi, bensì per avere la possibilità in un secondo momento di girare dei film di guerra a Hollywood. È sorprendente la quantità di riprese (e di angolazioni) effettuate al momento dello schianto sia del primo che del secondo aereo sulle Torri Gemelle: gli obiettivi dell’attacco che hanno suscitato la maggiore indignazione da parte dell’opinione pubblica. Altrettanto sorprendente, tuttavia, è la totale assenza di immagini chiare riguardanti l’oggetto (dicono un aereo) che ha impattato sul Pentagono: il punto nevralgico della sicurezza americana e quindi il luogo che dovrebbe essere maggiormente monitorato tramite uno o più sistemi di telecamere a circuito chiuso. Ma questo, ci tengo a precisare, non è un post pro complottisti.

Anche io, usando il post che state leggendo, ho deciso di contribuire a perpetrare questo stato di trance mediatico sull’11 settembre pubblicando la foto di un aereo – il secondo – in procinto di impattare sull’altra torre ancora intatta. Tutti, consapevolmente o inconsapevolmente, riceviamo e ritrasmettiamo segni (immagini, sequenze video, simboli, oggetti…) in un ambiente semiosferico non casuale ma influenzato da una serie di poteri interconnessi (potere politico, economico, religioso…). Noi utenti dei mass media siamo le unità cellulari del potere che si nutre a sua volta della nostra voglia di essere protagonisti e informati. Vedere è sapere: tutto il resto (il pensiero, ad esempio) non conta.

La cosiddetta ‘grande informazione’ decide di alimentare il nostro immaginario collettivo con simboli provenienti dall’attentato dell’11 settembre perché preferisce lo stupore alla verità; lo stupore e la paura che ne consegue rappresentano le chiavi d’accesso al consenso popolare usate dalle “vittime potenti”, in questo caso dagli U.S.A.: l’infranta inattaccabilità della superpotenza americana stupisce di più, quindi fa più notizia, della ‘solita’ scaramuccia israelo-libanese o israelo-palestinese risolta a suon di razzi katiuscia e conseguenti ritorsioni da parte dell’esercito di Gerusalemme. Il terrore è una forma di linguaggio che paradossalmente non serve tanto agli attentatori, quanto ai capi dei paesi colpiti dal terrorismo affinché possano ancor di più agire indisturbati a livello internazionale. Ma non dico nulla di nuovo…

L’informazione, spinta da evidenti e pressanti esigenze di sopravvivenza in un mondo affetto da una crisi economica che non risparmia le superpotenze, ha bisogno di vendere i propri “prodotti stupefacenti” a un pubblico sempre più vasto e così facendo alimenta proprio quel tipo di comunicazione emotiva tanto amata dal potere, a discapito della Verità. Gli attentatori e i giornalisti, quindi, svolgono una medesima “funzione terroristica” anche se da posizioni diverse. I terroristi, per definizione, scelgono il terrore per trasmettere un messaggio politico, economico, religioso, “culturale”. L’informazione diffonde ripetutamente il messaggio terrificante del terrorista non per informare i cittadini (tutti quanti abbiamo capito, ormai, che dieci anni fa sono crollate le due Torri Gemelle a New York! Non necessitiamo di ulteriori dati visivi al riguardo: eppure le televisioni di tutto il mondo continuano a trasmettere ossessivamente le immagini degli aerei mentre penetrano nelle Torri Gemelle) bensì per mantenere costante nel tempo una necessaria tensione emotiva tra la gente, che per l’ennesima volta assiste ipnotizzata al fatto terribile accaduto, e i potenti di turno che sono ben lieti di difendere l’Uomo Occidentale (sano, bello, informato, giusto, pulito, nutrito, istruito, superiore in ogni campo, ineccepibile dinanzi al dio dei cristiani…) dalle minacce esterne. Qualunque esse siano: aliene, naturali, estremiste. Un occidentale che con il proprio silenzio-assenso, la connivenza di chi non vuole rinunciare a certi privilegi, apertamente cede i propri diritti ai governanti in nome di una garanzia che non esiste: le tanto decantate ‘agenzie’ statunitensi (oggetto anch’esse di film e telefilm inneggianti all’efficientismo a stelle e strisce) esistevano anche prima dell’11 settembre 2001… Eppure.

La politica è “politica d’immagini”: le ripetute sequenze dell’11 settembre servono non a ricordare le vittime ma a mantenere vivo lo sdegno pubblico che è alla base di un interventismo geopolitico e militare utile solo ai potenti e agli industriali che nella guerra da sempre, da quando esiste un’industria bellica, subodorano affari succulenti. Quando ci fu il terremoto a L’Aquila un paio di esseri insulsi dichiararono al telefono di ridere dalla notte precedente, pregustando i guadagni relativi alla ricostruzione. Allo scoppiare di una guerra sono molti gli industriali che ridono: da quelli che producono i dentifrici per le truppe a quelli che costruiscono carri armati ed elicotteri militari. Eppure delle loro ‘risate’ nessuno parla mai! Perché?

I funerali di stato, trasmessi puntualmente in televisione, dei presunti “eroi” caduti nelle cosiddette “missioni di pace”, hanno la stessa funzione delle immagini sull’11 settembre che di tanto in tanto ci propinano come un ossessivo intercalare durante la regolare programmazione: mantenere uno stato d’allerta tra la popolazione per giustificare la guerra. Nessuno si è preoccupato, finora, di analizzare onestamente le cause politiche ed economiche che stanno alla base del terrorismo. Capire il meccanismo di un’insoddisfazione capace di reclutare decine e decine di kamikaze, significherebbe delegittimare le ragioni apparenti costruite dai “buoni” e che animano questo terzo, silenzioso, non dichiarato conflitto mondiale.

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Sufismo occidentale

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 9 novembre 2010 by Michele Nigro

james-sufi

Suoni di danze sufi dall’interno
mentre rintocchi di campane cristiane
richiamano come muezzin di bronzo
i fedeli alla messa.
Vivere nella terra di mezzo dell’anima
in un eterno viaggio immobile,
stati d’animo decelerati
nella provincia
prevalgono sulle angosce occidentali.
Stanza di fumo freddo, ricordi
vento dal Mar Nero
e melodie arcaiche di ney.
Non sono ancora tornato.

Il ritorno a casa e il “jet lag” psico-culturale

Posted in nigrologia with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 agosto 2010 by Michele Nigro

“Non ritornare mai,

andare sempre in giro,

produrrebbe un’ebbrezza da derviscio.”

(da “Filosofia del viaggio” di Michel Onfray)

Non si ritorna mai completamente da un luogo.

Ritorniamo con il corpo perché abbiamo un biglietto con una data per il rientro e non vogliamo perdere i soldi spesi, e una vita che ci richiama all’ordine (per “vita” s’intende una serie effimera di convenzioni linguistiche, culturali, sociali, storiche, economiche che crediamo – autoconvincendoci! – di non poter sradicare).

Mentre cospargiamo la scrivania di foto, taccuini, cartine, libri, cd musicali acquistati in loco, scontrini, biglietti, residui di ciò che per un po’ è stata la nostra moneta; mentre laviamo i panni sporchi e riponiamo la valigia nell’armadio che odora di naftalina, ci accorgiamo di aver lasciato indietro una parte non secondaria di noi, la mente: di aver disseminato onde cerebrali nel luogo visitato al punto tale che subiamo uno svuotamento psichico durante la fase del ritorno. Non rientriamo mentalmente, ma solo fisicamente. Un bel guaio! Forse…

I sintomi del “jet lag” psico-culturale variano da viaggiatore a viaggiatore: l’isolamento è uno dei principali. Il comune senso d’appartenenza (quello stesso senso che fa inviare al turista decine di inutili cartoline in patria, dimostrando così di non essere mai partito!) ancora non deve entrare in scena per rovinare tutto: isolarsi per difendersi e per conservare intatti e senza “inquinanti culturali” gli insegnamenti dei cinque sensi stimolati durante il viaggio.

Eppure Istanbul non è una città, per certi aspetti, tanto diversa dalle altre capitali europee: tram, grattacieli, supermercati, metropolitana, autostrade trafficate, banche, polizia, problemi condominiali, gente che va avanti e indietro indaffarata… L’isolamento, dunque, non serve a farci riprendere fiato come se avessimo vissuto un’esperienza traumaticamente differente se confrontata con il nostro stile pratico di vita “occidentale”: l’auto-esilio è l’unico mezzo che abbiamo, ritornando a casa, per preservare l’ideale coltivato e messo alla prova durante il viaggio stesso. Ci si isola nella propria dimora per continuare il percorso interiormente e per rintracciare quella ricerca primigenia (causa del nostro viaggio) per un attimo distratta o addirittura “coperta” dalle incombenze pratiche legate al taxi da prendere, all’hotel da individuare, al piatto da ordinare, al bagaglio da non perdere… Sfruttando la “succursale” della nostra anima lasciata a Istanbul come una sorta di sentinella, creiamo un ponte tra il corpo spossato in fase di recupero energetico e l’ideale (impreparato e infantile) che c’aveva spinto sull’aereo. “Nella fatica del ritorno – scrive Onfray – si preparano le sintesi a venire”. Sintesi che cristallizzano l’esperienza e indirizzano la ricerca verso obiettivi più nitidi e meno epici: l’iniziale entusiasmo basato sulle ipotesi e sulle mille piacevoli paure dell’ignoto, lascia il posto a una nuova energia più consapevole e pacata, ma arricchita di nuovi elementi culturali e sensoriali. Il viaggio, in un certo qual modo, continua.

Istanbul non è una città normale ma una “terra di mezzo” dove dialogano realtà apparentemente lontane e inconciliabili; un faro filosofico e spirituale per l’occidentale insoddisfatto…

Si ritorna sempre, quasi per caso, durante un fine settimana, a Parigi o a Londra per riprendere “discorsi occidentali” che impregnano già il nostro modo di essere europei. A Istanbul, invece, si decide di ritornare a posta per motivi vitali, perché dobbiamo recuperare noi stessi, perché siamo costretti ad andarci a riprendere l’Io smarrito sotto le Mura terrestri o a Ortakoy: una parte di noi, infatti, è rimasta lì a circolare tra le strade in cerca di alterità e di vero confronto con sé stessi e con il mondo.

Un viaggio a Istanbul non si risolve mai: ce ne accorgiamo dal fastidio che proviamo nel dover condividere gli aneddoti banali con chi è rimasto a casa; aneddoti riassuntivi che generalmente soddisfano il turista ma non il viaggiatore. L’ascesi intellettuale, seppur libresca, ci salva dal fastidio del ritorno e la riorganizzazione del materiale raccolto ci fornisce una traccia culturale da seguire per tenerci occupati… E per non impazzire!

(foto: M. Nigro)

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